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Autore: Aries K    09/01/2015    1 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quindicesimo Capitolo








Da piccola avevo paura dei mostri. Già, come tutti i bambini d’altronde. Ed io, a cinque anni o poco più, ero convinta di averne uno nell’armadio di fronte al letto. Mi vergognavo di confessare quella mia paura a mamma e papà così, una sera, decisi che se mi fossi portata le coperte fino alle tempie, allora sarei stata salva da qualsiasi creatura delle tenebre. Illogico e buffo, non è così? Eppure la notte riuscivo a dormire e man mano che crescevo mi dimenticai del mostro, dei possibili pericoli che poteva celare la notte.
E’ in quella posizione –appallottolata e aggrovigliata nelle coperte- che Jennifer Delacour mi trovò.
Avevo percepito le lenzuola scivolarmi via dal corpo e quando riaprii gli occhi la vidi; il mostro mi aveva trovata. Nell’ultima ora del giorno del mio sedicesimo compleanno.
“Collins”, aveva detto senza troppi complimenti, con il suo solito tono sprezzante. Lasciai vagare lo sguardo sul suo braccio destro ma indossava una maglietta diversa. E questo mi diede conferma del fatto che avevo davvero visto del sangue scorrerle lungo l’avambraccio. Deglutii.
“Miss Delacour.”
“Sarai lieta di sentirti dire che questa notte potrai tornare nella tua camerata. Il tuo isolamento è terminato. E’ stato…”, distolse l’attenzione vagando con gli occhi azzurri nella stanza, cercando le giuste parole, -“come dire, questo lungo periodo di solitudine ti ha dato modo di pensare ai tuoi errori, al tuo comportamento indisciplinato?”
Stavo giusto per tirarmi su a sedere e parlare; dirle che sì avevo imparato la lezione, avevo capito tutto, i misteri dell’universo mi erano stati svelati, quando riprese a parlare:
La solitudine è per lo spirito, ciò che il cibo è per il corpo. Diceva un filosofo. Hai tratto nutrimento per la tua anima, lungo queste notte solitarie?”
Annuii.
Jennifer Delacour strinse le labbra, senza sorridere, inclinando leggermente il capo.
“Voglio sentirlo dalla tua bocca. Le cose dette ad alta voce hanno tutto un altro significato di quelle sussurrate nella propria mente. Sono più convincenti. E convincimi, Collins.”
Scombussolata, terrorizzata, con la gola secca mi ritrovai ad affrontare uno dei discorsi più lunghi mai avuti con lei.
“Sì. Sì, ho riflettuto e mi dispiace aver agito così impulsivamente alle…”, m’ingarbugliai e in quel momento non riusciva a venirmi in mente nemmeno il motivo per cui ero stata esiliata, -“sì. Io ho davvero imparato molto da questa esperienza. La notte porta consiglio, no? E’ così che dicono e penso che a me la solitudine e la notte abbiano agevolato le mie riflessioni. Davvero”, conclusi, sperando bastasse per convincerla. Il vento, nel frattempo, ululava contro il vetro della finestra. Questo dettaglio rendeva tutto ancora più solenne e terrificante.
“Lo spero per te”, disse e immaginai fosse soprappensiero.
“La solitudine è un’arma a doppio taglio: abbastanza ti giova, troppa sembra morte”, mormorai, rievocando le parole che mia nonna era solita dirmi da bambina. La Delacour trasalì, però non rispose. Mi fece scendere dal letto e mi condusse di fronte alla mia camerata, in perfetto silenzio.
"La verità”, mormorò prima che potessi congedarmi, -“è che quella stanza mi serve per ospitare mio figlio. Hai avuto delle belle parole che, ahimè, mancavano di verve e fermezza e questo non può che farmi pensare a quanto tu non sia pentita; ma forse la vera lezione la imparerai quando meno te lo aspetti.”
Come sempre, ogni volta che mi parlava, avevo la sensazione che nelle sue parole ci fosse un messaggio da decifrare, da cogliere, eppure non lo trovavo mai e quasi sempre mi costringevo ad annuire, celando preoccupazione e repulsione. La preside fece nascere un fugace sorriso sul volto, mi diede le spalle ed io mi chiusi nella mia ritrovata stanza ancor prima di sentire il suo ultimo passo dissolversi nel silenzio.
