Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Evee    24/01/2015    3 recensioni
Ci sono tre verità universalmente riconosciute riguardo Molly Hooper.
Verità numero 1: la dottoressa Hooper nel suo lavoro è una persona seria ed affidabile.
O almeno di questo era convinto il consulente investigativo, fino al giorno in cui la patologa non ha iniziato a mancare di puntualità e precisione nel soddisfare le sue richieste.
Verità numero 2: Molly ha più che chiaramente un debole per Sherlock.
O almeno di questo era convinto lui, fino al giorno in cui lei non ha iniziato ad ignorarlo, trascurarlo e dimenticare i loro appuntamenti.
Verità numero 3: Miss Hooper non riesce ad intrattenere relazioni sentimentali durature perché fa sempre pessime scelte in fatto di uomini.
O almeno di questo era convinto Mr Holmes, fino al giorno in cui la giovane donna non ha iniziato a frequentare un certo Dottore.
[ Wholock & Sherlolly - Menzione speciale per la storia e Nomination nella categoria "miglior attore non protagonista" per John Watson agli Oscar EFPiani 2016 ]
Genere: Commedia, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

III - The impossible blue box

 

Sherlock Holmes is a human that longs to be a god,
The Doctor is a god that longs to be a human.”

- Steven Moffat

 

Aveva davvero bisogno urgente di caffè. Un litro di caffè. Versato direttamente in endovena.

Tuttavia non possedeva più monetine da inserire nella macchinetta, e comunque ne aveva già bevuto così tanto durante la giornata che sarebbe bastata una sola goccia per mandarla in overdose da caffeina. O quantomeno in ipertensione. Per cui, doveva trovare un altro modo per tenersi sveglia, o non sarebbe mai sopravvissuta al turno di notte...

Le palpebre le caddero involontariamente sugli occhi, così pesanti che Molly dovette dar fondo a tutta la sua forza di volontà per riaprirli e ritornare sul corpo che stava sezionando. A causa della sonnolenza abbastanza maldestramente, ma uno dei pochi vantaggi della sua professione era proprio che in caso d'errore l'interessato non sarebbe stato in grado di sporgere nessuna lamentela. Comunque, quella era una consolazione troppo magra per poter ignorare quanto la stanchezza accumulata la stesse rendendo sempre più inconcludente sul lavoro. Per non dire narcolettica, visto che già un paio di volte aveva finito per assopirsi nelle posizioni più improbabili, fortunatamente solo quando nei paraggi non c'era nessuno abbastanza vivo da potersene accorgere.

Sospirò sconsolata. Si era sempre crogiolata nell'autocommiserazione lamentando che non le succedeva mai nulla di entusiasmante, ed ora si ritrovava paradossalmente a vivere talmente tante esperienze al limite dell'impossibile da risultarne travolta. O, meglio, fisicamente stravolta. I primi tempi l'entusiasmo e l'adrenalina avevano aiutato a tenerla in piedi ma poi, trascorsa una settimana per lei della durata effettiva di quasi un mese, aveva iniziato a risentire seriamente delle troppe ore di sonno mancate. Perché sì, ogni viaggio sulla TARDIS era così strabiliante che quando riatterrava a Londra si domandava sempre se non si fosse trattato solo di un sogno, ma se così fosse stato non si sarebbe ricordata tutto quello che le era capitato nei minimi dettagli, e soprattutto non sarebbe stata così esausta al suo risveglio. Certo, a forza di scappare a gambe levate dal mostro alieno di turno si era conquistata una velocità e una resistenza nella corsa a dir poco invidiabili, permettendole di risparmiare sull'abbonamento in palestra e di vincere la sua pigrizia nel frequentarla, ma a lei interessava soltanto tenersi un po' in forma, non allenarsi per le Olimpiadi! E tra le visite del Dottore passava davvero troppo poco perché i suoi muscoli riuscissero a smaltire per tempo tutto l'acido lattico accumulato...

Sia chiaro, non intendeva certo lamentarsi, né si era mai pentita di un solo viaggio sulla TARDIS o intendeva rinunciarvi, ma... se non avesse trovato in fretta un modo per conciliare la sua doppia vita presto o tardi le sarebbe venuto un esaurimento nervoso. Era riuscita a prevenire comparsate inopportune del Dottore chiedendogli quantomeno di avvisarla in anticipo del suo arrivo, ma rimaneva comunque più improvviso e ingestibile di una mina vagante...

E, come volevasi dimostrare, non fece in tempo a rimettere piede in laboratorio che il suo nuovo cellulare blu TARDIS attaccò a suonare insistentemente. Gli rispose rassegnata, ma almeno riuscì a strappare al Dottore il compromesso che passasse a prenderla sotto casa solo a fine giornata. Prima doveva concludere il suo turno, dar da mangiare a Toby e andare a comprarsi qualcosa che potesse riempirle sia il frigo che lo stomaco. Inoltre, non le sarebbe dispiaciuto affatto poter schiacciare un pisolino, giusto per qualche ora. Anzi, era proprio quello cui mirava.

La giustizia non dorme mai, ma lei non aveva i superpoteri.

 

* * *

 

Giovedì sera, poco dopo il tramonto. Un'auto imboccò la via, passò davanti alla casa della dottoressa Molly Hooper e svoltò nella prima traversa sul lato opposto della strada, per poi fermarsi docilmente. Il guidatore si premurò di spegnere motore e fari, quindi allungò il braccio verso il retro della vettura.

