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Autore: CarolPenny    22/01/2015    1 recensioni
[Dal Capitolo 8] “Quindi è così che succede?” domando.
“Cosa?”
“Se vieni ferito da uno di quei cosi sei condannato a morire o a diventare come loro…”
“Direi entrambe le cose.”
Mi acciglio. Ho parecchie domande per la testa. Non sono ancora sicura di ciò che stiamo dando per scontato.
“Quindi tu credi davvero che loro si siano risvegliati dalla morte?”
“Ho visto diverse persone farlo, sì. Nelle settimane prima che tutto degenerasse. Compreso un mio collega. Quindi sì, ci credo.”
La possibilità è reale, ma c’è una parte di me che ancora stenta a crederci.
“Ma questo non rende tutto più semplice.”
Mi racconta di alcune conversazioni avute con la signora De Blasio quando ero stata portata a casa della donna. Ovviamente l’infermiera non era al corrente di ciò che aveva provocato quell’infezione, ma tra la sua testimonianza e quella di Dean, su una cosa erano stati d’accordo: il morso è letale. Se la saliva di uno degli infetti entra in circolazione nel sangue, sei spacciato.

(UNA STORIA PARALLELA A QUELLA DELLA SERIE TV)
Genere: Angst, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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CAPITOLO 8
 

Non riesco a reggermi in piedi. Le urla della piccola Janet sono così strazianti da essere costretta a tapparmi le orecchie. Sto quasi per vomitare e per di più la testa è un vortice di dolore. Mi ritrovo con le ginocchia a terra.
Sento subito Dean chiedermi se sto bene e senza esitazione mi aiuta a rialzarmi.
Ci guardiamo per molti secondi. Ho parte dei capelli attaccati alla faccia a causa del sudore e del sangue fuoriuscito dalla ferita e sto iniziando a piangere per la disperazione.
Che cosa facciamo ora? Le strade sono tutte infestate e siamo bloccati sul tetto di un carro armato.
Dean sta respirando affannosamente. Si guarda intorno agitando la testa rapidamente per poi soffermarsi nuovamente su di me.
“Dove andiamo?” riesco a dire “Ritorniamo alla macchina?”
“Assolutamente no!” mi risponde immediatamente il ragazzo “Quella strada è un vicolo cieco e di certo non resterò chiuso in un auto ad aspettare di morire.”
Sentiamo un grugnito dietro di noi. Uno di quei mostri si sta arrampicando sul carro armato. Dean gli da subito un calcio al livello della testa e lo fa cadere.
“Credi che potremmo usarlo?” chiedo riferendomi proprio al mezzo militare.
“Beh, non so tu, ma io di certo non so come guidarlo” mi fa di tutta risposta Dean e in parte suona come una battuta, ma non credo che sia stata sua intenzione.
“E poi…” continua “Non credo che funzioni, altrimenti perché lo avrebbero lasciato qui, in mezzo al nulla?”
Il suo discorso non fa una piega.
“Non abbiamo neanche iniziato a fare la nostra ricerca. Troveremo un altro posto dove rifugiarci!”
Proprio mentre sta terminando di parlare, sentiamo delle urla. Non si tratta più di Janet (non ho il coraggio neanche di girarmi e vedere cosa è rimasto del suo corpicino), ma di un gruppo di tre persone che stanno correndo, oltre la barricata.
Altre persone. Altre persone vive.
Non riusciamo a capire cosa stanno dicendo, ma due di loro stanno trattenendo l’altro.
“Eravamo più al sicuro lì dentro! Torniamo indietro!”
Una di quelle persone è una donna e la sentiamo urlare con più foga.
I mostri si avvicinano con passo strascicato, ma non sono poi così lontani.
Tutti e tre ci guardano per un secondo, ma poi ritornano a discutere tra loro, ignorandoci completamente. Non hanno armi, hanno solo un paio di zaini e una chitarra rotta in più punti.
