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Autore: MaCk_a    19/01/2015    12 recensioni
Nel 1910, Virginia Gaetani ha diciassette anni. Fanciulla dalla natura vivace e allegra, si ritrova a dover reprimere le proprie esigenze a causa dei genitori, nobili che tengono all'onore e al rispetto più che all'amore.
La storia ha inizio quando a Virginia viene annunciato che un uomo ha chiesto la sua mano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Per i coniugi Gaetani non era stato semplice scegliere il nome dei propri figli: nome omen, lo sapevano bene, e non si poteva rischiare di assegnare alla progenie un destino infausto; in seguito a lunghe riflessioni, avevano infine deciso di chiamare Elio il loro primogenito; dopo tre anni era arrivato Leonardo e, dopo tre anni ancora, Quirino.

I baroni erano entusiasti dei propri figli e particolarmente lieti della ricorrenza del numero tre: i tre ragazzi, nati a tre anni di distanza l’uno dall’altro, facevano loro ricordare la Santissima Trinità, e il signore e la signora Gaetani speravano che la famiglia non si allargasse ulteriormente; cosa probabile, dato che la baronessa non era più giovanissima.

Quirino era solo un bimbetto quando, durante un giorno d’Estate, aveva guardato con una strana occhiata la madre. “Stai diventando un po’ grassa”, le aveva detto, ed era rimasto sgomento nel constatare che la pancia della sua mamma cresceva sempre più, sempre più! “Prima o poi scoppierà”, pensava, e in effetti accadde: il 28 Gennaio 1893 una bambina vide la luce.

Quirino aveva quattro anni.

La creaturina appena nata aveva privato il numero tre di tutto il suo valore, di tutto il suo significato. La creaturina, sì: era una bambina. E che nome dare a una bambina?

A Elio era stato augurato di risplendere quanto il Sole, a Leonardo di essere forte, coraggioso, un leone; a Quirino di distinguersi tra gli altri, come il Quirinale si era sempre distinto dagli altri colli romani. Inoltre, sicuri che sarebbe nato un altro maschio, i coniugi avevano già scelto il nome Vittorio, che però non sarebbe stato adatto a una donna; l’avrebbe resa ambiziosa.

Un’intera notte di riflessione era servita al barone per fargli prendere una decisione: la bambina avrebbe avuto tre nomi.
 
Virginia,
per indirizzarla verso la castità.
Bianca,
per farle capire che mai e poi mai avrebbe dovuto macchiarsi.
Maria,
per suggerirle una figura da emulare.
 
Crescendo, Virginia non aveva mai capito per quale motivo a lei non fosse stato augurato di vivere nella luce, nel coraggio o nell’unicità. Conservarsi puri era piuttosto un sacrificio.

E se la volevano pura, perché le avevano combinato quel fidanzamento?

“Sorridi, signorinella!” aveva cinguettato Anna, mentre le spazzolava i capelli, “se il tuo futuro marito ti vede così, se ne scappa”.

Se fosse, Anna. Se fosse.

Anche Silvia l’aveva amorevolmente rimproverata, dicendo che non era giusto affliggersi prima di conoscere questo signore, perché forse sarebbe stato bello, e buono, e affabile, e sposarlo sarebbe stato gradevole.

Virginia non si sentiva ottimista a riguardo, ma si sforzò di sorridere: Silvia, figlia di Anna, aveva la sua età ed erano state sorelle di latte; vi era tra loro un sincero affetto, e ognuna riteneva l’altra una preziosa amica. Per la signorina Gaetani, quell’umile cameriera rappresentava in realtà l’unica ascoltatrice e fedele confidente. I baroni sapevano di quella simpatia e non la apprezzavano, ovviamente; tuttavia le due ragazze si rivolgevano parola solo lontano dai loro occhi, e la cosa diminuiva il loro fastidio.

