Ciao a tutti! Inanzitutto mi scuso profondamente per i tempi biblici di questo aggiornamento! Alcuni problemi personali uniti all'effettiva mancanza di tempo avevano causato un brusco calo di ispirazione, ma fortunatamente è tornata! Quindi anche se non sarò comunque una scheggia nell'aggiornare, non passeranno più i mesi come questa volta! Dato che vi ho già fatto aspettare abbastanza, vi lascio subito al capitolo, sperando che la vostra attesa venga ripagata e che vi piaccia! Ringrazio di cuore La_Birba e the best per aver commentato e per i vostri complimenti, spero di sapere presto le vostre opinioni anche su questo secondo capitolo e che non vi deluda!! Colgo solo l'occasione per rispondere alla domanda che mi ha fatto La_Birba e che magari si è posto anche qualcun altro, Anakin dallo scontro con Obi-Wan è uscito senza rimanerne sfigurato, ha perso solo la gamba sinistra ma per il resto è tutto a posto! Lo so che è una grande deviazione dalla storia principale, ma anche il fatto che Padmé sia viva lo è, ed essendo questo un finale alternativo mi sono azzardata a fare questo cambiamento, spero che piaccia come proseguirà! Buona lettura a tutti!
2_La
Lega Galattica della Resistenza
Un
fastidioso mormorio regnava nella sala circolare da quasi
un’ora senza sosta.
Mi appoggiai sul sedile, portandomi una mano alla tempia. Se
quell’insulso
brusio non fosse finito presto, ero certa che avrei concluso la
giornata con un
colossale mal di testa. Una mano gentile mi si posò sul
braccio, attirando la
mia attenzione.
“Tutto
bene?” mi chiese Obi-Wan, inclinandosi dal suo seggio verso
di me.
Sorrisi
per tranquillizzarlo. “Si, solo che dubito che questo
porterà a qualcosa” commentai
indicando con un’occhiata la confusione che regnava attorno a
noi.
Ci
trovavamo nella sala circolare delle conferenze di Giano, ormai
diventata base
non ufficiale delle riunioni per la Lega Galattica della Resistenza, il
gruppo
di reduci, ancora fedelmente attaccati alla Repubblica, che si stava
creando
per contrastare il neonato Impero Galattico di Palpatine.
Da
quando Obi-Wan ed io ci eravamo rifugiati su Giano e avevamo iniziato a
inviare
dei messaggi di aiuto ai pianeti della Confederazione e non, era
passato quasi
un mese. Il primo a rispondere era stato Dardwin, il cui rappresentante
sotto forma
di ologramma, Maatal, sedeva poche sedie lontano dalla mia. Quella
stanza
circolare era cento volte più piccola di quella che aveva
ospitato il Senato
originale della Repubblica a Coruscant, eppure i nostri alleati erano
talmente
pochi che molte delle sedie restavano desolatamente vuote a ricordarci
quanto
lavoro avessimo ancora da fare. Tuttavia, rispetto ad un mese prima
dove gli
unici seggi occupati erano il mio, quello dei due maestri Jedi Obi-Wan
Kenobi e
Yoda e quello di Jar Jar, figuravano diverse presenza in più
che davano
speranza.
Oltre
a Dardwin, al nostro appello avevano risposto Phemis, Khmor, Govia,
Keral e altri
25 pianeti, ed ora gli ologrammi dei loro ambasciatori figuravano sui
seggi
della sala, a dimostrazione del fatto che il momento
dell’azione era vicino.
Sospirai
a quel confortante pensiero. Anche se il lavoro di ambasciatrice e
coordinatrice di tutte quelle forze che stavano convergendo assorbiva
buona
parte della giornata, stare confinata nel palazzo di Giano era una
tortura.
Avevo le mani che fremevano per il desiderio di uscire e fare
attivamente
qualcosa anziché continuare ad analizzare carte su carte,
studiare rapporti e
mettere a punto idee che forse non avrebbero mai visto una vera
realizzazione.
