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Autore: Elisa Stewart    18/01/2015    2 recensioni
[Dantana]
Dal testo:
Beh, il suo profilo, Santana, lo riconobbe immediatamente, nonostante l’oscurità.
Si sentì come paralizzata, mentre il cuore cominciava a strepitare nel suo petto – come volesse saltare fuori e scappare - e i polmoni smettevano di inalare aria. Quando fu di nuovo in grado di respirare, cercò di deglutire, non con poche difficoltà. Era la realtà quella che si mostrava ai suoi occhi o era solo un brutto scherzo della sua mente così tanto ossessionata da lei? Beh, non le restava che scoprirlo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Dani, Elliott/ Starchild, Kurt Hummel, Rachel Berry, Santana Lopez
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dantana is the way!'
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Attenzione: consiglio, durante la lettura, l’ascolto di “Perfect” e di “I won’t let you go” entrambe degli Hedley.
 
 
Perfect
 
 
Dedicata a RB Mad
 
per farle sapere che la supporterò
sempre e comunque perché sì
e perché se lo merita.

 
 
Santana Lopez stava lentamente impazzendo. Sempre se non era già partita di mente.
Ogni santissima volta che sentiva quella fottuta segreteria telefonica e quindi quella sua voce così... Così perfetta, sentiva la rabbia e la frustrazione crescere dentro di lei. E il bello era che non poteva nemmeno sfogarsi, perché quei sentimenti erano diretti solo e soltanto a se stessa. Sentiva di star arrivando al limite. Era consapevole che se fosse esplosa, sarebbe stata peggio di Snix e l’uragano Katrina messi insieme. Per questo aveva un disperato bisogno di fermarsi, allontanarsi dalla frenesia che aveva colto la sua vita in quel periodo, isolarsi dal mondo intero per una manciata di minuti. Ma non sarebbero bastati mai e poi mai. Perché una volta tornata alla realtà, quella tortura straziante sarebbe ricominciata. C’era un’unica soluzione: doveva assolutamente mettere le cose a posto.
Portò il cellulare sotto gli occhi e, sospirando, lesse per la ventiquattresima volta, circa, in dieci minuti le quattro lettere che componevano il nome del motivo principale della sua frustrazione. Ma del resto, il fatto che lei fosse totalmente scomparsa senza lasciare traccia dalla sua vita, era più che comprensibile. Prima l’aveva tradita e poi, quando lei aveva deciso di darle un’altra chance, l’aveva delusa ancora. Si sentiva in colpa. E disperata. Perché più il tempo passava, più diventava cosciente di averla persa, ormai. Era questione di una chiamata. Una chiamata che siglava definitivamente la fine della loro storia.
Quindi doveva assolutissimamente prepararsi psicologicamente al momento in cui Dani avrebbe pronunciato quella frase, quelle due semplici parole, che potevano significare parecchie cose: è finita.
E quale posto migliore se non il posto legato al ricordo più bello che aveva di lei? Il posto in cui avevano dato inizio a quella relazione così dolce e dolorosa allo stesso tempo.
Si, la spiaggia sotto al Ponte di Brooklyn. C’era il mare, i ciottoli colorati, si vedeva Brooklyn stessa, illuminata dalle luci dei palazzi... Insomma, un posto praticamente perfetto. L’unico problema era il maltempo: a giudicare dal cielo plumbeo e dal freddo, di lì a poco avrebbe nevicato. Ma Santana Lopez non si faceva mica fermare da quattro fiocchi di neve. Per questo poco dopo si ritrovò in macchina, armata di ombrello, giacca, cappello, guanti e sciarpa di lana.


