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Autore: MattMalefor    18/01/2015    0 recensioni
Le tenebre si sono risvegliate e ora tocca a Tyler risolvere la situazione, gettandosi di punto in bianco in un mondo che non poteva credere possibile, ma che nei suoi sogni, accompagnati dall’anima di Luxio, era sempre stato vivido e reale. Tyler dovrà scoprire i misteri dietro alla Lama del Drago Bianco e ritrovare i suoi amici, apparentemente ostaggi dell’organizzazione diabolica chiamata “Ciclone delle Ombre”, un gruppo di credenti e sostenitori del potere oscuro di Sazandor, il Drago Nero, intenzionati a usare il suo erede per liberarrlo dalla sua prigionia e trovarsi un posto di rilievo nel nuovo mondo oscuro da lui promesso.
Tyler dovrà affrontare le Tenebre per scoprire la verità oltre a quella celata dietro le maschere di questi terribili Terroristi e inizierà a farsi spazio tra le ombre del passato che ha da sempre caratterizzato la sua famiglia e la storia dell’universo, così come lo conosciamo.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’abitazione di Tyler risiedeva in un armonioso quartiere di case,  distanti una buona mezz’oretta di viaggio dal centro città.  Le case erano tutte minimo a due piani e le mura che le formavano  avevano tutte tonalità di colori caldi o  semplicemente bianche, anche se il colore più comune era quello dei mattoni che ricoprivano le facciate principali.
Erano tutte munite di un piccolo garage e un giardino che circondava la struttura, separando  ogni abitazione con delle staccionate di legno.
Il quartiere di Tyler, in realtà, era più una sottospecie di enorme viale che conduceva alla periferia più remota, oltre una fitta foresta che stava ai piedi delle alte montagne che delimitavano in lontananza il confine del paese.
Era stata sua madre a decidere di spostarsi dal centro per andare a vivere in quel quartiere, come se i vari colori delle case l’avessero in qualche modo convinta con la loro aria accogliente e cordiale. In realtà la decisione di trasferirsi era stata presa anche perché la donna era convinta che il centro città fosse un luogo che istigava ad una certa violenza e apatia sociale, perché non tutti si conoscevano tra di loro e non tutti potevano fare amicizia, come invece accadeva nel quartiere dove i sorrisi dei vicini erano all’ordine del giorno, così come le orecchie tese del primo passante, per ascoltare i fatti altrui e spifferarli in giro.
Tyler condusse la propria auto lungo l’ampio viale,una mano sul volante e l’altra a pendere fuori dal finestrino con la sigaretta accesa stretta tra l’indice e il medio, scorrendo lentamente sulla strada vuota  e asfaltata, oltrepassando quella serie infinita di edifici tutti uguali.
Le strutture delle case avevano una sorta di schema che prevedeva una base in legno, con un piccolo ballatoio che dava sul giardino, dove spesso i vecchi sostavano per leggere o risposarsi all’aria aperta. Poi, un grosso blocco che poteva essere di qualsiasi materiale che riuscisse a sostenere la frequente pioggia autunnale e il vento primaverile e a seguire un classico tetto a mansarda, dove spesso e volentieri fuoriusciva un piccolo caminetto, adoperato solo durante le giornate più fredde dell’inverno.
Proseguì terminando il primo isolato,  la quale fine sembrava essere volutamente segnata dalla presenza di un palo telegrafico totalmente distrutto. Ogni volta che lo vedeva, Tyler si sentiva meno in ansia perché stava a significare che casa era finalmente vicina.
Non sopportava scorrere in auto sotto agli occhi dei vicini, erano sempre tutti pronti a salutarlo o a fermarlo per chiacchierare, anche se si trovava nella sua vecchia e fidata vettura dalla cromatura scarlatta ormai sbiadita dal tempo e ogni tanto un po’ traballante.  Anche se lo fermavano, lui non mancava mai di essere gentile o quantomeno cercava di non dare a vedere quanto gli importasse poco stare lì ad ascoltare i problemi delle vecchiette che hanno smarrito i loro maledettissimi gatti, i quali avevano semplicemente preso la decisione di vivere una vita solitaria, piuttosto che fare da fulcro di attenzioni per vecchiette piene di rimorsi e set di tazzine da caffè.