Camminando verso il salone, Virginia non si era sentita molto emozionata; pensava solo che, se fosse dipeso da lei, avrebbe scelto un abito più colorato per presentarsi al futuro sposo, e lasciato sciolti i capelli, anche. Ma nulla dipendeva o sarebbe dipeso mai da lei.

Avvicinandosi alla porta, aveva udito la voce di Elio, e questo l’aveva indisposta: se Quirino e Leonardo l’avevano sempre ignorata, limitandosi a criticarla in sua assenza, Elio si era preoccupato costantemente di vigilarla, sorvegliarla, sgridarla, mortificarla. Se Virginia parlava, lui la rimproverava per la bizzarria e l’irriverenza delle idee espresse; se taceva, le faceva notare quanto irritante fosse quel broncio che ostentava.

E ora Elio era in quella stanza, e parlava col suo fidanzato. E se il suo fidanzato riusciva a parlare con Elio, doveva essere odioso quanto lui.

Varcò la soglia con circospezione, e non poté trattenersi dall’alzare un sopracciglio, stupita, quando vide che l’uomo accanto a suo fratello era molto più bello e giovane di quanto avesse immaginato. I coniugi Gaetani sedevano accanto al camino e sorrisero, quando la videro. Anche Elio e l’ uomo si voltarono.

“Virginia cara! Mia amata sorella!”

La ragazza rimase impietrita, confusa, chiedendosi se il fratello fosse impazzito: Elio le veniva incontro, sorridente, e le poggiava le mani sulle spalle con affetto, spingendola con delicatezza verso il focolare.

L’uomo che li osservava, e che si presentò poi come Francesco De Martino, muoveva gli occhi dall’uno all’altra, curioso.

“Cielo!”, esclamò, “è come vedere la stessa persona!”.

In effetti, Elio e Virginia si somigliavano in maniera impressionante: i ricci castani, le sopracciglia che disegnavano due archi non sottili ma ben definiti, i grandi occhi sempre attenti, il naso delicato, la forma delle labbra: tutto era identico. Mentre però la bellezza a tratti efebica di Elio era ostentata quasi con sfacciataggine, quella di Virginia appariva repressa, costretta dal rigido abbigliamento, dalle rigide pettinature, dal rigido stile di vita; la carnagione diafana la rendeva simile a una bambola di porcellana e, proprio come una bambola di porcellana, aveva l’espressione triste e, a tratti, inquietante e inquietata.

Ma Francesco non era un grande osservatore, e non notò nulla di strano nella fanciulla; la trovò anzi graziosa, bella, compita e, sebbene gli sembrasse che a volte la baronessina fosse timorosa di aprir bocca, piacevole. Virginia, dal canto suo, scoprì in Francesco un ragazzo simpatico e sorridente e si sentì sollevata nell’apprendere che, in realtà, la domanda di fidanzamento non era stata ancora formulata; semplicemente, il ragazzo aveva chiesto il permesso di frequentare quella casa, sperando di potere in seguito proporsi alla fanciulla.
 


“Allora ti piace?”

Silvia pendeva letteralmente dalle labbra di Virginia: era corsa nella sua stanza non appena le luci erano state spente, ma non voleva rimanere troppo: si sentiva fuori luogo, seduta su quel letto a baldacchino, e temeva che qualcuno le sentisse.

Virginia sospirò, pensierosa. “Non che non mi piaccia”, esordì, “ma non credo di conoscerlo abbastanza per giudicare”.

Cosa aveva appreso di lui, in fondo? Quasi nulla: era venuta a conoscenza della sua posizione sociale e delle sue idee politiche, nient’altro. Si era mostrato gradevole nella conversazione e gentile nelle maniere, ma non le sembrava abbastanza per sostenere un matrimonio, e certamente non era abbastanza per far nascere in lei l’Amore; sarebbe stato abbastanza, però, se ella avesse cercato nell’unione coniugale una semplice scusa per abbandonare una volta per tutte la propria famiglia.

E di abbandonare quella famiglia ne aveva voglia, disperatamente.
  
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