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Autore: semplicementeme     21/11/2008    1 recensioni
La osservava silenzioso. Il respiro regolare. La testa leggermente piegata di lato. Si era addormentata sul divano mentre guardavano un film, il loro film...
***On line Prologo + VI Capitolo***
STORIA SOSPESA
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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CAPITOLO VI

Kaori quella mattina arrivò in ospedale prima delle sette. La sua notte era stata insonne o quasi, in verità aveva dormito poco e male. Il bacio con Hayato l’aveva sorpresa più di quanto avesse creduto.

Prima di segnare il suo ingresso in ospedale con il badge magnetico decise di passare direttamente alla cappella dell’ospedale. La trovò senza troppe difficoltà, in fin dei conti lei era un’assidua frequentatrice di quel luogo di preghiera.

Prima di ogni intervento, anche il più banale, si recava in quella cappella e pregava. Pregava per sé e per la persona che doveva operare. Chiedeva a Qualcuno Lassù di proteggere se stessa e chi si trovava sotto i ferri. Il suo non era un rito scaramantico ma era un modo per trovare un po’ di conforto.

Il suo bisogno di affidarsi a Dio non era dovuto a scarsa fiducia nelle proprie capacità, no. Lei era sicura quando operava, raramente la sua mano tremava. Il suo affidarsi a Dio era dovuto prettamente ad un bisogno spirituale. Gli imprevisti nel corso di un intervento potevano capitare, ma lei preferiva cercare una specie di “assicurazione” nelle preghiere.

Entrò silenziosa. La cappella, come sempre, era aperta. Il buio la sorprese solo per un attimo. I suoi occhi si adattarono quasi immediatamente alla penombra di quel luogo. La cappella era piccola e contava in totale quattro panche per lato. Un crocifisso era posto nella parete di fronte. Entrando a destra si poteva osservare un quadro raffigurante l’immagine della Madonna con Gesù Bambino. Il piccolo altare era adornato con qualche rosa rossa, le più resistenti dato il periodo in cui si trovava, e qualche girasole. Sorrise nostalgica.

- Il giorno della mia laurea vorrò solo rose rosse e girasoli. Promettilo!

- Ogni suo desiderio è un ordine Principessa.

Scosse la testa come a scacciare quei ricordi. Alla fine lui che era più religioso di lei aveva giurato il falso. Non c’era il giorno della sua laurea. Perché? Perché pensarci ancora? Arrabbiata con se stessa fece il segno della croce e poi si inginocchiò iniziando a pregare come era solita fare.

Chiese un po’ di attenzione per lei e la serenità per la donna che quella mattina doveva operare. Pregò per i suoi cari e chiese perdono per il suo essere così lontana da casa. Chiedeva di trovare una soluzione al problema insorto con Hayato. Lei non era innamorata dell’amico e sperava che il bacio della sera prima non fosse altro che uno scambio di affetto, al più un momento di debolezza reciproco. E poi, come accadeva sempre, alla fine chiedeva un po’ di pace per la sua anima. Kaori soffriva e tanto. In silenzio ma soffriva. Mai nessuno si era accorto della sofferenza celata nei suoi occhi castani. Forse solo suo padre aveva intuito qualcosa, ma il carattere riservato dell’uomo, non gli aveva permesso di indagare più a fondo.

Si alzò e ringraziò il Signore per aver ascoltato le sue preghiere. Uscì silenziosa come era entrata, ma l’animo era più leggero. Si sentiva più tranquilla per essersi affidata a Qualcuno più potente di lei.

Entrò nella hall dell’ospedale e timbrò il badge. Non passò dal reparto. Salì direttamente nel suo studio. Estrasse il portachiavi e cercò la chiave per aprire la porta dello studio. Dopo pochi secondi entrò. Le imposte chiuse furono subito aperte. Dopo si tolse il pesante cappotto ed i guanti insieme al cappello di lana che teneva calcato sulla testa. Infilò il camice e gli occhiali che teneva chiusi nel cassetto della sua scrivania. Aprì il testo di chirurgia che aveva portato con sé ed iniziò a ripassare nuovamente. Era la sua occasione, non poteva farsela sfuggire. Lesse e rilesse attentamente immaginandosi davanti il pezzo operatorio. Immaginò come intervenire. Come muovere le mani. Come porsi rispetto alla paziente. Immaginò tutto questo ed alla fine giunse l’ora di scendere ed andare in sala operatoria.