Le luci erano spente ma quella al neon del bagno era accesa, alcuni strascichi di luce illuminavano il pavimento oltre la porta chiusa. Erano quattro i letti vuoti: il mio, quello di Jamie, quello di una ma compagna che era a trascorrere le vacanze dai suoi ed, infine, quello di Nicole. Decisi di attenderla nel letto di Jamie, che si trovava accanto al suo, accendendo la fioca luce dell’abat-jour. Quando la porta del bagno si aprì Nicole teneva gli occhi abbassati, ingobbita nella sua copertina blu. Si accorse della mia presenza solo quando oltrepassò il letto di Jamie per stendersi sul suo.
“Mi ha mandato qui”, fu tutto ciò che dissi.
Lei sbatté le palpebre – non seppi se per un reale fastidio o per assicurarsi che ci fossi davvero, in quel letto- e si stese nel suo, appoggiando la testa sul braccio piegato. Sembrava si fosse calmata o, almeno, stava nascondendo bene il panico.
Poco dopo – quando tutte le luci si spensero, quando il silenzio e la luna alta divennero le vere ed uniche compagnie- mi domandai come mai fossi così… anestetizzata. Forse era quello, il segreto:
accumulare dolore, ansie, paure equivaleva dare origine al niente. Perché, nonostante tutto, avevo addosso un’inquietante forma di tranquillità, estraniata da qualsiasi emozione.
Eppure quella calma sarebbe comunque durata troppo poco perché, quello che ancora non sapevo era che, alla resa dei conti, mancava davvero poco.



La mattina successiva, a svegliarmi, fu il bussare del ricordo degli occhi vitrei di William. Balzai subito a sedere trovando gran parte delle mie compagne sveglie, attive. Nicole mi aveva depositato sul mobiletto un foglio in cui c’era scritto che potevo trovarla (come avevamo deciso) in biblioteca. Mi tolsi dalle coperte con un gesto brusco e mi vestii ad una velocità tale da esser sicura di aver battuto tutti i miei precedenti record.
Prima di uscire dalla stanza mi abbassai per controllare se il pacco fosse ancora nel punto in cui l’avevo lasciato; accertato questo, un attimo dopo avevo fatto il mio ingresso in biblioteca da Nicole.
Ci eravamo appartate in un angolino piuttosto solitario in cui un’enorme e lunga vetrata lasciava filtrare quella poca luce del giorno, illuminando la pila di libri che aveva trovato.
“Questi libri non parlano solo di vampiri, nello specifico, ma di un sacco di altre creature leggendarie”, brontolò Nicole chiudendo con impazienza un tomo polveroso.
“Forse sono stati banditi…”, mugugnai in risposta, mentre leggevo cose che già sapevo sui vampiri, cose che William mi aveva già raccontato o contradetto. Chiusi anche il mio libro.
“Tu ci scherzi.”, fece lei un po’ sconsolata, poggiando la fronte sul palmo delle mani.
“Dimmi tutto quello che sai sui vampiri”, sbottò dopo un breve silenzio, -“tutto ciò che William ti ha raccontato.”
“Nic, ti ho già detto che lui in parte è umano. Io di quelli della sua specie non so molto altro.”
Proprio allora Nicole s’illuminò tirandosi su di slancio, una rivelazione che si affacciava nei suoi occhi scuri.
-“William può resistere alla luce del sole perché è per metà umano. Quei vampiri che ti hanno aggredito… sì, insomma, ti hanno aggredita di giorno! Che siano anche loro per metà umani?”
Spalancai la bocca e credo che mai, prima di allora, mi fossi sentita tanto stupida: come avevo potuto non averci mai pensato?
E allora…
“Anche la Delacour”, sussurrai, una scarica di adrenalina mi fece tremare la voce.
“Anche lei si aggira di giorno, col sole. Eppure ha subìto la trasformazione, no?”
