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Autore: Lady Aquaria    22/01/2015    2 recensioni
"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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capitolo 21 prequel revisionato
21.
Dimentica.
Dimentica l'amore e forse
anche il dolore passerà

dimentica le cose belle
e tutto il male sai
di colpo sparirà...
…dimentica tu fallo per me
che ancora non so
dimenticare te…
[Raf – Dimentica]
 
Quello che seguì fu un periodo relativamente tranquillo, anche se Camus avrebbe preferito rintanarsi nella sua amata Siberia fino alla tanto temuta guerra, piuttosto che trascorrere l'attesa, che diventava ogni giorno sempre più snervante, al Santuario.
I suoi giorni, indipendentemente dal caldo torrido di quell'estate o dalle prime piogge autunnali, erano diventati ripetitivi: duro allenamento tutte le mattine –anche se agli esercizi preferiva la scherma con Shura o il karate con Milo o Aphrodite-, pranzo, studio intensivo fino a tarda sera e, dopo lo studio, si coricava molto presto, spesso dopo aver saltato la cena. 
Non lasciava spazio ai pensieri neanche un istante: l'ultima volta che aveva pensato a Mei aveva quasi ceduto al desiderio di recarsi in Cina e implorare il suo perdono.
Una cosa, quella, che non avrebbe potuto mai permettersi di fare, per il bene di entrambi.
 
Rientrando in casa dopo il consueto allenamento con Shura, trovò Cora in cucina, sul volto un'espressione poco amichevole.
"Maestro." lo salutò.
"Cora."
"Vi siete allenato anche questa mattina."
"Come sempre." replicò Camus, infilando nel cesto dei panni sporchi gli indumenti che usava per la scherma e il karate. "Le mie abitudini ti creano fastidio, forse?" aggiunse, ironico.
"Ieri sera non avete cenato." rispose Cora, indicando il vassoio che gli aveva lasciato sul tavolo e che aveva ritrovato quella mattina ancora intonso.
"Non avevo fame."
"E neanche la sera prima."
"Non avevo fame neanche la sera prima."
Cora ripose la ciotola di zuppa in frigorifero insieme all'insalata e alla trota che gli aveva cucinato.
"E' un peccato divino sprecare il cibo in questo modo. Non potete allenarvi come un indemoniato senza nutrirvi: state dimagrendo a vista d'occhio! Il vostro corpo prima o poi vi presenterà il conto."
Sbuffò irritato dall'insistenza di Cora.
"Vorrà dire che lo pagherò."
Cora scosse la testa.
"Quando succederà, e credetemi, succederà… sarà troppo salato, persino per voi."
 
**
 
16 novembre, Goro-Ho.
Dal canto suo, a Mei non andava poi così meglio: se al Santuario Camus continuava a perdere peso, Mei lo acquistava di settimana in settimana, seguendo rigorosamente le istruzioni del ginecologo. Tuttavia il suo piccolo equilibrio interiore, recuperato a fatica dopo il ritorno da Atene e mantenuto intatto grazie anche al lavoro che aveva trovato –insegnante di Taijiquan in un dojo in città-, era stato nuovamente incrinato grazie al fratello, che, una volta scoperta per caso la gravidanza, non le aveva dato tregua finché non era finita in ospedale: Shunrei le aveva raccontato che il Maestro l'aveva affrontato fuori di sé dalla rabbia.
"Non l'avevo mai visto così furioso, ho avuto paura, credimi."
Mai come la paura che aveva avuto lei, al pensiero di poter perdere la sua bambina. Le ore in ospedale, preda di doloretti vari dovuti all'estrema rabbia che aveva provato e alla tensione che era seguita, erano state atroci.
 