Per fortuna, però, al suo ritorno nessuno oltrepassò il marciapiede per fermarsi con lui parlare, dopotutto aveva già fatto il pieno quella stessa mattina e già se lo aspettava; figurarsi se al giorno del suo diciottesimo compleanno, i suoi adorabili vicini non si  prendevano la briga di elargirgli enormi sorrisi radiosi e tentativi di regali con vecchi vestiti di nipoti o figli ormai troppo grandi per indossarli e lui doveva ringraziarli, ringraziarli profondamente e sorridere, sorridere e sorridere ancora.
Tyler odiava l’ipocrisia e non sopportava l’idea di dover mettere una maschera, ma sapeva che in certi casi era giusto così. Per il quieto vivere suo e di sua madre, quantomeno, perché semmai fosse stato scortese con qualcuno dei vicini, sicuramente l’intero quartiere lo avrebbe saputo nel giro di un paio d’ore.

Quando Tyler arrivò a casa, compiendo in una volta sola i tre gradini che portavano al ballatoio di legno, la quale tettoia scura era sostenuta da piccole colonne striminzite e dalle forme arzigogolate, si chiuse la porta alle spalle e non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca per salutare la madre, che la donna gli fu subito addosso.
Era una donna bassa e tarchiata, indubbiamente molto più bassa del figlio. I capelli neri e scarmigliati le ricadevano sul volto sporco di farina come le mani, aveva occhi azzurri esattamente come il figlio, tratti induriti dalla stanchezza di un lavoro che ti porta via le energie, seppur dal profitto indispensabile. Malgrado i segni della stanchezza, lo sguardo della donna sembrava essere acceso da un ilare fervore e il sorriso stampato sulle labbra rosse ricordava a Tyler che sua madre era ogni giorno sempre  più vicina a diventare come i suoi maledettissimi vicini, più che ad un essere umano.
“Buon giorno mio piccolo festeggiato!”
Esclamò ilare la donna, andando ad avvolgere il busto del figlio in un abbraccio tritura costole. Tyler ebbe un singulto profondo e portò debolmente una mano sulla spalla della madre, accarezzandola.
“Sono tornata presto oggi!”
Disse la donna allontanandosi, esibendo un sorriso a trentadue denti, mentre Tyler si spazzava via la farina dal chiodo e dallo zaino.
“Lo vedo.”
Commentò sarcastico lui, liberandosi del giubbotto e lasciando afflosciare lo zaino sul parquet.
“Ti ho preparato una torta da portare da Cassandra questa sera!”
Aggiunse saltellando in modo gaio, sembrava veramente più entusiasta del figlio riguardo al festeggiamento del compleanno e sprizzava energia da tutti i pori.
Tyler spalancò gli occhi incredulo mentre affiggeva con noncuranza il giubbotto sul appendiabiti di legno.
“E tu come fai a saperlo?”
Disse, seguendo la madre in cucina percorrendo uno stretto corridoio che si interrompeva sull’immenso salone bianco, a destra e a sinistra portava al piano di sopra tramite delle scale di legno dal lucido corrimano, prima di continuare lungo la cucina, che stava proprio oltre al muro che delimitava la fine del salone.
La cucina era avvolta da una cappa di farina e Tyler dovette stringere gli occhi per distinguere la figura bassa della madre che armeggiava con gli utensili nel lavandino. L’unica cosa che fendeva quello svolazzante biancore erano la luce a neon che scintillava ronzando nella lampadina del soffitto e il bagliore emanato dal forno, che sembrava distendere ovunque  nella stanza un delizioso e caldo profumo di cioccolata.
“Beh, l’ho sentita ieri sera per telefono, mentre tu eri di sopra a studiare con Killian.”
Tyler inarcò le sopracciglia facendosi sfuggire un sorrisetto divertito. Studiare non era esattamente il passatempo adottato da lui e il suo amico, ma era meglio che sua madre non lo sapesse.
