Sembra che la calma della notte si sia appoggiata sulla nave, invitando ogni cosa a bisbigliare.
I cuori si sono placati, i respiri colano dalle labbra, le membra si sono piegate al sonno.
Almeno quelle di Zoro.
Il suo profilo, nella penombra, appare più dolce e Robin può riservarsene il merito, mentre una goccia di sudore, lenta come una lacrima, scende sul suo collo, ricordandole che lei quella serenità non l’ha ancora raggiunta e che il desiderio giace ancora latente, sotto le braci del suo corpo.
“Mi stai fissando?”.
“No”.
Non ha nemmeno bisogno di aprire gli occhi per capire che sta mentendo.
Il suo sguardo, infatti, pesa quanto la mano che gli stuzzica il petto. “Bugiarda”.
La sente ridere, silenziosa, ed immagina i lineamenti delicati del suo volto contratti in un’espressione divertita alla vista del solco che si è scavato sulla fronte aggrottando le sopracciglia: disturbare il sonno altrui è decisamente una cosa che le riesce bene e che lui non sopporta.
“Robin…”.
Intanto la mano è scesa a cercare la pelle tesa dell’addome, ma è solo quando scivola oltre la linea dell’inguine che Zoro spalanca la palpebra, impattando contro il sorriso suscitato dal suo gemito trattenuto.
“…avrei voluto riposare” l’ammonisce, faticando a mantenere un tono di voce adeguato.
“Mi dispiace”. E stringe di nuovo, sostenendo il suo sguardo perché sa che il sangue è altamente infiammabile.
Un attimo dopo, lui sospira, serrandole i fianchi in una morsa implacabile.
“Non ti dispiace per niente, vero?”.
“Perché? A te si?”.
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