-Sherlock, potresti...?- domandò infine, dopo essersi divincolato inutilmente.

-Tieni.- borbottò lui, allungandogli un cheeseburger mentre accartocciava i resti di quello che si era appena mangiato.

-Grazie.- rispose John, ma non prima di aver dato un morso al proprio.

Quindi, si apprestò a consumare la sua modesta cena con calma. D'altronde quello era tutto ciò che il suo coinquilino gli aveva accordato dopo che, smanioso di arrivare in tempo per l'appostamento, aveva deciso di sperimentare un nuovo metodo di cottura sul pudding che Mrs Hudson aveva preparato loro, scaldandolo fino a fargli prendere fuoco. Tuttavia, per quanto si stesse sforzando di ignorarne l'inquietudine voltandosi dall'altra parte, l'espressione corrucciata dipinta sul volto del detective risultava evidente persino dal riflesso sul vetro del proprio finestrino.

-Ti prego, Sherlock, rilassati!- lo esortò -E' ancora presto, e comunque le donne non sono mai in orario agli appuntamenti...-

-Infatti non è quello che mi sta dando da pensare.- mormorò lui, continuando a guardare lungo la via.

-Cofa, allofa?- biascicò a bocca piena.

Sherlock gli rivolse un'occhiata di sufficienza.

-Andiamo John. Davvero non noti nulla?-

Scrutò oltre il finestrino dell'amico, perplesso.

-Non mi pare.- ammise -Cioè, c'è quella cabina telefonica dal colore strano, ma non vedo cosa...-

-Fuochino.- lo interruppe Sherlock -Il problema non è il colore, perché quella non è una cabina telefonica. E' una cabina della polizia.-

-Una cosa?-

-Una cabina della polizia.- ripeté il suo amico, spazientito -La usavano negli anni '60 gli agenti per comunicare tra loro, e per imprigionare temporaneamente i criminali colti in flagrante.-

Detto questo, scese rapido dall'auto e prese a dirigersi risoluto verso la cabina incriminata. John sbatté le palpebre, confuso, poi si affrettò ad inseguirlo, senza neanche chiudere a chiave la loro vettura. Ormai era abituato alle innumerevoli manie che colpivano il suo amico nei momenti più improbabili, ma quello era davvero il meno adatto per interessarsi al folklore londinese. Presto Molly sarebbe uscita di casa, per cui sarebbe stato consigliabile rimanere nascosti per non essere colti con le mani nel sacco...

-Sherlock, che cavolo!- ansimò, tirandolo per il Belstaff -Torniamo subito indietro! Vuoi farti beccare?!?-

Lui però non si mosse di un millimetro e continuò a scrutare la struttura davanti a sé come se la stesse passando ai raggi-x.

-No, voglio scoprire che cosa ci fa qui questa cabina.- replicò con il suo usuale fare saccente -In tutta Londra ne rimangono solo otto, in disuso. E l'unica che assomiglia a questa è stata installata di recente, all'esterno della fermata metropolitana della Earl's Court. E' impossibile che ce ne sia un'altra, e che sia sbucata fuori da un giorno all'altro proprio davanti alla casa di Molly!-

John inarcò un sopracciglio. Non sarebbe mai riuscito a comprendere il criterio in base al quale il suo amico selezionava le informazioni da custodire nel suo palazzo mentale, sdegnando quelle più basilari del vivere comune a vantaggio delle nozioni più strambe e che Google avrebbe saputo fornirgli con altrettanta minuzia. Ed attualmente irrilevanti. Stavano cercando di verificare se il nuovo ragazzo di Molly fosse o meno un maniaco psicopatico, non di aggiornare la cartina stradale di Londra!

-E lo devi scoprire proprio ora?!?- provò a protestare.

-Sì.- fu tutto ciò che ottenne in laconica risposta.

Scosse la testa, sospirando. Non c'era davvero verso di farlo ragionare, quando si fissava così... Spostò lo sguardo sulla cabina, cercando di capire cosa ci trovasse di tanto interessante. Effettivamente, in alto capeggiava la dicitura “Police Box - Public Call”, a conferma di quanto il suo amico gli aveva appena raccontato. Si allungò a sfiorarne con la mano una delle pareti, fredda e liscia. Dipinta di un perfetto blu elettrico, e perfettamente normale. Poi gli occhi gli caddero incuriositi sull'avviso affisso in bella mostra sul davanti:

Police telephone
FREE

for use of
PUBLIC
Ice & assistance
obtainable immediatly
Officers and cars respond to all calls
PULL TO OPEN

Anche Sherlock doveva averlo notato, perché afferrò la maniglia laterale e la tirò, svelando un piccolo vano interno e il telefono in questione.

-Dici che è ancora funzionante?- gli domandò incuriosito.

Il suo amico per tutta risposta afferrò il ricevitore e provò a comporre il numero d'emergenza. Rimase in attesa un paio di secondi, poi riattaccò con uno sbuffo.

-No, com'era ovvio.-

Tuttavia, benché non avesse ottenuto nessuna risposta, qualcuno parve aver ricevuto comunque la sua chiamata, perché poco dopo un cigolio li fece sussultare entrambi, accompagnando l'inaspettato socchiudersi di uno dei battenti della cabina.

 

* * *

 

Stava quasi meditando di prendere in seria considerazione l'idea di effettuare un atterraggio dentro all'appartamento della sua nuova, deliziosa ma quel giorno davvero poco puntuale compagna di viaggio, o quantomeno di sollecitarla via messaggio a darsi una mossa prima che finisse per sprecare un ciclo rigenerativo morendo di noia, quand'ecco che un trillo risuonò insistente nella sala di controllo della TARDIS.

