Dicembre,
con la sua aria frizzante e gelida era infine arrivato, carico di
promesse come di regali. Il rifugio era un fermento di preparativi,
Isabel non si era risparmiata un secondo ad addobbare e canticchiare,
abbellire e preparare, nei tempi vuoti tra le lezioni, coinvolgendoli
tutti, in un clima che sapeva tanto di cartone animato della Disney.
A volte Mikey scherzava che prima o poi si sarebbe messa a cantare e
qualche scoiattolo e cerbiatto sarebbe sceso fin laggiù per
aiutarla
coi lavori.
Lei
rideva delle sue battute. Ma in effetti, quando non rideva, ormai?
Era completamente euforica per le imminenti festività e la
prospettiva di passarle assieme a loro, come una vera famiglia.
Solo
una cosa sembrava adombrare la sua felicità: la neve, o
meglio la
sua mancanza. Ogni notte Raphael la trovava sul tetto della rimessa
per auto che nascondeva l'ingresso all'ascensore, col naso per aria e
gli occhi pieni di attesa.
La
neve, diceva, doveva cadere, perché lei doveva rispettare
una
promessa.
Ma
natale si avvicinava a grandi passi e di fiocchi di neve non ce n'era
nemmeno l'ombra e nelle previsioni meteo niente faceva supporre che
ci sarebbe stato un cambiamento in tal senso.
Comunque,
Isabel aspettava, pazientemente.
Aspettava,
aspettava, aspettava.
Il
rifugio era ingombro di scatole e valigie, nemmeno fosse diventato
d'un tratto uno scalo di aeroporto: c'era Donnie che di tanto in
tanto controllava nei lati le scritte che indicavano cosa
contenessero e poi passava a leggere con scrupolo una lista ben
compilata e ordinata, dove annotava in fondo ciò che si
ricordava
all'ultimo secondo.
“Mikey”
chiamava poi, “hai preso gli ingredienti per la
torta?”
domandava, per esempio.
La
voce del fratello arrivava dalla cucina, indaffarata e distratta,
attenta solo per metà.
Raphael
si chiedeva come fosse possibile, ogni anno, ripetere sempre lo
stesso scenario: in vista della loro permanenza alla fattoria Jones,
tutti impazzivano per fare pacchi e pacchettini e non dimenticare
nulla di ciò che servisse.
Donnie
doveva assolutamente portare le sue ultime
invenzioni per
lavorarci come un matto anche mentre erano in vacanza; Mikey non
poteva lasciare a casa i suoi fumetti preferiti, almeno una
cinquantina, da rileggere fino alla nausea nei tempi morti, che per
lui era praticamente sempre; perfino Leo non era immune, con il suo
valigione di prodotti per l'affilatura e la manutenzione delle spade,
cosa che faceva praticamente di continuo, dato il periodo di calma
delle feste.
Lui,
Raph, doveva in genere portare solo i regali e il suo bagaglio di
brontolii per tutti. In genere era quello che faceva, anche se
quell'anno, in vista del suo primo natale con Isabel, anche lui si
era un po' fatto prendere la mano.
Ma
comunque nulla in confronto a loro.
Perciò,
mentre tutti andavano e venivano con i loro bagagli, lui ne
approfittava per allenarsi nel dojo, in silenzio e pace,
finché non
fosse arrivato il momento di partire.
Su.
Con un grugnito per lo sforzo. E poi giù, trattenendo il
fiato nel
momento di massima trazione, di bruciore nella tenuta, nel muscolo
che si tendeva.
Su
e poi ancora giù.
A
quanto era arrivato? Trecentonovantadu... tre... aveva perso il
conto, dannazione. Pompò ancora una volta verso l'alto i
bicipiti,
ricontando le flessioni da uno, con rassegnazione.
Su,
e poi giù.
Era
talmente concentrato che quasi non udì la porta del dojo che
si
apriva, col suo flebile cigolio. Di certo l'assenza di alcun rumore
di passi lo convinse che se l'era solo immaginato e la mente
ritornò
a contare le flessioni a terra, assorta.
Sei,
giù, sette, giù, otto, giù, i muscoli
chiedevano pietà ma non
poteva fermarsi, dieci, giù.