Il traffico scorreva piuttosto lento a causa della neve che aveva cominciato a cadere qualche semaforo dopo che era uscita di casa. Ma non le dispiaceva, o almeno non tanto: così aveva più tempo per pensare ma, purtroppo, c’era anche la possibilità di non arrivare in tempo, anche perché aveva promesso a Rachel che sarebbero andati a cena da Elliott. Quindi, quando poteva, cercava di prendere strade secondarie e poco affollate ed evitare il più possibile i semafori. Purtroppo non sempre ci riusciva, si trattava pur sempre di New York, prima o poi ti saresti dovuto fermare ugualmente, per un motivo o per un altro. Infatti, ora era bloccata tra due macchine, in una lunga fila di auto, in attesa di continuare per la sua strada. Si abbandonò sul sedile, facendo aderire la schiena ad esso. Tirò un sospiro, sentendosi estremamente stanca di tutta quella situazione, pur sapendo di non averne il diritto. Eppure ogni tanto si chiedeva perché la sua vita sentimentale assomigliasse ad una serie tv per ragazzi, di quelle argentine, in cui il protagonista non riesce a tenersi una fidanzata senza incorrere in complicazioni, tradimenti e quant’altro.
Il colpo di clacson che le indirizzò il conducente della macchina dietro le ricordò che non aveva posteggiato e che era in fila davanti ad un semaforo. Si rimise in marcia, riuscendo ad intravedere tra le sagome dei palazzi la figura del ponte. Decise che, forse, era meglio proseguire a piedi. Così posteggiò –stupendosi di aver trovato subito posto – davanti ad un negozio di dolciumi- e si allungò verso l’altro sedile per prendere l’ombrello. Si assicurò di coprirsi bene: la neve aveva cominciato a cadere copiosamente e l’ultima cosa che le serviva era un raffreddore. Soprattutto ora, che non c’era nessuna Dani a prendersi cura di lei.
Scese dalla vettura rabbrividendo immediatamente per lo sbalzo di temperatura – le piaceva sparare il condizionatore al massimo quando guidava. Affondò mezzo viso nella sciarpa e aprì l’ombrello, riparandosi dalla traiettoria dei fiocchi di neve. Ecco un’altra cosa che non le dispiaceva affatto: una bella passeggiata. Se non fosse stato per il freddo, sarebbe stata ancora più piacevole. Si mescolò alla folla che camminava sul marciapiede, lanciando, di tanto in tanto, un’occhiata ai negozi alla sua destra. New York diventava uno spettacolo nel periodo invernale: era tutta piena di luci e colori e straripava di persone. E, non lo andava di certo a dire a tutti, ma pensava che la parte migliore fossero quei gruppetti di bambini che si formavano davanti alle vetrine- tutte addobbate per il Natale- dei negozi di giocattoli. Tutti con mani e naso adorabilmente attaccati al vetro mentre ammiravano, con occhi luccicanti, le meraviglie esposte e sceglievano il regalo da domandare a Babbo Natale. Poi, però, arrivavano i genitori e li trascinavano via e la magia finiva, per poi ricominciare al giocattolaio successivo.
Eh sì, l’ex cheerleader stronza del McKinley, in fondo in fondo, amava quei marmocchi che arrivano inaspettatamente e iniziano a migliorarti la vita, poco a poco, anche con un semplice sorriso.
Sì, un giorno le sarebbe piaciuto essere madre. Ma per adesso le veniva alquanto difficile fantasticare sul suo futuro da coniuge: la sua relazione –sempre se era ancora ammesso chiamarla così- era ferma ad un punto morto, e non accennava a riprendersi. Questo fino a quando Dani non si fosse decisa a chiudere per sempre. Era solo questione di tempo e poteva nuovamente considerarsi sola.
Senza rendersene conto, era già arrivata a destinazione e le sue gambe continuavano a procedere spedite, scendendo la ripida stradina che portava alla spiaggia piena di ciottoli di diversi colori. Come al solito, la vista mozzafiato di cui si godeva da lì, la fece immediatamente sentire come in estasi. Adorava starci, era il suo posto preferito in tutta New York. Ed era anche il posto più romantico, a detta sua, di tutta la città. Non per niente ci aveva portato Dani una volta. La sera in cui avevano deciso di ufficializzare la loro relazione. La sera più bella di tutta la sua vita. Sì, dietro la maschera da stronza senza sentimenti che portava di consueto – e che in pochi erano riusciti a toglierle-  si nascondeva una persona sensibile e piena di pregi.