Il bacio con Hayato? Era sempre presente nei suoi pensieri, per quanto cercava di non pensarci il bacio era sempre lì. Nei suoi pensieri. Fisso ed immobile. Il sapore di quel bacio era qualcosa di incomprensibile. Era diverso dai baci dati in passato. Non c’era amore, solo affetto. Un affetto profondo che lo legava da tempo ad Hayato. Alla fine di questa giornata avrebbe parlato con l’amico, era necessario farlo. Non voleva illuderlo, ma forse anche Umi non era innamorato di lei. Forse si erano trovati entrambi in un momento di difficoltà ed avevano bisogno solo di conforto reciproco. Forse…

- Buongiorno dottoressa.

La voce cupa del professore la distolse dai suoi pensieri. Senza accorgersene era giunta già davanti le porte della sala operatoria. I suoi pensieri l’avevano estraniata dalla realtà che la circondava.

- Buongiorno professore.

Salutò il direttore della scuola di specializzazione con voce sicura. L’intervento che stava per iniziare era troppo importante. Non poteva rischiare di perdere un’occasione simile. Raramente il professore Itou si faceva assistere da uno studente del suo stesso anno per interventi così delicati. Generalmente loro potevano assistere ma mai avevano un ruolo attivo.

- Come si sente? Non avrà paura spero…

Non permise al docente di concludere la sua affermazione e rispose immediatamente, ma col sorriso sulle labbra.

- Paura no professore. Ho solo fretta di iniziare. Non sono calma lo ammetto, ma non le permetterò di prendersi tutto il merito per questo intervento.

Il professore sorrise di fronte alla finta arroganza della sua allieva. Conosceva Kaori da quando era arrivata a Tokyo cinque anni prima. Il primo anno non era riuscita ad entrare: nessuno la conosceva, era prevedibile un risultato deludente al primo tentativo. Restò un anno internata a chirurgia II, il successivo tentò nuovamente e sbaragliò la concorrenza. Fu la prima. Itou aveva sempre ammirato la forza e la determinazione di quella ragazza. Molti colleghi la stimavano altri, soprattutto le donne, affermavano che era una ragazza facile, lui non prestava attenzione ai commenti, non gli interessava. L’importante che fosse in grado di fare il suo lavoro e questo sapeva farlo davvero bene.

- Vedremo dottoressa.

Kaori sorrise al professore. Era una sfida e questo le metteva a suo agio. Il rispetto che nutriva per il suo mentore era qualcosa che andava al di là della stima professionale. Lo rispettava, ma ciò non le impediva di prendersi qualche confidenza. Aveva imparato a non farsi piegare dagli altri altrimenti non avrebbe mai fatto strada nel mondo della medicina.

Entrarono nell’anticamera della sala operatoria. Un forte odore di disinfettante le fece arricciare il naso come ogni volta che vi metteva piede. I tre lavabi erano perfettamente lucidi come ogni volta. L’orologio posto sopra di questi segnava le otto e trenta. Puntuale come un orologio svizzero. L’intervento, come previsto sarebbe iniziato da lì a quindici minuti. Dodici minuti per le operazioni di lavaggio, tre prima che il professore desse il via.

- Non è passata a parlare con la signora Nakamura, come mai dottoressa.

Non era una domanda. Non era un’osservazione. Era un ordine esplicito. Il professore era un uomo ligio al dovere, ma prestava attenzione anche al rapporto tra medico e paziente. Prima degli interventi, anche i più banali, si premurava a rassicurare personalmente i pazienti e pretendeva che lo stesso facessero i suoi allievi. Non ammetteva una mancanza simile.

- Ha ragione professore. Solo che, non appena arrivata in ospedale, mi sono chiusa nella mia stanza a rileggere alcuni studi riguardanti proprio l’intervento a cui dobbiamo sottoporre oggi la signora.

- Dottoressa il compito di un medico è rassicurare il paziente, veda di non dimenticarlo per il futuro, ed adesso mi segua.

- Bene professore.

Kaori era mortificata dalle parole che le aveva rivolto il proprio insegnante. Aveva dimenticato il rapporto con il paziente e si sentiva in colpa.

Si lavarono le mani in silenzio, senza fiatare. Il professore Itou, quando voleva, sapeva essere severo. Entrarono in sala operatoria e subito due infermieri erano pronti con i guanti per i chirurghi.

