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Autore: elyxyz    10/01/2015    15 recensioni
Questa storia contiene un po’ di comicità, ironia ed esperienze metà vere e metà romanzate, quindi NON è assolutamente un manuale di puericoltura.
Mescolate un babysitting coatto, uno zio imbranato, un nipote diabolico, un pianista (dalle mani porno) eletto ad angelo custode, segreti e bugie. E forse vi ritroverete con una storia d’amore.
“Guarda che io non abbocco!” sibilò Arthur, puntandogli un dito contro. “La tua faccia d’angelo non mi frega, piccolo demonietto!” rincarò con un ghigno. “Deve ancora nascere qualcuno che pensa di mettere nel sacco Arthur Pendragon!” completò spavaldo. “Quindi… a noi due!”
Mordred raccolse il guanto di sfida sputandogli il ciuccio contro.
“Ehi! Non vale usare armi!” s’indignò l’uomo, raccattando il succhiotto da terra. “Questo era un colpo basso!”
Per un istante, fu certo che il poppante avesse ghignato. E non gliene fregava un accidente se le guide pediatriche di mezzo mondo dicevano che nessun neonato poteva ghignare.
Mordred poteva, eccome.
(...) Alla seconda canzone, che il suo personale angelo custode stava suonando, il diavoletto era certamente caduto nel girone dei sogni infantili infernali.
[Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin - 5 capitoli in totale, storia conclusa.]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Mordred, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Modern

Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.

 

 

D’istinto, vorrei dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia un filino migliore di Arthur con Mordred.

E poi è dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.

Voi rallegrate le mie giornate!

Grazie.

 

 

 

 

Magic Melody (Mordred’s Lullaby)

 

 

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Capitolo III

 

 

Appena oltrepassata la soglia, il pianista lanciò ad Arthur uno sguardo di sbieco da sopra la spalla, prima di esordire con una punta di ironia: “Spero che tu non sia uno stalker. Perché, onestamente… saresti il peggior stalker del mondo, lo sai? Cioè, intendo dire… se usi tuo figlio come palo…

 

“Non è mio figlio!” si discolpò subito, ricevendo un’occhiata a metà tra il sorpreso e il preoccupato.

Vo-voglio dire… è mio nipote”, si giustificò.

 

“Un nipotino?”

 

“Nipotino, sì”, corroborò Arthur, con ansia. “Non desidero condividere più geni del necessario con questa cosa qua”, e indicò il bimbo sbavante nel marsupio e nel farlo si perse il grande sorriso del suo ospite.

 

“Beh, meglio così… Perché non è mia consuetudine introdurre in casa degli sconosciuti ogni giorno”, riprese l’altro, soddisfatto, prima di accorgersi di una cosa. “Potresti, ehm… darmi il soprabito?”

 

Arthur vide la pozza che stava creando sotto ai piedi e arrossì ancor di più, vergognandosi come un ladro.

Non solo era vestito peggio di un senzatetto, ma stava facendo la figura integrale dell’idiota!

 

Con un certo impaccio, si sfilò l’impermeabile e glielo consegnò.

 

“Mettiti comodo, mentre lo porto via…” gli fu offerto.

 

Oh, comodo un cazzo!

 

Arthur si guardò rapidamente intorno in cerca di qualsivoglia indizio. Perlustrò avidamente l’ampio salottino… tuttavia, c’erano solo un bel divano e una poltrona in un angolo, poi numerosi scaffali traboccanti libri; ma il protagonista indiscusso era un enorme, maestoso pianoforte a coda al centro della stanza.

 

Senza dare nell’occhio, si avvicinò alla porta che dava sul corridoio dove era sparito l’altro uomo.

Nella penombra, poteva vedere un sacco di targhette di riconoscimenti e premi vari. Vi era persino una teca con delle coppe e statuette esposte, ma da lì non riusciva a leggere il nome inciso.

 

Rapidamente, si sfilò il cellulare per fare un rapido controllo su quale artista abitasse in questa zona, ma l’oggetto della sua ricerca tornò troppo presto ed egli fu costretto a nascondere il telefonino prima di scatenare qualche malinteso. Ci mancava solo che l’altro pensasse ad uno spionaggio a suo danno!

