-Capitolo 2-
Alla fine si era deciso che l’avrebbe accompagnata nel
luogo dove risiedeva quella persona che portava vesti simile alle sue, le aveva
detto Kohaku, sicuramente avrebbe potuto trovare delle risposte più
soddisfacenti in sua compagnia. Reiko non sembrava ancora convinta ma alla
fine, suo malgrado, si trovò costretta ad accettare un ulteriore favore da
parte del ragazzo davanti a lei e che prima le aveva salvato la vita.
L’idea di parlare con una sacerdotessa non la entusiasmava
poi molto, dopotutto, lei che aveva rinnegato ogni divinità e non credeva che
potesse esistere una forza superiore a guidare il mondo, era proprio l’ultima
persona a voler ricevere consigli da qualcuno che lavorava in un tempio – ma
non c’era altra scelta.
La serata trascorse così, accompagnata dalle note della sua
chitarra e da qualche domanda, di tanto in tanto, su quello che doveva
aspettarsi da questa sacerdotessa ma Kohaku si limitava a dire che avrebbe
potuto valutare da sé una volta arrivata al villaggio.
Alla fine giunse l’alba che rischiarava con i suoi raggi
dorati le cime degli alberi, aprendo il cielo a un nuovo e luminoso mattino.
“Se qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei viaggiato
in groppa a una specie di gatto gigante gli avrei riso in faccia”, pensò
divertita mentre guardava Kohaku salire in groppa a Kirara e farle segno di
seguirla.
Sistemò la chitarra su entrambe le spalle questa volta,
dividendo equamente il peso e assicuratasi di non aver perso niente salì
anch’ella.
Strinse la presa attorno alla vita del ragazzo ma stando
attenta a non appoggiarsi troppo per via di quella strana arma legata sulla
schiena, chiuse gli occhi e dopo un sobbalzo si trovarono a volare nel cielo.
Riaperti gli occhi nocciola si trovò completamente rapita
dallo scenario davanti ai suoi occhi, così diverso e lontano da quello della
città e più quieto – faceva uno strano effetto, ma non per questo era cosa
sgradita.
Kohaku la osservava con la coda dell’occhio e nel vedere i
suoi lineamenti, tralasciando quello strano segno a forma di drago sul viso,
sembrava davvero avere qualcosa in comune con sua sorella.
“Ma no, è impossibile” si ripeté mentalmente, “è soltanto una mia impressione”.
Era solamente quello: una banale sensazione.
Forse, pensò ancora, era per il fatto che non vedeva sua
sorella da tantissimo tempo e con lei il monaco che aveva scelto come marito e
i suoi nipoti.
La mente di Reiko, invece, aveva lasciato da parte la
sensazione di familiarità che sentiva provenire dal ragazzo per concentrarsi su
qualcosa di più attuale: tornare a casa.
Se non fosse rientrata subito, o almeno non avesse fatto
una chiamata, suo zio avrebbe smosso tutti i suoi uomini per ritrovarla e non
faticava a immaginare le conseguenze vista la tensione che c’era in quei giorni
a casa.
Senza accorgersene quei pensieri avevano fatto aumentare la
stretta delle mani attorno alla vita di Kohaku, il quale piegò appena il viso
in direzione della ragazza e domandò se andava tutto bene ma Reiko annuì, meno
sorridente di quando erano partiti, confermando che non aveva altri problemi se
non quello di tornare in fretta a casa.
Viaggiarono per circa un ora quando Kirara cominciò
lentamente a ridiscendere fino ad atterrare in prossimità di un pozzo, allentò
la stretta attorno alla vita di Kohaku e scese a terra continuando a guardarsi
in giro.
« Se vai in direzione di quel grande albero troverai il
villaggio di Musashi. »
Aggiunse Kohaku indicando un albero altissimo, più alto di
tutti gli altri e che di certo attirava l’attenzione con la sua maestosità. Non
aveva mai visto un albero simile in città.
Solo dopo diversi
attimi di contemplazione si rivolse a Kohaku, visibilmente a disagio e
passandosi una mano tra i corti capelli con una certa foga. Odiava sentirsi in
debito, le avevano sempre insegnato che ogni debito e favore andava ripagato,
dare e avere, le leggi del mondo in cui viveva e della società nella quale era
cresciuta.
