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Autore: Sheep01    12/01/2015    4 recensioni
“Sempre insieme, eternamente divisi. Finché il sole sorgerà e tramonterà, finché ci saranno il giorno e la notte.”
Questa è la storia di un falco, di un lupo e di una ladra. Di come quest'ultima, in fuga da una delle prigioni più inespugnabili del regno, si troverà, suo malgrado, coinvolta in una tragica storia, alimentata da forze oscure e misteriose. Fra le sue mani, il destino di due amanti, oppressi dal maleficio di un vescovo crudele e senza scrupoli, che li costringe a una semi vita fatta di albe e tramonti che si rincorrono.
[Clintasha – Medieval AU]
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

Into the Woods

 

“Non ho visto ciò che i miei occhi hanno visto, non credo ciò che la mia mente crede, mio Dio. Queste sono cose magiche, sono cose misteriose! Di cui ti prego Signore, non rendermi partecipe.”

 

*

 

La cavalcata era durata per miglia, mentre il sole cominciava a bruciare le cime delle montagne tutt’intorno, colorandole d’oro bollente.

La compagnia della donna era stata tutt’altro che sgradevole. Un passaggio lontano da Aguillon, dai cavalieri che l’avevano assalita e almeno un’ora di meritato riposo.

“Credo che potrei anche scendere adesso”, disse solo, voltando appena la testa per sbirciare la donna. La presenza solida e tangibile alle sue spalle a darle un senso di innaturale sicurezza.

“Sei stata molto gentile a darmi un passaggio fino a qui, signora… però posso cavarmela da sola da adesso in poi…” alluse, come a chiarire che la loro collaborazione avrebbe anche potuto estinguersi arrivati a quel punto.

“Fra poco farà buio. Non mi sembra saggio passare la notte soli nella foresta.” La sentì rispondere.

“Non sarebbe la prima volta, mia signora...” ribatté Kate non senza una punta di presunzione, “ho dormito in posti ben più pericolosi di questo.”

A sottolineare la frase una serie di ululati che la misero in rapido allarme.

“Sono lupi questi?” domandò, guardandosi attorno con una certa apprensione.

“Parrebbe…” la voce della donna alle sue spalle, che improvvisamente fermò il cavallo, “ancora convinta di voler scendere proprio qui, ragazzina?”

“Non sono… una ragazzina, il mio nome è Katherine. Per gli amici Kate, mia signora…”

“Ebbene, Katherine…”

“Kate…” volle invitarla: dopotutto una persona che ti salva la vita può ben essersi guadagnata il titolo di amico. L’unica persona che al momento poteva fregiarsi di quell’appellativo, se proprio doveva dirla tutta. Una situazione piuttosto patetica. Essere una ladruncola scapestrata non lascia spazio a molte amicizie.

“Ebbene Kate, se vuoi scendere…”

“Fintanto che siamo arrivati fin qui… magari una serata in compagnia sarà meno sgradevole.” Ritrattò senza riserve. E la donna alle sue spalle sorrise appena, dello stesso sorriso mesto che le aveva visto fare in presenza di quel tale Sir Philip che aveva trafitto. Si augurò, sebbene non avesse la minima idea di chi fosse quell'uomo, che ancora vivesse. O se non altro… avesse raggiunto una morte priva di agonia.

Il falco, placidamente appollaiato sul braccio della donna, si limitò a fissarla con quei suoi grandi occhi gialli. Sembrava stesse seguendo il discorso con una certa curiosità.

“E’ un falco pellegrino, vero?” lo additò allora, mentre si spingevano verso la radura che si intravedeva alla fine del bosco.

“Esatto.”

“Che nome le hai dato, signora?”

“E’ un lui. Non una lei…” sembrò tenerci a specificare “e il suo nome è poco importante. Un falco non obbedisce a certi richiami.”

“E’ uno splendido animale”, allungò le dita verso di lui, senza avere il coraggio di toccarlo però, “Falco pellegrino è anche il nome con cui certa gente mi conosce.”

“E in merito a quali caratteristiche, di grazia?”

“Per la mia abilità nell’individuare la preda e la rapidità con cui… svuoto loro le tasche.”

“Dovrei preoccuparmi per le mie, Kate?” nella sua voce però non sembrava celarsi alcuna minaccia.