 

“Allora… uhm… tu…”

 

“Arthur”, gli venne incontro lui, dondolando un Mordred stranamente silenzioso, forse incuriosito dal nuovo scenario.

 

Arthur”, ripeté il pianista, con un sorriso. “Dai tuoi appostamenti, deduco che sei un mio fan”.

 

Ehmmm. No”, lo smentì, iniziando a sudare freddo. “Veramente no”.

Come poteva dirgli che non sapeva neppure chi fosse?

 

“Ah, no?” gli fece eco l’altro, stupito.

 

“In realtà… Il fan è lui”, dichiarò, indicando il nipote.

 

Il tizio dalle mani porno alzò un sopracciglio scetticamente.

“Un neonato?”

 

“Sì, lui!” insistette con enfasi.

 

“E tu ti apposti, da giorni, davanti a casa mia perché…?”

 

“Perché sei soporifero!”

 

Oh, cazzo. Oh, cazzo.

Troppo tardi, Arthur s’era accorto d’aver detto la cosa sbagliata.

Bene. S’era bruciato ogni possibilità.

 

Già il primo impatto non era stato dei migliori. A colpo d’occhio, doveva sembrare un poveraccio.

(Era stato visto abbigliato peggio di un clochard. Col più infimo abbinamento al mondo! Probabilità di cuccare? Meno all’infinito.

Certo. C’entrava di mezzo la sua sfiga leggendaria! Proprio oggi, che era vestito male, l’altro si faceva vivo?!)

E adesso… quest’uscita infelice avrebbe polverizzato ogni infinitesimale chance di rimonta.

 

Vedeva già il titolo a caratteri cubitali del suo prossimo libro: “Come fottersi ogni possibilità con l’uomo che ti piace (10 figure di merda in 10 minuti)” a cura di Arthur Pendragon.

 

“Ehi, asino pomposo!” s’indignò infatti il suo interlocutore, strappandolo alla sua autocommiserazione. “Come ti permet-

 

“No, no!” s’agitò Pendragon, interrompendolo. “Hai frainteso! Guarda…” incespicò, alzando le mani a mezz’aria, come a frenarlo. “Intendevo dire che solo la tua musica lo calma e riesce a farlo addormentare. È magica!” considerò, meravigliato. “Ho provato di tutto, ti giuro! Stavo impazzendo l’altro giorno, e per caso sono capitato qui davanti, mentre ti esercitavi, e di botto si è assopito e-

 

E allora l’altro sorrise.

“Ho ricevuto tanti pareri nella mia carriera, ma nessuno mi aveva mai definito ‘soporifero’”, considerò, come se fosse stato il più bel complimento. “E sicché… quest’adorabile angioletto ha la passione per la musica classica, eh?” domandò retorico, accarezzando una delle sue manine paffute.

 

Arthur era sul punto correggerlo sull’appellativo incredibilmente sbagliato. In nessun universo le parole ‘Mordred’ e ‘angioletto’ potevano essere accostate nella stessa frase.

Ma quando aprì la bocca per smentirlo, e chiarire quanto fosse in realtà terribile suo nipote, quanto incarnasse il Male Assoluto, il neonato si mise a gorgheggiare sorridendo al pianista, in un evidente – perverso – tentativo di conquistarselo.

Purtroppo per Arthur, l’ignaro salvatore cadde nelle sue trame maligne senza via di scampo. E fu perduto.

 

Cosa gradiresti sentire adesso, cucciolino?” domandò infatti, pendendo dalle labbra bavose di Mordred.

 

“Un pezzo vale l’altro”, intervenne Arthur, sentendosi in dovere di dare una qualche risposta, ma rendendosi conto – ancora una volta – che probabilmente aveva toppato la scelta. “Ma la ninnananna di ieri era sublime!” precisò allora, cercando di raddrizzare il tiro (o di salvare il salvabile).

