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Autore: _Arya    24/01/2015    1 recensioni
[OS vincitrice del 2° contest dal titolo "La pirateria NON è un reato", indetto dal gruppo “Klaroline and Klaus Fanfiction addiced” su facebook]
Era una pessima idea, ma la paura che mi strattonasse e mi gettasse ancora in quella stanza buia, fu più forte. Spinta dai modi bruschi che avevo visto possedevano i pirati, sguainai la spada, puntandogliela contro.
< Siete sicura di saperla maneggiare? >, mi domandò tra l’incuriosito e il beffardo, senza sollevare gli occhi su di me, continuando ad osservare la mappa.
A quell’accenno di ironia, come unica risposta a quella domanda, inclinai la testa di lato e con un sorriso e un passo verso di lui, mossi veloce la lama, procurando un graffio alla manica della maglia larga, strappandola.
< Questa era nuova >, disse lui, facendo svanire quel sorrisino e guardando il graffio nella camicia e poi me, < ma se proprio avete intenzione di sfidarmi con quel bel faccino >.
Si mosse veloce, troppo veloce per difendermi in qualsiasi modo. Avvertii la sua mano scivolare improvvisa sulla mia, su quella che impugnava l’elsa della spada, e con un piccolo movimento rapido, mi ritrovai con la lama che sfiorava la mia gola.
[Secondo capitolo: os in Pov Klaus].
Genere: Dark, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questo aggiornamento non è un vero e proprio secondo capitolo, poiché la storia è nata come os.
Ho voluto scrivere qualcosa per ringraziare le ragazze che hanno letto, ma soprattutto votato Amore Clandestino per il secondo contest indetto dal gruppo 
“Klaroline and Klaus Fanfiction addiced” su facebook.
 
Quindi GRAZIE ragazze.
Grazie Daiana, Maela, Sara, Marta, Valentina, Marina, Alessandra, Laura, Monica e Alessia.
Spero che l’ultima parte della os scritta seguendo in pov Klaus vi possa piacere.

Buona lettura!

Con affetto,
Lily 




                                    

 