"Non ti faccio visita da giorni." osservò Milo dopo essere arrivato, puntuale come sempre, al Goro-Ho. "Ti chiedo scusa. E' che al Santuario ci sono state delle ribellioni e ho avuto diverse gatte da pelare."
"E hanno mandato te?"
Non comprese il tono che Mei aveva usato, tuttavia rispose tranquillo.
"O me, o DeathMask. E sai, meglio morire alla svelta e in maniera più o meno indolore che subire le peggiori torture."
Mei continuò a stendere il bucato senza voltarsi.
"Capisco."
Percepì un tono di voce parecchio strano in lei: qualcosa non andava bene? Era forse legato al bambino che portava in grembo?
"Tutto bene?" le domandò.
"Cosa ti fa pensare il contrario?"
"E' successo qualcosa."
"No."
"Non era una domanda." replicò Milo. "Mei, guardami. Guardami e dimmi che va tutto bene, se ci riesci."
La sentì sospirare.
"O me lo dici tu, o sarò costretto ad acchiappare tuo fratello ed estorcergli la verità con la forza." insistette. "Dopo il mio trattamento non so quante possibilità avrà di sopravvivere, ma va beh, a quello penseremo dopo."
"Ecco, sei contento?" sbottò Mei, voltandosi. "Non sto bene, ho trascorso le ultime quaranta ore in ospedale."
Il suo pallore e le occhiaie che le cerchiavano di scuro gli occhi lo spaventarono non poco.
"Che cosa è successo?" domandò, sentendosi il cuore in gola. Se fosse successo qualcosa a lei o al bambino e Camus l'avesse scoperto, l'avrebbe ucciso per non averla protetta abbastanza.
Gli avrebbe fatto passare le pene dell'inferno per non averlo informato della gravidanza, ma l'avrebbe sicuramente anche ucciso se le fosse successo qualcosa.
"Ho trascorso gli ultimi due giorni in ospedale, dove mi hanno ricoverato d'urgenza." spiegò Mei, riluttante. "L'ira quasi mi stava provocando un aborto. Argomento che, tra le righe, è stata la causa del mio malessere."
"Tu cosa?" esclamò Milo, prendendola per le spalle.
Aveva tenuto nascosta la gravidanza al fratello in ogni modo possibile approfittando della sua cecità, finché il fato non ci aveva messo lo zampino. Le parole che aveva rivolto a Camus erano irripetibili, ma ancora di più le parole che erano seguite dopo.
"Non penserai davvero di tenerlo?"
"Non ho mai pensato il contrario."
"Fossi in te prenderei in considerazione l'idea di abortire. Anzi, credo dovresti farlo."
Mai aveva provato una rabbia così smisurata.
"Pensaci, non è un'idea così malvagia." aveva detto Shiryu, massaggiandosi la guancia dolorante.
"Sparisci dalla mia vista, verme."
"Devi almeno pensarci. Come intendi crescere questo bambino?"
"A costo di fare ogni sacrificio possibile, a costo di fare anche tre lavori al giorno e spaccarmi la schiena per lui, ecco come intendo crescerlo."
"Senza padre? Che vita avrebbe questa creatura senza padre?"
"Gli farò da madre e padre, se necessario."
"Crescerà insieme agli altri bambini del villaggio che lo scherniranno perché bastardo. Le donne ti additeranno come una sgualdrina facile che si è fatta fregare da un laowai. Non sarai più libera nemmeno di andare al mercato! Nessuno ti assumerà, nemmeno per fare pulizie!"
"Allora lascerò per sempre questo posto."
"Non dire assurdità."
"Ascoltami bene, Shiryu. Dovessi anche finire col prostituirmi e vivere in un monolocale a Pechino mangiando solo sedano e acqua per garantire a mia figlia una vita dignitosa e tutto ciò di cui avrà bisogno, non ti darò mai la soddisfazione di vedermi strisciare ai tuoi piedi in cerca d'aiuto. Mai!"
"Dèi del cielo, Mei!"
"Stai tranquillo, il pericolo è passato e stiamo bene." rispose. "Non mi aveva mai parlato così. Prima dell'arrivo del Saint di Cancer, quel giorno, era una persona del tutto diversa."
Probabilmente DeathMask aveva in qualche modo trasmesso qualche microscopica parte della propria crudeltà a Shiryu, durante quell'attacco: eventualità molto rara, ma non impossibile.
"…per carità, non dirlo a nessuno."
"Certo che non lo dico a nessuno. Camus soprattutto, se non vuoi rendere vedova Shunrei prima ancora d'avere possibilità di sposarsi con tuo fratello." rispose Milo. "Con ogni probabilità, Camus sarebbe capace di uccidere anche me, se ti accadesse qualcosa."
"Perché mai dovrebbe?"
"Uhm… perché si preoccupa? Perché il suo primo pensiero al risveglio e l'ultimo prima di dormire sono rivolti a te?" esclamò Milo. "Credo che lui sappia benissimo dove vado quando mi assento dal Santuario. E non poter venire qui ad accertarsi di persona sul tuo stato di salute lo fa impazzire: ricordi quando io e Mu ti portammo a Milos per farti mangiare? A tua insaputa, e mi dispiace dovertelo dire così, ti scattai una foto e… una volta a casa, affrontai Camus facendogliela vedere."
Si ricordava eccome, in quel periodo era in uno stato pietoso.
"L'avrai traumatizzato, poveraccio." scherzò Mei. "E in tutto questo, dovrebbe fartela pagare perché vieni a farmi visita? Che assurdità."
"Beh… davvero non immagini il perché? E' geloso, anche se non lo ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura." rispose Milo.
Mei posò un paio di maglioni nel cesto del bucato.
"Altra assurdità. Sei un bravo ragazzo, Milo, davvero. Ma non sei il mio tipo e comunque, non ti ho mai visto sotto quest'aspetto." disse Mei, ferma. "E poi… ci si preoccupa e si è gelosi verso chi si ama, non verso chi ti è indifferente."
Milo le raccolse il cesto e si offrì di aiutarla.
"Sbagli, Mei. Per lui non sei affatto indifferente, credimi."
Sbatté una tovaglia nel cesto che Milo portava sottobraccio con più forza del dovuto e per poco non gli fece rovesciare tutto in terra.
"Si permette il lusso di essere geloso perché non gli sono indifferente, ma allo stesso tempo mi ha cacciata. Eppure non si dovrebbe essere gelosi di un gioco: guarda in che guaio mi sono cacciato per aver cercato un po' di compagnia. Guarda che non ho l'Alzheimer, ricordo ancora troppo bene le sue parole. Sono stata un bel passatempo e una facile preda, nient'altro. Io cinese, noi cinesi sciocche e stupide bamboline olientali." rispose Mei, caustica, posandosi le mani sul ventre. "Oh no. Te lo prometto, non mi arrabbierò più." aggiunse, in cinese, rivolta al bambino.
"Oddio no, Mei… no! Non è così. Déi, lui… " iniziò Milo "…non si dà pace. Ha eretto un muro altissimo tra sé e noi altri, quando cerco di parlare di te cambia discorso e diventa intrattabile."
Mei si asciugò rabbiosamente due lacrime.
"Però mi scaricata come una qualunque storiellina estiva." replicò. "Me lo merito d'altronde, non sono stata nient'altro che questo e me ne rendo conto solo ora. Alla fine ha ragione mio fratello, non sono che una sgualdrinella facile."
"Non osare mai più dire una cosa del genere! Maledizione, Mei, sono serio! Vorrei poterti spiegare, credimi. Vorrei poterti dire perché l'ha fatto." tentò di spiegarle. "Se sapesse che sei incinta, sono certo che amerebbe il vostro bambino così come ama te."
"Bambina."
"Prego?"
"Aspetto una bambina, una femmina." rispose Mei. "Grazie a Kwan Yin non è un maschio, ho pregato ogni giorno affinché me lo negasse, così almeno ho la certezza di non vedermelo portar via da Ares, un giorno. Ma è una femmina, e se anche per pura sfortuna ereditasse il Cosmo di suo padre, nessuno me la porterebbe via, poiché una donna non può aspirare a un'armatura d'oro."
Aveva pianto di sollievo per giorni interi quando l'ecografia le aveva confermato il sesso del nascituro.
Milo si schiarì la voce: a dire il vero, non era detto che una donna non potesse aspirare a una carica così importante, semplicemente nel corso della storia del Santuario non era mai successo prima che uno di loro mettesse su famiglia al punto da procreare e quindi trasmettere il Cosmo a un figlio. In ogni caso, se la creatura avesse ereditato davvero il Cosmo paterno –anche questa, eventualità rara, se non impossibile-, Mei, volente o no, avrebbe dovuto cedere la bambina così come le loro madri avevano dovuto fare con loro.
 