Aggrottò la fronte. Non vedeva per quale ragione Molly non fosse entrata e basta, o non avesse semplicemente bussato. Conoscendola, era pronto a giurare che non osasse varcare la soglia di sua iniziativa perché troppo mortificata e timorosa che potesse essersela presa per la sua scarsa puntualità, ma arrivare a citofonare gli sembrava davvero eccessivo. Ok, si era un po' spazientito, ma non l'avrebbe di certo mangiata per un ritardo di appena mezz'ora... Almeno non dopo essersi fatto attendere per la durata record di ben 12 anni.

Scosse la testa con un lieve sorriso, dunque si avviò spedito alla porta pronto per trascinare dentro Molly e farle presente che con lui non aveva bisogno di inscenare simili teatrini né, come avrebbe detto il suo vecchio amico Will, di fare tanto rumore per un nonnulla, ma la sua paternale venne smorzata sul nascere nello scoprire ne che aveva ben due, di visitatori. E, soprattutto, che nessuno di loro assomigliava nemmeno vagamente a chi si aspettava, a cominciare dall'evidente differenza che erano entrambi degli umani di sesso maschile. E, dalle loro reazioni, non fu difficile dedurre che erano stupiti di vederlo quanto lui di vedere loro.

Il primo, quello più basso con l'aria affabile e un po' tonta, confermò quella sua prima impressione strabuzzando gli occhi ed arretrando con un'esclamazione di sorpresa, mentre il secondo, alto quanto lui e dai lineamenti aquilini, rimase fermo, controllato, scrutandolo con occhi rapaci. E abbastanza inquietanti da suggerire al Dottore che non era il caso di invitarlo ad entrare. Anzi, ormai aveva imparato a riconoscere quand'era bersaglio di un atteggiamento ostile, e che in tal caso era quanto mai saggio tenersene ben alla larga.

-Ehilà, salve!- li salutò innocentemente, affrettandosi a nascondere l'interno della TARDIS alla loro vista -Qualche problema?-

-Chi diavolo è, lei?- gli sbottò contro quello più alto -E che diavolo ci fa nascosto qui dentro?!?-

Quell'assalto riuscì a spegnere del tutto il sorriso sulle labbra del Signore del Tempo. Quel tizio era riuscito in un batter d'occhio a superare le già basse aspettative che si era fatto sulla sua simpatia.

-Eh, io...- prese tempo, cercando una valida giustificazione da accampare visto che, considerò, difficilmente con un: “Attento, c'è un Cyberman dietro di te!” sarebbe riuscito a distrarlo abbastanza da sfuggirgli -Sono il dottor Smith, piacere. Mi è stato segnalato un guasto a questa cabina che sto cercando di riparare... Anzi, vi consiglio di allontanarvi da qui, finché non avrò completamente risolto la questione.-

-Balle.- replicò quello a denti stretti -Questa cabina è finta, tanto che dovrebbe trovarsi in un museo, non certo qui!-

-Ha ragione, infatti è stata appena installata su decisione della Soprintendenza per la valorizzazione del patrimonio stradale londinese.- lo contraddisse con il suo miglior tono convincente -Sto solo provvedendo a metterla in sicurezza per renderla visitabile dai turisti.-

Quel bellimbusto però non sembrò affatto convinto, anzi lo fissò con aria ancora più truce.

-Vorrebbe farmi credere che qualcuno ha deciso di montare un'attrazione turistica in un quartiere periferico e residenziale?-

-Esattamente.-

-E che, pur essendo nuova, ha già riportato un guasto?-

-Così pare.-

-A me pare strano... Specialmente perché non esiste nessuna ridicola Soprintendenza per la valorizzazione di quello che si è appena inventato.- lo freddò in un sibilo.

Imprecò tra sé. Ormai riusciva quasi a sentire lo stridio generato dal suo tentativo di arrampicarsi sugli specchi, come l'olio che quel rompiscatole gli stava versando addosso per farlo scivolare più in fretta.

-Non mi sono inventato nulla, glielo posso assicurare!- gesticolò animatamente, sudando freddo -Ecco qua le mie credenziali, guardi!-

Dunque estrasse il suo asso nella manica, sfoggiando sicuro la sua fida carta psichica. Lui però la guardò appena, e subito ritornò a scrutarlo con aria ancora più inferocita.

-Che accidenti ci dovrei vedere, secondo lei?-

Imprecò nuovamente. Quando nemmeno quello aveva effetto, non era mai un buon segno: quel tizio non era per nulla uno stupido... Anzi, aveva appena ottenuto la prova tangibile che era tanto intelligente quanto indisponente.

-Ah, ops...- balbettò, ritrattando subito con una smorfia -Pardon, documento sbagliato!-

-Si sta prendendo gioco di me?- lo fulminò quello, inviperito.

-Ma no, perché dovrei?- ridacchiò, cercando nel mentre una scappatoia e decidendo, saggiamente, di mettersi a giocare sulla difensiva -E comunque, non capisco nemmeno perché mi sta facendo tutte queste domande... Né perché dovrei risponderle. E' forse un poliziotto?-

-No.- gli rispose altezzoso, e con una sonora nota di sdegno -Sono Sherlock Holmes.-

Deglutì, ufficialmente nel panico. Se anche solo un centesimo di quello che Molly gli aveva raccontato era vero, non sarebbe riuscito a liberarsi di lui con tanta facilità. E, purtroppo, si era intrattenuto abbastanza con il famoso detective per capire già che la sua amica non aveva affatto esagerato sul suo conto... Tutt'altro.