La signora Nakamura era già incosciente. Kaori sollevò lo sguardo sulla paziente. Sembrava che dormisse. Prima di avvicinarsi ulteriormente al piano operatorio recitò un’ultima preghiera, poi attese che il professore iniziasse ad operare.

Tre ore dopo uscì dalla sala operatoria. Aveva un diavolo per capello: non aveva fatto nulla. Era rimasta lì ferma ad osservare il professore che operava. Non l’aveva fatta intervenire neanche quando la situazione era peggiorata a causa di un’emorragia. Non aveva fatto nulla. Il professore voleva punirla per la mancanza di rispetto nei confronti della paziente.

Kaori aveva tolto i guanti e li aveva buttati in malo modo in un cesto presente nell’anticamera della sala operatoria. Aveva tolto anche la cuffia che nascondeva i capelli, ed aveva liberato quest’ultimi dalla rigida crocchia in cui li aveva legati quel mattino.

- Dottoressa!

Kaori si era fermata e si era voltata verso il suo professore. Lo sguardo fisso oltre le spalle dell’uomo.

- Mi dica professore.

La voce di Kaori era dura ed alterata. Era arrabbiata con il suo supervisore e con se stessa. Aveva buttato alle ortiche un’occasione unica ed il suo insegnante offriva solo un’opportunità.

- Secondo lei perché oggi non le ho permesso di mettere un solo dito addosso alla signora Nakamura.

Altra constatazione. Altra risposta.

- Colpa mia. Immagino sia dipeso dal fatto che stamattina io non sia andata di persona a rassicurare la paziente, quindi, non ho meritato la fiducia di questa, né tanto meno la sua Professore.

- Esattamente. Adesso vada dai parenti della signora e comunichi l’esito dell’intervento. Dopo può ritenersi libera per tutta la giornata. Arrivederci.

Bene! L’aveva liquidata. Per quella giornata aveva finito. Ciò significava solo una cosa, non si sarebbe occupata più della signora Nakamura. Abbassò il capo mortificata. Strinse i pugni e se la prese con il suo professore, ma che senso aveva farlo? Era solo colpa sua se era stata estromessa.

- Bene. Allora vado.

A testa bassa uscì dall’ambiente asettico in cui si trovava. Una cocente delusione, ecco cosa era stato quel sabato mattina. Mestamente attese l’ascensore che la riportò al piano zero dove si trovava la sala d’attesa per i parenti. Li cercò con lo sguardo. La cuffietta di cotone stretta ancora in mano. Li trovò seduti in un angolo, gli occhi fissi sul tavolino di fronte. Due uomini ed una donna.

Si avvicinò alle uniche persone ferme in sala d’attese. Inspirò ed espirò poi con una calma che in realtà non possedeva, come capitava tutte le volte che si trovava a parlare con i parenti di pazienti che aveva operato, si schiarì la voce ed iniziò a parlare. Si sentiva una principiante.

- Siete i parenti della signora Nakamura?

Tre teste si sollevarono contemporaneamente. Un uomo anziano la guardò con i suoi occhi di un azzurro ormai sbiadito, completamente canuto e la pelle del volto macchiata dai segni del tempo.

- Sì, io sono il fratello.

Kaori annuì e si fermò ad osservare gli altri due parenti. Una ragazza all’incirca della sua stessa età ed un uomo più maturo. Osservò i volti dei presenti.

Decise di sorridere per allentare la tensione, sperò che gli altri tre cogliessero il suo tentativo di alleggerire gli animi. Poi con voce professionale riprese a parlare.

- Sua sorella è in terapia intensiva.

Appena finì di pronunciare la prima frase colse uno scatto nervoso da parte della più giovane dei tre. Si soffermò ad osservarla. I suoi occhi neri erano pieni di paura. Riprese a parlare osservando la ragazza che non aveva avuto il coraggio di parlare.

- È la prassi. Resterà lì fino a domattina, dopo sarà il professore a dire se potrà tornare in camera. L’intervento è andato bene, solo una piccola emorragia ma subito tamponata. Nonostante l’età la signora Nakamura ha retto bene sia l’anestesia sia lo stress pre-operatorio. Adesso dovremo attendere e vedere se il suo organismo saprà reagire alla nuova situazione. Abbiamo dovuto asportare un tratto maggiore dello stomaco, ma siamo comunque riusciti a dare continuità tra vie biliari, pancreas, stomaco ed intestino.