Sapere di non essere soli in quel caos mi fa leggermente calmare. Il gruppetto sta avanzando senza grossi problemi, quindi potremmo farlo anche noi. Sono sicura che Dean stia pensando la stessa cosa.
“Andiamo!” dice infatti. “Possiamo superare la barricata con un salto.”
Il carro armato è circondato, ma si trova proprio al confine con la fila di sacchi. Non è un salto poi così lungo. Potremmo effettivamente farcela.
Dean mi chiede di restituirgli la pistola e io lo faccio senza esitazione. Non sono proprio capace di usarla, in ogni caso. Ma non resto disarmata. Il ragazzo mi passa il fucile aggiungendo però che non ci sono più proiettili. Non c’è bisogno neanche che dica in che modo dovrò servirmi di quell’arma. Ci siamo capiti lo stesso. Qualunque cosa possa colpirli è utile.
“Pronta a saltare?” con la mano libera mi stringe forte il polso.
I mostri stanno sempre cercando di raggiungerci sul carro armato. Pronta o no, il salto è inevitabile, la nostra unica via di fuga. Cerco di non barcollare e di rimanere focalizzata sulla barricata di sacchi. Dean inizia il conto alla rovescia.
Tre, due, uno…
Non mi rendo conto neanche di essermi mossa e di aver spiccato il volo per qualche secondo. Tutto si capovolge e sento un forte dolore alla spalla destra perché tutto il peso della caduta è andato lì. Caccio un urlo, ma nello stesso istante mi sento sollevare e sono di nuovo in piedi ed in movimento, la mano di Dean di nuovo intorno al mio polso. A quanto pare siamo atterrati esattamente sui sacchi ed ora siamo dall’altra parte della strada. Molti metri avanti a noi notiamo il piccolo gruppo di prima che sta continuando ad avanzare. Uno dei ragazzi colpisce il mostro che lo sta aggredendo con la chitarra ma il manico si stacca e lo strumento cade a terra.
È evidente che Dean voglia seguirli, vuole chiedere loro dove sono stati rifugiati e se abbiano qualche notizia su ciò che stava accadendo. Non glielo domando ma sono certa che lo stia pensando, perché lo sto facendo anche io.
I tre svoltano improvvisamente a sinistra imboccando un’altra strada e spariscono dalla nostra visuale. Dean mi sprona ad aumentare il passo e cerco con tutte le mie forze di farlo. Abbiamo molti mostri intorno a noi ma riusciamo a superarli, esattamente come avevamo fatto prima dall’altra parte. Raggiungiamo la chitarra rotta e rischio quasi di inciamparci sopra, poi arriviamo all’angolo e svoltiamo anche noi. La strada che ci troviamo avanti è inaspettatamente più deserta e la cosa ci sorprende e in parte consola. Ci permette di riprendere fiato. Ma non per molto. Sentiamo delle urla e torniamo sull’attenti immediatamente. Non vediamo il gruppetto, ma le voci non sembrano molto lontane. Avanziamo con cautela, sempre in silenzio. Respiro a fatica e il cuore mi batte più forte mentre le urla si fanno sempre più vicine. Ed eccolo lì. Un altro vicolo. Ed è il luogo dove troviamo i tre ragazzi. Quello che ha combattuto con la chitarra è in piedi, schiena al muro e due di quei mostri gli stanno mordendo le braccia, staccando la carne a morsi. La ragazza è a terra, circondata e sta urlando e piangendo per il dolore. C’è molto sangue intorno a lei.
Infine il terzo ragazzo, quello che avevamo visto in testa al gruppo e che gli altri due stavano rincorrendo, è diversi metri più in là, anche lui a terra. Ma non vediamo alcuna reazione. Non urla, non si muove.
Quella visione mi fa bloccare ma il rumore del colpo esploso dalla pistola di Dean mi fa tornare presto alla realtà.
Vengo presa nuovamente a forza dal ragazzo e torniamo a correre.
“Non possiamo fare niente” gli sento dire e lo ripete più volte, forse per convincere se stesso.