 

“Oh, sì. È decisamente adatta allo scopo…” ne convenne l’uomo, andando verso il pianoforte. “Anche se l’ho composta solo due giorni fa e non è ancora la versione definitiva. Devo confessare che mi ha colpito il modo in cui cullavi tuo nipote, passeggiando qua davanti mentre piangeva”, ammise sincero, preferendo ignorare il rossore alle guance che sentiva fiorire.  

 

Arthur non nascose la sorpresa. E pensare che credeva di averla fatta franca!

 

“Mi dispiace, non volevo disturbare le tue prove”, si rammaricò.

 

“Non ti scusare, anzi! Dovrei essere io a ringraziarti, perché è la prima volta, da molto tempo, che l’ispirazione è tornata così in fretta e così prepotente!” s’accalorò entusiasta. “Ora ho qualcosa su cui lavorare, e forse riuscirò anche a comporre un brano inedito per il Giubileo di Diamante!”

 

Arthur sbatté le palpebre come un gufo.

 

“L’anniversario dell’incoronazione della nostra Regina, il 2 giugno… ti dice niente?”

 

“Oh! Oh, sì. Certo!” rispose allora, facendo mente locale. “Ma…”

 

“Mi è stato chiesto di suonare ad una cena informale della famiglia Windsor”, spiegò in un misto di orgoglio e apprensione.

 

“Oh, mio Dio! Ma allora sei uno famoso!” esclamò Arthur, facendo sobbalzare Mordred per lo spavento.

 

“Tu… davvero non sai chi sono?” domandò allora il pianista, francamente scettico.

 

“Senti…” Pendragon si passò una mano fra i capelli in un gesto nervoso. “Non voglio offendere il tuo ego o il tuo talento…” premise, decidendo per la cruda verità. “Ma davvero, davvero, non me ne intendo di musica classica. E poi il tuo accento mi dice che non sei di Londra, il che non mi aiuta ad identificarti; quindi… sì, onestamente, ignoro chi ho davanti!”

 

“Sono Merlin, Merlin Emrys”, si svelò l’uomo, allungando amichevolmente una mano che Arthur strinse d’istinto e che poi dovette lasciare contro la propria volontà (dannate mani porno!).

 

Merlin Emrys!

Il prodigio! Il Mago del pianoforte!

Per forza quella vecchia mummia della Regina lo voleva al suo ricevimento!

Persino Arthur, nella sua ignoranza in materia, sapeva che quel concertista si era esibito in tutti i continenti. Il suo tour mondiale durava da anni! E, dannazione, ecco il perché di tutti quei riconoscimenti nel corridoio!

 

E lui adesso era lì, davanti ad una star, vestito come un allocco, senza sapere cosa dire.

Era ovvio che lui non potesse prendere una sbandata per l’ultimo strimpellatore al mondo, uno qualunque, uno anonimo che, magari, avrebbe potuto anche ricambiarlo...

No, ovvio che no. La Signora Sfiga concorreva in perfidia solo con la sua editor, Morgause, ed entrambe godevano un mondo nel farlo soffrire.

 

Ma Merlin non sembrava del tutto indifferente, stando a quando diceva il suo vecchio gaydar, sempre se non si fosse arrugginito… o era solo una falsa speranza, la sua?

 

Fu a quel punto che Mordred, per rompere le uova nel paniere (o il momento catartico allo zio), decise di ricordare ai due adulti la sua presenza e il motivo per cui erano lì.

 

Merlin fu lesto ad accomodarsi sullo sgabello davanti al piano e, dopo un istante di raccoglimento, la sua melodia prese vita conducendo il neonato al suo riposino.

 

 

***

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Il giorno successivo, il sole splendeva alto in cielo, ma avrebbe potuto anche piovere a dirotto e l’umore di Arthur non sarebbe cambiato di una virgola.

 

Fischiettando allegramente, raccolse tutto il necessario dalla casa di Morgana e guidò senza essere infastidito (come accadeva sempre) dal traffico e dalle deviazioni obbligatorie. Arrivato al solito parcheggio, estrasse il nipote dall’auto e si affrettò a raggiungere l’abitazione del suo pianista.