« Kohaku, senti, ti ringrazio davvero per tutto quello che
hai fatto per me. L’ho apprezzato molto. »
Accennò un leggero sorriso senza spostare lo sguardo da
quello di Kohaku.
Per qualche ragione che non capiva si sentiva in imbarazzo,
tant’è che un leggero color porpora si propagò sulla punta delle orecchie,
abbassò il viso e tornò a guardare avanti a se.
« Non mi devi niente.
Se proprio vuoi sdebitarti … Non dire che sono stato io a
salvarti, d’accordo? »
Era davvero passato molto, molto tempo da quando era andato
a trovare la sorella e il passare dei giorni aveva reso la sua visita sempre
più difficile.
Reiko lo guardava, o meglio cercava di decifrare la sua
espressione.
In due cose si reputava davvero brava: con le mani e con
l’osservazione attenta e meticolosa. Questi erano i suoi vanti.
In quel momento si accorse che c’era qualcosa che
preoccupava il ragazzo, qualcosa che andava al di là della semplice richiesta,
alla quale, acconsentì e dopo averle ricordato il nome della ragazza a cui
doveva rivolgersi se ne andò via.
Rimase un po’ ferma, mani in tasca e gli occhi puntati al
cielo.
“Kagome, eh? Speriamo sia ancora da queste parti.”
Tolse una spallina dalla spalla e fece scivolare davanti,
almeno per metà, la custodia della chitarra. Vi erano due tasche, una piccola e
più grande. Aprì quella piccola dove erano contenuti gli spiccioli e anche
l’accendino e un posacenere in pelle portatile. Dalla tasca dei pantaloni,
invece, prese il pacchetto di sigarette ancora intatto e una volta aperto
estrasse una sigaretta. Tratteneva l’accendino con i denti per qualche secondo,
il tempo di risistemare il pacchetto di sigarette nella tasca dei pantaloni e
finalmente poteva accendersi la sua prima sigaretta di giornata. La nicotina
aveva davvero un potere calmante, pensò mentre tirava la prima boccata
rilasciando una leggera nuvola di fumo grigio, ispirò a fondo e sistemò nuovamente
la chitarra sulle spalle prima di cominciare la sua camminata.
“Forse questo è un segno. Una prova per dirmi che devo
smettere di fumare una buona volta, eh?”
A quel suo pensiero le venne da sorridere.
Smettere di fumare? Sarebbe stato bello, certo, ma per il
momento non era tra i suoi principali obbiettivi di vita. La sua camminata
proseguì tenendo sempre le mani nel giacchetto e la sigaretta tra le labbra. Si
sentiva quasi in colpa a fumare in un posto tanto verde e piacevole, un posto
così lontano dal caos della città, ma il suo bisogno superava di gran lunga i
sensi di colpa.
Dopo diversi minuti raggiunse uno spazio aperto dal quale
si ergeva il grande albero che prima Kohaku le aveva indicato, si fermò
incantata dalla sua bellezza, gli occhi nocciola fissi sulle fronde più alte
dalle quali qualche raggio di sole filtrava per giocare con le ombre sul
terreno.
La corteccia dell’albero, tuttavia, appariva danneggiata e
nella parte più scavata riusciva quasi a scorgere un buco, come se vi fosse
stato conficcato qualcosa.
Una leggera folata di vento si alzò da terra, giocando con
i suoi capelli e con le foglie del grande albero.
Un ultimo tiro e anche la sua sigaretta era finita, un
sospiro e la spense nel posacenere portatile, come faceva sempre, gettandovi il
mozzicone al suo interno e risistemandolo nel luogo dove doveva stare.
« Aspetta Inuyasha! Qui non c’è traccia di fumo o di
qualcos’altro. Magari ti sarai sbagliato. » proruppe una voce maschile alla
quale si accompagnava uno strano tintinnio in avvicinamento. Sistemò in fretta
la chitarra sulla schiena ed estrasse nuovamente il coltello dalla tasca della
giacca, questa volta, pensò, non aveva
nessuna intenzione di farsi trovare impreparata. Si morse le labbra avvertendo un leggero
fastidio all’occhio sinistro che socchiuse un poco.
