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Autore: Alaska1914    16/01/2015    0 recensioni
[James Dean]
Alle volte certi ricordi sono più reali di altri.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Non la portò a vedere le stelle o chissà quale altra romantica meta, semplicemente la portò nello stesso mediocre locale dove si videro per la prima volta. La fece sedere nello stesso posto e lui di fronte; si ricomincia.
«Se me ne avessi dato il tempo ti avrei chiesto il tuo nome.»
«E poi?»
«E poi.. beh, penso che me lo avresti detto.»
«Henriette.»
«Bellissimo nome, ti avrei detto, e poi ti avrei chiesto se fosse francese e se conoscessi la sua variante italiana o che so io, hawaiana perché no.»
Lei sorrise, ma di un sorriso vero.
«E poi ti avrei chiesto perché sei così triste.»
«Come scusa?»
Lui non rispose, e nemmeno lei. Solo dopo qualche minuto di completo silenzio e occhi negli occhi disse: «Hariala.»
«Scusa?»
«Hariala è la variante hawaiana del mio nome. Quella italiana non saprei davvero, ma sospetto sia Enrica. A mio padre le origini dei nomi piacevano da matti, le sapeva tutte.»
Ci rimasero per ore lì dentro, ordinando forse un migliaio di patatine fritte e frullati.
Più lei rideva e più lui si rattristava: non sarebbe rimasto abbastanza per innamorarsene e sapeva che l'avrebbe rimpianto per tutto il resto della sua vita.
Era una ragazza difficile, una ragazza che si portava dietro le tristezze e gli errori di una vita, eppure era meravigliosa coperta dei suoi affanni e dei suoi dolori. Quando rideva risuonava il grido trionfante di una persona che ce l'aveva fatta nonostante la vita.
La sua voce riecheggiava come il canto degli uccelli più armoniosi. Pensandoci bene gli ricordava un qualche uccello, ma non riusciva bene ad inquadrare la specie.
«Allora, ce l'hai un ragazzo?»
«Ce l'avevo.»
«E poi?»
«E poi si è arruolato.»
Lei continuò a mangiare le sue patatine come se niente fosse, come se non avesse nessuna importanza.
«E dov'è adesso?»
«Non lo so.»
«Ah, sei quel tipo di ragazza? Quella che si tira indietro quando c'è da supportare l'amore della propria vita?» lo disse con sufficienza, con arroganza.
Non sapeva perché si sentisse così toccato da quel menefreghismo, soltanto non voleva trovarsi nei panni di quel povero cristo che adesso era a rischiare la vita chissà dove.
Lei smise di mangiare e di ridere e di fare qualsiasi cosa e prese a guardarlo, nello stesso modo in cui aveva fatto la prima volta e lì lui si accorse di aver detto qualcosa di grosso.
«Mia madre è schizofrenica, equivale a dire che mio padre mi ha cresciuta praticamente da solo; non è mai mancato ad una sola recita scolastica, gara di pianoforte, visita medica. Lui era la mia roccia, la mia ancora, ogni cosa. Riconobbero che non era una buona idea chiamarlo in guerra, ma poi lo fecero lo stesso. Mi mandava lettere ogni mese, dicendomi come dovevo prendermi cura di mia madre e di me. Non ho avuto bisogno di nessuno perché avevo le sue lettere, che erano come un manuale di guida alla vita. So come si sistema un rubinetto rotto e come regolare il frigorifero, ma non so come si dice addio. Non tornò mai dalla guerra, non ebbe neanche il tempo di mandarmi un'ultima lettera. Era lui l'amore della mia vita, non quell'idiota che è partito nonostante sapesse quanto tutto questo sia stupido e inutile per me, nonostante sapesse che va contro ogni mio principio morale. Dovrei sentirmi in colpa? Non ci penso affatto, la scelta di farsi ammazzare l'ha presa lui, io me ne sono tirata fuori prima che tornasse indietro in una bara. Non ho bisogno di seppellire altre persone, non ce la farei.»
Non appena finì di pronunciare quelle amare parole subito gli fu chiaro di quale uccello si trattasse: il Calidris Maritima. Sono degli uccelli molto piccoli ma tanto resistenti e duri a morire.
Fu lei ad interrompere il pesante silenzio creatosi dicendo: “Che c'è? Una storia strappalacrime ciascuno, no?”
L'accompagnò a casa quella sera, ma non entrò. Lei dovette subito scappare dentro, per via della madre e tutto il resto. Lui avrebbe voluto dirgli tante cose, ma alla fine non disse niente.
Tornando a casa non fece altro che pensare ai suoi mille sorrisi diversi e alle fossette sulle guance. Quelle sue mani minuscole, ma bellissime, chissà che meraviglioso suono producevano su di un pianoforte. Non sarebbe stato facile non vederla mai più, ma aveva qualche altro giorno e intendeva sfruttarlo. Per la prima volta dopo chissà quando tempo il suo unico obiettivo non era conquistare o possedere, ma appartenere.


Non si diedero un secondo appuntamento, sempre che quello del giorno prima potesse essere considerato tale, ma James si svegliò con quella voglia ardente di vederla. Quella voglia che brucia il petto e distrugge lo stomaco e così fece la cosa più stupida che potesse fare: andò in caffetteria e l'aspettò. Prese un caffè e stette seduto lì per quasi un'ora, gli occhi puntati sulla porta pronti a sorridere vedendola entrare, ma non successe. E allora decise di fare un'altra cosa stupida e si ritrovò davanti la porta di casa sua, dalla quale per altro lei stava uscendo di corsa.
Inchiodò a cinque centimetri esatti dal naso di lui e si appoggiò al suo braccio per non cadere. Lui fu pronto a sostenerla, gli venne quasi spontaneo, come se per tutta la vita si fosse esercitato per quel momento.
Si guardarono per un attimo che sembrò durare in eterno, ma era quell'eterno bello, quello che sembra sempre troppo corto.
«Mi dispiace di non essere venuta oggi, mi hanno trattenuta.»
Lui non rispose, ma sorrise, smettendo di sentirsi stupido.
Ad un tratto si sentì un urlo, non uno normale, sembrava un urlo disumano, disperato.
Henriette chiuse gli occhi e sussurrò qualcosa che somigliava ad un “mi dispiace”.
Le urla si facevano sempre più distinte e venivano da dentro casa e più quella voce urlava e più Henriette tremava e serrava gli occhi.
«Non puoi stare qui, devi andartene» gli disse poi, staccandosi da lui improvvisamente.
«Cosa succede? N-non capisco, non puoi tornare dentro, sei in pericolo? Io non capisco, davvero, lasciami capire» lui era in preda al panico perché quelle voci sembravano piene di odio e di cattiveria e non avrebbe mai permesso che le succedesse qualcosa.
«James, lei non è un pericolo per me, ma se resti lo diventerà. Penserà che sto complottando contro di lei, si fida di me oggi, quindi per favore James, te lo chiedo per favore, vai via. Ti prometto che mi farò viva e che starò bene, ma vattene via.»
Tutto questo lo disse sussurrando prima di sparire dentro quelle urla e lui non poté fare nient'altro che andarsene, ma non smise nemmeno un attimo di pensarci e l'idea del “grande viaggio”, che fino a poco tempo prima lo aveva entusiasmato così tanto, adesso lo infastidiva solamente.

  
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