Avevo bisogno di azione. Avevo bisogno di avvicinarmi fisicamente al
mio
obiettivo anziché limitarmi a pensarlo. Ma sapevo che
muoversi senza una ferrea
preparazione sarebbe stato un suicidio. Comunque sia, quel giorno
avevamo
ricevuto una notizia che forse avrebbe aperto un piccolo spiraglio per
permettere un’azione reale. L’informazione aveva
suscitato tanto clamore da
essere la causa di quella discussione che andava avanti da
un’ora. Una delle
nostre spie, ci aveva informato che esisteva una copia della
progettazione
della Morte Nera, la fortezza grande quanto un piccolo pianeta che
orbitava
attorno a Coruscant e che era stata appena ultimata. A quanto sembrava,
qualche
anno addietro, quando il Conte Dooku si era rifugiato presso Geonosis
assieme ad
un gruppo di Separatisti, avevano lasciato una copia del progetto della
nuova
arma dei Sith in caso il Conte non fosse riuscito a scappare per
consegnarlo a
Palpatine. Il server in cui era custodito era criptato e ben protetto,
ma non
inespugnabile quanto la Morte Nera, una roccaforte galleggiante, armata
come la
migliore delle navi da guerra e ospitante un intero esercito
nonché
l’ex-Cancelliere e…Anakin.
Bastò
il suo pensiero a darmi la forza giusta per prendere la parola in quel
guazzabuglio di piani avventanti che si accavallavano da
un’ora.
“Signori,
non possiamo permetterci di perdere tempo riflettendo se usufruire di
questa
informazione sia saggio o meno.” Li interruppi con vigore. I
visi di tutti si
appuntarono su di me, quasi sorpresi di sentire la mia voce dopo che mi
ero
ritirata in un silenzio meditativo. Con un sospiro mentale, scacciai
Padmé e
tirai fuori la senatrice Amidala, pragmatica e sicura, difficile da
intimidire
in una discussione. La senatrice che aveva un’assoluta
necessità di convincerli
a battere il ferro finché caldo e buttarsi finalmente
nell’azione vera anziché
ritirarsi dietro infinita demagogia. “Abbiamo finalmente uno
spiraglio nella
corazza del nemico su cui colpire. Sappiamo tutti che la Morte Nera
è un’arma
micidiale, se non riusciremo a trovare un suo punto debole per
distruggerla, la
nostra rivoluzione è finita ancor prima di iniziare. Per
quanti pianeti
possiamo convertire alla nostra causa, nessun esercito sarà
mai abbastanza
grande per poterla sconfiggere. Quindi entrare in possesso dei piani di
progettazione di quella fortezza orbitante è la nostra
priorità numero uno ed è
mia opinione che sia saggio recuperarli il più presto
possibile. La Morte Nera
è stata ultimata da poco, se davvero ha un difetto ed
è nascosto in quei piani,
probabilmente penseranno quanto prima a distruggerli per evitare che
cadano
nelle mani sbagliate, ovvero nelle nostre” affermai, sicura
di quello che
dicevo.
“Saggio
quello che dite è, senatrice Amidala” intervenne
il maestro Yoda, seduto alla
sinistra di Obi-Wan. “Ma chi tra noi mandare per questa
spedizione?”
Seguì
un minuto di silenzio, in cui tutti riflettemmo sul problema. Non
sarebbe
bastata una semplice spia di ricognizione, ci voleva qualcuno
abbastanza abile
da infiltrarsi nelle linee nemiche senza essere visto e capace di
combattere se
il caso lo avesse richiesto. Qualcuno con sangue freddo e
l’abilità di
risolvere ogni problema gli si fosse posto davanti. Inoltre doveva
essere
qualcuno di cui potevamo fidarci ciecamente.
“Andrò
io”
La
proposta di Obi-Wan mi giunse come una doccia gelata.
“No”
dissi distinto, ma la mia opposizione si perse nei mormorii di assenso
che
provenivano dagli astanti.
“Sicuro
della tua candidatura tu sei, maestro Obi-Wan?”
l’unico a mettere almeno in
dubbio l’autonomina dello Jedi fu Yoda.