Si fermò cercando di dare il tempo, ai parenti della signora Nakamura, di elaborare le informazioni che aveva dato. Osservò i volti e notò che tutti e tre gli sguardi erano puntati sulla sua persona. Si sentì imbarazzata come capitava ogni volta che si trovava in quella situazione. Lei, in quel momento, rappresentava il legame tra il parente operato e il mondo della medicina.

- Dottoressa… come sta mia nonna.

Per la prima volta Kaori sentì la voce dell’unica presenza femminile presente. Osservò la ragazza e notò come le ricordava lei quando era stato suo nonno ad essere ricoverato in ospedale. Vedeva la stessa angoscia e la stessa ansia.

- Le ripeto. È in terapia intensiva. Domani sarà il professore a sciogliere o meno la prognosi. Io non posso dirle di più.

Alla fine prevalse il tono professionale. Non poteva permettersi di dare false speranze, era meglio preparare i parenti al peggio anche se… anche se era stata più ottimista del solito. Aveva detto che l’intervento era andato bene. Aveva detto che l’organismo della signora aveva retto bene. Aveva detto che c’era da aspettare, ma credeva di essere stata abbastanza positiva, forse quelle persone volevano di più ma lei non poteva. Non ne aveva l’autorità.

- Possiamo vederla?

Almeno questo poteva concederlo, o no? Poteva permettere di vedere la loro cara. Che male potevano fare?

- D’accordo, ma solo per pochi minuti e… non potrete entrare nella stanza…

- È la prassi, lo sappiamo.

Anche l’altro uomo aveva parlato. Adesso tutti e tre avevano espresso la loro opinione. Tutti e tre avevano dato voce ai propri pensieri. Kaori si ritrovò ad annuire e fare loro cenno di seguirla.

Presero l’ascensore interno, quello riservato al personale medico, e scesero di un paio di piani e si ritrovarono di fronte un corridoio grigio. La temperatura era decisamente elevata, tanto che la ragazza che era con loro tolse il pesante giubbotto che aveva, sino a poco prima, tenuto indosso. Camminarono silenziosi fino a giungere davanti ad una porta. Kaori bussò lievemente ed un’infermiera aprì loro.

- Buongiorno. Sono la tirocinante del professore Itou, accompagno i parenti della signora Nakamura nella stanza della paziente. Per favore, mi servirebbero tre tute usa e getta.

L’infermiera senza aprire bocca rientrò nella stanza e chiuse loro la porta in faccia.

- Si vede che l’educazione non è di casa.

Kaori si ritrovò a commentare il gesto dell’infermiera senza neanche rendersene conto.

- Per voi… per alcuni di voi, non per tutti però, è normale tutto questo. Intendo operare, parlare con i parenti, rassicurarli, accompagnarli in terapia intensiva. Per noi che stiamo da questa parte è tutto più difficile.

- Resta il fatto che l’educazione non dipende dal tipo di lavoro. O si ha o non si ha.

Dopo questo scambio di battute tra Kaori ed il più giovane dei due uomini, la porta chiusa si riaprì e l’infermiera diede loro tre buste di plastica dopo, la stessa infermiera, porse a Kaori un foglio dove la dottoressa mise la propria firma, restituì il foglio e la porta si richiuse senza alcun saluto.

- Io resto dell’idea che per fare certi lavori occorra una certa vocazione.

- Il medico si fa per vocazione.

- Forse una volta, adesso non più.

- Ma come fai a parlare in questa maniera. Tu perché hai scelto medicina?

- Io? Forse perché mi è sempre stato detto che questa sarebbe stata la mia strada. Kaori, io non sono come te. Non ho avuto la possibilità di scelta.

Si sorprese a ricordarsi di quella conversazione. Generalmente pensava ad altro che riguardasse il loro rapporto, raramente pensava alle conversazioni serie. Preferiva ricordare episodi più allegri. Le parole dell’uomo più anziano del gruppo l’avevano sorpresa e non poco.

Consegnò ad ognuno un sacchetto, attese che si vestissero e poi fece strada per altri corridoi. Raggiungere il reparto di Terapia Intensiva era una caccia al tesoro dato che i cunicoli ed i corridoi era interminabili. Alla fine dell’ennesimo corridoio si ritrovarono davanti la porta del reparto che stavano cercando. Kaori fece passare la chiave magnetica nell’apposito sensore e le porte si aprirono automaticamente.

Sorrise nel ricordare la sensazione strana provata i primi tempi che entrava in quel reparto grazie all’ausilio della chiave magnetica. Le sembrava di essere la protagonista di uno dei tanti film catastrofici che facevano alla televisione e che in estate propinavano a bizzeffe perché non avevano nessun nuovo programma da presentare.