“Oh no, mia signora, non potrei mai… sono in debito con te. Anzi, se vogliamo parlar di debiti, ecco…”

“Nessun debito.”

“Io insisto! Certo non posso pagarti adeguatamente col denaro che ho qui con me. Ma fai una richiesta, una richiesta qualsiasi ed io vedrò di esaudirla.”

La donna fece fermare il cavallo accanto a una casupola al limitar del bosco. All’interno delle luci: probabilmente persone che si erano già accorte della loro presenza.

Kate si voltò cercando di intuire le sue intenzioni. E si stupì di trovare nel suo sguardo una sorta di greve mestizia.

“Ciò che desidero è qualcosa che nessun essere umano o forza terrena potrà mai restituirmi.” La sentì pronunciare, mentre con le dita accarezzava le piume del falco che le rivolse un grido acuto, prima di dispiegare improvvisamente le ali e librarsi in volo, forse deciso a procacciarsi la cena.

“Mia signora…” mormorò sperando di ottenere una risposta meno criptica, ma questa rapidamente assunse un'aria altera e severa.

“Avrei bisogno di uno scudiero, se questo può interessarti come scambio.”

“Uno scudiero? Ti giuro su nostro Signore che ne sarei assolutamente onorata.”

“Bene allora. Potresti cominciare a renderti utile, chiedendo alloggio per la notte ai due anziani che ci stanno sbirciando da quella finestra.”

Kate allungò lo sguardo, notando due volti smarriti, letteralmente abbarbicati al davanzale. Forse pronti a tirar loro dietro di tutto pur di difendere la loro proprietà.

“Non vedo dove sia il problema. Lascia che ti mostri come sono abile nel manovrare due villici ignoranti.”

Saltò giù dal destriero, sistemando le vesti troppo grandi per il suo esile corpo.

“Ah, e… Kate…” si sentì richiamare, mentre si preparava un discorso per introdurre entrambe, “… chiamami Natasha.”

 

*

 

I due anziani proprietari della casupola erano stati abbastanza generosi da conceder loro di riposare nella piccola stalla accanto all’abitazione. Se l’esordio che Kate aveva loro riservato, con tanto di velati insulti, non sembrava aver raggiunto i risultati sperati, quando sventolò loro di fronte la sacca con i soldi, i due sembrarono rivedere la loro posizione, concedendo anche una porzione della loro misera cena.

Con lo stomaco pieno e un po’ di paglia a dar sollievo alla schiena, il riposo si prospettava quantomeno privo di rischi.

Fu un lugubre ululato a svegliare Kate pochi minuti dopo che si era coricata. Talmente vicino da sembrare provenire direttamente dalla radura, anziché dalle montagne.

Si levò dal giaciglio, mentre un freddo brivido le serpeggiava su per la schiena.

“Lo hai sentito, mia signora?” mormorò nel buio, lasciando vagare lo sguardo fra le pareti della stalla. Restò in ascolto per qualche minuto, permettendo agli occhi di abituarsi all’oscurità, quando si accorse di essere sola, escludendo il cavallo che risposava in fondo alla stanza.

“M-mia signora? Natasha?” sussurrò rimettendosi in piedi, mentre raggiungeva la porta che dava sull’esterno, aperta solo di uno spiraglio. Le bastò una lieve spinta per spalancarla del tutto e uscire, a sbirciare il mantello oscuro che aveva avvolto la radura.

Una pigra mezza luna illuminava i dintorni. L’aria fredda della notte portava con sé l’odore della neve.

Si guardò attorno azzardando qualche passo all’esterno, stringendosi nelle braccia a darsi calore e, quando fu certa che di Natasha non avrebbe scorto traccia, ecco che di nuovo quell’ululato andò a sferzare l’aria, interrompendo il silenzio in una struggente e cupa melodia.

Arretrò talmente rapida che incespicò e cadde a terra. Il contraccolpo le strappò un gemito di dolore che soffocò con il palmo della mano.

Ma quando gli occhi si spinsero là dove cominciava il bosco, scorse finalmente ciò che i suoi occhi, fino a quel momento, avevano forse rifiutato di vedere.

Un lupo. Nero, enorme, con un paio di occhi verdi, così brillanti da non sembrare quasi appartenere a un essere terreno. Digrignò i denti e invece di scatenare l’ennesimo doloroso ululato, le riservò il peggior ringhio del suo repertorio.