 

Una volta arrivati, come concordato, egli suonò il campanello e furono introdotti nel medesimo salotto del dì addietro, perché Merlin lo aveva invitato a tornare, giurando all’infinito che la presenza di zio e nipote non avrebbe turbato i suoi esercizi al piano.

 

Arthur accolse quest’offerta come un segno positivo da parte dell’altro uomo e non s’era fatto pregare, anzi. Aveva monitorato il passare del tempo mattutino in sofferente attesa, finché non era venuto il momento dell’incontro, anche se – a tutti gli effetti – non si erano detti poi molto benché fossero stati nella stessa stanza.

Dopo essersi scambiati i convenevoli, Merlin gli aveva voltato le spalle e si era immerso nella sua esecuzione e Mordred si era presto assopito.

Questo non aveva affatto scoraggiato Arthur che, da bravo scrittore, aveva occupato il tempo lasciando galoppare la fantasia nei prati della sua mente, scrutando di tanto in tanto il profilo assorto del suo pianista dalle mani porno.

 

 

***

 

 

Arthur, il dì seguente, si presentò con due pacchi appresso: il nipote e un generoso vassoio della migliore pasticceria di Londra che, d’accordo, gli era costato un occhio della testa, ma lui era certo che ne valesse la pena.

 

In fondo, chi poteva resistere a tanto bendidio?, s’era detto con un ghigno speranzoso.

In realtà, se – anziché passare buona parte della notte a scrivere un nuovo capitolo (perché Morgause stava diventando impaziente e quella strega non andava mai irritata) e cercare foto di Merlin su tutto il web, per poi sbavarci sopra – egli fosse effettivamente andato a leggere una biografia completa dell’artista, si sarebbe reso conto che aveva fatto un madornale errore.

 

Merlin, anima bella, gli sorrise raccogliendo fra le mani il dono, suggerendo che avrebbero potuto mangiare in una pausa, più tardi, facendo magari due chiacchiere davanti ad un buon tè, mentre Mordred avrebbe schiacciato il suo pisolino.

 

Quando però effettivamente il momento arrivò, Arthur rimase abbastanza deluso dal fatto che il padrone di casa avesse guardato il vassoio scartato senza particolare entusiasmo, mangiucchiando a malapena mezzo dolcetto fra tutti quelli che lui aveva portato (e non erano pochi).

 

Ovviamente, il giovane Pendragon cercò di non far trasparire il fallimento che sentiva, ma probabilmente non doveva essere stato così bravo ad ingannare l’altro, perché alla fine – e a malincuore – Merlin posò la tazza di tè che stava centellinando da mezz’ora e ammise, in breve, che non avrebbe assaggiato altri pasticcini.

 

“Senti, mi dispiace, davvero. Ma sono intollerante ad un sacco di alimenti, che sono contenuti in ogni dolcetto. Praticamente, mi uccideresti, se rendessi onore al tuo regalo”, spiegò e cercò di sdrammatizzare con un bellissimo sorriso, ma ottenne l’effetto opposto e Arthur, sentendosi colpevole, iniziò a balbettare una caterva di rammarico.

 

“Io… io… Scusami, non lo sapevo! Davvero, cioè… Magari ti fa schifo anche solo vederli! Nascondili! O buttali via, se vuoi!” propose, arraffando l’elegante incarto per affrettare i tempi. “Ti giuro che- Oh, Dio! E pensare che questo voleva essere un gesto gentile per ripagarti della tua ospitalità!”

 

“Arthur…”

 

“E per poco non ti mandavo all’ospedale!” continuò l’altro, in una mezza crisi isterica.

 

La sua voce fece mugolare Mordred che dormiva nel passeggino lì accanto e Merlin fu lesto a dondolarlo, affinché non si destasse, mentre con l’altra mano chiuse la bocca del suo ospite.

 

“Arthur, smettila!” sussurrò poi, con inflessione perentoria, ma l’uomo davanti a lui era andato in blackout, quando le sue labbra erano finite contro le dita pornografiche del suo pianista.

 

“Arthur?” fu richiamato.