Avanzò ancora tra le pietre – perché definirli ciottoli forse è stato troppo riduttivo- ricoperte di neve, facendo attenzione a non scivolare su di essa.  Prima di iniziare a crogiolarsi nella bellezza del riflesso di Brooklyn sull’acqua, controllò che oltre a lei, lì, non ci fosse nessuno. Rimase delusa nel constatare che qualcun altro aveva scoperto quanto potesse essere rilassante quel posto, specialmente di sera. Osservò la figura seduta poco lontano da lei: una ragazza, con un giubbotto nero ricoperto di neve, così come i capelli biondi raccolti in una treccia, teneva le gambe al petto e le “abbracciava” con le braccia, sulle quali era poggiato il viso. Il suo profilo... Beh, il suo profilo, Santana, lo riconobbe immediatamente, nonostante l’oscurità.
Si sentì come paralizzata, mentre il cuore cominciava a strepitare nel suo petto – come volesse saltare fuori e scappare - e i polmoni smettevano di inalare aria. Quando fu di nuovo in grado di respirare, cercò di deglutire, non con poche difficoltà. Era la realtà quella che si mostrava ai suoi occhi o era solo un brutto scherzo della sua mente così tanto ossessionata da lei? Beh, non le restava che scoprirlo.
Le gambe cominciarono a percorrere la distanza che le divideva, in movimenti quasi macchinosi. Mano a mano che si avvicinava, i suoi neuroni lavoravano sempre più furiosamente,  il respiro si accorciava, sentiva la terra mancare sotto i piedi. Da quando vederla le faceva questo effetto? E soprattutto, era davvero pronta ad affrontare una discussione? Dalla sensazione che avvertiva allo stomaco, e non solo da quella, poteva constatare di non esserlo affatto. Ma sapeva di aver bisogno di sentire la sua voce di presenza, e non tramite il messaggio della segreteria telefonica. Sempre se l’altra le avrebbe dato occasione di parlare prima di scappare.
Le arrivò accanto con il cuore che sembrava un cavallo impazzito e le gambe come fossero fatte di gelatina. Notò gli auricolari bianchi che le tappavano le orecchie, il che significava che toccava a lei fare la prima mossa. Si avvicinò ancora in modo che, con l’ombrello, riuscisse a coprire entrambe. Passò qualche secondo prima che Dani si accorgesse che la neve aveva smesso di cadere nell’area attorno a lei. Così alzò lo sguardo, sfilandosi le cuffie dalle orecchie, e incontrò il debole sorriso della latina, non poté trattenere un’espressione sorpresa e allo stesso tempo leggermente intimorita. Fece per parlare, socchiudendo lievemente le labbra, ma Santana la batté sul tempo:
“Così ti prenderai un malanno.” Disse non provando nemmeno a nascondere la preoccupazione che traspariva dal suo tono. L’altra non rispose, serrò le labbra e tornò a concentrarsi sui fari delle macchine che illuminavano il ponte. La Lopez, a quella sua reazione, avvertì una fitta allo stomaco ma osò ancora.
“Posso sedermi?” Niente, stavolta non l’aveva nemmeno degnata di uno sguardo. Si era semplicemente limitata e riporre le cuffie nella tasca del giubbotto, insieme all’Ipod.
Così Santana si accomodò su una pietra, non curandosi del brivido di freddo che la colse non appena il suo fondo schiena entrò in contatto con la neve.