“Cazzo!” esclamò, stavolta senza nemmeno preoccuparsi di non farsi sentire.

Si levò in piedi rapidamente; con la coda dell’occhio colse solo il movimento del lupo che forse aveva deciso di raggiungerla o magari di dileguarsi nella foresta da dove era venuto. Di certo non era sua premura quello di capire quali fossero le sue intenzioni. Prese a correre di nuovo verso la stalla che non le era mai parsa tanto lontana e si precipitò oltre la porta, richiudendosela alle spalle con un tonfo che rese certo nervoso anche il cavallo. Il nitrito che le riservò ebbe il potere di far crollare definitivamente i suoi nervi.

“Taci, cretino!” sibilò per scaricare la tensione, cercando di vincere quella stupida curiosità che l’avrebbe spinta a sbirciare fra le travi consumate per capire che fine avesse fatto il lupo.

“Stupide, ingorde bestiacce…” sibilò passandosi una mano sulla fronte, ferma vicino alla porta a far cessare il battito impazzito del proprio cuore. Quando udì un fruscio indistinto alla sua sinistra quasi non lo registrò. Quando poi il fruscio si tramutò in passi attutiti sul pagliericcio, si volse.

“C-chi è la?!” appena una punta di sollievo nel realizzare che forse, non era altri che Natasha quella figura ammantata che ora veniva verso di lei. “Mia signora mi hai fatto prendere un colpo…” mormorò sentendo che, se fosse andata avanti di quel passo, non avrebbe certo raggiunto il mattino successivo. E ancora si chiese chi, in quel caso, avrebbe raccontato le sue gesta fuori dalle dannate prigioni di Aguillon.

“Parola mia, nessuno mai ancora si era spinto a darmi di signora…” pronunciò una voce che, parola sua, di certo non sembrava appartenere alla guerriera vermiglia, ma che era abbastanza bassa e roca da suonarle niente meno che da uomo.

“Chi sei!?” strillò Kate arretrando, gli occhi che saettarono immediatamente in direzione della spada che Natasha sembrava aver dimenticato di proposito accanto al proprio giaciglio.

“Sssh!” questi abbassò il cappuccio con cui nascondeva il capo, a rivelare un bel giovane dall’aria tutt’altro che pericolosa: i capelli biondi scompigliati come dopo una lunga corsa nel vento e un sorriso caldo, rassicurante a rischiarargli il viso; un contrasto piuttosto singolare con il tetro contesto notturno, “non vogliamo certo svegliare i gentili vicini, giusto?”

“Non ti avvicinare!” esclamò spostandosi proprio in direzione della succulenta arma. Dopotutto le avevano insegnato sin da bambina che il demonio si presenta sempre con vesti seducenti. “Non ti avvicinare o quanto è vero Iddio…” recuperò la spada che riuscì a sollevare forse solo per un terzo prima che ricadesse al suolo con un tonfo attutito, mancandole un piede di mezzo centimetro al massimo.

“Ti sei fatta male?” sembrò preoccuparsi lo sconosciuto, restando però fermo dove si trovava, avendo forse intuito che una mossa azzardata avrebbe di nuovo potuto scatenarla.

“No. T-tu… tu non… resta fermo dove sei!”

“Resto fermo dove sono.”

“Non ti muovere.”

“Non mi muovo.”

“E taci.”

L’uomo fece cenno di cucirsi le labbra, senza schiodarsi dalla sua postazione.

Si prese il tempo per studiarlo meglio. Indossava quello che aveva tutta l’aria di essere il mantello di Natasha, che forse - si rese conto improvvisamente - calzava molto meglio a lui che a lei. Sulle spalle una faretra e un arco, un'arma che non sembrava affatto intenzionato a usare… ma quando abbassò lo sguardo per guardargli i piedi, si rese conto con sorpresa che era miserevolmente scalzo.

“Che fine hanno fatto le tue scarpe?”

L’uomo si limitò a fissarla e stringersi nelle spalle.

“C-chi diavolo sei?” si azzardò allora a chiedere, una volta stabilito che non avrebbe tentato alcuna mossa contro di lei.

Lui si indicò le labbra, come a chiedere il permesso di parlare.

“Sì, certo che puoi parlare…” lo liberò seccamente dall’obbligo.