 

“Oh, sì…” ansò, apparendo stordito. “Co-cosa stavo dicendo?”

 

“Che ti dispiaceva…”

 

“Oh, sì, mi disp-

 

“Abbiamo già superato quella fase, ok?” l’interruppe Merlin, puntandogli un indice contro. “Tu non lo sapevi, ed effettivamente io ho apprezzato il gesto. D’accordo?”

 

“Se lo dici tu…” borbottò scettico.

 

“Certo che lo dico io, asino testardo!” ridacchiò l’altro, facendosi perdonare l’insulto con uno dei suoi sorrisi da infarto.

 

Per questo, effettivamente, Arthur ci mise un po’ a cogliere l’insolenza.

“Oh, sì, hai ragio- Ehi!” s’indignò. “Asino a chi? Strimpellatore dei miei stivali!”

 

“Vostra Maestà vuol sempre averla vinta, mh?” considerò, allungando però la teiera per offrirgli un’altra tazza di tè, come proposta di pace.

 

“Qualcosa mi dice che avrò pane per i miei denti…” valutò Arthur, accettando l’armistizio e una generosa dose di Earl Grey. E un’altra. E un’altra ancora.

 

Fu così che venne a sapere alcune interessanti aspetti della vita del suo interlocutore. Per esempio, l’accento di Merlin aveva origini irlandesi, (ora mescolate alla parlata americana), perché l’uomo aveva passato gli ultimi anni all’estero e, anche se oramai viveva negli Stati Uniti in pianta stabile, talvolta fuggiva a Londra, nella vecchia casa che lo aveva ospitato, anni addietro, all’inizio della carriera. L’aveva scelta perché amava perdersi nella natura del parco di fronte. Era – a suo dire – una fonte inesauribile di energia e ispirazione.

 

“Tuttavia, nessuno sa che vivo qui”, precisò poi, lasciando sottintendere un ammonimento velato. “Altrimenti i giornalisti e i fans non mi darebbero più tregua!”

 

“Oh, sì, ti capisco! Non temere”, si affrettò a tranquillizzarlo Arthur. “Mi porterò il tuo segreto nella tomba!”

 

“Hai una strana propensione per il melodrammatico, eh?” tirò ad indovinare Emrys, sorridendo divertito.

 

Arthur, suo malgrado, arrossì.

Ma non poteva smentirlo, perché un po’ era vero.

Perciò infilò in bocca un dolcetto e si finse occupato a masticare, per salvare il salvabile.

 

Successivamente, fu il suo turno di parlare di sé ma, non potendo rivelare in cosa consistesse il suo lavoro, per una serie di ragioni che ovviamente erano altrettanto segrete, Arthur deviò la conversazione su Mordred e Morgana e sull’acquisizione dell’azienda Pendragon e inevitabilmente sul perché si fosse fatto incastrare in quest’assurdità di babysitting.

 

Quindi… tu sei Arthur Pendragon!” si lasciò sfuggire Merlin, mettendosi una mano dinanzi la bocca, perché era evidente che lo scandalo che lo aveva colpito era rimbalzato persino oltreoceano.

 

“Il figlio diseredato di Uther Pendragon, sì”, ammise l’altro, con un ghigno colpevole. “Ma, anche se sembrerebbe il contrario, posso giurarti che non vivo per strada!” scherzò, per sdrammatizzare. “Conduco un’esistenza più che decorosa e poi c’è sempre l’eredità che mi ha lasciato mia madre…

 

“Beh, io credo che ognuno dovrebbe vivere la vita a modo suo”, filosofò Merlin, guadagnandosi l’altrui gratitudine.

 

Il resto del pomeriggio volò fin troppo in fretta e, a malincuore, si separarono con la promessa di rivedersi l’indomani.

 

 

***

 

 

Arthur stava cadendo dal sonno.

Con uno sforzo sovrumano, spalancò le palpebre e represse l’ennesimo sbadiglio per non sembrare maleducato.

Merlin gli aveva anche offerto un caffè, quando lui aveva spiegato che no, l’effetto soporifero della sua melodia non era diventato contagioso e che, semplicemente, non aveva dormito la notte precedente e quindi era in carenza di riposo.