“Sì”, ero di nuovo sovrappensiero, -“non può essere un caso, questo.”
Nicole sbatté una mano sul tavolo, il volto di chi aveva appena ricevuto tutte le risposte sull’origine del mondo.
“Non ti sembra una terribile coincidenza?”
“E’ da ieri che stai seminando questi dubbi, Nic. Ad ogni modo, non mi è stato detto che uno dei suoi genitori fosse un vampiro. E non abbiamo ancora capito cosa ha fatto ieri sera a suo figlio”, farfugliai, tamburellando le dita sul tavolo di mogano.
“Dev’essere qualcosa che va oltre la sua essenza. Voglio dire, hai sentito che parole strane uscivano dalla sua bocca? E’ stata una sorta di…”
“Magia”, dicemmo ad unisono, guardandoci negli occhi. Sembravamo folli, disperate – e forse lo eravamo davvero- ma la sensazione era quella di essere al termine di un puzzle e accorgersi, proprio all’ultimo, della mancanza dei tasselli fondamentali.
“Dev’essere stregoneria”, s’atteggiò, sapiente, alzandosi per riporre i libri. Mi voltai col busto sulla sedia, accigliata.
“Non siamo arrivate ad una conclusione, dove stai andando?”
Lei arrestò i suoi passi e mi lanciò una specie di occhiata di rimprovero facendomi pensare che forse mi stava sfuggendo un passaggio fondamentale.
“La chiave per tutto questo è William, tesoro. Dobbiamo… ergo, dovrai trovarlo e parlargli di tutto quello che abbiamo scoperto. In questo momento solo lui può darti delle risposte.”
La raggiunsi, mostrandole la mia perplessità.
“E’ una buona idea?” La mia domanda era rivolta tanto a lei quanto a me stessa, eppure Nicole mi rispose:
“Non lo so. Ma è l’unica che abbiamo.”
Dopo aver ordinato tutti quei libri inutili giunse la prima campanella della giornata che ci annunciava la colazione. Io avevo il presentimento che mi stesse per arrivare uno di quei mal di testa martellanti, la ciliegina sulla torta, ma sapevo che non mi sarei dovuta permettere nemmeno una pausa. Non prima di aver incontrato William.
“Aspetta!”
Nell’istante in cui stavo varcando la soglia della porta della biblioteca la voce di Nicole mi giunse alle orecchie, inchiodandomi per quanto il suo tono era divenuto urgente. Mi voltai ed era con le mani poggiate su un tavolo, leggeva qualcosa ma non capii cosa fin quando non prese un giornale tra le mani. Mi fece cenno di avvicinarmi e mi parò di fronte agli occhi la prima pagina.
In un primo momento non la riconobbi. Nella foto che avevano utilizzato i suoi capelli erano raccolti in una coda ordinata, perfetta e, particolare non da poco conto, erano neri come la pece. Gli occhi… persino gli occhi erano diversi, non sapevo se quell’effetto era dipeso dalla stampa ma di sicuro non erano azzurri come il cielo. Eppure il taglio allungato e particolare non mi fece titubare nemmeno per un istante: era lei.
Solo in un secondo momento, però, i miei occhi s’indirizzarono sul titolo dell’articolo, facendomi volteggiare la testa in una maniera tanto repentina quanto violenta.

RITROVATA MICHELLE MORGAN L’ASSISTENTE SOCIALE SCOMPARSA

-“No…”, dissi col fiato corto, potevano dire che avessi corso per chilometri senza sosta , -“il nome è sbagliato. Lei è la signorina Willams.”
Nicole ripiegò il giornale e lo depositò sul tavolo.
-“No”, disse, -“lei è la ragazza che ho visto, quella che la Delacour ha aggredito.”



***



“Aveva dei segni sulle braccia che lasciano presagire sia stata vittima di una setta”, recitò, ancora, Nicole. Eravamo sedute sulle scale del dormitorio ed avevamo appena fatto colazione. Di William e sua madre nemmeno l’ombra.
“Segni fatti col sangue”, rabbrividì.