Su,
il viso di Isabel al contrario, che lo guardava con gli occhioni
trepidanti.
Quasi
perse la presa e il conto, sorpreso.
“Cosa
stai facendo?” la apostrofò, fermandosi e
sollevando il viso verso
di lei, che fluttuava a mezz'aria a testa in giù. Il suo
sorriso
sornione era davvero buffo, ma stranamente inquietante.
“Sta
per nevicare!” annunciò, la voce euforica che
rimbalzò ovunque
nel dojo vuoto.
Raphael
ridiscese giù, continuando le flessioni, lasciandola
lì a
galleggiare pigramente in attesa di una sua reazione.
“Il
meteo dice che non nevicherà” rispose alla terza
risalita,
guardando nel suo viso pieno di disappunto.
“E
invece nevicherà. Sta per nevicare. Andiamo a
vedere” incalzò
Isabel ostinata, mettendo le mani sotto il suo mento e tirando verso
l'alto, rischiando di strozzarlo.
“Non
nevicherà. Il tempo è troppo caldo e instabile
per nevicare”
esalò senza voce Raph, facendo forza per contrastare la sua
presa.
“E
vieni a controllare allora!” si impuntò lei,
decisa.
“Non
posso. Devo finire l'allenamento e poi andare ad aiutare Casey col
motore del furgone, è già tardi. E tu dovresti
andare a studiare,
invece” la rimproverò, continuando nel suo
esercizio, senza
prestarle troppa attenzione.
Sapeva
che Isabel non aveva avuto alcuna possibilità di svago nei
mesi
precedenti, troppo concentrata sulle lezioni di medicina che
diventavano sempre più complesse e stancanti, -passava le
serate a
guardarla studiare mentre ne approfittava per allenarsi, pur di stare
un po' assieme,- ma anche se avrebbe voluto lasciare tutto e
accontentarla, doveva in realtà uscire per cercare il suo
regalo,
come faceva ormai ogni giorno dicendole che andava da Casey.
“Domani
andremo a giocare con la neve, se davvero avrà
nevicato.”
“Ma
domani dobbiamo andare alla fattoria” ribatté lei
imbronciata.
“Meglio.
Sai quanta neve c'è laggiù ogni anno? Nevica
sempre, per quasi
tutto l'inverno. Ti potrai sbizzarrire, fino alla nausea. E il
laghetto ghiaccia e puoi pattinarci sopra.”
“Ma
non è lo stesso! È qui... è qui che...
oh, lascia perdere”
pigolò Isabel, con un tono deluso, poggiandosi sul suo
guscio, di
colpo.
Le
braccia di Raphael quasi si piegarono per l'improvviso aumento di
peso, rischiando di mandarlo a sbattere col mento al suolo, e fece
molta più fatica a tirarsi su.
“Sei
uno stupido, Raffaello” mormorò triste lei,
sdraiandosi su di lui
che ancora continuava a fare le flessioni, fino ad addormentarsi.
“Isabel?
Isabel! Svegliati! Se il sensei mi trova qui mi uccide!”
esalò
sottovoce Raphael, provando a svegliarla.
Era
tornato dal giro di ronda tardissimo, intirizzito dal freddo, e
stanco, e si era infilato nella stanza di lei di soppiatto, con la
dannata paura che il maestro potesse scoprirlo. Oh, non lo avrebbe
davvero ucciso, in quel caso, lo sapeva: lo avrebbe solo costretto ad
una ramanzina di ore, forse anche giorni, senza possibilità
di
scampo, con qualche bella punizione per condire il tutto.
Ma
per quello che voleva fare, si disse che ne valeva la pena.
“Isabel!”
sussurrò strozzato, provando a scuoterla.
Lei
mugugnò qualcosa che suonava come “sei uno
stupido, Raffaello”,
poi si voltò dall'altra parte, abbracciando il cuscino.
Con
uno sbuffo esasperato, Raph si fece coraggio e forza e, afferratele
le braccia, la tirò su, mettendola seduta.
“Dobbiamo
uscire! Metti il giubbotto!” mormorò, ottenendo
solo altri mugugni
in risposta, piuttosto contrari. Insieme al tentativo di risdraiarsi,
intercettato da lui.