"Il tuo successore non è uno scavezzacollo come te, ma a quanto pare ha la tua stessa lingua lunga. Devi intervenire, Cardia. Io non ho potere sul tuo successore, ma tu, naturalmente, sì."
"Non ti agitare inutilmente, non le sta rivelando niente d'importante, stanno solo conversando."
Degél assottigliò lo sguardo.
"Sai anche tu che cosa potrebbe succedere se gli sfuggisse qualche parola di troppo."
Cardia levò gli occhi al cielo.
"Quella fanciulla è nata sotto il mio segno, ha un'anima molto robusta. La sottovaluti."
"In questo momento è solo una fanciulla gravida che teme di non poter crescere la sua creatura. Se il tuo successore le rivelasse qualcosa di troppo e lei si sentisse male, le conseguenze potrebbero essere disastrose."
"Conosci già il futuro, perché ti preoccupi tanto?"
"Quest'incognita non era prevista! Tu non comprendi la portata di quello che potrebbe succedere: se le capitasse qualcosa, Camus potrebbe anche non presidiare più la sua casa per starle vicino, l'esito della guerra sarebbe radicalmente diverso e il futuro prenderebbe direzioni che neanche noi siamo in grado di prevedere. Fermalo prima che possa dire cose delle quali potremmo tutti seriamente pentirci." 
Cardia sbuffò.
"E sia." rispose. "Però sono convinto che quella specie di scatola magica e quelle immagini in movimento che i nostri successori gradiscono tanto abbiano avuto effetti negativi sulla tua mente."
"Televisione. Si chiama televisione." lo corresse Degél.
"Come vuoi." rispose Cardia.
 
"A dire il vero…" s'interruppe Milo, portandosi d'improvviso una mano in testa. "Ahia!"
"Cosa c'è?"
"Credo che qualcosa mi abbia punto."
Mei corrugò la fronte.
"Vespe e calabroni dovrebbero essere in letargo, visto che fa freddo." rispose, allungando la mano e palpando il piccolo ponfo tra i capelli di Milo. "Ma posso sempre sbagliarmi."
"Pazienza, non importa. Brucia un po' ma non è insopportabile."
 
"Una Scarlet Needle. Hai usato una Scarlet Needle per zittire il tuo successore." esclamò Degél. "I miei complimenti."
"Sentirà bruciare per qualche ora, poi passerà. E' immune ai suoi colpi, stai tranquillo."
 