Ritorniamo sulla strada principale.
Mostri, solo mostri e ancora mostri.
Uno di loro si avvicina vertiginosamente a me e per istinto alzo il fucile e la canna riesce a trattenerlo giusto in tempo così da permettere a Dean di farlo fuori.
Non avanziamo poi di molto rispetto a prima. Il sole è forte, siamo completamente sudati e sento che la mia ferita si è di nuovo aperta. Mi passo un braccio sulla guancia che brucia ed effettivamente esso si sporca di sangue.
“Ce la fai?” mi sento domandare da Dean.
 La situazione sembra così surreale. So che dobbiamo continuare a correre e trovare un luogo sicuro, ma la realtà è che sto male.
“No.” gli rispondo con sincerità.
Lui fa un solo breve cenno di assenso e si guarda intorno. Mi prende sotto braccio e mi lascio trascinare, ancora una volta.
Vedo la signora De Blasio non lontano da noi, ma quella visione mi provoca dolore al petto e mi rendo conto subito dopo che si tratta solo di un’allucinazione.
Sento Dean sparare di nuovo e poi mugugnare qualcosa che però non capisco. Ci fermiamo ancora una volta, e sembra che il ragazzo voglia imboccare un altro vicolo, invece poi lo superiamo e ci mettiamo di fronte ad una saracinesca.
“Tieni alto il fucile” mi intima e questa volta lo capisco e così faccio. Sollevo l’arma avanti a me, mentre premo la schiena contro il ferro della saracinesca.
Dean si abbassa. Forse per aprire lo zaino e prendere un’altra arma.
I secondi passano e gruppi numerosi di quei mostri sono sempre più vicini a noi.
Ho paura, non capisco cosa stia facendo Dean e sento il mio corpo cedere pian piano. Neanche mi accorgo di essere pian piano scivolata ed ora sono in ginocchio.
Il ragazzo mi urla immediatamente di alzarmi. Io non ce la faccio davvero più. Lascio cadere il fucile. Dean scaraventa due dei mostri più vicini a terra con un coltello, poi torna accanto a me.
Improvvisamente non sento più il ferro freddo della saracinesca dietro di me e mi ritrovo stesa sul pavimento.
Il ragazzo mi prende per le spalle e capisco che ha sollevato il cancello di ferro e mi sta trascinando dentro.
“Alzati Sam!” mi comanda, con una punta di aggressività, ma quello mi convince a farlo. Avanti a me vedo una stanza semibuia e una grossa gip nera.
Dean mi passa il suo zaino e mi dice di cercare la torcia al suo interno. Con la testa che mi gira, cerco di fare in fretta e proprio mentre la sto prendendo tutto intorno a noi si fa buio e sento il rumore del ferro sbattere contro il pavimento.
La saracinesca è chiusa. Noi siamo dentro.
Stringo tutto ciò che ho in mano e mi faccio vicina a Dean più che posso. I mostri stanno picchiando contro la saracinesca continuando a grugnire furiosamente.
“Dovrebbe resistere” dice il ragazzo girandosi per un istante verso la porta di ferro e puntando poi la torcia verso la jeep nera. Si accovaccia e dirige la luce in basso, illuminando il pavimento vuoto sotto l’autovettura. Continuiamo a controllare il luogo dove ci siamo rintanati. Sembra essere un garage privato, non molto grande a dire il vero, con lo spazio adatto al massimo a tre macchine.  Continuiamo ad avanzare guidati dalla nostra unica fonte di luce.
Siamo soli. Il garage è vuoto. Ci dirigiamo subito verso la parte destra della macchina dove notiamo una porta che il ragazzo apre con molta cautela. Si tratta di uno sgabuzzino, un piccolo angolo con uno scaffale semivuoto, un lavandino e una toilet. Controlliamo gli scatoli che troviamo e al loro interno ci sono solo prodotti per le auto, stracci sporchi e un paio di chiavi inglesi. Prendiamo con piacere, invece, due rotoli di carta igienica e una confezione di sapone liquido ancora nuova. Torniamo nel garage e notiamo un’altra porta alla fine di una breve scalinata in cemento, ma questa volta non riusciamo ad aprirla. Dean prova a forzarla più che può ma qualcosa deve averla bloccata, magari dall’altra parte.