« Il mio fiuto non sbaglia mai, Miroku. Sento uno strano
odore di fumo … »
Aggiunse una seconda voce, e mentre valutava se nascondersi
o meno dietro quell’albero fu raggiunta dai due misteriosi interlocutori. Il
primo indossava una specie di kimono, una tunica per lo più, scura e violacea e
si accompagnava a un bastone che aveva visto solo nelle fotografie di alcuni
monaci.
Fissava entrambi, sbalorditi anche loro evidentemente dalle
espressioni ebeti che avevano assunto tutti e tre, il secondo ragazzo, perché
un ragazzo doveva essere per forza, indossava degli sgargianti abiti rossi e
oltre ai lunghi capelli argentei aveva delle bellissime e soffici orecchie
canine.
« Beh … » esordì Reiko, gli occhi puntati su quelle
orecchie così strane e l’espressione ancora più sconcertata di prima mentre
continuava a tenere in mano il suo coltello, « questa situazione è alquanto
assurda. »
Sia Miroku che Inuyasha fissavano la ragazza senza
nascondere il loro stupore.
Indossava uno strano abito, molto simile a quello che
spesso avevano visto indosso a Kagome, senza contare che aveva anche uno strano
oggetto appeso alla schiena e dalle dimensioni abbastanza voluminose.
L’attenzione di entrambi venne catturata da quello strano marchio che Reiko
aveva sulla guancia sinistra – un drago che risaliva verso l’occhio e la cui
testa si poteva scorgere solo per un secondo, un battito di ciglia
letteralmente poiché il resto continuava sulla palpebra.
« Emani uno strano odore per essere un umana. » esordì
Inuyasha poggiando la mano sull’impugnatura della sua katana, Tessaiga, pronto
a sguainarla nel momento opportuno ma così facendo mise sulla difensiva Reiko
che memore della notte appena trascorsa fece alcuni passi indietro.
« Allora tappati il naso, Pochi. »
« C-Come hai detto ragazzina?! » stava già per estrarre
Tessaiga al culmine della rabbia quando fu colpito alla nuca, in modo per
niente gentile, da Miroku che lo fissava con un’espressione seria che
contrastava quella di sconcerto che gli rivolgeva.
« Miroku, dannato! »
« Calmati Inuyasha! la ragazza è chiaramente spaventata e
offenderti non era nei suoi interessi. »
“Veramente io mi sono divertita”.
Era strano.
Non conosceva quello strano ragazzo con le orecchie, ma
stuzzicava quella parte sarcastica di lei e prima ancora di riflettere aveva
risposto, pungente e anche offensiva, compiacendosi della reazione avuta. Era
un tipo divertente, a modo suo.
Inuyasha rispose stizzito allontanando le mani dalla katana
e incrociandole al petto come farebbe un bambino contrariato, Reiko fissava la
scena senza lasciare la presa dal suo misero coltello che di certo non avrebbe
potuto fare niente da solo.
« Però è vero che ha addosso uno strano odore … » ribatté
Inuyasha in una smorfia di puro disgusto.
Il monaco si girò verso di lei, sorridendo e compiendo
qualche passo nella sua direzione ma Reiko, ancora incerta, ne fece altrettanti
indietro e mostrò con più decisione il coltello.
« Guarda che ho una buona mira … »
« Non lo metto in dubbio. » rispose Miroku in modo
piuttosto pacato e cercando di creare un atmosfera più rilassata attorno a
loro. « Possiamo conoscere il tuo nome e come sei arrivata qui? »
« Mi chiamo Reiko. Ieri sera mi sono trovata nel bel mezzo
del bosco, fuori dalla mia città, senza sapere ne il come e nemmeno il perché.
Voglio solo tornare a casa mia. »
A quel punto, pensò, nascondere qualcosa non aveva senso e
magari quei tizi potevano aiutarla.
« Mi hanno parlato di una sacerdotessa di nome Kagome … »
gli occhi di Reiko non persero tempo a captare i movimenti delle orecchie di
Inuyasha, ora più attento al discorso tant’è che spostò appena il viso nella
sua direzione guardandola in modo poco amichevole.