Io ero rimasta sulle scalinate del nostro piano rannicchiata contro le sbarre, a ripetermi le parole di Nicole -che aveva letto tutto l’articolo- come se stessi fomentando un’ossessione. Fuori era apparso il sole ma ero sicura che nemmeno tutto il calore del mondo sarebbe riuscito a scaldarmi. Ora iniziavo davvero a spaventarmi, iniziavo ad abbracciare l’idea che alle mie spalle c’era qualcosa che si muoveva, che mi riguardava più di quanto potessi mai immaginare.
Oh, se avevo ragione. Se solo l’avessi saputo… se fossi stata più sveglia, se avessi indovinato il mondo in cui ero capitata.
Ma io ero lì con Nicole, e non potevo sospettare minimamente cosa da lì a poco sarebbe accaduto a cambiar in tavola tutte le carte.
“Io me la ricordo, ne sono sicura. Anche se era di spalle. Quando la Delacour l’agguantò per morderla io vidi il suo profilo. Rebecca o Michelle o come si chiama… era in quello studio. Mi stai ascoltando?”
Feci sfarfallare le palpebre, voltandomi verso la mia amica che era a gambe incrociate sullo scalino più basso.
“Scusami ero soprappensiero”, mugugnai sfregandomi la fronte, -“perché c’era scritto che era scomparsa?”
“Da quel giorno di Settembre. Emily, pensi ancora che sia una coincidenza?”, mi suggerì, facendosi scura in volto. Nei suoi occhi mi sembrava di leggere anche della pietà; pietà per la propria amica che non voleva arrendersi di fronte all’evidenza.
“E va bene hai ragione”, mi arresi, -“è tutto collegato. In qualche strano modo, è tutto collegato.”
Lei annuii e poi reclinò indietro la testa, stirandosi, come se fosse esausta. D’altra parte si era ritrovata in questa storia insieme a me e tanto valeva affrontare insieme gli ultimi inquietanti sviluppi.
“Devi aprire il pacco e trovare William. O trovare prima William e in un secondo tempo aprire il pacco. Fai tu ma fallo. Adesso.”
Mi ero appena alzata in piedi di slancio, oramai più che convinta riguardo le mie prossime mosse, quando davanti a noi apparve William, proveniente dal piano di sotto, intento a correre verso la porta del nostro dormitorio. Nicole squittì per la sorpresa e s’issò in piedi accanto a me, io scesi tutti i gradini e lo chiamai, sentendomi attraversare da un lungo brivido.
Lui si voltò di scatto, vestito come il giorno precedente ed il volto di chi si è appena svegliato. Anche se, quando mi si avvicinò sembrava più il viso di uno sopravvissuto a qualcosa di terribile. Mi si strinse la gola e il cuore.
“Questa mattina mi sono svegliato nella tua stanza. Tu non c’eri. Come è possibile?”, m’interrogò con gli occhi sbarrati, smaniosi di risposte che non potevo conoscere. Almeno, non del tutto.
“La Delacour mi ha concesso di rientrare nella mia camerata, non perché la mia pena per essere la studentessa peggiore dell’istituto sia scontata ma perché, più che altro, serviva a te.”, mormorai cercando di individuare il marchio di sangue oltre la sua frangetta. Dunque allungai una mano verso la sua fronte – mentre lui sembrava riflettere sulla mia risposta- quando mi prese la mano, scacciandola bonariamente.
“E’ stata mia madre a portarmi lì? Non… io non ricordo cosa è successo ieri sera. So di aver parlato con lei, le stavo confidando qualcosa, credo”, parlò guardando con aria contrita il pavimento, come se lì potesse trovare i ricordi, -“ma poi ho un vuoto. E questa mattina mi sono svegliato dove dovevi esserci tu.” Tornò a fissarmi, spaesato. A questo punto toccai il ciuffo biondo e riccio di capelli che gli copriva la fronte e glielo sollevai; gesto che mi fece trasalire mozzandomi il respiro perché il marchio era scomparso. Istintivamente mi voltai verso Nicole, che era rimasta incollata al corrimano. Lei ricambiò l’occhiata sollevando le sopracciglia.