“è
un compito da Jedi, e dato che siamo rimasti in due non vedo molte
altre
alternative. Inoltre, sono già stato a Geonosis e se quei
piani sono là, ho
un’idea di dove iniziare a cercarli” rispose
pragmatico l’uomo.
Mi
morsi il labbro per non ribattere. Purtroppo per me sapevo che Obi-Wan
aveva
completamente ragione. La missione era delicata ed era vitale che fosse
portata
a compimento. Lui probabilmente era la nostra assicurazione migliore
per
entrare in possesso di quei progetti. Però non potevo in
cuor mio non essere
contraria all’idea di esporlo deliberatamente al pericolo da
solo. In quelle
ultime settimane passate a organizzare il primo embrione della
resistenza, la
solidarietà che si era sviluppata tra noi, la sua solida e
rassicurante
presenza erano state la colonna che mi sosteneva per non crollare.
Tuttavia
Obi-Wan era uno Jedi, sapeva certamente badare a se stesso, e poi il
successo
della missione aveva la priorità su qualsiasi cosa potessi
provare.
“Bene,
se non ci sono obiezioni, partirei oggi pomeriggio stesso. Se il tempo
è un
fattore vitale, non voglio sprecare nemmeno
un’ora”. Decretò lo Jedi.
L’approvazione
fu data all’unanimità e la seduta, con mio
sollievo, fu finalmente sciolta. Gli
ologrammi si spensero ad uno ad uno finché nella stanza non
rimanemmo solo
Obi-Wan, Yoda ed io.
“Pericolosa
la missione che stai per affrontare è, un brutto
presentimento a riguardo io ho.
Scaltro dovrai essere, usa la Forza per avvertire i pericoli e
raggiungere la
tua meta.” il vecchio maestro aveva una ruga di
preoccupazione sulla fronte
mentre ammoniva Obi-Wan, il che mi diede la misura di quanto la
missione fosse
rischiosa.
“Faccio
preparare la nostra nave più piccola e più veloce
e ti farò avere un sopraluogo
del pianeta da studiare durante il viaggio” proposi, mentre
ci avviavamo verso
l’uscita della sala.
“Grazie
Padmé”
Il
maestro Yoda lievitò fuori dalla stanza su un sedile di
metallo, lasciandoci
soli.
Obi-Wan
mi mise una mano sulla spalla e strinse la presa leggermente.
“Non preoccuparti
per me, sono uscito da situazioni peggiori di questa,
credimi” tentò di
scherzare.
Gli
sorrisi, apprezzando il suo sforzo di alleggerire la tensione.
“Lo so, cerca
solo di tornare tutto intero”.
“Intero
e con i piani in mano. Quando tornerò, ci saremo avvicinati
di un passo in più
alla sconfitta dell’Imperatore” predisse sicuro.
“Intanto tu continua a
svolgere il lavoro di coordinatrice qui, sei il punto fermo della
rivolta, lo
sai, grazie ai tuoi sforzi e al tuo nome altri pianeti si stanno
già mettendo
in contatto con noi”.
Lo
ringraziai per la fiducia, incapace di mettere a tacere una punta di
orgoglio
per quelle parole. L’essere stata una senatrice aveva
indubbiamente dei
discreti vantaggi a livello di conoscenze e alleanze. Tuttavia avrei
fatto ben
poca strada senza la forza e la sicurezza di due maestri Jedi accanto.
La gente
li vedeva ancora come i difensori della giustizia, dei protettori a cui
affidarsi. La menzogna che Palpatine aveva diffuso sulla loro presunta
cospirazione
contro la Repubblica per infangarli, se aveva avuto riscontro tra le
alte sfere
del Senato, attecchiva poco tra la gente comune che ben ricordava
quante volte
gli Jedi fossero intervenuti in soccorso della Galassia.
Cercando
di essere il più fiduciosa possibile, salutai Obi-Wan
augurandogli di tornare
il prima possibile.
Speriamo
in
bene.
“Avete
fatto trapelare la falsa notizia?”
“Si,
mio signore. La vostra intuizione su Diegoro era corretta. Appena
sentito di
Geonosis ha cercato di mettersi in contatto con i Ribelli”.
Darth
Vader annuì compiaciuto di sapere che il suo piano stava
procedendo
correttamente. Congedò Cordet con un cenno e si accinse ad
andare a riferire
gli sviluppi del suo piano al suo maestro. Le guardie
all’ingresso scattarono
sull’attenti appena lo videro avvicinarsi ma lui non le
degnò di un’occhiata.
Si introdusse a passo sicuro nella sala delle trasmissioni le cui
uniche fonti
di luce erano i monitor dei computer che riempivano il perimetro. Si
avvicinò
ad uno di questi e digitò sulla tastiera la frequenza per
entrare in contatto con
la Morte Nera, dove si trovava l’Imperatore. Poco dopo,
l’ologramma
dell’Imperatore riempì la piattaforma ovale posta
al centro della stanza.
“Quali
notizie, mio giovane apprendista?” senza molti preamboli,
l’oscura figura
incappucciata si rivolse ad Anakin riempiendo la stanza del suono roco
della sua
voce.
“Maestro,
le mie intuizioni erano giuste. Diegoro era una spia dei Ribelli, gli
abbiamo
fatto sentire una falsa informazione secondo cui una copia dei progetti
della
Morte Nera sono ancora custoditi a Geonosis. La spia ha già
passato la voce ai
suoi alleati” lo informò con efficienza.
Sul
volto deformato di Palpatine si disegnò una linea simile ad
un ghigno.
“Molto
bene, Lord Vader, molto bene. Come sempre le tue percezioni sono
corrette”.
Nonostante il complimento, il volto del giovane rimase impassibile.
“Siete riusciti
a rintracciare dove era indirizzato il messaggio?”
“Si,
mio signore, ma non ci ha portati al loro rifugio. Il segnale
è stato inviato
verso un pianeta deserto, probabilmente per depistarci. Da
lì sarà stato
reindirizzato verso il loro nascondiglio.” Spiegò.
Palpatine
incrociò al petto le braccia, nascoste sotto il lungo
mantello nero, mentre
rifletteva.
“Quindi
anche se abbiamo scoperto la spia tra noi, non siamo più
vicini di prima a
scoprire dove si nascondono. Cosa intendi fare ora, Lord
Vader?”
Anakin
sostenne lo sguardo indagatore del Sith senza sbattere ciglio. Sembrava
che
nulla potesse scalfire l’impassibile determinazione del suo
viso, come la
fermezza di ferro nella sua voce.
“La
finta informazione che ho lasciato trapelare non era solo per cercare
di
intercettare le loro conversazioni, era una trappola. Se il messaggio
dell’informatore è già stato ricevuto,
sono certo che invieranno qualcuno di
fidato a recuperare quei progetti.” Illustrò
conciso. “Io credo che quel
qualcuno sarà il maestro Obi-Wan Kenobi , non hanno a
disposizione altre
persone per l’incarico”.
Palpatine
scoppiò a ridere, una risata rauca che si
riverberò nella stanza.
“E
scommetto che tu sarai lì ad attendere il suo arrivo.
È un ottimo piano, mio
apprendista, hai la mia approvazione per portarlo a termine. Cattura lo
Jedi,
senza di lui gli altri cadranno poco dopo” e con queste
parole chiuse la
conversazione.
Anakin
rimase qualche minuto nella stanza. Fisicamente era immobile, ma la sua
mente
si muoveva a ritmo febbrile.
Era
stato un mese lungo quanto un’Era. Aveva rincorso ogni
possibile traccia, ogni
pista che gli si era presentata saltando da pianeta a pianeta senza
sosta, come
un leone affamato completamente assorto nella sua caccia. Ma dopo
settimane che
viaggiava da un lato all’altro della Galassia senza compiere
un minimo passo
avanti nelle ricerche per trovare il gruppo di Ribelli che li stava
sfidando,
aveva capito che la strategia che aveva assunto era inutile.