“Bingo”, pensò soddisfatta Reiko.
« E che cosa desiderate dalla Divina Kagome? » continuò Miroku, interrompendo
il flusso dei pensieri di Inuyasha.
« Quello che ho detto. » sottolineò nuovamente Reiko mentre
richiudeva il coltello sistemandolo nella tasca della giacca. « Voglio soltanto
tornare a casa, e da quello che mi hanno riferito è l’unica in grado di
aiutarmi. »
Nessuno di loro sentiva provenire da Reiko energia
negativa, a parte l’odore di fumo, avvertito anche da Miroku ora che le era più
vicino, alquanto fastidioso e pungente. Non era un demone, di questo ne erano
sicuri basandosi solamente sui vestiti che portava, abiti che avevano visto
indosso solamente a Kagome – Inuyasha li conosceva bene, dal momento che molti,
dall’altra parte del pozzo, si vestivano in quel modo. Come Kagome, questa
ragazza non apparteneva alla loro epoca.
« Se è così allora vi prego, seguiteci. »
« Siete sicuro signor monaco? Il vostro amico non mi sembra
della stessa opinione. »
Un cenno della mano e indicava Inuyasha, visibilmente
contrariato per la decisione presa da Miroku e quest’ultimo, sospirando esausto
passò un braccio attorno al collo del mezzo demone per attirarlo un poco più
giù e dato le spalle alla ragazza, disse:
« Ascolta, la situazione è alquanto strana. Lo confesso.
Tuttavia, per quanto la situazione sia strana, non possiamo fare altro che
lasciar scorrere gli eventi. »
« Vuoi davvero portarla da Kagome? »
« Hai qualche idea migliore, Inuyasha? Che non comprenda
spaventare a morte una ragazza già spaventata … » si affrettò ad aggiungere
Miroku.
« Allora? Avete preso una decisione? »
Domandò Reiko, le mani strette attorno alle spalline della
custodia per la chitarra, aspettando con impazienza di essere condotta da
questa Kagome per poter finalmente tornare a casa.
Lasciato andare Inuyasha, ancora visibilmente seccato per
il commento di prima, si portò avanti a loro ancora con le braccia conserte
mentre Reiko si avvicinava a Miroku.
« Mi sembra di capire di sì. »
Aggiunse senza attendere una vera e propria risposta, accennando un sorriso di
pura cortesia e aspettando che si mettessero in marcia. A guidare quel piccolo,
e strano, gruppo era Inuyasha seguito da Miroku e Reiko.
Come Kohaku prima di lui, anche Miroku, accanto a Reiko,
provava una strana sensazione di familiarità ma non riusciva bene a
identificare quella sensazione.
« Se ve lo chiedete … » esordì Reiko, chiaramente accortasi
dello sguardo del monaco, « quello che ho sul viso è una voglia. Sono così
dalla nascita. »
Era una persecuzione, pensò, ma ormai si era abituata a
quel genere di domande e di sguardi tanto che si limitava a rispondere in modo
atono e distaccato.
« Mi avete frainteso, » si affrettò a spiegare Miroku
mentre Inuyasha, diversi passi avanti a loro, ascoltava la conversazione dei
due con un certo interesse. Quello strano odore di fumo poteva servire per
mascherare la sua natura demoniaca, dopotutto, non sarebbe stata la prima volta
che accadeva qualcosa del genere – seppure in questo caso si fossero dati molto
da fare.
« In realtà, mi chiedevo come mai avete addosso questo strano
odore. »
« Ho fumato una sigaretta mentre camminavo, tutto qui, non
mi sembra una tragedia. »
« Sigaretta? »
Sembrava alquanto perplesso mentre le porgeva quella
domanda, così, decisa a chiarire la situazione, mise una mano in tasca per
estrarre il pacchetto di sigarette che mostrò al monaco.
« Sono queste. »
Miroku fissò curioso il pacchetto rettangolare, ma senza
davvero capire.