La donna tornò alla carica uscendo dalla fuliggine farinosa, aveva le mani bagnate e una fascetta che le portava all’indietro i capelli scuri, lasciandole la fronte libera, madida di sudore.
Sorrise.
“Come è andata a scuola?”
“Al solito.”
“Hai visto Cassandra? Come stava?”

Tyler sollevò gli occhi al cielo, spazientito da tutte quelle domande.
“Perché mi fai tutte queste domande su di lei?”
Domandò cercando con lo sguardo oltre alle spalle della madre, per vedere se vi era qualcosa di sfizioso per pranzo, anche se l’odore di cioccolato e la condensa, gli aveva fatto immaginare che il tempo di sua madre non fu relativamente sufficiente per fare sia la torta che il pranzo.
“Oh!  scusa se voglio sapere come sta’ la futura compagna di mio figlio.”
Disse lei, ridestando Tyler dai suoi pensieri di lupo affamato. Il ragazzo scosse il capo e guardò la madre con sguardo totalmente alieno. La sua cotta per Cassandra era qualcosa che aveva tenuto interamente per sé,  solo a Killian aveva accennato qualcosa, senza ovviamente dare dettagliate spiegazioni riguardo a quanto lo facesse sentire completo il solo poterla veder sorridere.
“Non guardarmi con quella faccia da stoccafisso! Una madre certe cose le sente!”
Aggiunse con una risatina maliziosa, dando una lieve pacca sulla spalla di Tyler, che non disse nulla per evitare fare in modo che la conversazione si concludesse il prima possibile.
“Vieni, ti ho tenuto da parte qualcosa per pranzo.”
Margery, sua madre, girò i tacchi, assicurandosi la sua più totale attenzione. Era evidente che anche lei non voleva fare leva sul discorso, tanto era certa di avere ragione.
Tyler la seguì a ruota, lei gli chiese di aprire una finestra e lui obbedì, allungandosi verso le ante in vetro alle spalle del tavolo da pranzo, quando le spalancò, l’aria esterna parve risucchiare completamente la cappa di fumo e farina sollevata dall’operato della donna, liberando i dettagli della cucina ora più nitidi.
Le pareti erano decorate da  carte da parati color panna, le piastrelle del pavimento erano di un beige chiaro e si intelaiavano tra loro formando una scacchiera obliqua a lisca di pesce.
Tyler sentì il venticello esterno oltrepassare le finestre, facendo ondeggiare le piccole tende arancioni affisse alle ante in legno verniciate di bianco. Il fresco contrapposto alla lieve calura della cucina lo fece sentir meglio, ma mai quanto il piatto di carne mista che gli presentò Margery quando si sedette. Afferrò rapidamente forchetta e coltello e cominciò ad ingozzarsi senza dire una parola, mentre sua madre ripuliva rapidamente il lavandino da tutte le stoviglie sporche.

Tyler finì di mangiare abbastanza in fretta e non appena ebbe bevuto una buona dose d’acqua, si fiondò in camera sua al piano di sopra, percorrendo gli scalini a due a due.
Doveva scegliere qualcosa da mettersi,  anche se né lui né Cassandra erano tipi da giacca e cravatta o abito nero, però voleva avere qualcosa di più particolare da mettere, il che si limitava alla scelta di una maglietta in particolare, dato che non si  sarebbe liberato del chiodo e questo Cassandra lo sapeva molto bene.
Raggiunse il corridoio alla fine delle scale. Un piccolo corridoio cosparso di mensole e tavolini accatastati al muro si dilungava da camera di sua madre a camera sua,  la porta del secondo bagno era proprio  nel muro affianco alla fine delle scale, e la camera di Tyler era preceduta da una portafinestra lunga e slanciata, che prendeva tutto lo spazio della parete.
Tyler entrò in camera sua e fu lieto di scoprire che sua madre non vi aveva messo minimamente becco; il solito disordine maschile regnava incontrastato in quei  dieci metri quadri. Le pareti tappezzate di poster delle band di Metal più famose dalle rock star meno in auge, fino ad arrivare alle locandine dei suoi film preferiti. Un letto a due piazze era disteso davanti all’entrata, le coperte bianche arrotolate in un confusionale cumulo di caotici lembi. Davanti al letto, una sedia e una scrivania sopra la quale torreggiava una piccola libreria sospesa con tutta la sua raccolta di romanzi Fantasy e drammatici, affianco ai fumetti di tutte le tipologie: manga, Marvel, DC e quant’altro.