“Gli stivali li devo aver persi per strada…” le rispose allora, muovendo i piedi sulla paglia, “e il mio nome, milady, è Barton. Sir Clinton Barton. Ma per facilitarti le cose, semplicemente Clint.”

Barton.

Dove aveva già sentito quel nome?

Sgranò improvvisamente gli occhi, come colta da folgorazione.

“Io ti conosco.” Disse, indicandolo come un bambino fa con qualcosa che attira la sua attenzione.

“Sul serio?” fu la perplessa, quanto divertita risposta.

“Non… di persona… semplicemente ho sentito fare il tuo nome…”

“In merito a cosa?” s’incuriosì dunque, passandosi una mano fra i capelli, nell’inutile tentativo di dar loro una sistemata.

“Dal capitano delle guardie di sua grazia… il vescovo di Aguillon.” Rispose, abbastanza soddisfatta della sua sagacia.

La reazione che ottenne però non fu affatto quella che si era attesa. Il sorriso dell’uomo era improvvisamente crollato e il suo sguardo si animò di una furia che solo un’altra volta aveva visto sorgere con tanta rapidità negli occhi di qualcuno.

Non fece in tempo ad indagare o scusarsi per l’ardire. Fuori riecheggiò di nuovo il prolungato ululato di un lupo.

Vide l’uomo farsi attento. Spingere lo sguardo oltre la porta e muoversi in quella direzione, senza aggiungere una sola parola.

“Signore. Io non lo farei. I lupi si sono fatti sfacciati. E qui fuori ce n’è uno talmente grosso che non è il caso di stuzzicare.”

Clint non sembrò del suo stesso parere. Apri la porta facendo entrare gelo e notte: in un attimo fu sparito.

“Signore, davvero! E’ scomparsa anche la guerriera vermiglia! Potrebbe aver già fatto una brutta fine!” esclamò Kate a quel punto. “Ma che diamine! Perché nessuno mai mi da ascolto?” solo il pigro nitrito del cavallo a darle una risposta.

Si occupò con riluttanza di dare un’occhiata all’esterno, cercando di cogliere qualcosa fra le ombre notturne.

E ciò che vide o che le sembrò di vedere, nella confusione e l’oscurità, fu il lupo avvicinare lo sconosciuto, docile come un agnellino.

Trasalì senza motivo al modo in cui Clint si chinò sul grosso animale e ne accarezzò la pelliccia, affondandoci le dita, con una tale familiarità e affetto che poteva dirsi lo stesso che si usa verso un animale domestico.

Voleva urlargli di allontanarsi. Di non fare sciocchezze, di uccidere il lupo, ma la voce era rimasta bloccata in gola. E dire che non molte cose erano in grado di zittire Kate Bishop.

Si ritrasse fremendo di una sensazione sconosciuta. Deferenza per quell’incomprensibile momento e inspiegabile sgomento.

“Non ho visto ciò che i miei occhi hanno visto, non credo ciò che la mia mente crede, mio Dio. Queste sono cose magiche, sono cose misteriose! Di cui ti prego Signore, non rendermi partecipe.”

 

*

 

Il vescovo sedeva sotto il porticato, consumando la colazione nelle prime ore del mattino. Il sorgere del sole rappresentava per lui qualcosa che ben pochi avrebbero capito. Si trovava a identificare quel momento della giornata con l'avvenimento che, almeno due anni prima, aveva dato inizio a tutti i suoi tormenti.

La fanciulla dai capelli vermigli popolava i suoi sogni da molto più tempo invece. In quel sole, in quelle tinte che coloravano il cielo all'alba e al tramonto, era lei che scorgeva. Quelle ore della giornata, gli unici momenti solitari in cui riusciva a nascondere il peccato che gli animava lo sguardo.

“Vostra grazia!” eppure qualcuno, nemmeno quel momento gli concedeva.

Si volse solo per vedersi venir incontro nientemeno che Sitwell. Si augurò avesse per lui liete novelle.

Nemmeno si levò in piedi per accoglier la notizia, nella speranza potesse liquidare la faccenda con rapidità. Gli porse la mano, l'anello da baciare, come saluto d'esordio. E solo quando il capitano si chinò per porgere i suoi rispetti si rese conto di quanto quell'aria greve non potesse essere messaggera di buone notizie.

“Ve la siete lasciata sfuggire...” mormorò già consapevole. Acceso sdegno nel tono di voce.

“Mi duole ammetterlo... ma è quello che è accaduto, vostra grazia.”

Il vescovo si levò in piedi, abbandonando i resti della sua colazione sul tavolino. Non si diede nemmeno la pena di fronteggiarlo.

“Mi domando allora che cosa ci facciate qui!” esclamò, senza preoccuparsi di mantenere un tono di voce consono alla sua carica.

“Lady Romanoff  è tornata.” la voce ferma del capitano della guardia lo costrinse a voltarsi.

Aveva udito bene? Lady Romanoff?

Come uno schiaffo, l'immagine della donna dai capelli vermigli, tornò a sconvolgere quel mattino senza nubi. E quando si volse di nuovo verso il capitano, il primo raggio di sole che gli sferzò lo sguardo parve beffeggiarsi di lui. Punirlo.

“Quella criminale, quella Katherine Bishop... è con lei.”

Quella rivelazione gli scivolò nello stomaco come ghiaccio. Le parole di Loki, il demonio del maleficio, tornarono a farsi nitide alle sue orecchie.

“Molto presto qualcosa cambierà il corso degli eventi...” si trovò a mormorare.

“Come, vostra grazia?”

“E il falco?” deviò l'argomento, lanciandogli uno sguardo colmo di alterigia. “Ci deve essere anche un falco, con loro.”

“Sì, vostra grazia”, rispose questo, annuendo con vigore, “se i miei occhi non si sono ingannati, c'era anche un falco, ad accompagnarle.”

Il falco, la ragazza dai capelli di fuoco e la ladra.

La profezia maligna di quel demonio non era che a un passo dal vedersi realizzata.

Per un infausto gioco del destino o per la volontà di quel Dio deciso a veder crollare un maleficio costruito oltre i confini del suo volere. Un avvenimento che non poteva e non doveva compiersi. Un evento che avrebbe contrastato con tutti i mezzi in suo possesso.

“La scorsa notte... Dio l'onnipotente mi è comparso in sogno”, esalò il vescovo prendendo a camminare lungo il porticato. Il capitano della guardia si affrettò a stargli appresso, “mi ha detto che il Demonio ha inviato un messaggero in mezzo a noi... e il suo nome... è Clinton Barton...”

Il capitano si fermò a qualche passo di distanza.

“Barton? Ma non è stato esiliato, vostra grazia?”

“Esiliato... sì.” gli rispose questo voltandosi,  “Ma è di lui che Dio mi ha parlato. E' di lui che mi ha annunciato il ritorno. Avete forse l'ardire di ignorare i segni che nostro Signore ci invia?”

“N-no, vostra grazia...”

“Ebbene lasciatevelo sfuggire... lasciatevi sfuggire lui o la ragazzina e sarà il nuovo capitano della guardia a presiedere alla vostra esecuzione!”

Il capitano della guardia chinò il capo, come ad assorbire quella terribile notizia.
Di nuovo il vescovo gli porse l'anello, per il congedo.

“Mandatemi Rumlow”, esalò l'ultima richiesta.

Nello sguardo del capitano, un fremito di disgusto.

 

*

 

Kate guardò Natasha allontanarsi dall'accampamento improvvisato prima dell'ora di pranzo.

Era stata talmente silenziosa per tutta la mattina, che ancora non aveva avuto modo di domandarle nulla di quanto accaduto la notte precedente.

Alla sua domanda su che fine avesse fatto, aveva risposto con un grugnito tutt'altro che incoraggiante. Al suo ordine di muoversi verso nord, aveva deciso di non ribattere.

L'unica cosa che sapeva, in quel gelido mattino d'inverno, era di avere fame. Una fame primordiale, una di quelle che fa brontolare lo stomaco quanto il ringhio di un troll di montagna. Non fosse stata sicura che, secondo la leggenda, i troll di giorno restano rinchiusi nelle loro grotte ad aspettare la notte, avrebbe trasalito ad ogni ruggito del suo apparato digerente.

Andò a frugare nella sacca che la donna aveva poggiato ai piedi di un grosso abete. Il pane che i due anziani avevano lasciato loro non era nemmeno sufficiente a sfamare uno scoiattolo.

“Al diavolo...” smozzicò, passandosi una mano fra i capelli.

In cuor suo aveva già deciso di concedere ancora un giorno alla donna, prima di comunicarle la sua intenzione di andarsene. Dopotutto non aveva certo firmato un contratto per la vita. Il fatto che non potesse scegliere dove andare o perché cominciava già a ledere i suoi diritti di ladra raminga.

E poi, dopo ciò a cui aveva assistito la notte precedente, non era del tutto sicura di voler restare coinvolta in una storia che aveva un che di realmente inquietante.

Il cavallo, come intuendo i suoi pensieri, nitrì vigorosamente facendola trasalire.

“Stupido equino!” esclamò. “Non fosse che sei troppo grosso e difficile da abbattere, ne farei bistecche di te. Succulente bistecche di cavallo...” disse avvicinandolo, “bistecche rosse, di quelle che faceva il mio vecchio su, al paese... con una bella zuppa di fagioli. Come sentirne il profumo...” annusò l'aria, simulando tutto il piacere che poteva trarre dall'immaginario aroma.

Lo sguardo le cadde però su una lunga sacca, assicurata alla sella del cavallo.

Si guardò attorno, sperando di non venir colta in fallo dal ritorno di Natasha. Quando fu certa che la donna fosse ancora abbondantemente fuori portata, slegò i lacci della bisaccia, rivelandone il contenuto.

“Che mi venga un accidente...” smozzicò, estraendo, non senza fatica, un lungo arco. Attorcigliata ad esso la faretra, munita di frecce.

“Se queste non sono le stesse armi che aveva ieri notte il biondone di bell'aspetto che...” il cavallo di nuovo nitrì, “cosa? Nostro Signore gli occhi ce li ha fatti per guardare.”

Soppesò l'arma, estraendo una delle frecce.

“Se ti dicessi che mio padre mi insegnò come tirar con l'arco quando ero marmocchia, ci crederesti cavallino?” disse, parlando al vento, incoccando la freccia con aria esperta, puntandola verso l'alto.
“Quanti ricordi...”

Un rumore alla sua destra colse la sua attenzione e fu lì che puntò la freccia.

Un coniglio dall'aria spaurita fece la sua comparsa con il muso tutto protratto verso di lei.

“Ciao, bel bocconcino...” disse senza pietà prima che un'idea e un sordido sorriso non le animassero le labbra. Cercò di prender la mira così come ricordava e inspirò a fondo, pronta al lancio.

“Che cosa stai facendo?” la voce di Natasha la fece sobbalzare, deviandole il colpo. La corda dell'arco scattò e la freccia andò a conficcarsi in un arbusto ai piedi della donna.

“M-merda!” esclamò, facendosi sfuggire l'arco dalle mani.

“Non dovresti giocare con queste cose...” la rimproverò, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere il suo disappunto. Le si avvicinò e raccolse da terra l'arma, osservandola per accertarsi che fosse ancora in buono stato, senza mancare di lanciarle uno sguardo ostico.

“Non ci stavo giocando, mia signora... avevo fame... e pensavo che...”

“Pensavi che frugare nelle cose altrui fosse lecito.” rispose seccamente.

“Stavo solo cercando qualcosa... da mangiare... non volevo altro.”

“Non ti avevo forse detto che ci avrei pensato io?” e nel dirglielo indicò un paio di lepri allacciate al cinturone che aveva in vita.

Kate abbassò il capo sconfitta, ma soprattutto infastidita dall'ingiusto rimprovero.

“Non ci stavo giocando, comunque. So usare arco e frecce. Molto più di quanto tu possa immaginare.”

Natasha andò a risistemare il prezioso oggetto nella sua sacca e le scoccò uno sguardo ammorbidito. Che si fosse resa conto della sua brusca reazione?

“Quello lo avevo capito dal modo in cui lo impugnavi”, disse solo. E di questo, se non altro gliene fu grata. “Ma se mi sono innervosita, Kate, è perché non apprezzo che si tocchino le mie cose senza permesso”, aggiunse, tornando sui suoi passi, lanciando la selvaggina su un mucchio di foglie.

“Di questo... mi scuso. Non credevo di far nulla di male...” le rispose la ragazza, mettendosi a sedere, per cominciare a preparare il fuoco per il pranzo.

Poi analizzò la sua frase e, guardandola spezzare arbusti per il falò, si chiese se non potesse osare oltre.

“Ma quell'arco non appartiene nemmeno a te, dico bene? Non lo custodiresti con tanta cura... se fosse una tua arma quotidiana”, le chiese allora, aspettandosi una replica scortese. Natasha al contrario le si mise a sedere di fronte, sistemando sassi tutt'intorno a un mucchio di foglie secche.

“No, non mi appartiene”, le confermò invece, lanciandole un'occhiata, “e qualcosa mi dice che stai per chiedermi altro a riguardo.”

Kate non poté far altro che annuire molto più che volentieri: “A dire la verità sì...” esalò cominciando a sfregare legnetti per accendere il fuoco, così come aveva imparato a fare sin da bambina.

“L'altra notte ho... visto un uomo”, si decise allora a rivelarle.

“Un uomo... ?” l'esitazione, nella sua domanda, le fece intuire che c'era ben altro, nascosto in quella frase.

“Un uomo, sì. Nella stalla. Poco dopo essere venuta a cercarti e aver rischiato grosso con un lupo gigantesco, nella radura”, le disse, alzando su di lei uno sguardo che ella non ricambiò. “Aveva indosso il tuo mantello, signora. E quello stesso arco a tracolla”, i legnetti cominciarono a fumare, “... e mi ha detto di chiamarsi Barton. Sir Clinton... Barton. Non... non avevi forse nominato il suo nome, il giorno in cui mi salvasti dalla guardia del vescovo?”

Natasha si limitò ad annuire, aggiungendo pertanto mistero a quella assurda situazione.

“Dunque lo conosci.”

“Lo conoscevo... lo conoscevo bene”, di nuovo la mestizia a oscurarle il viso. Una storia triste? Dagli esiti spiacevoli? Qualcosa che sembrava ben poco intenzionata a chiarire. Una storia sulla quale, se Kate non avesse fatto chiarezza, sarebbe di certo impazzita. Dalla curiosità, se non altro.

“Bè, era lì. Era lì, in quella stalla, e non indossava nemmeno gli stivali.”

“Gli stivali?” ora Natasha sembrava sorpresa.

“Sì... proprio, mi ha detto di averli persi per strada.”

“Questo ti ha detto?” inaspettatamente si lasciò andare a una mezza risata.

“Davvero. E poi se ne è uscito.”

“Scalzo...”

“Proprio scalzo”, sorrise, sollevata dall'aver se non altro procurato un po' di allegria nella donna dallo sguardo di ghiaccio, “ma la cosa più assurda è che - ora non mi prender per pazza - è che se ne è uscito per accompagnarsi a quello stesso gigantesco lupo che... sembrava volermi attaccare poco meno di qualche minuto prima. E ancora più pazzesco che questo si facesse accarezzare senza azzardare nessun attacco.” dovette proprio dirle... per poi constatare che non sembrava una grande novità per Natasha. “Si tratta forse di un mago, mia signora? Di un ammaliatore di animali selvatici?”

“Niente di tutto questo, Kate...”

“Bè, credimi se ti dico che per poco non mi è preso un colpo nel vederlo uscire. Mai visto nessun uomo trattare così i lupi. È cresciuto forse nella foresta?”

“Nemmeno quello...” negò di nuovo la donna, mentre finalmente, dal fumo, cominciarono a sollevarsi delle fiammelle. Entrambe si prodigarono ad alimentarle con delle foglie secche.

“Credi che lo rivedremo di nuovo?” le domandò allora, giusto per sapersi regolare sul numero della loro strampalata compagnia.

“Può darsi.”

“Mi domando perché non viaggi con noi...”

Natasha si rimise in piedi, spolverandosi il retro del mantello.

“Perché è stato esiliato almeno un paio di anni e fa e perché, di certo... disapprova le mie scelte.” disse, in uno sprazzo di sincerità improvvisa, eppure Kate misurò le sue parole, rendendosi conto che celavano qualcosa che non era ancora disposta a rivelare.

“Quali scelte, signora?”

Natasha andò a recuperare la spada, alzandola appena, facendosela passare da una mano all'altra con disinvoltura.

“Il mio ritorno ad Aguillon.” dichiarò definitiva.

Auguillon? Proprio quell'Aguillon? La stessa Aguillon da cui era appena... evasa?

Kate si rimise in piedi mente il fuoco crepitava ora allegramente ai suoi piedi.

“E' lì che siamo diretti? Ad Aguillon?”

Natasha le lanciò uno sguardo che non lasciava spazio a dubbi.