Fu in quell’istante che Will si accorse della presenza della mia amica, tanto scombussolato era.
“Buongiorno, Nicole.”
“C-ciao”, rispose lei, avanzando verso di noi.
“Che fate in mezzo al corridoio?” Non sembrava particolarmente interessato alla risposta, le sue dita affusolate e pallide andarono a massaggiare le tempie. Ero così preoccupata che, se Nicole non avesse risposto con prontezza alla sua domanda, l’avrei, probabilmente, afferrato per le spalle e vomitato tutto quello che sapevo. Anche se una parte di me sapeva di doverci andare con cautela, nonostante il tempo sembrava stringerci in una morsa fatale.
“Stiamo andando a trovare Jamie, volevamo portarle una cosa per farla riprendere.”
“Anche io vorrei andare su, magari mia madre è nel suo ufficio, adesso. Voi non l’avete incontrata a colazione?”
“No”, rispondemmo ad unisono. Will sussultò appena, poi sospirò.
“Andate a prendere quello che dovete portare a Jamie e andiamo insieme.”
“D’accordo”, farfugliai afferrando Nicole per un braccio, -“torniamo subito.”
Quando richiusi la porta del dormitorio m’avventai sulla mia amica.
“Non potevi inventarti una scusa migliore? Che cosa potremmo mai portare a Jamie?”
Lei sbuffò incrociando le braccia al petto.
“Prova ad inventarti una balla tu, con un vampiro davanti, così, su due piedi.”
“Dai, troviamo qualche stupidaggine o William capirà che c’è qualcosa sotto”, suggerii andando a rovistare nel mio baule. Nic s’inginocchiò accanto a me; quando sfiorò le mie mani con le sue, percepii il freddo del suo corpo.
“Non ricorda niente. Nemmeno il motivo per cui si trovava con sua madre. Gli ha cancellato la memoria.”
Sentii un lento e lungo brivido percorrermi la schiena, come se qualcuno mi avesse fatto scivolare un cubetto di ghiaccio sulla colonna vertebrale.
“E il segno sulla sua fronte è scomparso”, rimuginai afferrando il fazzolettino di cibo che mi aveva lasciato Daisy, -“ecco cosa porteremo a Jamie.”
Sciolsi il nodo e poggiai sul letto il piccolo bottino: pane, vari pezzettini di formaggio, due fettine di salame e tre spicchi di mela. Nicole strozzò un grido di sorpresa; quelle poche ragazze presenti nella stanza parvero non averci fatto caso.
“Tu sei chiaramente impazzita!”, decretò a bassa voce. Mi guardava con gli occhi sgranati.
“Me l’ha dato Daisy, ieri. L’ho sorpresa mentre rubava nella cucina.”
“Ah!”, grugnì, -“non importa se è stata lei –quella piccoletta ha del fegato, bisogna ammetterlo-ma se qualcuno dovesse scoprirti con tutte queste cose sarai tu quella nei guai.”
Lasciai la mia mano sventolare davanti al naso di Nic, giusto per farle intendere di lasciar perdere. Infondo avevamo altro a cui pensare, ma, a complicarci le cose, venne una voce alle nostre spalle.
“Cos’è quella roba?”
Nicole balzò istintivamente in piedi ed io, nella medesima velocità e momento, scattai in avanti per riavvolgere il fazzoletto.
“Camille, lo sai che non si arriva alle spalle della gente?”, improvvisò Nicole, poco convinta delle sue stesse parole.
La serpe le diede una spallata e, senza preavviso, vidi le sue mani sfrecciare sulle mie, afferrandomi il sacchetto che avevo appena annodato.
“Che diamine è?”
Lo ripresi prima che potesse rispondersi da sola.
“Fatti gli affari tuoi, per una buona volta.”
Nicole assunse un’aria altezzosa, allacciò il braccio intorno al mio e spostammo Camille per passare.
“Credo che tu mi abbia appena aiutato nella mia vendetta, cara Collins.”
Mi voltai a guardarla, mentre Nicole apriva la porta.
Quando essa si richiuse percepii una risata gioviale, una risata che non dimenticherò mai.
   
 
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