 

* * *

 

La sveglia suonò con molesta insistenza per la terza volta, costringendo Molly ad aprire di nuovo gli occhi e ad allungare con un mugugno un braccio per spegnerla definitivamente. Aveva già procrastinato per oltre un quarto d'ora, per cui era giunto il momento che si decidesse ad alzarsi, vestirsi ed uscire di casa. Nemmeno il Dottore era un campione di puntualità, ma conoscendo la sua impazienza ritenne opportuno non aumentare un ritardo già imperdonabile. Anzi, una volta scostate le coperte e raggiunto barcollante il bagno per darsi una sistemata a dei capelli più indisciplinati del solito raccogliendoli in una sempre valida coda di cavallo, ritenne opportuno risparmiare il proprio tempo evitando di cambiarsi. Con il pigiama a fiorellini e la vestaglia di lana aveva le desolanti sembianze di una casalinga disperata, ma tanto era probabile che il Dottore la portasse in un posto dove nessuno vi avrebbe mai badato, o comunque potuto apprezzare la differenza con un abbigliamento normale. Anzi, era verosimile che l'epoca consigliasse di attingere ad uno dei vari travestimenti offerti dalla gigantesca cabina-armadio della TARDIS, per cui la sua sarebbe stata comunque fatica sprecata.

Si bagnò il viso con abbondanza d'acqua gelida, si rivolse determinata al suo riflesso allo specchio al grido di “Forza Molly, ce la puoi fare!”, dunque si avviò decisa verso la porta d'ingresso. Durante il tragitto si accorse però di indossare ancora le sue pantofole a forma di peluche, per cui si fermò, considerò che, suo malgrado, c'era un limite persino all'indecenza e fece dietro-front per mettersi ai piedi quantomeno qualcosa che fosse definibile come paio di scarpe.

Adempiuta anche a quest'ultima incombenza, varcò una volta per tutte la soglia di casa, corse per le scale il più rapidamente possibile ed uscì sulla strada con la circospezione di una ladra, augurandosi di non incrociare nessun condomino o vicino in quelle condizioni. Stava già per cantare vittoria, quando scorse in fondo alla via un gruppetto di persone a lei ahimè fin troppo note, che spazzarono via all'istante tutto il suo ottimismo. Anzi, le diedero conferma della sacrosanta verità della prima legge di Murphy. Probabilmente quel simpaticone l'aveva teorizzata pensando a lei, perché andiamo, quant'erano le probabilità di imbattersi sotto casa nel Dottore e in Sherlock Holmes in un colpo solo?!?

Nessuna, esatto. Non poteva trattarsi di una banale coincidenza, perché se la presenza del primo si poteva giustificare in quanto prevista e concordata, quella del secondo in compagnia della sua fida spalla era davvero troppo sospetta. Tanto sospetta quanto le improvvise e recenti attenzioni di Sherlock per lei... D'altronde lo sapeva bene, che si era calamitata addosso il suo interesse da sola, con il proprio comportamento. Per quanto intelligente non poteva di certo arrivare a dedurre la reale identità della persona che aveva iniziato a frequentare, ma da quando ne aveva scoperto l'esistenza le sue visite al Bart's si erano fatte davvero troppo frequenti per sfuggirgli ed impedirgli di notare qualche stranezza. Né lei era granché abile a mentire, specialmente se sottoposta all'implacabile esame dei suoi occhi di ghiaccio, ed eluderne le domande aveva prodotto come effetto solo quello di alimentare la sua curiosità in modo a dir poco ossessivo. Ma non poteva certo raccontargli una verità che già chiunque avrebbe trovato assurda, figurarsi il detective più scettico e razionale esistente al mondo. Non le avrebbe mai creduto, neanche se fosse sbarcata dalla TARDIS direttamente nel suo salotto. Conoscendolo, sarebbe stato capace di addebitare la sua apparizione ad una visione indotta dall'astinenza alla nicotina...

O forse a quel punto avrebbe anche potuto crederle, ed era proprio quella la prospettiva che la terrorizzava maggiormente. Il tempo di realizzare appieno tutte le potenzialità della TARDIS, e non ci sarebbe più stato verso di farlo scendere da quella che ai suoi occhi sarebbe apparsa come la magica fonte perpetua capace di soddisfare appieno la sua insaziabile sete di conoscenza... Perché, se c'era una certezza nel viaggiare assieme ad un Signore del Tempo, era proprio quella che non si correva mai il rischio di annoiarsi troppo. In altre parole, sarebbe stato come regalare ad un bambino un abbonamento a vita a Disneyland. E, per quanto le sarebbe piaciuto che si aggregasse anche lui alle loro avventure, temeva che dopo averne fatto la brillante conoscenza il Dottore finisse per preferire la compagnia del detective alla sua, o comunque che Sherlock si infatuasse dei viaggi spazio-temporali al punto da perdere ogni interesse per la sua vera vita e, quindi, anche per lei. Insomma, avrebbe perso in un colpo solo gli unici due uomini cui davvero teneva, e sarebbe tornata ad essere la triste, banale Molly Hooper costretta a chiacchierare con dei cadaveri per sfuggire alla solitudine. E lei non voleva proprio ritrovarsi ancora imprigionata in quella vita. Voleva sentirsi speciale, sperimentare esperienze sempre nuove e che la spingessero a tirar fuori il meglio di sé, a scoprirsi una donna forte e sicura come mai avrebbe creduto di poter essere. Perché ogni viaggio con la TARDIS le permetteva non solo di fare la conoscenza di posti inimmaginabili o di personaggi leggendari, ma soprattutto di scoprire sempre una nuova parte di se stessa. Le permetteva di volersi bene. Inoltre, la faceva sentire importante per qualcuno... e Molly desiderava con tutto il cuore che una persona fantastica come il Dottore continuasse a considerarla importante perché, così facendo, la rendeva importante per davvero.