Il dolore arrivò prima della consapevolezza di stare riprendendo coscienza.
I miei pensieri, annebbiati dall’eco lontano e vago del rumore della frusta che calva con decisione e forza su di me, erano annebbiati dai ricordi; scene confuse, mischiate e distorte alle quali non avevo la forza di dare loro un senso.
Un sospiro poco distante da me, infine, mi convinse di essere sveglio.
Quando aprii gli occhi, strizzandoli per la luce che li investì, la prima cosa che questi focalizzarono con fatica, fu una sagoma dai dolci contorni, una chioma bionda, dove ciocche di capelli dorate, alcune calate sul viso e altre che scendevano sciolte lungo la spalla, si andavano ad intrecciare tra loro, formando boccoli così simili a spirali.
Nel sottile ronzio che avvertivo invadermi la testa, unii e collegai quei dettagli che mi balzavano agli occhi con lei, la ragazza. Miss Forbes.
Le immagini distorte dal dolore si andarono ad incrinare, quando a cogliermi fu un giramento di testa. Ebbi l’impressione di essere in preda alla nausea, come se la nave stesse solcando acque in tempesta. In quella triste sensazione, comparvero i momenti vividi della punizione che Mikael aveva ordinato di impartimi. Tra urli trattenuti e occhi chiusi con forza, comparve chiaro il volto di lei. Mentre sentivo il mio corpo venire martoriato dalla frusta, scosso ad ogni colpo da un nuovo tremito, la sola cosa che riuscii a sentire e sulla quale mi concentrai, era la voce di lei.
< Lui non vi chiederà mai pietà >.
Come se un folata di vento mi avesse sferzato il volto, tagliandolo e marchiandolo con un piccola e rossa ferita, frammenti di ricordi si unirono ad altri, e io ricordai quanto quella parole mi avessero fatto male nel coglierle imploranti e disperate.
 < Lo faccio io, vi prego, date ordine di smetterla. È colpa mia, non sua >.
In un attimo, il dolore che aveva lasciato al suo passaggio la frusta nel nostromo sulla mia schiena scoppiò di nuovo. Avvertii il calore delle ferite bruciare e scavare nella mia mente con l’intento di essiccare ogni mio respiro.
Serrando la mandibola per trattenere un lamento, socchiusi gli occhi e circondata dalla luce creata dalle tremolanti fiammelle delle candele, c’era ancora lei. A capo chino, immersa in chissà quali pensieri, fui felice che nell’oscurità che avevo dentro vi fosse uno spiraglio di luce.
Un sospiro fu l’unico segnale che mi diede la forza per riuscire a formare delle parole e pronunciarle, ignorando le fitte che mi paralizzano la schiena.
< Siete preoccupata per me, Miss Forbes? >.
La mia voce suonò stanca, ma questo non mi fermò nel vedere quegli occhi spalancarsi per la sorpresa di sentirsi interpellata dal mio tono. I suoi occhi saltellarono su di me, scorrendo con mano invisibile il mio viso, immergendosi nei miei. A quel tocco, mi invase un senso di tranquillità e quella stessa sensazione ebbe la forza di andare ad inibire il dolore delle ferite.
< Caroline >, disse.
Mi mossi, ignaro della pelle che ricominciò a tirarsi lungo le lesioni sulla schiena. Increspai la fronte, mettendo a tacere quel dolore.
< Come? >, dissi, gettando un respiro di fuori, cercando una posizione più comoda.
Puntai i gomiti sul materasso con l’intento di alzarmi, ma la sensazione di sentire la cute strapparsi per lo sforzo, canalizzando il dolore e il bruciore nei grafi, mi provocò un tremore in tutto il corpo, concentrandosi nelle braccia. Strinsi i denti e proprio quando stavo per abbandonarmi, permettendo al dolore di invadermi le ossa, sentii la mano di lei posarsi sulla mia spalla. I suoi capelli mi sfiorarono la pelle e quella carezza inconsistente, quel formicolio venne a sostituire il tremore provocato dal dolore.
Come se fosse bastato quel contatto, fui scaraventato indietro a, forse, poche ore prime: era corsa da me, nella confusione che mi avvolgeva, la sua mano riscaldava e confortava mio volto. Il calore contro il freddo che la notte sopra di noi mi gettava addosso era solo secondo al dolore che presto mi avrebbe congelato i muscoli e la mente.
< Mi dispiace, mi dispiace così tanto >.
Nella mia mente, rividi i suoi occhi pieni di lacrime. Nella mia mente ricomparve quel pensiero che non avrei permesso ad una sola lacrima di solcare le sue guance rosse, mentre l’azzurro delle iridi diventava elettrico, così espressivo da lasciarmi incantato.
Prendendo coscienza di quel suo tocco quasi impalpabile, mi avvicinai a rilassarmi, a calmare il mio mare in tempesta, che dentro di me si agitava e si infuriava per poter liberare tutta la sua forza, ma la mano posata sulla mia spalla, il calore che ignara mi donava, si scostò di colpo e io mi ritrovai a spalancare gli occhi, ritrovando la ragazza lontana.
In una muta ed insistente chiamata silenziosa, cercai quei due occhi, li chiamai a me, fissando quei tratti di un viso in fiore. Come attratti, le iridi chiare sprofondarono nelle mie, mentre dimenticavo di nuovo cosa fosse il dolore e con quanta intensità mi facesse del male.
< Caroline, è il mio nome >, ripeté piano, allontanando di nuovo il suo sguardo dal mio.
Inclinai il volto, cogliendo una nuova invitante gradazione del colore della sua pelle: le sue guancie si erano colorate di un delizioso color pesco. Mentre le sue mani si sfogavano con la stoffa che aveva adagiata sulle ginocchia, riuscii a cogliere un nuova parte di lei, quella più timida ed innocente.
< Vi ho ricucito la camicia >.
Quando riconobbi il tessuto nelle sue mani, sorrisi, sorrisi come solo lei avevo scoperto poteva riuscire a fare.
< Siete sicura di saperla maneggiare? >, domandai inarcando un sopracciglio.
Lei così fine ed elegante nei movimenti e nei tratti del viso da darmi l’impressione che anche solo tenendo in mano la spada si potesse ferire, mi aveva stupito. Con un passo nella mia direzione e un colpo di spada, mi ritrovai nella camicia un strappo a fare bella vista di sé. Sollevai il mio viso per replicare, quando incontrai il suo inclinato e arricchito da un sorriso soddisfatto, senza smettere di sfidarmi spavalda.
Mi porse la maglia, sfoggiando orgogliosa il lavoro rigoroso e curato. Allungai la mia mano, sfiorando l’orlo bianco, intercettando le sue dita affusolate. Lanciandole un’occhiata, feci scivolare veloce la mia mano lungo la stoffa, sentendo al tatto la sua ruvidezza fino a quando questo senso non fu sostituito da qualcosa di vellutato. La mia mano si chiuse sulla sua, creando un contatto di cui, lo scoprii amaramente, ne stavo diventando sempre più avido.
< Vorrei tornare nella mia stanza se non vi dispiace >, dichiarò, portando il suo sguardo dritto verso la porta.
< E la mia maglia chi la rammenda? >.
E adesso lo aveva fatto, aveva riparato quel suo strappo.
Le accarezzai il dorso della mano in un impercettibile movimento del dito. Fu le a rompere quel filo di connessione, allontanandosi, iniziando a curiosare con lo sguardo per la stanza.
Curiosare. Era un’altra parte di lei che avevo imparato.
Altre scene si andarono ad incastonare nei ricordi che riaffioravano nella mia mente; i suoi passi timidi ed incerti nello studio, quell’aria sognante con cui aveva osservato ogni oggetto abbandonato su scaffali e tavolini, la lentezza con cui aveva sfiorato il foglio della cartina geografica raffigurante il Mondo.
< