Capitolo 4 - Umanità
Quella a cui giungono è una piccola locanda rustica; conta giusto due piani dal tetto basso, appare come una struttura avvolta dall'abbraccio di moltissimi altri edifici molto più grandi e imponenti. L'oste è gentile e saluta la donna come se non fosse diversa dal chiunque altro, e non fa domande quando la vede portarsi appresso un volto sconosciuto.
Mentre
la vede sedersi sul letto pochi passi davanti a lui Reynard si dice
di nuovo che sarebbe meglio ucciderla, perché è
consapevole che il
bisogno di qualcuno che si fidi di noi, che ci desideri, di qualcuno
di prezioso, è una cosa ben difficile da sopprimere. Si
può
imparare a convivere con il dolore, con il rimorso, con il disgusto,
non con la nostalgia.
Invece si china e le copre gli occhi con una
mano. Non la sente irrigidirsi né sobbalzare, ma star ferma
dov'è,
candida e pienamente fiduciosa, con una punta d'indifferenza che fa
male più di tutto il resto: come se, dopotutto, vivere o
morire non
faccia molta differenza, e quindi se ne starebbe là, tra le
sue
mani, e se lui lo volesse si lascerebbe schiacciare.
Reynard piega
il capo quel tanto che serve a posare le proprie labbra su quelle di
lei. Dolci, fresche come acqua lieve, quelle labbra non hanno nulla
di inebriante o di seducente: sono solo delicate, sottili, ali di
farfalla, come le sue ciglia contro il palmo delle mano che si
chiudono e poi si spalancano, ali di farfalla, mentre trattiene il
respiro e lui sente quel soffio sulla bocca, ali di farfalla,
farfalla.
L'altra mano gliela passa tra i capelli, districandone i
nodi con gentilezza, fino a posarla sul collo. Due dita contro la
spina dorsale, medio e indice, appena sotto la prima vertebra; il
pollice che preme su un punto vitale. Basterebbe stringere un po' la
mano. Serrarla. Cadrebbe come nel sonno, e non si accorgerebbe
nemmeno di lui che le taglia la gola. Sarebbe dormire. Sarebbe un
sollievo, no? ... per lei che, come lui, è un'assassina con
il
terrore del sangue e di ciò che è stato.
Lei deve aver capito
cosa sta per accadere, ma non si muove. Forse non le importa. Forse,
come tanti altri, ha deciso che va bene anche così.
"Non ho
intenzione di ucciderti." Sussurra, quasi a se stesso.
La
mano di Reynard scioglie la stretta lieve attorno al collo e risale
tra i capelli, accarezzandoli con delicatezza. La sente premere verso
di lui con il viso, per cercargli di nuovo le labbra con le proprie:
trovatele, sembra assaggiarle con cautela, come non sapesse bene cosa
farne, prima con la bocca, poi con la punta del naso, gentilmente, e
infine di nuovo con le labbra.
Reynard pensa che aveva creduto che
non avrebbe mai ricevuto un bacio così. Reynard pensa che
aveva
creduto che si sarebbe portato quella mancanza nella tomba, insieme a
tutte le altre, e adesso che la sperimenta si domanda come
può aver
fatto senza per tutto quel tempo: perché le labbra sono
calore, e
anche il profumo è calore, i capelli sono calore, e il modo
in cui
lei lo cerca è calore.
Quando
si stacca da lei, dopo quelli che forse sono stati cinque secondi,
forse cinque minuti, più probabilmente cinque secoli, la
ragazza
alza una delle sue mani pallide e se la posa sulle labbra: due dita,
con incertezza, come se volesse sentire anche con i polpastrelli
com'è il sapore che le è rimasto addosso.
Non le vede gli occhi,
perché glieli copre ancora con la mano, ma la sente
distintamente
arrossire: è un calore, una vampa, che sale sulle guance e
gli
scalda le dita posate sulla sua pelle.
"Maeve" E' la
prima volta che la chiama per nome. E' la prima volta che la chiama
in qualunque modo, a dire il vero, e la vede sussultare appena, prima
che mormori:
"Sì...?"
Vorrebbe sfiorarle le labbra
di nuovo. Vorrebbe toglierle la mano dal viso e chiederle di
guardarlo, mentre la bacia, per vedere cosa le passa negli occhi.
Vorrebbe stare puramente così, un altro po', per godere di
quel
calore vergognoso ed imbarazzato che gli accarezza la mano.
"Chiudi
gli occhi."
Le ciglia gli sfiorano il palmo, di nuovo,
abbassandosi docilmente.
"Adesso ti lascio andare. Tu non
devi aprirli finché non sono uscito. Mi hai capito?"
Lei
stacca le dita dalle proprie labbra, tutto ad un tratto, e le solleva
di scatto per stringere il polso che le copre il viso: è
veloce,
registra oziosamente Reynard, tanto che l'ha vista a malapena
muoversi. Lei gli stringe il braccio per un attimo, quasi volesse
trattenerlo, prima di lasciare ricadere la mano sul materasso.
"Hai
capito quel che ti ho detto?"
Lei annuisce. Reynard si china
ancora, dopo un attimo di perfetta immobilità, e si ferma
con le
labbra ad un soffio dalle sue: la vede dischiudere le proprie, il
respiro come un sibilo appena percettibile, quasi aspettasse
qualcosa. Ma lui piega la testa e si allontana, lasciandola
semplicemente andare.
Obbediente all'ordine ricevuto, Maeve ha gli
occhi chiusi. Non voleva essere guardato, Reynard, né
leggerle in
viso quel rimani
che
sa essere dipinto nei suoi occhi perlacei: sarebbe stata una sferzata
di nostalgia che non ha voglia di tollerare, adesso. Indietreggia
lentamente, e si chiude la porta alle spalle.
Tentenna nel fare il
passo successivo. Avverte ancora il suo calore avvolgerlo come una
soffice comperta, la avverte mentre, con infinita calma e lentezza,
si corica a letto.
È come se il suo sangue cantasse. Sente la
sua anima anche ora, lo cosparge di stanchezza e lo riempie di una
strana sensazione. È come se fossero collegati, ora, Reynard
vede in
modo diverso, si trova a sperare di poter rivedere l'alba, quando in
realtà non ha mai prestato attenzione a certe cose. Reynard
si sente
vivo e paradossalmente l'urgenza, il tempo che è agli
sgoccioli,
perde completamente importanza, perché capisce che lei ha
scelto di
lasciarsi morire pur di assaporare la vita.
Reynard capisce di non
riuscire a rinunciare, non ancora, a quelle sensazioni che sono come
un fuoco tiepido in mezzo a una tormenta. Allora attende, attende
fino a che non avverte il respiro della donna farsi sempre
più
profondo e il suo cuore fin quasi a fermarsi.
Sblocca la serratura
con un lieve comando mentale, antico retaggio dei loro capostipiti,
delle prime Lamie; grande e potente popolo di cui ormai non restano
che rovine e vaghi ricordi.
Si avvicina lentamente al letto della
donna e quasi si sente un vigliacco a muoversi in quel modo, in
silenzio, a notte fonda, nella disperata speranza di non farsi
notare. Perché in quel momento sa di non poter soppotare la
nostalgia e il rimpianto che quegli occhi simili a perle gli
avrebbero fatto provare.
Si siede accanto al suo corpo pensando
che almeno avrebbe potuto trovare un modo per dirle addio. E
grazie.
Per ringraziarla non trova altro modo se non quello di
essere sincero; dire come un tempo stavano le cose, come sono in quel
momento, e forse come saranno andate a finire, nella migliore delle
ipotesi. Quello è l'unico modo che ha per iniziare a
stabilire un
lieve legame mentale. E in fondo, è l'unica cosa che sente
di poter
condividere con lei.
Appoggia la schiena al muro, continuando ad
osservare il volto particolare di Maeve; è disteso, sereno.
Reynard
non ricorda una sola notte in cui provò il lusso di
abbandonarsi a
un sonno profondo.
Non sa se lei lo sente, non sa se ha abbastanza
energie da riuscire a carpire i suoi pensieri, un po' come lui sta
facendo in quel momento, non sa quanto tempo rimane loro ancora.
Perché avverte il canto del suo sangue farsi sempre
più flebile
e lontano, l'anima -il suo essere- consumarsi sempre di più,
come
un'antica fiamma.
Socchiude gli occhi, accarezzando con la mente
quella assopita di Maeve.
Per un attimo avverte il silenzio, una
muta consapevolezza da parte di entrambi di essere entrati in
contatto, poi i pensieri iniarono a fluire, a volte coerenti, come un
botta e risposta, ma la maggior parte divagavano, andando a
collegarsi con eventi passati e idee future.
Volevi essere sincero, eppure mi stai lasciando vedere tutto, tutto quello che è dentro di te, tutto quello che provi, tutto quello che senti. Anche in questo momento. Perché?
Forse perché voglio che tu sappia.
Ci
sono cose che forse dovrei già sapere, e ci sono cose che
volutamente ignoro.
... Lo sai, ho preso questa scelta perché ero
stufa, sentivo un peso sul cuore. Ora lo senti anche tu, vero? Lo hai
sempre sentito forse. Ma per me era troppo da sopportare.