Ci rifugiamo nella jeep.
Appena mi siedo su uno dei sedili anteriori mi sento invadere da un tanto agognato senso di sollievo e chiudo gli occhi.
Quando sento qualcosa di fresco venire a contatto con la pelle ferita mi riprendo immediatamente e capisco che Dean mi sta cambiando la medicazione.
Ecco di nuovo arrivare il bruciore.
“Mentre dormivi ho controllato nuovamente il garage. Siamo ben protetti e l’acqua del lavandino sembra essere potabile.”
“Cosa? Ho dormito?”
Pensavo semplicemente di aver chiuso gli occhi per qualche secondo.
“Sì” mi conferma lui “E per una buona mezz’ora, almeno.”
Rimango incredula per qualche momento, poi dico a Dean che alla medicazione posso pensarci da sola. Prendo grossi respiri e sento già il bruciore diminuire.
In silenzio, termino di bendare l’occhio e poi consumiamo un breve pasto.
I colpi alla saracinesca ci sono sempre, i mostri non sono andati via.
“Che cosa facciamo ora?” chiedo.
Quella domanda è inevitabile e Dean lo sa perfettamente. Infatti mi risponde subito.
“Le opzioni sono due.” Prende la torcia “Restiamo qui in attesa che la situazione in città venga nuovamente presa sotto controllo, resistendo quanto più possiamo con il cibo che abbiamo.” Punta la luce verso la porta alla fine della scalinata “Magari cercando di aprire quella porta per raggiungere i piani superiori dell’edificio.” Sposta la luce verso la saracinesca “Oppure ci riposiamo quanto serve e ritorniamo lì fuori, alla ricerca di altre persone, del centro rifugiati magari, di qualcuno che ci dica cosa fare.”
“Quale soluzione preferisci?” gli domando senza mezzi termini. Fino ad ora sono sopravvissuta insieme a lui, quindi istintivamente mi fido.
Torna a poggiare la torcia sul cruscotto della macchina e riesco a vedere, anche se flebilmente, il suo sguardo rivolto verso di me.
“Se prima non mi sono voluto rinchiudere in quel carro armato vuol dire che non ho intenzione neanche di restare chiuso qui. Per questo vorrei riuscire ad aprire quella porta e capire dove ci conduce.”
Annuisco. Per quanto mi senta stanca, l’idea di restare in quel garage buio non alletta neanche me.
“Va bene” rispondo  mettendo via tutto il rotolo di garza e spostando la mia borsa sui sedili posteriori.
“Visto che siamo ben protetti, riposiamoci. Soprattutto tu. Hai bisogno di una bella dormita.”
“Sto bene” mi risponde con noncuranza.
“Sappiamo benissimo entrambi che la tua forza e la tua resistenza possono fare la differenza. Credi che lo abbia detto per te? Da sola sono assolutamente spacciata, quindi ho bisogno che tu stia al cento per cento per salvarmi il culo.”
Dean ridacchia e sono felice che abbia compreso subito che la mia era una battuta. È da parecchio tempo che quella parte di me non esce fuori. Sarà il continuo giramento di testa, sarà la situazione ancora surreale e nuova nella quale ci troviamo. Ed è quello a cui penso mentre, come deciso, cerchiamo di riposare. Penso a zio Ed, a zia Betty e ai miei cugini sperando abbiano trovato davvero un rifugio. Erano successe parecchie cose da quando ero arrivata a casa loro insieme a mia madre.
Ripensare a lei invece mi fa decisamente male e di certo non mi fa rilassare.