“E per quale motivo? Io ci sono fuggita da lì! Sono ancora ricercata, nel caso te ne fossi dimenticata. Per qualche cavolo di motivo vuoi andarci?”

“Per uccidere il vescovo.”

La risposta fu così brusca e diretta che per un attimo Kate non seppe cosa ribattere. Forse non aveva udito bene. Forse aveva travisato le sue parole. Forse era la fame. Ma quello sguardo e quella furia al solo nominare il vescovo sedò quasi immediatamente i suoi dubbi.

“Oh... il... vescovo?” dovette proprio accertarsi. Uccidere il vescovo. La guerriera vermiglia doveva essersi certo bevuta il cervello. “Bè, buona fortuna, allora. Te ne servirà parecchia per arrivare laggiù. Io credo... credo di esserti stata di aiuto a sufficienza, non pensi? E' stato così bello conoscerci. Spero un giorno che potremo rivederci... tutti insieme magari. Anche con il bel ragazzo biondo”, e nel dirlo, aveva già preso il via per il sentiero che l'aveva condotta sino a lì.

“Ho bisogno di te, per guidarmi dentro la città”, la richiamò invece Natasha, che non aveva affatto accennato a un congedo.

“Nemmeno per la vita di mia madre”, si volse dunque, con una certa urgenza, “anche se... non so affatto chi sia.”

“Sei l'unica che sia mai riuscita a fuggire da là.”

“E' stata solo fortuna. Pura fortuna, signora”, il tono esasperato di chi non sa più che pesci prendere. Non avrebbe certo assecondato tale follia: “Non ho alcuna intenzione di... rischiare la vita dopo che Dio è stato così magnanimo da inviare una guerriera come te a salvarmi. Mi spieghi quale sarebbe il senso, in tutta questa trama, altrimenti?”

“Ho aspettato che mi arrivasse un segno per ben due anni”, le rispose dunque ella, “per questo, quando sei capitata sulla mia strada, ho capito che l'ora del destino era giunta per me. Tu sarai il mio angelo guida.”

“Io?” si indicò perplessa, “signora, in verità io parlo con Dio continuamente, ma senza offesa... non ti ha mai nominata.”

“Ah no... ?”

Kate la scrutò per un istante, prima di divenire sospettosa: “Vi sono strane forze che agiscono nella tua vita... forze magiche che ti circondano. Io non le capisco, però mi spaventano. Tu mi hai salvata. La verità è che non potrò mai sdebitarmi. Non ho onore io, non ne avrò mai. Non credo che mi uccideresti perché sono quello che sono, vero? Ma preferirei morire, piuttosto che ritornare ad Aguillon.” Concluse, inspirando a fondo, sperando di aver chiarito la faccenda una volta per tutte. Ma quando si voltò per prendere di nuovo quel sentiero, il sibilo di una lama le sfrecciò a pochi passi dal viso. E un coltello andò a conficcarsi a pochi centimetri da lei, sul tronco dell'albero accanto.

Qualcosa le diceva che la guerriera vermiglia non avrebbe rinunciato al suo aiuto tanto facilmente. E che forse... morire non era esattamente la soluzione più saggia.

Tossicchiò nervosamente per un istante, prima di voltarsi nella sua direzione. Se il suo cuore gridava in subbuglio, pronto alla ribellione, il suo cervello fu più prudente e mite: “Vado a prendere un po' di legna per il fuoco”, rispose.

 

Continua…

___

Note:

E qui finalmente conosciamo anche Sir Barton. Le carte in tavola ci sono tutte. Giocatori ne mancan pochi. Per chi me lo avesse chiesto e per chiarire con chi se lo stesse silenziosamente chiedendo: il vescovo, ora è ufficiale, ha il volto di Alexander Pierce (Robert Redford). E’ stato nominato Rumlow, Sitwell è il comandante della guardia, mi sembra che la versione corrotta dello SHIELD sia lo scenario più appropriato, ad Aguillon.
Sul resto poco da dire, felicissima di aver riscontrato entusiasmo per la trasposizione del film, perciò ringrazio, come sempre, la mia superbeta/sclerosocia e tutti i lettori, silenziosi e non. Per il prossimo capitolo spero di riuscire a postare una cosuccia ispirata alla storia. Ancora in lavorazione, vediamo come va. Per ora vi saluto. Alla prossima!

  
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