Così, quando vide il suo amico intrappolato tra la TARDIS alle sue spalle e, parati davanti a lui con fare inquisitorio, Sherlock e John, la giovane patologa si paralizzò sul marciapiede, assalita dal panico. Per un attimo temette che i due avessero visto apparire la cabina blu dal nulla, ma poi riuscì a rincuorarsi nell'accorgersi che il Dottore stava disperatamente cercando di liberarsi dei due armato di carta psichica, in apparenza senza sortire grandi risultati. Dunque, la sola dinamica possibile era che con una delle sue stramberie avesse finito per attirare su di sé l'interesse di Sherlock, mentre era intento a farsi una passeggiata assieme al suo miglior amico... proprio lungo la via in cui abitava lei e proprio quando stava per uscire di casa. E dato che di recente il detective aveva iniziato a perseguitarla più della sfortuna, non si sarebbe stupita di scoprire che, pur di raggiungere il suo intento, si era spinto persino a spiarla e a pedinarla nei suoi spostamenti. Anzi, era proprio quello che ci si poteva aspettare da lui... O forse era lei ad essere diventata davvero troppo paranoica, per la paura che potesse scoprire il suo segreto.

Comunque, davvero non poteva permettergli di parlare con il Dottore un minuto di più. Doveva interrompere quell'interrogatorio prima che finisse per tradirsi da solo con la sua lingua lunga... Sì, ma come?

Si appiattì dietro la siepe del giardino, prima che uno di loro si voltasse nella sua direzione, imponendosi di respirare piano e profondamente, per ossigenare il cervello e ritrovare la lucidità necessaria a farsi venire un'idea.

“Forza, Molly, pensa! Se sei riuscita a sconfiggere mostri alieni a decine puoi riuscire a spuntarla anche con Sherlock Holmes, no?”

Teoricamente. Nella pratica, bastava la prospettiva di fronteggiarlo in vestaglia a farla morire dalla vergogna. Sherlock aveva già per lei una considerazione ai minimi storici, non le sembrava affatto il caso di stabilire un nuovo record nella sua personale graduatoria del disprezzo. Non avrebbe mai potuto giustificare perché si trovava fuori dal suo appartamento conciata così, come se...

... come non detto.

Forse aveva appena trovato una soluzione.

 

* * *

 

-Sherlock!-

Il detective impiegò meno di un secondo a riconoscere quella voce, per quanto improvvisa e inaspettata. Tuttavia, lo stupore provato venne subito surclassato dallo sconcerto che lo colpì quando, voltatosi, si ritrovò di fronte all'attesa figura di Molly Hooper abbigliata nella maniera più inattesa possibile. E nemmeno John riuscì a nascondere il suo sbigottimento.

-Molly!- esclamò, sgranando gli occhi -Che ci fai qui... così?!? E' successo qualcosa?-

Il viso della giovane donna, già leggermente arrossato a causa del freddo che si era alzato dopo il tramonto, divenne a dir poco paonazzo. D'altronde, perfino Sherlock si sarebbe sentito quantomeno a disagio nel mostrarsi in pubblico in vestaglia... Con quel pigiama, poco ma sicuro. Per un attimo fu quasi tentato di recuperare il proprio iPhone dal cappotto per approfittare dell'occasione e precostituirsi un più che valido materiale da ricatto.

-Ecco... In effetti sì.- mormorò Molly imbarazzata, stringendosi le spalle -Anzi, stavo proprio venendo da voi per chiedere aiuto.-

-Eh?- fece allora John, sgranando gli occhi e spalancando la bocca nella maniera meno intelligente possibile.

Sherlock invece roteò gli occhi, sbuffando.

-Fammi indovinare.- sbottò, avvicinandosi a lei per analizzarla da capo a piedi e prevenire così le sue inutili e prolisse spiegazioni -Sei relativamente calma e non sento sirene in avvicinamento, per cui escludo che tu sia stata costretta ad uscire in questo stato perché il tuo armadio ha preso fuoco. Inoltre non mi risulta che tu soffra di sonnambulismo, ma anche nel caso di un attacco improvviso non ti saresti di certo premurata d'indossare la vestaglia e tantomeno un paio di scarpe. Dunque hai lasciato l'appartamento di tua spontanea iniziativa, ma non preventivavi di stare fuori di casa a lungo, perché altrimenti avresti avuto il buonsenso e il buongusto di cambiarti. E, se ti trovi ancora qui, significa che non hai potuto rientrarvi. In altre parole, sei scesa per buttare la spazzatura e sei rimasta chiusa fuori come un'idiota.-

Molly piegò le labbra in una smorfia ridicola perfino per i suoi standard, confermandogli così che ci aveva visto giusto. Come sempre.

-Ehm... Già.- ammise, abbassando colpevolmente lo sguardo.

Si concesse un breve sorriso trionfale, ma non troppo. C'era ancora un particolare che continuava a sfuggirgli, e che non riusciva proprio ad afferrare.

-E per quale assurda ragione ritenevi più utile il mio aiuto di quello di un fabbro?- si trovò costretto a chiederle, inarcando un sopracciglio.

Lei allora ritornò a guardarlo, con un'insolita punta di malizia.

-Ecco... Speravo che mi potessi evitare il fastidio di cambiare la serratura portandomi il mazzo di scorta che tengo in laboratorio al Bart's. Hai ancora le chiavi per entrarci, giusto?-

Gli scappò un sospiro sconsolato. Era talmente ovvio che fosse per quello, che si stupì di non esserci arrivato da solo. Per quanto continuasse a considerare più ragionevole chiamare un fabbro dell'attraversare a piedi svariati isolati in pigiama... Ma se Molly Hooper avesse posseduto il dono della ragionevolezza non si sarebbe nemmeno chiusa fuori di casa da sola.

-Sì, purtroppo.- dovette riconoscerle -E va bene, allora vediamo di darci una mossa e andiamo. Non sono certo qui per fare i tuoi comodi!-

Era lì per farsi gli affari suoi, infatti. Tuttavia, sospettava che lei non avrebbe affatto gradito scoprirlo... Anzi, meglio approfittare di quel diversivo per distrarla prima che potesse chieder loro che accidenti ci facevano lì.

Prima ancora che potesse compiere un solo passo in direzione della loro auto, però, lei riprese a parlare, trattenendolo.

-Veramente io preferirei rimanere qui.- si impuntò -Vorrei aspettare una persona che dovrebbe arrivare a momenti, e se non mi trovasse in casa temo potrebbe preoccuparsi molto.-

Sherlock lasciò involontariamente scattare la mascella, infastidito.

-Certo.- sibilò, stringendo gli occhi fin quasi a ridurli a due fessure -Non è il caso di arrecarle un tale disturbo.-

Detto questo, si voltò di scatto per non tradire troppo il proprio nervosismo e soprattutto per affrettarsi a sbrigare il prima possibile quell'incombenza. Così, forse, al loro ritorno sarebbe finalmente riuscito a vedere quello stramaledetto dottore...

-Sherlock, aspetta!- lo richiamò però Molly -Non ti ho spiegato dove tengo le chiavi...!

Il detective non si curò nemmeno di girarsi per risponderle, e continuò a camminare.

-Scrivania. Secondo cassetto a destra, sul fondo.-

In tutta onestà non avrebbe nemmeno saputo dire quando e come aveva acquisito quell'informazione. Forse le aveva intraviste un giorno per caso, mentre ficcanasava in giro. Forse aveva visto la dottoressa riporle in quel posto, o gliel'aveva detto lei stessa... Comunque, non era rilevante. In realtà, nemmeno conoscere dove Molly tenesse le sue chiavi di casa poteva considerarsi degno di rilevanza. O di utilità. Eccettuata quella situazione più che straordinaria, non vedeva proprio perché mai avrebbe dovuto interessargli... Eppure, al suo subconscio era interessato abbastanza da farglielo ricordare. Irrazionalmente, quando avrebbe potuto impiegare l'ampio ma comunque limitato spazio di memoria della sua corteccia cerebrale in modo ben più fruttuoso.

Maledisse mentalmente il proprio subconscio ed incitò con altrettanta foga John affinché si decidesse a seguirlo, cosa che il suo amico fece ma, ovviamente, solo dopo aver salutato Molly con inutile stucchevolezza.

Nulla invece udì da parte del signor Smith, che aveva approfittato dell'arrivo della giovane donna e della loro distrazione per sgattaiolare via, confermandogli così che sì, aveva proprio qualcosa da nascondere. Era pronto a scommetterlo, che quell'imbranato si era appostato dentro quella patetica cabina solo per spiare indisturbato qualcuno in quella via. Forse si trattava di un ladro, probabilmente di un investigatore privato...

Di certo, nessuno abbastanza interessante da meritare ulteriormente la sua attenzione.

 

* * *

 

Alla fine, anche quella sera si era rivelata un buco nell'acqua.

Prima ancora che lui e John potessero raggiungere il Bart's, infatti, aveva ricevuto un contrito sms da parte di Molly che gli annunciava di essere riuscita a rientrare in casa grazie al provvidenziale arrivo di una vicina, ringraziava lo stesso e si scusava del disturbo. E, ovviamente, quando riuscirono a ritornare davanti al suo indirizzo di lei non c'era più traccia, sparita chissà dove in compagnia del suo fantomatico dottore. Una compagnia che si protrasse per tutto il resto della notte, visto che non fece rientro nel suo appartamento prima dell'alba... Presumibilmente nemmeno dopo, ma non ebbe modo di accertarsene a causa delle sempre più insostenibili lamentele di un John che crollava dal sonno e l'implorava di tornare a Baker Street per permettergli di dormire tranquillo, senza il rischio che gli venissero dei crampi muscolari. Ma se Sherlock decise di cedere alle sue insistenze non fu affatto perché anche lui si sentiva stanco, no. Fu perché era stufo. Dannatamente stufo di essere preso in giro. Pertanto, era giunta l'ora che passasse al piano B.

Ovverosia, quello dell'attacco frontale.

