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Autore: Ilarya Kiki    08/01/2015    1 recensioni
"Bentornata nel mondo, ragazza mia.
Le gambe mi fanno rientrare nel sarcofago, ed il buio si rifà subito assoluto con un tonfo legnoso, facendomi ricadere nel mio confuso limbo di memorie, terrorizzata.
E poi, più nulla."

Questa storia è la diretta continuazione di "In The Sake Of Art", quindi probabilmente sembrerà iniziare un po' a strappo, anche se ovviamente farò del mio meglio per renderla più piacevole possibile!
Buona lettura!
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akatsuki, Altri, Deidara, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Naruto Shippuuden
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- Questa storia fa parte della serie 'Jiyū Kunoichi No Monogatary - Story of a Free Kunoichi'
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Tears.
 
Lacrime di polvere. Maledetta anima mia, che ristagni dolente in questo cuore fermo, in questi polmoni vuoti. Sanguino senza sangue, voglio gridare, urlare, voglio piangere. Ma non posso, la polvere non piange.
 
Perché, Deidara? Solo, perché?
Il mio sole è morto, anche se non potevo più vederlo. E questa tecnica, maledetta, mi sbatte in faccia la notte desolante mantenendo in vita la mia coscienza. Vorrei morire, com’era prima. Non sentivo nulla. No, che egoista. Come potrei dormire in eterno quando il mio sole è tramontato?
 
Devo smetterla…
La morte è una realtà che noi guerrieri abbiamo sempre dovuto considerare vicina, ci accompagnava sempre, stando costantemente al nostro fianco come una vecchia, terribile amica. L’ha detto anche Itachi. E, poi, lo rivedrò, in qualche modo, in un sacco di organi polverosi come quello in cui sono io. Magra consolazione.
 
Il tempo pare non passare mai, anche se la brezza si è fatta buia e le foglie galleggiano nell’aria, trasportate dai soffi di vento. In un attimo di nostalgia, vorrei sentire la sua fresca carezza sulla pelle, ed assorbirne il profumo di bosco fino a saturarmene i polmoni. Ora, non sento niente, e non posso far altro che osservare e ricordare. Mi manca, la vita?
Difficile da dire…dopo la morte uno si rende conto che la vita finisce. Sempre. Sembra stupido da dire, ma è così: la vita finisce sempre, per ogni creatura vivente, e quindi si tratta di un dono naturalmente  momentaneo e fragile, una brillante parentesi cristallina, pronta ad infrangersi in qualsiasi momento.
Difficile dire che mi manchi, poiché la mia, semplicemente, è finita, ed ho la piatta ed ovvia consapevolezza che non la otterrò indietro mai più; mi sento più come se mi stessero disturbando dal mio meritato sonno eterno. In ogni caso, non rivorrei mai una vita dove Deidara non c’è più.
 
Anche i miei compagni di non-morte sembrano condividere le mie sensazioni di inedia; però almeno sono riuscita a fare qualche discorso interessante con il mio vecchio capo, Pain. È incredibilmente differente da come me l’ero immaginato in vita, tranne per il suo approccio con i suoi compagni di organizzazione, che era l’unica cosa di sé che ci mostrava. A differenza del ninja cinico e spietato che mi aspettavo, ho conosciuto un uomo timido ed educato, con un’anima irremovibilmente pacifista: strana cosa per una persona che ha fondato un’organizzazione con lo scopo di creare la più potente arma del globo per ottenere il monopolio economico delle guerre tra i paesi.
Mi ha raccontato di venire dal Paese della Pioggia, che si trova incuneato fra quattro delle Cinque Grandi Terre, e di conseguenza è sempre stato il campo di battaglia prediletto degli eserciti in guerra: lui, Konan ed un altro loro amico si sono trovati orfani da bambini, e per pura fortuna un Jonin della Foglia li prese sotto la sua protezione e gli insegnò le arti ninja.
Poi, mi ha raccontato Nagato, ha incontrato Tobi, che gli ha consigliato di fondare un’organizzazione di persone in difesa per la pace: Akatsuki. Come poi una società pacifista si sia trasformata in quello che eravamo noi, ha evitato di dirmelo, e la cosa sembra ferirlo molto; credo se ne vergogni. A quanto pare la morte gli ha fatto fare un esame di coscienza.
Di tutto questo discorso, la cosa che mi ha sorpreso di più è stata il ruolo di Tobi. Insomma, quel Tobi? Quell’idiota insopportabile era in realtà l’arbitro della nostra Akatsuki? Bah.
Mentre io e Nagato parlavamo di queste cose, Itachi se ne stava in silenzio, ad osservarci di sottecchi. Credo che lui ne fosse a conoscenza, di questa storia: ai suoi occhi sono solo una povera ignorante, chissà che considerazione ha di me.
Un po’ mi fa male, devo dire in tutta sincerità, che l’organizzazione che avevo scelto da viva come ideale di vita fosse in realtà manovrata nell’ombra per scopi non troppo chiari, ma ormai è tardi per avere rimpianti.
“Ho sempre pensato che noi di Akatsuki fossimo liberi da ogni istituzione, e invece probabilmente siamo stati usati come subdolo strumento di qualche stato. Era per fuggire a questo genere di cose che ho tradito il mio villaggio – ho confessato a Nagato – non so se ho molta voglia di combattere per Tobi, adesso.”
“Non possiamo farci nulla, temo.” Mi rispose il mio ex-capo, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i capelli sottili davanti agli occhi.
“Non è giusto, però. – dissi – questo mondo fa schifo, l’ho sempre pensato. Ma ora, di più.”
“La società ninja è un organismo che si basa sulla morte e la violenza, ma esiste sempre qualche speranza.” Con mio grande stupore, era stato Itachi a parlare.
“Che intendi dire?” gli chiesi, ma non ottenni risposta, se non un cenno enigmatico. Tra tutte le persone che ho conosciuto, mai mi sarei aspettata una frase del genere da uno come lui.
Poi non abbiamo più parlato, poiché, anche se Nagato sembrava pienamente d’accordo con l’ultima uscita di Itachi, si era rimesso a pregare e non mi sembrava avesse molta voglia di continuare la discussione.
È da quel momento che strane idee mi girano in testa, e sto cercando di ignorarle. Che genere di persona è, veramente, Itachi? Se persino Nagato si è rivelato una sorpresa, chissà cosa nasconde quell’Uchiha dallo sguardo misterioso. In ogni caso, non ha una grande importanza.
Noi che siamo morti dovremmo smettere di porci certe domande, no?
 
  
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