Avevo
bisogno di vivere davvero.
Noi
non possiamo vivere, Maeve.
Io non posso vivere, loro non
vogliono, e forse neanche io. Non dopo aver compreso che la vita
è
ben diversa da quella che è stata la mia esistenza fin'ora.
Siamo
fragili come carta, lo siamo sempre stati, siamo la rivoluzione di
chi ama ma non ha il coraggio di abbandonare le armi.
Siamo troppo
forti, Maeve, e la violenza distrugge. Sfalda. La violenza non ama. E
non abbiamo il tempo di crederci umani, di crederci possibili.
Non
c'è tempo.
Lo sai?
Noi
non siamo violenza. Possiamo essere qualcos'altro, se lo vogliamo. Io
l'ho scoperto solo grazie a Rabanastre, grazie a Rhia.
Ma l'ho
scoperto comunque troppo tardi.
L'abbiamo scoperto troppo
tardi.
La
vede svegliarsi, socchiudendo appena gli occhi per poi richiuderli
subito dopo, sente l'aria tiepida dell'alba che le riempie i polmoni
e poi vede i suoi occhi, che come lucide perle d'argento riflettono
la luce mattutina mentre si puntando su di lui.
"Sei ancora
qui."
"Dovrei andarmene, a dire il vero, me ne sarei già
dovuto andare da tempo."
"Ma tu puoi ancora scegliere."
Dice lei dopo qualche attimo di silenzio. "Non vuoi vedere anche
te la Torre Tagliavento?" Le labbra della donna si stirano in
lieve sorriso.
Il tempo non è molto. Ma come lei si volta verso
di lui, quel tempo, quello che resta, perde importanza.
Perché nei
suoi occhi legge tutto; legge ciò che lui stesso ha visto
quella
notte, legge ciò che lei ha vissuto in quel periodo di pace
e vita.
"Ad ogni modo, questo è il mio regalo. Voglio che li tenga
tu,
i miei ricordi, che qualcuno ricordi ancora come è vivere,
cosicché
io possa esistere ancora in coloro che conoscono la gioia della vita,
quella vera." Non c'era altro da dire. Tutto ciò che si
sarebbe
potuto perdere nell'aria sotto forma di flebili parole era segnato a
fuoco nelle loro menti, per sempre.
*
Torna
a casa con il cuore lieve, Reynard, ed è una sensazione che
aveva
quasi dimenticato, quella, dopo anni trascorsi nella propria
personale casa degli orrori, costruita nella testa dal suo dovere
intollerabilmente atroce, un pensiero alla volta, un mattone alla
volta.
Quel dovere ineluttabile oggi non gli appare più tale:
è
una possibilità, sfumata.
Reynard sa d'aver fallito una missione,
per la prima volta in tutta la sua vita, e il pensiero lo riempie di
una gioia sorda e cieca, assoluta, luminosa.
"Ma
tu puoi ancora scegliere."
Quella
parola, potere,
posso,
sa sulle sue labbra di luce e libertà. E' una parola fatta
di
vento. Scioglie le catene del dovere, quel posso, rendendolo libero
di nuovo.
Maeve è viva: Reynard l'ha lasciata vivere.
Reynard
ha fatto fallire una missione.
Reynard sarà punito, forse, e la
cosa migliore è che non gliene importa assolutamente niente.
La
missione fallita di Reynard concede la grazia a una minima parte del
suo clan.
La missione fallita di Reynard scatenerà una guerra e
gli costerà la vita.
Forse.
Forse non è detta l'ultima
parola.
Reynard adesso spera che Maeve possa aiutarlo.
Reynard
adesso sa di non essere solo a fronteggiare il suo dovere troppo
grande, troppo inevitabile.
Perché c'è Maeve, adesso, con lui: e
anche il dovere gli sembra più lieve.
Eccoci
finalmente. Spero che questo 'viaggio' vi sia piaciuto :) Ah, per chi se lo stesse chiedendo il capitolo è tutto in corsivo perchè è scritto al presente ^^
Vi ho
fatto aspettare un po' per l'ultimo capitolo, ma dovevo prendere una
decisione:
Questa storia avrà un proseguimento, ma per ora
preferisco metterla su Completa
e lavorare sui possibili capitoli
successivi. Quando avrò una trama ben delineata e i
personaggi non
brancoleranno più nel buio allora posterò il
proseguo. Modificando
adeguatamente il rating e tutto il resto. Cambierò presto
anche il
layout della pagina, perché così non mi convince
molto e boh, direi
basta ^^
Ma per ora la storia resterà un po' a decantare, diciamo
:)
Spero quindi di risentirvi presto :)