Quel mattino stesso si recò battagliero fino al Bart's, varcò con decisione ancora maggiore la porta del laboratorio in cui sapeva trovarsi la dottoressa Hooper, dunque le augurò sorridente il buongiorno porgendole un bicchiere di caffè espresso. Lungo, macchiato e con lo spropositato quantitativo di zucchero che, per qualche ragione, si era ricordato piacerle tanto.

La sua accoglienza però fu molto meno calorosa, perché lo squadrò come un alieno appena sbarcato sul pianeta Terra. Poi richiuse la bocca che aveva socchiuso dallo stupore, sbatté le palpebre, passò in rassegna la sua espressione e il bicchiere che le stava porgendo con diffidenza crescente, dunque si decise a rivolgergli la parola, mutando così la classificazione del loro incontro ravvicinato in uno riconducibile al terzo tipo.

-Buongiorno.- lo salutò guardinga, incrociando le braccia in palese segno di chiusura -A cosa devo tanta premura?-

-Dovevo venire qui al Bart's, lungo il tragitto sono passato davanti a Starbucks e... niente, ho pensato di prenderti qualcosa di caldo.- le spiegò con ovvietà, continuando a porgerle invitante il contenitore.

Lei però continuò a rimanere sospettosa, le labbra serrate e un cipiglio corrucciato.

-Perché?-

-Perché no?-

-Perché non lo fai mai.-

Ignorò la nota di rimprovero misto a risentimento con cui aveva intriso questa considerazione, scacciandola con un'alzata di spalle.

-Vero, ma ultimamente mi hai fatto parecchi favori, per cui ci tenevo a ricambiare. Si dice che sia un gesto piuttosto frequente nelle relazioni interpersonali, sai? E comunque, guarda che non te lo sto offrendo gratis. In cambio, voglio uno dei tuoi muffin. L'ho visto e lo rivendico.- le annunciò perentorio, indicando in un angolo l'ormai ben noto sacchetto in cui soleva conservarli.

Qualcosa di ciò che le aveva detto riuscì a persuaderla che con il suo gesto non nascondeva alcun doppio fine, perché la sua espressione si distese, le baluginò sulle labbra un sorriso subito sedato da un mugugno e le guance le si colorarono con una sfumatura di rossore, che non riuscì a controllare ma solo a nascondergli, tardivamente, dandogli le spalle per andare a recuperare il suo muffin ai mirtilli.

-Grazie, allora.- mormorò piano, quand'ebbero ultimato il loro scambio -Non sai quanto ne avevo bisogno.-

-Sì che lo sapevo.-

Intravide lo sguardo di Molly sollevarsi perplesso su di lui, ma continuò a smangiucchiare il suo muffin imperturbabile.

-Come?- balbettò, con quella che suonò più come un'esclamazione che come una domanda vera e propria.

-Avanti, persino un cieco riuscirebbe a notare le occhiaie che ti trascini dietro da giorni, per quanto tu ti possa impegnare a nasconderle con il correttore... Senza contare gli sbadigli e la pila di bicchierini di caffè che stai collezionando nel cestino.- osservò, con un tono che manifestava appieno tutta la sua disapprovazione.

Neanche a farlo apposta, proprio allora le sfuggì uno sbadiglio davvero troppo ampio per poter essere occultato con una sola mano.

-Ho un po' di stanchezza accumulata, tutto qui.- provò a minimizzare.

-Accetta un consiglio da stupido, allora, e vedi di riposarti.- la redarguì.

-Se dipendesse da me lo farei, ma purtroppo nell'ultimo periodo non riesco a dormire quanto vorrei.- sospirò lei, scuotendo la testa con fare abbattuto.

Al che Sherlock la guardò con ancora maggior intensità, severo ed inquisitorio.

-Non riesci o non puoi?-

Lei però sbatté innocentemente le palpebre, non cogliendo o fingendo di non cogliere la sua insinuazione.

-Che intendi, scusa?-

-Intendo che secondo me dai troppa priorità a quel tuo dottore e troppo poca a te stessa.- sbottò, affondando la questione senza mezzi termini -Trascorri già abbastanza notti qui al Bart's, per cui non credi che dovresti passare le rimanenti nel tuo letto, anziché con lui?-

Anzi, sarebbe stato molto meglio che evitasse di passare qualunque altro momento della giornata nella sua losca compagnia, considerò tra sé.

Quanto a Molly, al suo più che appropriato rimprovero si irrigidì, ma non si annichilì affatto come si era atteso. Anzi, sostenne il suo sguardo risoluta e visibilmente irritata.

-Non ho bisogno dei tuoi consigli, Sherlock.- ebbe il coraggio di replicare.

-Parrebbe proprio di sì, invece, da come gli permetti di approfittarsi di te.- la rimbeccò con altrettanta fermezza.

-E tu, invece, ti permetti troppo esprimendo giudizi su persone che nemmeno conosci!-

-Perché tu sì, invece?- le rinfacciò, contrattaccando per difendersi dalle sue accuse -Diamine, Molly, ma non impari mai? Non dovresti fidarti tanto della gente, e di certo non dopo appena una settimana!-

Il risentimento rese la sua voce meno controllata, spazientita e decisamente più alta del normale. Tanto che spinse la giovane donna davanti a lui ad indietreggiare di un passo, e ad abbassare il viso avvilita. O almeno questo era quello che credeva, finché non fu costretto a ricredersi nel sentire Molly ribattergli con prontezza.