“E’ bello che tu ti sia... Ricordata di questo posto.” Fece sentendo un certo orgoglio crescere nel petto. Ancora una volta, lei non rispose. Ma sapeva bene che la stava ascoltando, valutando ogni sua parola. Faceva sempre così. Voltò la testa nella sua direzione e si accorse, quasi immediatamente, che non era solo ricoperta di neve:
“Oh mio Dio, Dani. Da quanto tempo sei qui? Sei bagnata fradicia!” disse quasi scordandosi di respirare. Allungò la mano libera per toccare i suoi capelli, ma l’altra si scansò non proferendo parola. Santana la guardò con un’espressione seria: iniziava a sentirsi ferita e non capiva perché doveva essere così testarda e ostinata e rimanere chiusa in quell’odioso silenzio. Fece vagare il suo sguardo sulla sua treccia e, constatando che era la cosa migliore da fare, si permise di agire senza chiedere. Si alzò, lasciando l’ombrello a terra, si sfilò la giacca – non curandosi del fatto che la felpa che indossava non sarebbe bastata a tenerla al caldo- e la poggiò sulle spalle dell’altra, alzandole poi il cappuccio sulla testa dandole, per scherzare, una lieve spinta in avanti. Dani corrugò la fronte e la osservò sedersi nuovamente e recuperare l’ombrello.
“Così te lo prenderai tu, il malanno.” Disse cercando di apparire il più fredda e distaccata possibile. Odiava ammetterlo, ma ancora le importava di lei, e anche troppo. Il suo sguardo si soffermò sulle labbra che si distesero in un sorriso soddisfatto.
“Allora non hai perso la lingua...” La bionda arrossì violentemente a quella battuta e si voltò verso il mare, cercando di nasconderlo il più possibile. Sapeva, però, che alla latina non sfuggiva mai niente. Infatti, poco dopo, la sentì ridacchiare.
“Non mi importa, sinceramente. Voglio solo che tu stia bene.” Santana aspettò qualche secondo, continuando a guardare la sua figura. Dio era così bella sotto la luce della luna e di Brooklyn.
Prese un grosso respiro, sentendo il labbro inferiore tremare. Allungò un braccio nella sua direzione, spostandole una piccola ciocca di capelli dal viso, sorprendendosi del fatto che, stavolta, le permise di avere un contatto con la sua pelle.
“E so che se starai con me... Soffrirai, e sotto questo punto di vista vorrei che tu mi stessi il più lontano possibile.” La bionda strinse le labbra annuendo silenziosa, combattendo quelle lacrime che cominciavano a spingere per venir fuori. Anche Santana, dal canto suo, sentiva gli occhi farsi sempre più umidi e, per questo, abbassò la testa, concentrando lo sguardo sulle pietre di cui non era più possibile vederne il colore a causa della neve che le ricopriva. Respirò profondamente lottando con il nodo che si era formato nella gola. Perché doveva essere sempre così difficile?!
“Ma, chiamami egoista, incoerente e tutto il resto, io non riesco a lasciarti andare. Ho un disperato bisogno che tu mi stia sempre accanto.” Rialzò gli occhi su di lei, cogliendo le prime lacrime che avevano iniziato a rigarle il viso.
“Mi dispiace di averti delusa... Ancora. Non meriti di soffrire a causa mia... So che non sono perfetta – continuò vedendola voltarsi nella sua direzione e fissare quei grandi occhi castani sui suoi- ma continuerò a provare ad esserlo, perché tu meriti il meglio. E voglio essere io, quel meglio.” Ora anche lei stava piangendo, anche se non ne aveva nessun diritto. Il respiro cominciò ad accorciarsi sempre di più facendo alzare ed abbassare il petto irregolarmente. Dani la guardò schiudendo le labbra, che tremarono impercettibilmente, prendendo una grossa boccata d’aria. Passarono secondi, minuti, o forse ore. Nessuna delle due osava muoversi anche solo di un millimetro, sembrava persino che avessero smesso di respirare. Si guardavano, gli occhi incatenati, le mani che si avvicinavano sempre di più, fino a sfiorarsi, così come i loro visi. Le loro labbra si toccarono timidamente pochi secondi dopo. Fu un breve contatto che bastò, però, a ricordare ad entrambe cosa si provava a stare insieme. E ancora sguardi che dicevano più di mille parole, la mano di Santana che si posò sulla sua guancia, e un secondo bacio lento e intenso. E improvvisamente, tutto attorno a loro era scomparso: Brooklyn, il ponte, il mare, la luna... Non esisteva niente degno della loro attenzione, al di fuori delle carezze che le loro labbra erano intente a scambiarsi.