"…comunque mi spiace vederti così abbattuta. Un po' mi manca la Mei che rispondeva per le rime a Death, la Mei solare."
Mei sorrise amara.
"Quella Mei non la vedrai mai più. La Mei sciocca e ingenua pronta ad abbandonare tutto per seguire due occhi blu non esiste più, Milo. Se n'è andata insieme alla sua ingenuità."
Sapeva perfettamente che nessuna parola avrebbe potuto confortarla in alcun modo. Le sorrise triste, quindi le porse il cesto che si era portato appresso e che aveva messo da parte quando si era preoccupato.
"Ascolta… spero possa tirarti su il morale." le disse, porgendoglielo. "So che è il tuo compleanno, quindi auguri!"
"A parte il Maestro, sei il solo che se ne sia ricordato." sorrise Mei. "Ti ringrazio."
Scostò la prima pagina di un quotidiano ateniese col quale Milo aveva coperto il contenuto del cesto, e vi frugò dentro: un involucro da pasticceria, una rosa, una voluminosa busta argentata e un cofanetto di legno chiaro intarsiato.
Facile immaginare i mittenti dei primi due. Aprì la busta e dentro vi trovò una felpa dei Kiss nera, con il logo della band sul petto e The Demon sulla schiena.
"Tu sei tutto matto!" esclamò Mei, scoppiando a ridere. 
"Probabilmente ti andrà un po' larga, ma ho pensato potesse tornarti utile, visto che l'inverno è vicino e il parto è ancora lontano. Ti terrà al caldo." spiegò Milo. "Aphrodite dice che la rosa ti terrà compagnia molto a lungo senza appassire e beh, il dolce, come immaginerai, è da parte di Aldebaran."
"…e il cofanetto?"
Milo esitò.
"Quello… ehm…" mormorò. "Camus me l'ha mostrato stamattina, di ritorno da Atene. E' per te."
Mei sfiorò con delicatezza l'intarsio sul coperchio -una rosa dei venti con le indicazioni in un alfabeto a lei sconosciuto- e aprì lentamente il cofanetto esagonale: all'interno, un braccialetto d'argento con diversi ciondoli di cristallo raffiguranti le varie forme dei cristalli di neve.
"Si è ricordato…" mormorò, sfiorando le maglie che componevano il monile.
Le accarezzò la testa, con affetto.
"Certo che si è ricordato. Vedi che non sei indifferente ai suoi occhi?"
 
*
 
Tornato a casa dopo aver trascorso quasi tutto il pomeriggio con Mei, Milo posò il cestino di vimini sul tavolo, appuntandosi mentalmente di restituirlo ad Asha il giorno dopo, e sospirò, pensieroso: quell'ipotetica guerra aveva già combinato disastri prima ancora d'iniziare, aveva trasformato radicalmente –in peggio- le vite di tutti loro. Camus e Mei non potevano certo andare avanti così: pur fingendosi indifferenti, non riuscivano a smettere di preoccuparsi l'uno verso l'altra.
"Che cavolo di situazione." commentò tra sé e sé.
A essere proprio sincero, quel braccialetto Camus l'aveva sì comprato per Mei, ma non l'aveva incaricato di consegnarlo. Conoscendolo, si sarebbe irritato parecchio, anche se irritato non era affatto il termine più indicato.
Non osò immaginare che cosa avrebbe potuto combinare una volta scoperta sua figlia. A Mei non avrebbe fatto nulla di male, l'avrebbe strigliata per bene con una ramanzina epica, ma a lui, lo sapeva bene, avrebbe riservato –e a ragione- la parte peggiore: lui più di chiunque altro sapeva come avrebbe reagito Camus e quanto pericolosa poteva essere la sua ira.
Aveva promesso a Mei di mantenere il silenzio su quella creatura, ma anche a Camus aveva fatto delle promesse, quand'erano poco più che fanciulli.
In un modo o nell'altro, avrebbe comunque tradito la fiducia di uno dei due.
"Athena, aiutami. Mostrami quel che devo fare."
Perso nei suoi pensieri, avvertì appena, e solo all'ultimo, il lieve fruscio di stoffa nella stanza; affilò l'unghia, pronto a colpire l'impudente che aveva osato introdursi, e di soppiatto anche, nell'ottava casa. Non era tipo da perdersi in parole inutili quando doveva colpire, perciò caricò la Scarlet Needle e la lanciò, incurante: peggio per chi aveva osato violare le sue mura.
Ma, al contrario di ciò che accadeva sempre, non udì nessun gemito di dolore, solo uno sbuffo scocciato.
"Ma che accidenti... Cam!"
Brillavano di una strana luce gli occhi di Camus nella penombra della stanza, anche se il suo volto non tradiva la minima emozione, era come scavato nel ghiaccio.
Di solito, avrebbe commentato qualcuno, con la solita flemma che precede la tempesta.
"Che cavolo..." si lamentò Milo, accendendo la luce. "Mi hai fatto prendere un colpo."
Camus continuava a seguirlo con lo sguardo, restando seduto sulla poltrona del salotto con la solita aria gelida e imperscrutabile.
"Ti sembra il modo di fare, questo? Nella mia casa, al buio, a farmi prendere un mezzo infarto?? Se ti avessi colpito ti avreifatto male." aggiunse, indicandogli l'unghia, che si ritrasse tornando normale. "Molto male."
L'altro finalmente si decise a parlare. E la tempesta paventata prima, finalmente arrivò.
"Il tuo pomeriggio al Goro-Ho è stato piacevole?" domandò Camus, sempre calmo e glaciale.
"Il mio... cosa?"
"Non credere di poterti fare beffe di me come ti pare. Sono più intelligente di quel che credi. Sei andato in Cina, da Mei."
"Certo che ci sono andato, è il suo compleanno." rispose.
Camus annuì.
"Lo so che è il suo compleanno. Ma non si tratta solo di questo."
Ecco, ci siamo. Ora mi striglia per quel dannato braccialetto.
"Posso spiegarti." esordì.
Camus annuì, sogghignando ironico.
"Puoi spiegarmi." ripeté, caustico. "Sono curioso di sentire quali sciocchezze inizierai a propinarmi, dal momento che so già tutto."
Rimase a fissare il suo volto inespressivo per qualche secondo: esattamente, che cosa sapeva?
Difficilmente sapeva di sua figlia, o in quel momento non sarebbe stato così tranquillo.
"Che cosa sai?" domandò cauto, mentre Camus assottigliava lo sguardo.
"Ci stai provando con lei. Altrimenti per quale motivo da mesi ti rechi in Cina almeno due volte a settimana? Passi una volta, due, tre… ma qui si è superato il limite."
Boccheggiò, scosso dalle parole dell'amico.
Aveva frainteso tutto, considerava Mei una buona amica e non l'aveva mai vista sotto quella luce. Mai.
"Che cosa??" domandò, oltraggiato. "Spero tu stia scherzando!"
Camus si alzò, riducendo gli occhi a due fessure, iniziando a girargli intorno.
"Perché non vai a cercare compagnia altrove? Con la cameriera del pub di Megara, ad esempio. Vi spogliate con lo sguardo ogni volta che vi posate gli occhi addosso. Fai quello che più sei bravo a fare, ma non farlo con Mei."
"Fare il gigione con le ragazze, flirtarci e scherzare non significa saltare da un letto all'altro! Finché non faccio del male a nessuno, posso fare quello che mi pare, e non permetterti più di parlarmi in questo modo!" sbottò Milo, spintonandolo con malagrazia lontano da sé. "Chi credi di essere? Mio padre?"
"No, ringraziando gli Dèi. Ma vedi solo di stare lontano da lei o giuro che ti farò passare i quindici minuti più brutti della tua vita." minacciò Camus. "E sai che posso farlo."
Milo lo guardò, accorgendosi che con ogni probabilità l'amico non doveva essere del tutto in sé.
"Ne riparleremo quando sarai sobrio." disse, mettendo a tacere la vocina interna che gli consigliava di assestare un bel destro sulla mandibola di Camus. "Va' a farti una doccia fredda e a dormire, non sei in te."
Camus si voltò di scatto, bloccando la porta prima che Milo potesse chiuderla.
"Cosa ti fa pensare che sia ubriaco?"
"Se fossi sobrio non mi parleresti in questo modo."
 