“Sì
che vuoi uscire! Forza!”
Se
la issò in spalla e prese con una mano sola quello che le
serviva,
sperando ci fosse tutto. Poi, furtivo come sperava di essere,
scivolò
fuori dalla stanza, con la ragazza a mo' di sacco di patate e il
braccio libero ingombro di roba, mentre Isabel, biascicando nel
sonno, parlava a voce decisamente troppo alta.
“Dove
mi stai portando? Non ci voglio andare, stupido d'un Raphael!”
“Abbassa
la voce! Ti sto portando in un bel posto!”
“Un
corno! Sei uno stupido! Non ci vengo!”
“Ti
dico che ti piacerà! Fidati! E stai zitta!”
“Ho
i piedi gelati! Mettimi giù, idiota!”
“Vuoi
piantarla?”
La
mise giù con delicatezza, poi, combattendo contro il suo
precario
equilibrio da mezza addormentata e i suoi scatti sonnambuli,
cercò
di metterle il cappotto sopra il pigiama, i calzini e gli stivaletti,
imbacuccandola per bene con sciarpa e cuffia alla fine.
Sembrava
un enorme involtino dalle tonalità rossicce, in varie
sfumature.
Trattenne una risata, nel guardarla, giusto per non svegliarla
davvero.
La
riprese in braccio, e facendo orecchie da mercante alle sue
lamentele, ai suoi “sei uno stupido” e ai suoi
tentativi di
scendere dalle sue braccia, Raphael uscì dal rifugio e
percorse
velocemente canali sicuri e in disuso delle fogne, per non dover
essere costretto a percorrere la stessa strada al freddo e al gelo di
Dicembre.
Arrivarono,
infine, all'uscita che aveva in mente fin dall'inizio, e passandosi
Isabel sulla spalla, issò entrambi su per la scaletta,
spostando con
cautela il tombino sulle loro teste: una folata glaciale li
colpì
entrambi, talmente fredda da fare male quasi a respirarla.
L'intenso
e improvviso freddo sembrò riuscire dove lui aveva fallito:
con un
rantolo arrabbiato Isabel mugugnò qualcosa e poi
starnutì, di colpo
sveglia.
La
sentì muoversi a destra e sinistra, come se stesse cercando
di
capire, poi il respiro brusco di meraviglia.
Central
Park era una distesa completamente bianca, immersa nelle tenui luci
dei lampioni, di un lucore quasi soprannaturale, etereo come il
paradiso.
Cumuli
bianchi che adornavano gli alberi spogli, -donandogli quasi una nuova
chioma, dall'aspetto soffice come nuvole,- e che coprivano ogni
superficie lì attorno, congelando l'acqua della fontana ,
come vetro
gelido.
Poteva
quasi giurare di aver sentito il momento esatto in cui sorrise,
fisicamente.
Isabel
mandò uno strillo emozionato e si divincolò sulla
sua spalla e lui,
delicatamente, la mise giù, trattenendola però
vicino, tanto da
poterla abbracciare.
“Ha
nevicato! Mi hai portato dalla neve!” esclamò
euforica, allargando
le braccia come se volesse stringere tutto il parco.
Poi,
senza perdere un attimo, lo afferrò e lo
tirò verso
la fontana, completamente congelata, lì dove la neve era
più
candida e bianca.
Iniziò
a formare una palla, prima una piccola pallina compatta, che poi fece
rotolare per terra per farla ingrandire con pazienza; Raphael
capì
al volo e inginocchiatosi al suo fianco, cominciò a fare una
sua
sfera, dalle proporzioni enormi.
Isabel
gli tirò una palla di neve dritta in faccia, poi rise e
scappò a
gambe levate quando lui si alzò per vendicarsi, con le
braccia piene
di sfere compatte e ghiacciate.
La
battaglia durò un po', nessuno dei due voleva cedere, con un
pareggio e i cappotti completamente bianchi. Alla fine Raph la
bloccò
tra le sue braccia e si prese un bacio, come risarcimento per il suo
agguato, poi tornarono a dedicarsi al pupazzo di neve, lasciato a
metà per la battaglia.