« E’ solo un brutto vizio che mi porto dietro, in effetti
dovrei smetterla ma sai com’è: non si rifiuta mai un pasto. »
Entrambi, sia Inuyasha che Miroku, si fermarono di colpo a fissare
con stupore la loro misteriosa ospite.
Il modo tranquillo e pacato con cui lo espose ricordava
tanto, anzi più di tanto, quello di Miroku.
« Ho detto qualcosa di strano? » domandò Reiko passando lo
sguardo da Inuyasha a quello di Miroku, ma senza ricevere davvero una risposta.
Un sospiro mentre scuoteva il capo e passava avanti,
raggiungendo Inuyasha e superandolo prima di voltarsi nella sua direzione.
« Andiamo, dunque, coraggio … Miroku ... Inuyasha. »
« Ehi, come fai a sapere i nostri nomi?! » sobbalzò
Inuyasha, scattando nella sua direzione mentre Reiko si limitò a muovere
leggermente le spalle prima di riprendere a camminare.
« Fate un gran casino quando parlate e a me piace
ascoltare. »
Ora che si trovava davanti, non potendo essere vista, si
lasciò scappare una debolissima risata rilassando il suo viso sebbene sentisse
ancora un leggero fastidio vicino all’occhio.
Dopo diversi istanti raggiunsero il villaggio che Kohaku le
aveva indicato, nel vederlo, alla fine, accettò l’idea che dalla sera
precedente balenava in un angolo della sua mente: ormai non era più a Tokyo,
meno che mai nel suo tempo.
Era talmente assurda come ipotesi che l’aveva subito
cacciata dalla sua mente, ma vedendo il villaggio, così semplice con i suoi
campi, gli uomini e le donne che vi lavoravano, era una prova più che
sufficiente per lei.
Avrebbe voluto lasciarsi andare a un sano attacco di panico
ma non poteva, non poteva farsi prendere dal pessimismo e rinunciare alla
lucidità logica che le avrebbe permesso di trovare una soluzione per tornare a
casa.
Passando per le stradine del villaggio sentiva lo sguardo
dei suoi abitanti su di se, i loro bisbigli alle sue spalle e le parole appena
sussurrate.
Erano infine arrivati davanti a una piccola casa nei pressi
di una grande scalinata che conduceva sicuramente a un tempio, in quel punto si
fermarono e vennero raggiunti da una giovane donna che scendeva proprio da
quegli scalini. Quest’ultima indossava gli abiti di una normalissima
sacerdotessa, casacca bianca e degli hakama rossi, lunghi capelli scuri come l’ala
del corvo erano lasciati sciolti sulle spalle e Reiko si trovò a pensare che
fosse davvero molto, molto bella in quel suo essere semplice.
« Inuyasha! » il viso della ragazza si fece più luminoso,
come il suo sorriso, aumentando il passo e avvicinandosi al gruppetto. « Mi
stavo preoccupando, e … Per tutte le Divinità! » esclamò la giovane guardando
sorpresa Reiko.
« Speriamo di no. »
La risposta di Reiko era velata da una punta di sarcasmo ,
come sempre, ma la reazione della donna non era stata la stessa degli altri e
poté ben vederlo subito.
“Sì, questa persona deve essere senza dubbio Kagome”.
Salve a tutti!
Prima di cominciare con qualsiasi cosa ci tengo a fare una piccola
precisazione, per chi non lo sapesse chiaro: Pochi, il nome che Reiko usa verso
Inuyasha, è in realtà uno dei modi giapponesi per rivolgersi a un cane .. un po’
come il nostro “fido”, insomma. Inoltre, la chitarra che Reiko ha con se e di
tipo classico ~.
Dopo questa formalità torniamo a noi.
Ringrazio di cuore KagomenoTaisho per
aver recensito e aver fatto di me un’autrice felice. Risponderò alla tua
curiosità dicendoti che sì, la storia sarà su di loro, ma ognuno avrà i suoi
spazi come è giusto che sia ma avrai modo di valutarlo nel corso dei prossimi
capitoli.
Mi auguro solamente di essere rimasta più IC possibile, erano davvero
tanti, tanti anni che non rimettevo mano alla storia di Inuyasha.
Al prossimo capitolo ♫