 

Merlin era stato gentile con lui, e gli aveva concesso la poltrona per rilassarsi mentre si esercitava.

E, anche se era stato un pensiero amabile, il suo… Quella dannata poltrona era troppo comoda e avvolgente! E lui non voleva addormentarsi! Che figura avrebbe fatto? Quella del poppante che imitava Mordred!

 

…Arthur aprì gli occhi di colpo.

S’era appena appisolato, giusto? Giusto?!

Quanto poteva aver dormito? Un secondo o due?

 

Ma un attimo prima c’era la musica e ora non più. Combattendo il desiderio di risprofondare nell’oblio, si risollevò, guardandosi attorno e vide Merlin di spalle, che stava cullando Mordred, chiacchierando con lui sottovoce e il neonato gorgogliava felice.

 

Ovvio. Quel leccapiedi se lo stava ingraziando!, doveva esser stato il suo primo pensiero, e invece rimase lì, stranamente affascinato dal momento, dall’intimità di quel quadro che non avrebbe dovuto essere così caldo e accogliente. Non doveva essere familiare, ma lo era.

 

Quando Emrys si accorse che era desto, lo salutò.

“Ehi, ben svegliato!” esordì, dondolando il neonato che sembrava gradire un mondo quelle attenzioni.

 

Arthur vide distintamente il ghigno di Mordred (anche se, ancora una volta, gli specialisti di mezzo mondo giuravano e spergiuravano che era troppo presto per un’espressione intenzionale di tale tipo… lui era certo del contrario. Il mostriciattolo poteva, poteva eccome!) ed era un peccato che, rivolto verso la poltrona com’era, si sottraesse alla vista del loro ospitante, altrimenti lo avrebbe assoldato come testimone. Ma il piccolo demone era troppo furbo per lasciarsi scoprire!

 

Merlin, ignaro dello scambio occorso fra i Pendragon, gli si avvicinò, protendendo il bimbo affinché lo prendesse in braccio (quell’anima ingenua di Emrys non aveva ancora capito che, meno zio e nipote avevano contatti, più felici erano entrambi).

 

“Mi sono permesso di sostituirgli il pannolino, c’era un cambio nella sacca del passeggino…

 

Arthur lo guardò sconvolto. Quelle erotiche mani da pianista infangate con

 

Merlin fraintese la sua espressione di raccapriccio, perché fu lesto ad aggiungere: “Ma posso assicurarti che è andato tutto bene! So come si fa! Con tre nipoti, credimi, ci ho preso la mano!

 

“Oh, non è per questo… cioè, mi fido di te! Ma non eri obbligato”, ci tenne a ribadire l’altro, dominando i pensieri perversi. “Ad ogni modo, grazie. Sei stato gentile…” riconobbe, riconoscente, prima di rimbrottarlo. “Però dovevi svegliarmi!”

 

“Dormivi così bene…” gli sorrise, ammiccando, e gli zigomi spuntarono in rilievo un po’ di più.

 

Arthur deglutì a vuoto.

E per ricomporsi distolse lo sguardo, fingendo di riannodare il bavaglino del piccolo mostro.

“È che proprio non ho dormito…”

 

“Perché?” domandò l’uomo, incuriosito.

 

A malincuore, Arthur preparò la risposta preconfezionata che dava a tutti i nuovi conoscenti.

“Di solito, lavoro tutta la notte, e recupero il sonno al mattino. Ma oggi non ci sono riuscito, quindi sono un po’ assonnato, ecco tutto”, sdrammatizzò.

 

“Ah, capisco… Non dev’essere facile lavorare di notte…” rifletté il pianista, comprensivo.

 

Ad essere sinceri, l’ho scelto io. Potrei anche farlo di giorno, ma la notte mi è più congeniale”.

 

“Non ti credevo un’anima notturna!” ridacchiò Emrys. “Ma ammetto che ero curioso di chiederti qualcosa sulla tua occupazione…

 

Arthur non avrebbe voluto mentirgli, ma c’era un contratto firmato col suo sangue che lo obbligava al silenzio.