Le nostre strade si sono divise ora, dovrei cercare di pensare a questo. Se mai la situazione lì fuori dovesse tornare alla normalità, non sono costretta a doverla incontrare di nuovo. Sempre se non sia stata ferita da uno di quei mostri. Una parte di me immagina e spera che sia così e che magari sia stata una di quelle persone che Dean aveva sparato lì fuori.
Mi giro verso il ragazzo e noto che ha gli occhi aperti e che quindi non sta dormendo.
“Quindi è così che succede?” domando.
“Cosa?”
“Se vieni ferito da uno di quei cosi sei condannato a morire o a diventare come loro…”
“Direi entrambe le cose.”
Mi acciglio. Ho parecchie domande per la testa. Non sono ancora sicura di ciò che stiamo dando per scontato.
“Quindi tu credi davvero che loro si siano risvegliati dalla morte?”
“Ho visto diverse persone farlo, sì. Nelle settimane prima che tutto degenerasse. Compreso un mio collega. Quindi sì, ci credo.”
La possibilità è reale, ma c’è una parte di me che ancora stenta a crederci.
“Ma questo non rende tutto più semplice.”
Mi racconta di alcune conversazioni avute con la signora De Blasio quando ero stata portata a casa della donna. Ovviamente l’infermiera non era al corrente di ciò che aveva provocato quell’infezione, ma tra la sua testimonianza e quella di Dean, su una cosa erano stati d’accordo: il morso è letale. Se la saliva di uno degli infetti entra in circolazione nel sangue, sei spacciato.
“Ero davvero convinto che sarebbe stata qui con noi e che avremmo trovato i tuoi zii e i tuoi cugini…” ammette lui, infine, con amarezza.
Non so cosa dirgli. Dopo tutto quello che era successo nella mia famiglia nell’ultimo anno non mi sentivo più in grado di consolare le persone. Ancor di più  dopo quello che avevamo visto tra le strade di Atlanta…
“Credo che troveremo qualcosa.” dice infine “Non so se il centro rifugiati, ma qualcosa
 
 
*
 
Stare in quella jeep si è rivelata una buona idea. L’imbottitura dei sediolini si è amalgamata perfettamente con il mio corpo e riesco finalmente a rilassarmi.
Ma forse sono solo troppo stanca e mi basta essere stesa da qualche parte.
Ci siamo rifugiati e riposati in quel garage da moltissime ore, ormai. Il ragazzo ha cercato di mantenere il conto e sostiene che sia addirittura passato un giorno.
Ha provato nuovamente ad aprire la porta sulla scalinata ma dopo altri venti minuti di insuccessi, e non poche imprecazioni, si è arreso.
Ormai la nostra unica via d’uscita è esattamente da dove siamo entrati.
E l’occasione per uscire si presenta molto più presto del previsto quando sentiamo il suono di due elicotteri farsi sempre più vicino. Dean mi dice che seguendoli potremmo in qualche modo raggiungere un accampamento e forse proprio un centro per rifugiati. Mi preparo a prendere lo zaino e a scendere dalla jeep, ma il ragazzo mi dice che c’è un po’ di benzina nell’automobile e che possiamo uscire con quella.
“Il rumore potrebbe attirarli, ma almeno siamo più veloci. Tieni pronte le armi”
Annuisco velocemente.
“Aiutami ad aprire la saracinesca.”
Lascio di nuovo lo zaino sui sedili posteriori e stringo il coltello con la mano destra.
Gli elicotteri ormai sono vicinissimi. Il loro rumore sovrasta qualunque altro quindi non sappiamo se i mostri sono ancora lì ammassati o no.
“Pronta”?
Entrambi prendiamo un bel respiro e poi spingiamo il muro di ferro verso l’alto.
Mi sarei aspettata di vedere le strade illuminate dalla luce mattutina ed invece ci sono solo grossi riflessi arancioni, segno che deve essere il tramonto.
Non c’è nessun gruppo di mostri ammassati, ma sono comunque sempre lì a girovagare erranti.
I due elicotteri di cui avevamo percepito la presenza passano proprio in quell’istante sopra le nostre teste.
“Sbrighiamoci!” urla Dean.
Risaliamo velocemente sulla jeep, mi allaccio la cintura, ho ancora il coltello in mano.
Appena usciti da quello che è stato il nostro rifugio per un giorno investiamo uno dei mostri, il cui corpo vola per qualche metro avanti a noi e Dean è costretto a fare una manovra brusca per non beccarlo di nuovo.
“Io guardo la strada, tu segui gli elicotteri. Li vedi ancora?”
Ancora devo abituarmi a vedere con un occhio solo, ma almeno il bruciore sembra essere meno intenso e riesco comunque a scrutarli e non perderli di vista.
“Sì, eccoli!”
Punto con il coltello verso la loro direzione, ma mi accorgo che Dean è ovviamente troppo impegnato a guidare.
Le strade sono piene, esattamente come le avevamo lasciate e stiamo attirando la loro attenzione.
“Qual è la loro direzione?” mi chiede lui.
Mi guardo intorno e mi tengo stretta al sediolino mentre Dean fa una frenata brusca.
“Nord, mi sembra.”
Siamo ad un incrocio e Dean gira verso destra, dirigendosi, appunto, a nord.
“Oh no…”
I due elicotteri improvvisamente si separano.
“Cosa c’è?”
“Hanno preso due direzioni diverse ora.” rispondo “Uno è andato ad ovest e l’altro ad est.”
Dean non dice nulla e continuiamo verso nord. Siamo costretti a girare verso est a causa di un muro di sacchi, come quelli che avevamo lasciato qualche giorno fa ed infine arriviamo a Piedmont Park.
La situazione lì non sembra differente da quella nelle strade, fino a quando non sentiamo alcuni colpi di arma da fuoco.
“Ci sono… persone!” esclamo sorpresa e la percepisco anche nell’espressione di Dean.
“Cosa facciamo?”
Lo vedo parecchio indeciso. Sta tremando, combattuto, lo sguardo intenso rivolto fuori.
“Non posso stare qui a non far nulla. Devo aiutarli.” dice, infine.
“Ma…”
Non ho il tempo di ribattere. Lui esce dalla macchina ordinandomi di restare lì.
Vedo persone correre, persone combattere, persone cadere a terra e urlare.
Improvvisamente qualcuno colpisce violentemente il finestrino e sobbalzo cacciando anche un urlo leggero.
Uno dei mostri mi ha notata e ora vorrebbe raggiungermi. Mi sfilo la cintura e mi allontano dal finestrino, anche se sono ben protetta. Stringo il coltello tra le mani.
Non so usarlo. Non so se sono in grado di difendermi.
Cerco di capire dove sia finito il ragazzo e mi ci vogliono parecchi minuti prima di riconoscerlo in mezzo alla folla mentre sta aiutando un’anziana donna ad alzarsi.
Ad un certo punto sento il rumore di alcuni spari proprio dietro di me e noto una persona salire sul tetto di una macchina e sparare con precisione in testa a tre mostri uno dopo l’altro. L’uomo ha due pistole e allarga le braccia sparando con entrambe contemporaneamente. Ma il gruppo è troppo numeroso e qualcuno sta provando a raggiungerlo sull’auto. Anche il mostro che si era accanito contro il finestrino della jeep decide di andare in quella direzione.
L’uomo continua a sparare un colpo dopo l’altro fino a quando i proiettili sembrano essere terminati. Con un volo si lancia di nuovo a terra e cerca di scappare. Sembra esserci riuscito ma poi lo vedo improvvisamente inciampare e cadere. Istintivamente prendo il fucile, anche se so che è scarico. Nel gruppo ormai sono rimasti solo cinque di quei mostri, magari riesco a farli allontanare. Scendo dall’auto. Mi guardo intorno in cerca di Dean, ma l’ho sfortunatamente perso di nuovo. Respiro profondamente e mi dirigo verso l’uomo che intanto si è alzato e ha tirato un calcione al mostro più vicino. Prova a scappare di nuovo, ma di nuovo, qualcosa va storto.