Mattina, 17 novembre.
Impiegò qualche istante ad aprire gli occhi e mettere a fuoco il soffitto, in un bagno di sudore e preda di una strana spossatezza che non sapeva a cosa attribuire; Camus allungò la mano al comodino afferrando l'orologio, accorgendosi che erano le undici passate.
"Dannazione." borbottò, scostando le lenzuola e alzandosi. Ricadde sul letto come privo di forze e corrugò la fronte. "Okay, calma. A tutto c'è una spiegazione."
Raggiunto il bagno dopo vari tentennamenti, rimase diverso tempo di fronte allo specchio a domandarsi che cosa, esattamente, fosse successo la sera prima, per essere ridotto in quello stato.
C'era stata una qualche festa alla quale si era ubriacato al punto da non reggersi più in piedi?
Che sciocchezza.
No, doveva essere successo ben altro. Lui non si ubriacava praticamente mai.
"Maestro, come vi sentite stamani?"
Quando incrociò il suo sguardo, Cora strinse le lenzuola al petto, chinando il volto per non doverlo guardare, come ormai era abituata a fare.
"Come se avessi la febbre." rispose, sciacquandosi il volto con l'acqua fredda. "Dove sono stato ieri sera?"
"So che vi siete recato all'ottava casa, dalla quale siete tornato come se…" s'interruppe la ragazza.
"Come se?"
Cora sospirò.
"Come se foste un'altra persona." rispose. "Eravate fuori di voi dalla rabbia, blateravate qualcosa che non ho compreso, e vi ho sentito più volte lamentarvi, nella notte."
Annuì.
"Non ricordo niente di tutto ciò." disse infine. "Cora, sono stanco di parlare al tuo cranio. Puoi anche guardarmi quando ti parlo, ti assicuro che non mordo."
"Voi mi avete detto di non…"
"Ti dissi di non rivolgerti a me chiamandomi signore e di non entrare nella mia stanza e nel mio studio, ma non ti ho mai proibito di guardarmi mentre ti parlo."
Cora sollevò il volto dopo diversi secondi, accennando un lieve sorriso imbarazzato quando si accorse dello sguardo di Camus.
"Milo di Scorpio ha chiesto di voi, stamattina presto. Ha detto che vi attende all'ottava casa." disse, ricordandosi del messaggio che il Gold Saint le aveva affidato.
"Bene. Grazie." rispose Camus. Corrugò la fronte quando si accorse che Cora aveva lo sguardo fisso su di lui. "Cosa c'è?"
"Credo che vi abbia punto qualcosa, avete un brutto sfogo sul collo. Vedete? Proprio qui." gl'indicò, tenendosi a debita distanza: una specie di abrasione lunga un paio di centimetri,  larga quanto l'unghia del mignolo, dolorosa al tatto e circondata da un alone rosso.
Accidenti.
 