Così, smettendo di
rincorrerli, aveva architettato un piano per indurli a uscire allo
scoperto.
Aveva posto loro dinanzi una preda troppo ghiotta perché non
uscissero dalla
loro tana per tentare di prenderla. L’attesa finalmente lo
aveva ripagato. Era certo
che Obi-Wan avesse abboccato e con lui avrebbe poi preso la Lega in cui
i
Ribelli si erano organizzati.
La
Lega Galattica della Resistenza, così si faceva chiamare
l’unione di pianeti
che speravano di opporsi al potere dell’Impero. Un gruppo di
folli utopisti che
ancora credevano fosse possibile imporre la pace con la finta promessa
di
libertà che dava il nome Repubblica. Poteva facilmente
capire come gli Jedi si
fossero opposti così strenuamente all’Impero, dopo
secoli che detenevano il
potere a fianco del Senato repubblicano. Perdere
l’autorità di cui si erano
appropriati e che credevano un loro imprescindibile diritto era per
loro
insopportabile. Ma che i sovrani e i ministri degli altri pianeti non
comprendessero come Palpatine avesse portato la pace nella Galassia
distrutta
dai conflitti creati proprio dai diverbi della Repubblica a cui
tenevano tanto,
gli era incomprensibile. Sapeva bene che l’ex-Cancelliere
aveva dovuto imporre
quella pace al prezzo di milioni di vittime, ma era stato
l’unico modo per
risolvere una lacerazione che andava espandendosi sempre
più. Era stato un atto
di forza, e come tale era stato certamente difficile da digerire, ma il
risultato era ben visibile agli occhi di tutti. I pianeti erano in
pace,
riuniti in un unico impero, sotto la guida di un unico capo abbastanza
forte da
mantenere l’equilibrio che aveva creato. Se c’erano
ancora delle guerre in seno
all’Impero, la causa era da attribuirsi proprio a quel
piccolo gruppo di
Ribelli che, ceco davanti alla realtà, continuava a
professare i valori di una
Repubblica che forse era esistita solo nelle loro convinzioni. La
Repubblica si
era dimostrata corrotta sin nel midollo, era stata incapace di
salvaguardare la
sua integrità e proteggere i suoi abitanti. La base stessa
su cui era stata
fondata, il principio della libertà di parola e di scelta,
era stata distorta
al punto che anziché essere una garanzia per la giustizia,
era stata il suo
principale freno. Le discussioni che avrebbero dovuto portare alle
scelte più
sagge e giuste per la Galassia, avevano in realtà aperto
faide e iniziato conflitti,
avevano protratto guerre con infinite quanto inutili mediazioni
diplomatiche
portate avanti spesso per interessi secondari dei singoli,
anziché risolverle
con un solo atto di forza. Le persone a cui i pianeti avevano affidato
la loro
guida perché ritenute più corrette e lungimiranti
di altre, si erano dimostrate
abiette e unicamente interessate a seguire i loro fini, capaci di
mentire e di
favorire azioni spregevoli pur si perseguire i loro scopi.
L’Imperatore
non si nascondeva dietro una falsa demagogia. Esprimeva ferramente la
sua
volontà e la faceva eseguire, avendo come scopo principale
la salvaguardia
dell’Impero Galattico. Ed era un fine che, agli occhi del
giovane Sith, ben
giustificava i mezzi a volte discutibili che adottava. La guerra aveva
fatto
troppe vittime in quegli ultimi secoli, motivo per cui era ben
determinato ad
estinguerne l’ultimo focolaio.
Fece
un respiro profondo e si scostò dal monitor per le
trasmissioni. Doveva andare
a dare le coordinate al capitano della nave. Se conosceva bene il suo
vecchio
maestro, non avrebbe perso tempo a rendersi utile per la Lega.
L’idea
che da lì a poco lo avrebbe finalmente incontrato a Geonosis
gli trasmise una
scarica di energia. Si sentiva come una molla carica, pronta a
scattare. Aveva
atteso quel momento facendo scorrere impazientemente giorno dopo
giorno. Ora la
resa dei conti si stava avvicinando.