Le persiane erano semichiuse davanti alle finestre aperte e una flebile luce grigiastra filtrava dalle fessure sinuose e strette, lasciando la camera nella fitta penombra che incorniciava il disordine generato dalle cianfrusaglie, dando al tutto un carattere quasi apocalittico, come se in quella stanza vi fosse appena stata un’epica battaglia.
Tyler spalancò le persiane della finestra sopra al letto e l’immensa luce della giornata lo accolse inondandolo come un fiume in piena, gettando la sua ombra alle sue spalle, lungo il pavimento cosparso di fumetti. Assaporò l’aria esterna avvertendo un senso di libertà magnifico.
Finalmente aveva diciotto anni, non smetteva più di ripeterselo e il fatto che Cassandra avesse pensato di organizzare una festa per lui rendeva il festeggiamento a dir poco splendidamente sopportabile.
Si perse ad osservare le nuvole lontane che sfioravano gli apici delle montagne oltre la foresta con il loro manto candido.  Le braccia conserte sul cornicione in legno delle finestre, le gambe incrociate coi piedi appena fuori dal letto.
 Gli servivano quei momenti di riflessione, lo aiutavano a mettere in ordine le idee-  piuttosto che la stanza-. la sconfinata distesa azzurra era completamente uniforme, almeno finché non arrivava a toccare le montagne frastagliate che pendevano fino alla fitta foresta, la quale andava a perdersi dalla vista di Tyler, nascosta dietro i molteplici ammassamenti di case.
Tyler si ritrasse subito non appena avvertì il telefonino vibrare nella tasca dei jeans, fece una smorfia delusa estraendolo, osservando che il mittente della chiamata non fosse Cassandra.
Una parte di lui sperava sempre che fosse lei alla cornetta ogni volta che il suo telefono vibrava, adorava quando era lei a pensarlo, ma non era il tipo da farsi strane illusioni o cominciare ad assillare qualcuno solo per sentirla, lui amava quando le cose operavano per un corso imperscrutabile, per la volontà di qualcosa di più grande.
Osservò il display e notò che il numero era sconosciuto, non era Killian e tantomeno Sonya (e fu grato di quest’ultima constatazione), dal prefisso sembrava che la composizione formasse un numero estero. Aggrottò le sopracciglia e rispose.
“Pronto?”
Disse, quasi fosse più  una domanda che un’affermazione. Quando la persona dall’altra parte del telefono rispose, Tyler sentì un forte nodo stringergli la gola.
“Ciao figliolo.”
Era una voce calda, baritonale, profonda. Non l’aveva mai dimenticata e per nessun motivo al mondo l’avrebbe scordata in futuro. Era suo padre.
Tyler rimase quasi boccheggiante, in un misto di stupore e rabbia che cominciò a scombussolargli la testa. Voleva urlargli di tutto per aver abbandonato lui e sua madre quando le cose si erano messe male con i soldi, voleva buttargli il telefono in faccia e per un attimo, il terribile impulso di scaraventare l’arnese fuori dalla finestra gli oltrepassò la mente in un lampo di dissennata ira, ma quando suo padre riprese a parlare, tutto venne vanificato.
“Ti ho chiamato per farti gli auguri, Tyler. Sei un vero uomo ormai.”
Ancora una volta Tyler rimase senza fiato. Per un attimo avrebbe voluto ringraziarlo e dirgli che in realtà gli mancava da morire. Erano anni che non lo vedeva e che non sentiva la sua voce, anni che non avvertiva l’affetto e il calore di un padre, che non praticava quelle attività Padre-Figlio, come andare a vedere le partite di Baseball, pescare o bere una birra assieme davanti alla TV. Niente di tutto questo gli era stato concesso, perché gli unici ricordi di suo padre si limitavano ad un “ Mi dispiace” prima che l’uomo varcasse la soglia di casa, lasciando sua moglie in lacrime e un ragazzino che dovette crescere troppo in fretta per aiutare sua madre a non varcare il profondo baratro della depressione.