Dopo una veloce doccia, si cambiò e si decise ad andare all'ottava casa pur sentendosi ancora debole, sperando di non finire lungo e disteso da qualche parte.
"Salve." lo salutò Milo, quando lo sentì entrare in casa.
"Ciao. Riesci a spiegarmi che cosa è successo ieri sera? Mi sono svegliato in uno stato pietoso e non ricordo un accidenti... mi sono forse ubriacato?"
"Non proprio." gli rispose Milo, vago.
"Oh bene. La giornata non poteva iniziare meglio di così. In più, come se non bastasse, mi sono anche accorto di aver perso il braccialetto che avevo comprato per Mei. Dannazione."
A quel punto Milo si schiarì la voce.
"Il braccialetto. Sì. Credo sia il motivo per il quale abbiamo iniziato a litigare, ieri."
"Noi abbiamo litigato?"
"Sissignore." rispose Milo. "Ancora qualche minuto e saremmo venuti alle mani."
"E cosa c'entra il braccialetto?"
"Ieri era il compleanno di Mei, ricordi? Così quando sono andato da lei, gliel'ho dato."
Camus sgranò gli occhi.
"Un momento. Tu cosa?"
"Tu non avresti mai avuto il coraggio di darglielo, quindi l'ho fatto al posto tuo. Avresti dovuto vedere che faccia ha fatto quando l'ha visto."
"Santi numi, non avresti dovuto farlo."
"Siete due emeriti idioti. Quando capirete lo sbaglio che state facendo, quando tu lo capirai, sarà troppo tardi."
Camus si prese la testa tra le mani.
"Non ricominciare con questa storia, ti prego."
Mei era un tasto ancora troppo doloroso. Aveva sperato che i sentimenti nei suoi confronti s'attenuassero col passare del tempo, ma in cuor suo aveva sempre saputo che era una battaglia persa in partenza.
Milo sorbì un lungo sorso di caffè, guardando l'amico.
"Potessi, vi aprirei la testa, a tutt'e due. A te per un motivo, a lei per l'altro." si fermò prima che potesse dire qualcosa di troppo. "Imbecilli."
"Non hai niente di più forte?" domandò Camus, quando vide la tazza di caffè posata sul tavolino di fronte a lui.
"A quest'ora? Un po' presto mi pare, no?" replicò Milo, corrugando la fronte quando vide lo sfogo sul collo di Camus. Gli scostò i capelli e s'avvicinò per guardare meglio.
"Stai invadendo la mia sfera personale e la cosa mi irrita."
"Non ho intenzione di saltarti addosso, come ti ho detto già altre volte, tra le gambe hai quel qualcosa di troppo che non cerco in una partner."
Quando comprese che cosa aveva causato quello sfogo sull'amico, si coprì la bocca con una mano, preoccupato.
"E' solo la puntura di un ragno, rilassati." fece Camus. "Forse è questo che ha causato lo sfogo e il malessere."
"Ahem… no. E' la puntura di un altro genere di aracnide." spiegò. "Non ti arrabbi se ti dico una cosa, vero?"
"Dipende."
"Quello è il segno di una mia Scarlet Needle." ammise Milo.
Di riflesso Camus portò una mano al collo, sulla ferita, e assottigliò lo sguardo.
"Mi hai colpito?"
"Non è stata una cosa fatta apposta!"
"Ho trascorso una notte orrenda, con allucinazioni, dolore e tutta una serie di sintomi che preferisco non doverti ripetere e tu dici che non è stata voluta?"
"Servono quindici punture per morire, una sola è pressoché inutile." spiegò Milo. "A uno del tuo calibro massimo che provoca sono questi sintomi, nulla di preoccupante."
"E vorrei ben dire, ci mancava il contrario!"
A quanto pareva era stato abbastanza rapido da dirigere il colpo altrove per non colpirlo in pieno e l'aveva solo preso di striscio, quel tanto che bastava, però, a provocare gli stessi sintomi di una forte influenza.
"Ti dico che mi dispiace, okay? Pensavo a un intruso e non ci ho pensato due volte, ecco. Davvero Cam, non ti farei mai volontariamente del male."
"Anche perché prima di morire per una tua Scarlet Needle riuscirei a lanciarti un'Aurora Execution e congelarti le viscere, parola mia." protestò Camus.
"Hey, tu vai già sul pesante, non ti ho lanciato mica un'Antares!"
Camus aprì le braccia, lasciando indifeso il petto.
"Fallo, se vuoi. Tanto, peggio di così non può andare." replicò, non ricevendo altra risposta se non uno sguardo contrito. Lasciò l'ottava casa e si rintanò, pensieroso, a casa: aveva perso già troppo tempo e aveva un esame a breve.
 