“Preferiresti
un
maschio o una femmina?”
“Una
femmina”
rispose il giovane senza esitazione.
La
ragazza
sorrise della sua fretta. “Strano, di solito i padri
preferiscono un maschio.
Come mai tu no?”.
“Gli
altri padri
non si sono scelti una moglie bella come la mia. Altrimenti anche loro
spererebbero in una bambina con il sorriso dolce di sua
madre”.
Era
una frase
così bella da sembrare quasi preparata, ma la sincera
ammirazione che gli
leggeva nello sguardo mentre la rimirava non lasciava adito a dubbi sul
fatto
che pensasse davvero quelle parole.
Sorridendogli
di
cuore, si staccò dalla balaustra del balconcino del loro
appartamento per
avvicinarsi. Appena fu alla sua portata, il ragazzo le
circondò la vita con le
braccia robuste per stringerla a sé, facendo però
attenzione a non schiacciarle
l’ormai prominente pancia che custodiva l’oggetto
della loro conversazione.
“Sei
così bella,
Padmé” le mormorò, sfiorandole la
tempia con un bacio.
Padmé
accostò la
guancia sulla spalla di suo marito, inspirando a fondo
l’odore fresco e
penetrante della sua pelle.
“E
come vorresti
chiamarla?” gli chiese, tornando all’argomento
principale.
Anakin
appoggiò
il mento sulla sua testa e prese a cullarla dolcemente tra le braccia.
“Mi
spiace
deluderti, ma non sono molto bravo in queste cose”
confessò fintamente
sconsolato.
“Non
c’era
nell’addestramento Jedi questo?” scherzò
lei. Sentì la sua risata riverberarsi
nel petto che la stringeva.
“Certamente,
era
tra imparare a saltare da due piani usando la Forza e gestire due spade
in un
combattimento. Solo che devo aver saltato quella lezione” le
rispose ironico.
“Mmm,
che ne
dici di Dorotea?” propose Padmé.
Anakin
storse il
naso. “Senza offesa, ma mi sembra un nome da vecchia
bisbetica”.
“Erinna?”
tentò
di nuovo.
Il
giovane lo
soppesò un momento prima di scartarlo scuotendo il capo.
“Troppo strano, a una
bambina si addice un nome dolce.” Commentò.
Rimasero
in
silenzio per qualche minuti, entrambi assorti in un proprio lungo
elenco di
nomi da passare al vaglio prima di proporlo all’altro. Anakin
voleva un nome
che rimanesse impresso nella mente di chi lo ascoltasse. Era certo che
una
volta cresciuta, sua figlia sarebbe stata conosciuta in tutta la
Galassia.
Doveva quindi avere un nome che la caratterizzasse. Doveva essere
dolce, perché
si addicesse alla bellezza che avrebbe certamente ereditato dalla
madre, ma
anche deciso. Poi d’un tratto ebbe
un’illuminazione. O meglio un lontano
ricordo che affiorava lentamente alla luce. C’era una fiaba
che sua madre gli
leggeva quand’era bambino a Tatooine, la storia di una bella
avventuriera,
gentile con chi chiedesse il suo aiuto, ma determinata contro i suoi
nemici.
“Leila”
pronunciò in un bisbiglio, quasi assaporasse con lentezza
quella parola.
Padmé
si allontanò
da lui quel tanto che bastava per scorgergli il viso.
“Leila?” chiese. Ci pensò
su, poi ripeté il nome con più decisione, come
per tastarlo. “Leila”.
Gli
sorrise
luminosa. “Mi piace, è melodioso, ma semplice,
resta impresso”.
“Leila
allora.
Già la immagino, con i lunghi capelli castani su un viso a
cuore e dei grandi
occhi limpidi, pieni di vita” approvò soddisfatto
Anakin, prendendo tra le dita
una ciocca di Padmè.
“E
se invece
fosse un bimbo con i capelli color del grano e degli occhi a volte un
po’
burrascosi?” chiese la ragazza, interrogandolo con lo sguardo.