- Per favore aspettatemi qui. Io controllo un attimo le condizioni generali della paziente e poi vi faccio entrare.

I tre annuirono, la più convinta parve la ragazza. Kaori sorrise ed entrò nella stanza numero tre.

La signora Nakamura sembrava dormire. Kaori sapeva che quel sonno indotto dagli anestetici si sarebbe protratto sino al tardo pomeriggio. Osservò le macchine collegate alla paziente, l’elettrocardiogramma era normale, una leggere bradicardia ma normale, probabilmente effetto di qualche anestetico. Controllò il contenuto del catetere. Esaminò il colorito della paziente. Toccò la cute tiepida. Tutto nella norma. Un ultimo sguardo alla tabella con la temperatura ed alla fine si decise di coprire la paziente con il lenzuolo fornito dall’ospedale. Non voleva mettere in imbarazzo la signora Nakamura anche se incosciente. Lo stesso valeva per i parenti. Il protocollo obbligava i pazienti di terapia intensiva ad essere nudi nei loro letti. Il tutto era per facilitare le potenziali manovre di rianimazione e poter ispezionare di continuo la cute del paziente e notare eventuali cianosi dei tessuti. Si fermò un ultimo istante, la osservò un’ultima volta e poi si avvicinò alla finestra della stanza, quella che dava sul corridoi dove si trovavano i suoi parenti. Tirò la tendina e si scostò. Uscì silenziosa e si mise in disparte ad aspettare.

La ragazza che aveva pressappoco la sua età aveva gli occhi lucidi e le mani poggiate sul vetro. Osservava il corpo inerme della donna.

- Entra. Però solo per pochi minuti.

Kaori poggiò la mano sulla spalla della giovane ed aprì nuovamente la porta che aveva chiuso con l’abbandono della stanza. La ragazza la osservò spaesata e poi annuì debolmente e si precipitò verso la donna dormiente.

- Grazie dottoressa. Mia moglie è morta quando Rika aveva solo quattro anni e da allora è stata mia madre a prendersene cura.

Kaori rimase immobile osservando Rika posare delicatamente la mano su quella della nonna. Non disse nulla né fece fretta alla ragazza per uscire. Attese in silenzio. Dopo solo pochi minuti la giovane lasciò la stanza con gli occhi pieni di lacrime che ormai non riusciva più a trattenere. Sorrise mestamente alla dottoressa e si buttò tra le braccia del padre dove diede libero sfogo al suo dolore.

*****

Dopo aver lasciato i parenti della signora Nakamura, Kaori decise di passare nel suo reparto per vedere come stavano gli altri pazienti. Dopo aver svolto la normale routine decise di poter tornare a casa, ormai erano le tredici e la mattina era finita.

Il pensiero di Hayato per un po’ l’aveva risparmiata. Si sentiva meglio. Più rilassata. Più tranquilla. Prese il pullman che l’avrebbe portata a casa e si andò a sedere nella fila infondo, il cappello sempre calcato per benino in testa.

Scese quattro fermate dopo, aveva intenzione di camminare un po’. Aveva chiamato sua madre durante il viaggio in autobus ed aveva chiuso che era stanca, peggio di stare tre ore in sala operatoria senza far nulla. Sua madre era capace di sfinirla anche a chilometri di distanza. Camminò per un po’ di tempo osservando la punta delle scarpe.

Arrivata a casa salutò cordialmente il portinaio, ritirò la posta e salì a piedi le scale. Girò le chiavi nella toppa e si stupì di non trovare la porta blindata chiusa a dovere. Entrò e chiamò Eriko a risponderle però fu Hayato.

Speriamo che finisca presto questo giorno nero,
speriamo torni un bel sorriso largo un anno intero.
Si spera vengano di nuovo le mezze stagioni
così almeno ci sarebbe un armistizio, asole e bottoni.

Anche oggi sono di corsa… ho pochi minuti grazie a Tanya per aver commentato. Stavolta ho scelto un pezzo di Alex Baroni, il titolo è “Speriamo” e fa parte della raccolta Semplicemente (conosciuta anche come SemplicementeAlexBaroni), uscita nell’autunno del 2002 a sei mesi dalla morte di questo grande artista che nella sua breve esistenza ci ha regalato grandi successi. Il prossimo aggiornamento sarà in data 20 dicembre!

   
 
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