 
"Maestro, vi arrabbiate se oso farvi una domanda?"
Camus sollevò lo sguardo dal libro di grammatica tedesca sul quale stava studiando ininterrottamente da ore e lo posò, per prima cosa, sul vassoio che Cora reggeva tra le mani, sentendo l'immediata reazione dello stomaco.
"No." le rispose, concedendole il permesso di entrare nello studio.
"Non uscite da qui da quando siete rientrato e ho visto che come il solito, non avete ancora mangiato, quindi ho pensato di portarvi qualcosa." spiegò Cora, prima di porgergli qualcosa. "Prima stavo rassettando in salotto e tra due libri che stavo spolverando ho trovato questa."
La foto che Milo aveva insistito per scattare a lui e Mei durante una giornata trascorsa ad Atene e che, nonostante le sue rimostranze in merito, su quanto detestasse comportarsi come un turista qualunque, li ritraeva all'Acropoli.
"Ebbene?"
"Chiedo venia per la mia curiosità. È la vostra sposa?"
Non proprio, a dire il vero.
"Ni." rispose. Non aveva avuto modo di chiederla in sposa, ma era così che considerava Mei.
Cora corrugò la fronte.
"Temo di essere un poco confusa dalla vostra risposta."
"Ni, perché pur considerandola mia moglie, non siamo sposati."
Ecco perché quella volta, mesi prima, quando spinta da Ares l'aveva toccato, aveva reagito in quel modo.
"Vi ha rifiutato?"
Suo malgrado, Camus sorrise.
"Oh no. Direi piuttosto che è colpa mia."
Cora sgranò gli occhi.

"Voi avete rifiutato lei?"
"Direi che ho rinunciato a lei, è diverso."
"Perché?"
Bella domanda.
"Per amore."
"Come si fa a rinunciare per amore a una persona che si ama?"
"Si deve, a volte, se la vita di quella persona è più importante della propria." rispose Camus. "A volte siamo costretti a scegliere tra due mali, e spesso la sola cosa che puoi fare è scegliere il male minore."
E perdere la vita di Mei sarebbe stato mille volte più atroce che rinunciarvi.
"Eppure, l'amate ancora."
"Ho detto che ho rinunciato a lei, non che ho smesso di amarla." la corresse Camus. "Non sono libero, Cora, mi pareva d'avertelo detto e ripetuto."

"Io non intendevo affatto…" si difese Cora, diventando pallida.
"Guarda che la faccenda della quarta casa era un bluff, quando ti ho minacciata ero furioso."
Lei sospirò.
"A tal proposito devo ancora chiedervi perdono per quanto accaduto davanti al sommo Ares. Non avevo idea che voi foste già impegnato."
"Non pensarci più, è passato." le rispose, scribacchiando su un quaderno. "So che sei stata obbligata a comportarti in quel modo. Tuttavia il divieto riguardante la mia stanza e il mio studio è e rimane attivo."
"Sì Maestro."
"E' tutto?"
"Sì… chiedo scusa per avervi disturbato."
"Non fa nulla." Camus voltò pagina e scribacchiò ancora qualcosa, che catturò l'attenzione di Cora.
"Ahem… scusate se mi permetto di correggervi ma il superlativo di gut non è gutten, ma am besten."
Voltò un paio di pagine, corrugando la fronte.
"Oh. Grazie per la correzione." la ringraziò. "Hai studiato lingue?"
"No. Conosco solo il greco e il tedesco poiché mio padre era ateniese e mia madre era di Klagenfurt." spiegò Cora. "Vi lascio studiare."
Appena la ragazza lo lasciò solo, chiuse il libro e prese la foto, guardandola.
Ricordava quell'abbraccio davanti al Partenone, il sorriso di Mei, il loro abbraccio, qualcosa che non avrebbe più vissuto.
Era davvero quello, il suo destino? Rimanere solo dopo aver assaggiato quel momento di vera felicità?
 
Più tardi, quella sera, adducendo come scusa un'emicrania dovuta allo studio intensivo e al colpo ricevuto da Milo, rifiutò l'invito di quest'ultimo e Shura ad andare al solito pub a bere qualcosa: non appena vide i fari delle due moto sparire nella notte, guardò l'orologio, deciso a fare qualcosa per la quale, lo sapeva bene, si sarebbe pentito nei giorni a venire.
Al Goro-Ho, esattamente come aveva immaginato calcolando il fuso orario, era notte fonda; disattivò il Cosmo per evitare di essere percepito e s'avvicinò, cauto, al letto.
Sotto spesse coperte che lasciavano intravedere appena il suo esile corpo, Mei stava dormendo su un fianco abbracciata ad un cuscino, il viso congestionato dopo aver, a quanto sembrava dagli occhi rossi, pianto a lungo. Al polso destro, luccicante grazie ai pochi raggi che filtravano dalle tende, faceva bella mostra di sé il braccialetto che le aveva, in un certo senso, donato.
Gli mancava oltre ogni dire.
Le sfiorò una guancia col dorso delle dita, tenendo a bada con immensa fatica l'impulso di distendersi accanto a lei, prenderla tra le braccia e sussurrarle che era stato tutto un brutto incubo e che andava tutto bene.
"So di averti fatto molto male e credimi, odio me stesso per questo." mormorò. Sapeva che la cosa migliore da fare era svignarsela alla svelta prima che si svegliasse, eppure era così difficile… si chinò fino a essere vicinissimo al suo volto "Mi ci è voluto tutto questo tempo per dirtelo, ma… ti amo. E non hai idea di quanto sia difficile per me restarti lontano e fingere che sia tutto a posto. Ti amo e mi manchi, non sai quanto. E un giorno capirai perché ti ho fatto tutto questo."
Si concesse un delicato bacio sulla fronte quindi, dopo aver frugato nella tasca posteriore dei pantaloni, posò, sul materasso, un altro dono per Mei, augurandole un buon compleanno.
 