A volte si sentiva come il povero, sprovveduto Pinocchio, raggirato dal Gatto e la Volpe, ovvero da Cenred e Morgause, il suo agente e la sua editor, che un po’ furfanti lo erano per davvero.


Difatti, quando Arthur aveva pubblicato il primo libro, quei due lo avevano spinto a scegliere di usare uno pseudonimo che lo affrancasse dalla Famiglia e dall’Impero Pendragon – un nome famoso, quanto scomodo – ed era stata la decisione migliore.

Tuttavia, il fatto che mancasse la sua foto in terza copertina e che il suo fosse un nom de plume, aveva generato una curiosità considerevole tra i suoi lettori; curiosità che era stata una benedizione (o una condanna) che Cenred, Morgause e la casa editrice avevano in mente di sfruttare fino all’ultimo penny.

Arthur aveva giurato di non rivelare a nessuno – tranne pochi, selezionatissimi amici che avevano letto a priori il suo primo manoscritto – la propria identità.

E ora, forse per la prima volta, si era pentito di aver fatto quell’accordo.

Ma il massimo che poteva offrire era una mezza verità…

 

“Lavoro… nel campo dell’editoria. Diciamo che vendo parole per vivere… parole stampate su fogli puzzolenti…

 

“Ah, capisco!”, esclamò Emrys, fraintendendolo. “Dev’essere interessante contribuire a diffondere le informazioni in qualche modo… Certo, escono un sacco di quotidiani caldi di stampa, ogni mattina, perciò ci deve essere qualcuno che li produce di notte!”

 

Quindi… Merlin pensava che lui fosse un semplice operaio addetto alla riproduzione dei quotidiani?

Anche se sembrava meschino, decise di lasciarglielo credere, almeno per il momento. E, se le cose fossero avanzate fra di loro, avrebbe corretto il tiro.

 

 

***

 

 

Qualche altro giorno passò e Arthur cominciava a sentire che la fine della tortura stava arrivando, perché la conclusione delle pratiche di acquisizione era vicina e, conseguentemente, Morgana avrebbe ripreso il suo congedo di maternità.

Macosa inaudita! – non sapeva se esserne felice o meno (e non certo per un improvviso e malsano amore parentale verso il nipote). Era perché, molto più prosaicamente, non avrebbe più avuto il pretesto buono per andare da Merlin ogni giorno, se Mordred non era con lui.

 

Certo. Se il suo interesse per il genio del pianoforte fosse stato in qualche modo ricambiato, non gli sarebbero più serviti motivi pretestuosi per frequentarlo, ma Arthur non sapeva esattamente come e quanto spingere con lui.

Gli pareva di sentire in sottofondo qualcosa, ma non era sicuro se poteva rischiare già un approccio con Merlin, perché i messaggi che aveva ricevuto in cambio erano stati alquanto contradditori.

E se si fosse sbagliato del tutto?

 

Arthur preferì accantonare quel cruccio e godersi il pomeriggio. Mordred già sonnecchiava accoccolato sulla poltrona del salotto e Merlin era andato a procacciare loro una tazza di buon tè.

 

Per ingannare l’attesa, il giovane Pendragon si mise a sbirciare i libri sugli scaffali, cercando di indovinare, dai titoli, i gusti letterari del padrone di casa.

Fu a quel punto che, nascosto sotto ad un fascicolo di spartiti di Beethoven, egli riconobbe il proprio romanzo, l’ultimo che aveva scritto – il cui seguito stava attualmente rubando le sue notti.

 

Arthur accarezzò la copertina con devozione e affetto (aveva sputato sangue perché non fosse cambiata e Morgause l’aveva torturato per giorni e giorni, ma alla fine aveva vinto lui!).

Amava il suo lavoro, amava i suoi libri – li amava alla stregua di figli, perché li aveva generati con fatica e dolore, e immensa soddisfazione, una volta che avevano visto la luce… beh, la stampa.

 

Che Merlin possedesse una copia del suo libro lo aveva reso incredibilmente euforico.