Si staccarono a malincuore, restando, però, abbastanza vicine da sentire i respiri caldi infrangersi sulla loro pelle.
“Dani... Io...” Cominciò la più grande, ma fu quasi immediatamente interrotta.
“Santana, io non voglio che tu provi a cambiare te stessa.” I grandi occhi d’ebano della piccola musicista, ancora pieni di lacrime, avevano ripreso a guardarla come facevano un tempo, anche se ,in realtà, non avevano mai smesso.
“Perché sei già perfetta. E io ti amo per quello che sei.” E detto questo si sporse nella sua direzione lasciando che le loro labbra si toccassero ancora una volta, e non dando alla latina l’opportunità da rispondere. Santana si lasciò andare a quel bacio più intenso e profondo, lasciando cadere l’ombrello e avvicinandosi di più a lei per poterle accarezzare il viso e asciugare le lacrime che ancora scendevano, copiose, dai suoi occhi. Dio, quanto le era mancato averla così vicino, poterla abbracciare e baciare, poterla amare. Questa volta non se la sarebbe fatta scappare. Perché senza di lei era persa, inutile, insignificante. E questo valeva anche per la biondina. Perché Santana era la parte di lei che si era smarrita. Erano l’una l’opposto dell’altra, due facce della stessa medaglia, lo Ying e lo Yang. Solo se stavano insieme, potevano davvero definirsi complete.
Si allontanarono poco dopo entrambe col fiatone.
“Ti amo...” Le sussurrò rivolgendole un piccolo sorriso, che fu immediatamente ricambiato.
“Anche io.- Rispose Dani asciugandosi le ultime lacrime con il dorso della mano.- Forse conviene andarcene... Tu non hai niente con cui coprirti...” Concluse poi, assumendo un tono leggermente preoccupato.  La più grande controllò l’orologio che portava al polso.
“Uffa, non abbiamo nemmeno il tempo di asciugarci e rilassarci un po’... Ho promesso a Hobbit che sarei andata con lei e Lady Hummel a cena da Starchild.” La bionda rise all’adorabile broncio che mise su l’altra.
“Però potrei disdire... E allora ci potremmo godere la serata, solo io e te.”
“Nah... Non conviene far arrabbiare Rachel. Ti prometto che domani ti porto a cena da qualche parte e potremmo recuperare tutto il tempo che abbiamo perso.” Replicò Dani, spegnendo quel accenno di sorriso malizioso che era nato sul viso dell’altra. Si alzò e Santana la imitò, aiutandosi con la mano che l’altra le aveva teso. Mano che poi sfruttò per tirarla a se e per far aderire i loro corpi in un dolce abbraccio. La più piccola poggiò il mento sulla sua spalla, facendo scorrere le mani sulla sua schiena.
“Mi sei mancata...” Sorrise per quella piccola frase, borbottata al suo orecchio proprio per essere sentita solo e soltanto da lei.
E da allora, Santana si ripromise che non l’avrebbe mai più lasciata andare. E mantenne quella promessa per il resto della sua vita.
 




N.d.Elisa
Ce l’ho fatta? Ce l’ho fatta. Finalmente.
Immaginate che questa os me la porta dal 5 Novembre, precisamente. Non sono mai riuscita a concluderla fino ad ora, anche se non sono per niente contenta del risultato. Il finale non è dei migliori, anzi, è uno schifo. Ma davvero, non sono riuscita a fare di meglio e mi dispiace tantissimo, perché ci tenevo che questa os fosse perfetta.
Ok, meglio lasciar perdere. Spero vi piaccia comunque.
Baci!
Elisa
  
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