-Sempre meglio che non fidarsi mai di nessuno.-

L'aveva offesa con insolenza, volutamente provocata, eppure non l'avrebbe mai creduta capace di fare altrettanto. Capì di averla punta nel vivo, e di averla spinta a tirar fuori gli artigli come un animale ferito. Ma lui l'aveva assalita proprio con l'intento di metterla con le spalle al muro, per cui non sarebbe mai riuscita a farlo desistere proprio quand'era ad un passo dal suo obiettivo, né a disarmarlo con una mossa tanto flebile.

-Guarda che non sono io a dirlo, ma l'esperienza, che non ci si può mai fidare di nessuno. E non fare l'ingenua, lo sai perfettamente anche tu.- le disse duramente, sovrastandola implacabile -Altrimenti, non faresti tanti sforzi per tenermi nascosto chi è per davvero il tuo caro dottore. Ammettilo, che non ne vuoi parlare perché lo senti, che in lui c'è qualcosa di poco raccomandabile, ma nonostante questo ti rifiuti di vederlo, e non vuoi nemmeno permettere che gli altri lo facciano per te, e ti costringano ad aprire gli occhi!-

Ecco, l'aveva detto. Brutale, forse, ma onesto. E non ci si può nascondere dalla verità, per cui questa volta Molly sarebbe stata costretta a fare le dovute ammissioni...

-No, ti sbagli.- si sentì però dire, con una sfrontatezza che non le aveva mai visto, e con una frase che nessuno aveva mai osato rivolgergli -E' perché, se te ne parlassi, riusciresti a rovinare tutto come fai sempre.-

Nel sentire una simile assurdità, Sherlock Holmes cessò di essere soltanto risentito e divenne ufficialmente adirato.

-Guarda che io mi sto solo preoccupando per te, a differenza di quel tizio.- non si fece scrupoli di sottolineare, ringhiando feroce -Dovresti ringraziarmi, anziché biasimarmi e continuare a prendere le sue difese...!-

Lei allora strinse i pugni e serrò le labbra in un fremito, ma ancora una volta riuscì a prenderlo in contropiede, replicandogli senza troppe esitazioni.

-Tu non ti preoccupi affatto per me, Sherlock, ma solo di te stesso. La verità è che ti da fastidio che io non sia più disponibile per te 24 ore su 24, pronta ad accorrere ad ogni tuo schiocco di dita. Ma il mondo non gira intorno a te, sappilo. E nemmeno io. Anzi, sai che ti dico? Preferisco dedicarmi a qualcuno che, forse, non sarà sempre perfetto e infallibile, ma che almeno mi apprezza e mi tratta come una persona, non come un oggetto. Qualcuno a cui importo per davvero!-

Erano state solo poche, banali parole assemblate in frasi sconnesse e nemmeno molto coerenti, ma il tono tagliente con cui vennero pronunciate lo ferì in profondità come tante, dolorose stilettate al cuore. Quel cuore che gli si strinse, colpevole, nel vederla tremare dallo sforzo di trattenere e intrappolare quelle lacrime che le velavano gli occhi sull'orlo del pianto. E quando Molly capì che non avrebbe avuto da lui alcuna replica, abbassò lo sguardo, strinse i pugni, si voltò con uno scatto per andarsene, e lo salutò sbattendo la porta del laboratorio, il suo viso scottò come se gli avesse appena tirato uno schiaffo.

Al che rimase paralizzato, dimenticando persino di espirare, finché un riflesso involontario non gli fece sbattere le palpebre. Allora si riprese dallo sconcerto, riepilogò rapidamente quanto appena successo e, ultimato il proprio esame di coscienza, serrò le labbra in un moto di irritazione. Che Molly facesse pure tutte le scenate isteriche che voleva, tanto alla fine avrebbe avuto ragione lui. Alla fine il suo cavaliere si sarebbe tolto l'armatura con cui l'aveva incensato per rivelarsi il villano che era, ferendola, oppure l'avrebbe lasciata, appena avuto modo di posare gli occhi su altre principesse con cui divertirsi. Ed era altrettanto certo che a quel punto sarebbe tornata da lui in ginocchio, volente o nolente, chiedendogli scusa per essersi comportata da stupida e non avergli dato retta. Era solo questione di tempo ma, prima o poi, sarebbe arrivato anche quel momento, e allora sì che avrebbe saputo cosa dirle...

Un conciso, sonoro e quanto mai compiaciuto: “Te l'avevo detto”.

Rinfrancato da questo pensiero, raddrizzò con fierezza le spalle e distese l'espressione abbozzando un sorriso vittorioso, pronto a tornarsene a testa alta a Baker Street. Tuttavia, prima ancora che potesse incamminarsi verso l'uscita del laboratorio, qualcosa di insolito captò la sua attenzione e la sua fronte si corrugò accigliata. Vi si avvicinò sempre più corrucciato per verificare i suoi sospetti, e per la prima volta non provò alcuna soddisfazione nell'appurare di aver avuto ragione. Anzi, dire che ottenere quella conferma l'aveva contrariato sarebbe stato eufemistico.

Quel giorno, Molly aveva portato con sé un muffin in più. Proprio uno di quei muffin ai mirtilli che il detective adorava così tanto da indurla a prepararli più spesso, appositamente per lui, riservati per lui soltanto. Eppure, quel dannato dottore se n'era infischiato e non si era fatto il minimo scrupolo di spodestarlo anche in quello, appropriandosi dei suoi muffin.

Digrignò i denti e fissò quel simbolico oggetto del contendere con furiosa intensità, incenerendolo con lo sguardo finché non riuscì a percepirne l'odore di bruciato.

“E guerra sia.”

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Evee