Non avrebbe mai pensato che un tipo come lui leggesse quel tipo di romanzi!

Ed era meraviglioso che avessero questo punto di contatto! Magari… magari era anche un suo fan!

 

Quando Emrys tornò con il vassoio del tè, vide il suo ospite assorto con un grosso tomo che non faticò a riconoscere.

 

“Odio Arthur De Bois!” esordì allora, facendolo sussultare, impreparato, a tal punto che il volume cadde a terra, sul tappeto. Arthur sbiancò, e l’altro uomo ridacchiò, scusandosi. “Perdonami, non volevo spaventarti!”

 

N-no, è che…” farfugliò incoerente. “Forse non ho capito bene…”

 

Merlin si chinò a raccogliere il testo e ne spazzolò la copertina, poi lo ripose nello scaffale con tutti gli altri.

“Ho detto che odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri!”

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

Ugualmente, le immagini che ho scelto di inserire nei capitoli sono prese dal web e non mi appartengono.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono le mie paranoie. X°D

Note: Come ho anticipato, non imitate Arthur nelle sue scelte di babysitting: benché verosimili, non sono pedagogicamente corrette.

 

Il Giubileo di diamante della Regina è stato nel 2012. Ho deciso quindi di ambientare in quell’anno la storia, giusto per pignoleria, ma ai fini narrativi non cambia nulla.

 

Ho volutamente evitato di chiarire il genere di libri scritti da Arthur, più avanti dirò il perché.

 

Gaydar è il diminutivo di Gay Radar, e si riferisce alla presunta capacità di capire se un’altra persona sia etero o no.

 

Il nom de plume è il modo in cui si definisce lo pseudonimo specifico di uno scrittore. Per il resto del mondo, è nickname o nome d’arte.

Lo pseudonimo che ha scelto Arthur penso che si capisca subito, ma sarà spiegato in un pezzo di un capitolo, quindi non mi dilungo oltre.

 

 

Vi metto un paio di anticipazioni del prossimo capitolo:

 

E fu così che, pian piano, quella strana routine prese piede e, nei giorni in cui non c’era Mordred di cui occuparsi, Arthur e Merlin finivano comunque per vedersi, anche al di fuori di quel salottino col pianoforte.

Era stato Arthur a suggerire l’idea di un caffè all’aperto – sempre che Merlin non fosse allergico anche a quello, o che essere visto gironzolare per Londra non fosse un problema per lui.

 

Il pianista aveva riso di quei dubbi, apprezzando tuttavia la sua preoccupazione.

E da un caffè erano passati per una cena, poi ad un cinema e infine ad un bacio sotto casa, rubato sotto un cielo stellato, al quarto appuntamento.

 

Fosse stato per Arthur, avrebbero potuto approfondire l’argomento in camera da letto già al primo rendez-vous ufficiale, ma Merlin non sembrava il tipo da una scopata e via, e lui voleva capire se, effettivamente, sarebbe potuto nascere qualcosa di serio fra loro (sempre ammesso che le sue bugie non avessero rovinato tutto anzitempo).

 

(…)

 

Arthur sapeva che, a lungo andare, questa ‘felice ignoranza’ era una via minata da percorrere ma, parallelamente, si diceva che dandosi tempo – dando alla loro relazione appena nata del tempo per consolidarsi – dava anche modo a Merlin di conoscerlo meglio come una persona semplice, un uomo buono e sinceramente innamorato di lui.

Sarebbero stati i suoi gesti, il suo affetto, la quotidianità condivisa a dimostrare l’onestà delle sue intenzioni, più delle parole, nel momento della verità.

O, almeno, così sperava…

 

La bolla, invece, esplose un mercoledì sera, tre giorni prima dell’ultimo concerto di Merlin.

 

*evil smile*

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

Ringrazio i lettori che hanno inserito questa fic nei preferiti/ricordate/seguiti.

Vi ringrazio della fiducia, e vi invito, ancora una volta, a lasciarmi qualche parere per sostenermi in questa passione che condividiamo. ^^

 

 


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elyxyz

 

   
 
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