Iniziò
a nevicare, mentre lo assemblavano, piccoli fiocchi lievi e teneri
che danzavano nell'aria attorno a loro, ma niente che potesse farli
desistere dal loro proposito: il pupazzo di neve finito li
guardò
col suo viso folle, il sorriso sghembo e gli occhi fatti di sassi
nella piccola testa fatta da Isabel; le braccia due grossi rami
nodosi e grotteschi infilati nell'enorme corpo fatto da Raphael.
“È
un nuovo Gilbert” soffiò esasperato lui,
guardandolo da una certa
distanza con lei, accorgendosi solo in quel momento che lo avevano
fatto nello stesso posto del suo predecessore; sentì che non
era un
caso, che era quello che lei voleva.
Isabel
sorrise, guardando emozionata la loro creatura bianca e folle,
pensando che finalmente aveva mantenuto fede ad un desiderio espresso
mentre creavano il primo Gilbert: se mai fosse rimasta lì,
con loro,
con lui, avrebbero dovuto fare un nuovo Gilbert ogni anno, in ricordo
di quel primo natale in cui si era sentita felice, per la prima volta
in decenni.
“Il
nostro Gilbert” ripeté lei, girandosi a guardarlo.
“C'è
ancora una cosa da fare” disse, prendendolo per mano.
Si
incamminarono poco distante, verso il limitare degli alberi scuri con
le loro chiome bianchicce e soffici.
Verso
Shadow.
“Ciao
Miciomiao” disse Isabel con affetto, inchinandosi davanti
alla sua
tomba, al piccolo arbusto ghiacciato dal freddo che in Settembre
avrebbe rifiorito con i suoi splendidi fiori arancioni.
Prese
due manciate di neve e le pressò nelle mani, mettendo la
prima palla
al suolo e la seconda, più piccola, proprio sopra.
Raph
la guardò un po' confuso mentre abbelliva la sua piccola
opera con
rametti e sassi ancora più piccoli, finché non ci
fu un minuscolo
Gilbert proprio di fianco alla tomba.
Isabel
si tirò su e si pulì i guanti innevati contro il
cappotto, con
tutta la calma del mondo.
“E
uno tutto per il nostro Shadow” esclamò davanti
alla sua
espressione confusa.
Raphael
capì e sorrise, dolcemente.
“Grazie”
la sentì dire, mentre lo guardava. Raphael lesse nei suoi
occhi
un'infinita gioia e gratitudine e si sentì in difetto,
nonostante
tutto.
“Non
sono potuto uscire con te, oggi, perché dovevo uscire per
cercare il
tuo regalo. Ma non ho trovato nulla di adatto, niente che potesse
essere perfetto per te, che ti stesse bene, che ti esprimesse,
che...”
Le
braccia di Isabel lo circondarono, in un attimo, e il passo
successivo fu trovarsi completamente avvolto nel suo abbraccio,
così
totale e sentito.
“Mi
hai appena fatto il regalo più bello, perfetto e adatto a
me” lo
interruppe, tendendo la testa verso l'alto, il naso ghiacciato che
toccava il suo mento.
Inchinò
appena la testa e baciò la punta del naso, mentre lei
ridacchiava.
Rimasero
stretti nel loro caldo abbraccio in mezzo alla romantica nevicata,
dimentichi di tutto il resto.
“Adesso
cosa ne dici se baciassi Gilbert e lo facessi diventare vivo?
Potrebbe venire con noi alla fattoria” disse Isabel
all'improvviso,
facendolo inorridire.
Mentre
lei rideva di gusto, Raphael se la issò in spalla e la
portò via,
sorridendo senza farsi vedere, felice, schifosamente felice.
Note:
Perdono!
Dovevo mettere i capitoli ieri, ma se un'amica chiama perché
ha
bisogno di parlare, io mi fiondo come Batman al vedere il batsegnale
e il resto deve attendere.
Ma
mi scuso davvero!
Comunque
ecco gli ultimi due capitoli e sì, come promesso, avrete
anche il
primo di “Don't let me go!” Abbiate solo un paio
d'ore di
pazienza! Please!
Abbracci
affettuosi!