“Hai una bella faccia tosta, lo sai? Non me ne faccio un cazzo dei tuoi auguri!”
Esclamò furioso, lieto che fosse stata la rabbia a prendere il controllo delle parole; voleva che sapesse quanto male gli aveva fatto, voleva che sentisse il rancore e l’astio che gli aveva lasciato.
“Lo so, Tyler, lo so. Ma un giorno capirai…la mamma come sta’? Ti prendi cura di lei?”
“Molto meglio di quanto abbia fatto tu.”

Rispose con una freddezza che lo lasciò quasi spiazzato, era sicuro che avrebbe proseguito sulla linea della collera, sfogando tutti quegli anni di soppresso risentimento che avevano stagnato in lui fino a macerare nell’odio più puro. Invece no. Fu algida apatia a intonare le sue parole e in qualche modo si sentì ugualmente soddisfatto.
Un lungo e imbarazzante silenzio si distese tra i due, ma Tyler sapeva che suo padre non aveva riattaccato, sentiva i suoi respiri grevi e profondi, come se stesse cercando di trattenere qualcosa.
“Dovete andarvene di li.”
Disse l’uomo di punto in bianco. Tyler cadde letteralmente dalle nuvole e spalancò gli occhi. Avvertì un peso insolito gravargli sulle spalle, mentre la profondità delle parole di quella frase presero a vorticargli rapidamente nella testa, come se dentro di essa si fosse appena scatenato un ciclone.
Tyler provò a parlare, ma la confusione  sembrava occludergli ogni via di risposta. Fece per aprire bocca quando la sua mente fu abbastanza in ordine, ma suo padre lo intercedette.
“Ti voglio bene Tyler. Addio.”
E il rumore del centralino cominciò ad assediare l’orecchio del ragazzo, afflitto dallo sgomento, dall’impossibilità di quell’assurda chiamata. Che suo padre avesse perso il senno? Cosa diamine voleva? Era sicuramente una situazione fuori dal comune, non aveva la più pallida idea di come gli era saltato in mente di piombare nuovamente nella sua vita con una telefonata simile, come un fulmine a ciel sereno.
Tyler allontanò il telefono, osservandolo con aria stranita. Si concesse un profondo respiro prima di sedersi sul bordo del letto a riflettere, per decidere se fosse il caso di avvisare sua madre, o quantomeno di prendere in considerazione il bieco avvertimento che suo padre gli aveva elargito.
No. Non se la sarebbe cavata così. Dopo anni che non si faceva sentire o vedere, credeva di poter rispuntare dal nulla ed elargire frasi senza alcun senso?  Decise di gettare il telefono lungo il letto, risparmiando all’innocente aggeggio elettronico un volo oltre la finestra e contro l’asfalto del vicinato. Si portò le braccia dietro al capo mentre distendeva il busto sul materasso morbido.
Puntò lo sguardo sul soffitto illuminato dalla luce esterna e per un attimo pensò che tutta la giornata era andata a farsi benedire, se non fosse stato per Cassandra, molto probabilmente sarebbe andata così, ma decise di cancellare quell’evento per il bene di tutti, sua madre si sarebbe risparmiata una buona dose di stress e, Tyler ne era sicuro, di pianto, una volta assicuratasi di essere sola.
Sapeva che anche lei risentiva molto della mancanza di suo marito, per quanto tentasse di essere felice, una parte di lei se n’era andata quella notte di  molti anni prima e quella certezza aveva sempre stimolato Tyler a stare affianco a sua madre ogni giorno sempre di più, non per cose sciocche come – Essere l’uomo di casa- ma per essere il figlio che Margery meritava.
Forse prendeva troppo rigidamente le responsabilità della vita, forse non riusciva a non farsi carico dei problemi dei più deboli, soprattutto se si trattava di persone a lui care, ma non poteva farci nulla, era fatto così.
 
  
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