“Se
fosse un
maschietto…Kormi?”
Questa
volta fu
il turno di Padmé a fare una smorfia contrariata.
“Kormi? Sei sicuro sia un
nome vero? È terribile!”.
Anakin
rise
dello sdegno di sua moglie. “Ehi, era solo una
proposta!” si difese.
Padmé
contemplò
un attimo il panorama di luci e colori che la terrazza su Coruscant gli
offriva. Se pensava a suo figlio, non poteva non immaginare una copia
in
miniatura del padre. Avrebbe voluto che fosse forte e determinato
quanto lo era
stato lui nel seguire i suoi sogni. Gli augurava di ereditare la
gentilezza che
albergava nel suo cuore e il desiderio di fare la cosa giusta che
guidava ogni
sua azione. Avrebbe tanto voluto che suo figlio, al pari del padre,
diventasse
una luce nel buio di crudeltà e ingiustizie che popolavano
quella Galassia.
Alzò lo sguardo per vedere le stelle che brillavano in
quell’immensa volta e un
nome le balenò davanti agli occhi. Se non si ricordava male,
derivava da “lux” che,
in una lingua tanto remota da essere quasi dimenticata, voleva dire
“luce”.
“Lo
chiameremo
Luke” affermò, sicura della sua scelta.
Anakin
sorrise
vedendo il volto contento della moglie e non esitò ad
approvarne la scelta.
Appoggiò la mano con delicatezza sulla pancia della sua
Padmé mentre con
l’altra le alzò il mento.
“Sono
due nomi
bellissimi.” Le mormorò ad un soffio dalle labbra,
prima di baciarla con una
tenerezza infinita.
Padmé
gli cinse
il collo con entrambe le braccia e chiuse gli occhi, abbandonandosi
alla
sensazione di piacere che le sue morbide labbra le regalavano. A poco a
poco,
il bacio si fece più approfondito, fino a provocarle i
brividi lungo tutta la
schiena. Ah, solo lui poteva suscitarle una reazione del genere con un
semplice
bacio!
Quando
si
staccò, le disegnò una linea lungo tutta la
mandibola con piccoli e casti baci,
prima di stringerla di nuovo a sé per rimanere
così, sulla terrazza con una
Coruscant illuminata da sfondo, cullati da una brezza leggera che
faceva
ondeggiare il bordo della vestaglia di Padmé. Il loro mondo
era interamente in
quella terrazza, la loro felicità in quella creatura dal
nome incerto che la
ragazza portava in grembo. Il resto non contava.
Quando
mi svegliai la mattina dopo, notai con stupore che le mie guancie erano
bagnate
di pianto. Il ricordo del sogno che avevo fatto quella notte mi
investì,
dandomi la spiegazione che cercavo. Non era stato un semplice sogno.
Era un
ricordo vero, di una sera d’estate quando ero ancora incinta,
poco prima che il
mondo in cui avevo vissuto si capovolgesse perdendo di significato.
Mi
rannicchiai con le ginocchia al petto mentre ripercorrevo ancora quel
ricordo
agro-dolce che nell’inconscio mi aveva fatta piangere di
gioia e di dolore
insieme.
Anakin…il
mio Anakin che mi baciava con dolcezza e che sperava di poter avere una
figlia simile
a me. Alla fine eravamo stati accontentati entrambi. Lui aveva avuto la
sua piccola
Leila ed io il mio Luke.
Mi
alzai dal letto e mi avvicinai alle culle dove le mie due piccole pesti
dormivano ancora beate. Con i pugnetti alzati vicino al viso erano
incredibilmente dolci, ma sapevo bene che era un’illusione
che sarebbe durata
solo finché erano entrambi addormentati. Appena si fossero
svegliati, avrebbero
ricominciato a pretendere con decisione le mie attenzioni, che tuttavia
ero ben
felice di dargli.
“Presto
anche il vostro papà sarà qui per voi”.
Era
una promessa a cui non avrei mancato a costo della mia vita.