Accade proprio avanti ai miei occhi. Uno dei senzanome gli afferra una mano e se la porta alla bocca. Sento l’uomo urlare.
Prendo il fucile e con tutta la forza che ho colpisco il mostro. Il gesto lo fa solo allontanare di qualche centimetro.
L’uomo si accascia a terra, io prendo il coltello, alzo il braccio ma vedo arrivare un proiettile che colpisce la creatura in un occhio.
Altri colpi e anche le altre cinque rimaste cadono a terra.
Mi giro. Vedo Dean arrivare e con lui un gruppo di persone, ma non mi soffermo molto su di loro. Una volta sicura che i mostri siano fuori combattimento, rivolgo nuovamente la mia attenzione verso l’uomo.
Si sta lamentando dal dolore e la sua mano sanguina, ma quando la guardo meglio capisco che c’è qualcosa che non va. L’indice e il medio stanno penzolando. Nel tentativo di morderlo il mostro deve avergliele staccate a metà.
Gliele ha staccate, ma forse…
Ancora una volta il mio istinto. È  l’unica cosa su cui posso fare affidamento ora.
Sento delle voci e il rumore di passi farsi sempre più vicino, sento anche pronunciare il mio nome ma decido comunque di chinarmi verso l’uomo e di immobilizzargli la mano premendo il mio ginocchio sul suo polso.
“Sta’ fermo!” gli urlo.
Lui non ha certamente capito cosa sto per fare.
Alzo di nuovo il braccio e cerco di non tremare.
Sento di nuovo il mio nome. Dean ormai è accanto a me.
Zac!
Affondo il coltello nella parte rimanente dell’indice e glielo taglio di netto.
L’uomo urla disperatamente e inizia a dimenarsi. Cerco di farlo calmare e mi becco anche un calcio nello stomaco e uno sul fianco destro.
“Cosa stai facendo?” sento urlare anche Dean.
Con tutta la mia forza lascio che il peso del ginocchio sul polso diventi ancora più intenso e ripeto il gesto tagliando anche il dito medio.
Altre urla, altro sangue. Tanto sangue. I miei pantaloni e le mie mani sono zeppi.
Vengo sollevata di peso.
“Perché sei uscita qui fuori?” mi urla Dean. “Presto! Andiamo! Ho trovato delle persone che hanno un rifugio sicuro!”
Mi strattona ma ho i piedi ben saldi a terra e lo imploro di fermarsi per soccorrere l’uomo a cui ho appena tagliato via le due dita.
Una delle persone che è arrivata con il ragazzo inizia a parlare con lui concitatamente ma non capisco cosa stanno dicendo. Sembra stiano parlando in quello che credo sia messicano.
Ne approfitto per chinarmi di nuovo verso l’uomo ferito e con una parte della mia t-shirt cerco di tamponare i due tagli.
Dal parco vedo avanzare un nuovo gruppo di mostri.
“Non c’è tempo per questo.”
Dean mi rivolge di nuovo la parola ma lo fa con più calma e apprensione.
“Non possiamo lasciarlo qui.” gli rispondo subito.
“È stato morso, vero?”
“No! Gli sono state morse solo due dita, quelle che ho tagliato. Magari è salvo!”
Intorno a noi c’è una confusione incredibile, non riesco a capire nulla di ciò che tutti stanno dicendo, compreso il povero malcapitato che ha smesso di dimenarsi ma ha un’espressione piena di dolore. Cerco di scusarmi con lui e con l’aiuto di Dean lo mettiamo in piedi.
Seguono altri momenti di caos nei quali i rimanenti uomini arrivati con Dean continuano a sparare ai mostri e noi portiamo il ferito nella jeep.
Mi fiondo sui sediolini posteriori e chiedo a Dean di prendere il rotolo di garza che ho nella mia borsa.
Lui prima si rivolge  - sempre in messicano – all’altro uomo, che intanto si è messo alla guida, poi riesce a passarmi la garza.