**
 
Si svegliò di scatto, accorgendosi di aver dormito –eufemisticamente parlando- ancora una volta, raggomitolato nella poltrona del salotto. Con una smorfia di dolore si rialzò massaggiandosi il collo dolorante giusto in tempo per sentire bussare alla porta.
S'avvicinò lentamente e dallo spioncino vide Milo e Cora.
"Vedete? Non risponde. Si comporta così da giorni."
"Camus, avanti, so che sei dietro la porta. So che ci sei e che mi stai guardando dallo spioncino senza rispondermi sperando che molli l'osso e me ne vada, ma non lo farò."
Piccola spiona.
"Vattene." sibilò. "Cora, quando ti ho detto che avresti avuto qualche giorno libero non significava: dai l'allarme a tutto il dannato Santuario. Andatevene."
Milo annuì: come aveva previsto, Camus era dietro la porta e nel silenzio dell'undicesima casa, attraverso quei pochi centimetri, poteva anche sentirlo respirare.
"Ah no. Ora mi ascolti. Sei chiuso qui dentro da giorni, non sarebbe ora di uscire e di vedere gente?"
"No."
"Ma non puoi rimanere chiuso là dentro."
"Certo che posso."
Frustrato, Milo appoggiò la fronte alla porta.
"Dannato francese, tu e la tua ostinazione. Almeno lasciami entrare."
"Esattamente, quale parte di no non ti è chiara?"
"Oh, capisco. Sei diventato un vampiro e temi la luce del sole perché letale."
Idiota. Seduto a terra, la schiena contro la porta, Camus scosse la testa.
"Camus sto per perdere la pazienza. O apri questa maledetta porta o la sfondo." borbottò Milo.
"…je ne veux pas sortir, je ne veux pas voir personne, je ne veux pas parler à qui que ce soit, je veux rester seul! Va-t'en." replicò Camus, fermo. "Laisse-moi en paix." [Non voglio uscire, non voglio vedere nessuno, non voglio parlare con nessuno, voglio restare solo! Vattene! Lasciami in pace!]
"Sai che non parlo francese."
"Afìste me ìsycho!" [Lasciami in pace!]
Su insistenza di Milo, Cora se ne andò, lasciando soli i due uomini.
"Dèi del cielo, sono preoccupato per te!"
"Non devi."
"Siamo amici, è mio dovere preoccuparmi per te. Dai, apri… parliamone."
Camus si alzò esasperato. Aprì la porta e senza aspettare Milo, si diresse in camera, afferrando due giacconi dall'armadio.
"…per Athena, finalmente rivedo la tua faccia, iniziavo a dimenticarmi come fosse fatta." esclamò Milo, sgranando gli occhi quando vide le occhiaie sotto gli occhi blu dell'amico e la sua barba di almeno tre giorni. "Nosferatu? Sei proprio tu?"
In risposta Camus gli piazzò in mano un cappotto.
"Ne vuoi parlare? Bene. Allora seguimi e stai zitto."
"Ma…"
"Ancora una sillaba e ti faccio passare un brutto quarto d'ora, parola mia."
Milo mimò il movimento di una cerniera sulle labbra.
"Sarebbe la volta buona."
 
***

Lady Aquaria's corner. 
(Capitolo revisionato in data 31 agosto 2015)
Qui appare anche Cardia, in via del tutto eccezionale poiché non credo ci sarà modo di... come dire… usarlo ancora. Tuttavia ho cercato di mantenerlo più IC possibile secondo come si comporta nel LC e nel Gaiden a lui dedicato. Così non fosse, fatemelo notare (gentilmente). Inoltre, per quanto riguarda i miei personalissimi punti di vista, i Gold del passato hanno, in un certo senso, potere d'azione sui loro successori come in questo caso, nel quale Cardia zittisce Milo con una Scarlet Needle che, comunque, non ha effetto su di lui poichè immune. Potere che possono usare solo in certi casi e non per i propri scopi personali.
-Gut, gutten, am besten: ho cercato su Wiki. Ergo, se è sbagliato, fatemelo notare. 
-Laowai: straniero, in cinese.
-...bamboline olientali, olientali, con la "l" e non con la "r" è voluto, non è un errore di battitura. :) 
Per il resto, le note sono direttamente nel testo.
Grazie come sempre a chi segue e recensisce, alla prossima!

Lady Aquaria

   
 
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