Il ferito mi sta guarda con aria stranita e mi lancia qualche imprecazione. Io non rispondo e mi dedico semplicemente a fasciargli le dita.
Lui si passa l’altra mano sulla fronte sudata, spostando alcune ciocche dei suoi capelli biondicci, poi chiude gli occhi. Capisco da un’altra imprecazione che gli gira la testa. Il sangue continua ad uscire abbondantemente, nel frattempo.
Non so bene cosa stia succedendo, non so dove stiamo andando.
L’uomo alla guida finalmente dice qualcosa che riesco a comprendere.
“Hai fatto una grande stronzata!”
 
Facciamo parecchia strada e ci allontaniamo dal Midtown. Il sole ormai è tramontato definitivamente e la macchina è entrata in riserva.
Quando finalmente ci fermiamo noto che dietro di noi ce n’erano altre due. Io e Dean prendiamo gli zaini e cerchiamo anche di aiutare l’uomo ferito a mantenersi in piedi visto che nel frattempo ha iniziato a barcollare.
Uomini armati sono tutti intorno a noi e avanziamo in fila indiana.
Passiamo sotto un’arcata di mattoni, raggiungiamo un piccolo spiazzo e poi entriamo in un edificio. Attraversiamo un paio di stanze semibuie, superiamo una porta e ci ritroviamo in un corridoio. Qualcuno ci raggiunge con una barella e l’uomo ferito viene fatto stendere lì, ormai svenuto.
Siamo in un ospedale? È la prima cosa che mi viene in mente mentre mi guardo intorno. È tutto estremamente silenzioso e pulito.
L’uomo che ha guidato la jeep porta me Dean e l’uomo ferito nella prima stanza che troviamo sulla sinistra.
“Avrete la barella fino a quando non si sveglia” ci dice indicandola e fa per andarsene.
“Se è infetto, vi mandiamo via tutti e tre!”
Poi si chiude la porta alle spalle.
Io e Dean sbuffiamo contemporaneamente e posiamo gli zaini a terra.
Sono completamente sporca di sangue, ma prima di fare qualunque altra cosa vado nuovamente a controllare le dita dell’uomo.
La stanza in cui ci troviamo non è molto grande e l’arredamento prevede una scrivania e un divanetto con la rivestitura in pelle marrone.
Dean mi si fa immediatamente di fianco e mi assiste dandomi una bottiglia d’acqua. Ci guardiamo per un’ istante.
“Perché l’hai fatto?” mi chiede, riferendosi ovviamente all’uomo che è lì con noi.
“Perché tu mi hai aiutata portandomi dalla signora De Blasio?” rispondo quasi subito cambiando la garza inzuppata di sangue con una parte pulita
“Perché volevi aiutare Alyssa e Janet? O le persone al parco?”
“È il mio dovere.” Anche la risposta di Dean è rapida, quasi automatica.
Scuoto la testa.
“No. Non credo che sia solo per quello.”
A quel punto si zittisce.
Prendo la bottiglina e faccio dei lunghi sorsi d’acqua.
“Ora dobbiamo aspettare che le ferite si cicatrizzino da sole.” dico ricordando alcune piccole cose che mi aveva detto la signora De Blasio a proposito di sanguinamenti.
“Ma quando si risveglierà avrà bisogno di qualche antibiotico. Ne abbiamo?”
Dean si inumidisce le labbra, pensandoci per qualche istante.
“No” mi risponde infine “Ma posso chiedere a uno dei ragazzi”
Si dirige subito verso la porta ma lo chiamo.
“Dean, dove siamo? Non credo affatto che sia il centro rifugiati. Me lo avresti detto subito.”
“Non lo è, infatti.”
“Siamo in un ospedale?” provo di nuovo.
“Sì, qualcosa del genere.”
Mi lascio scappare un leggero sorriso.
“Avevi ragione, quindi. Abbiamo davvero trovato qualcosa.”
Mi rivolge un’espressione non molto convinta e poi esce fuori. 

 
   
 
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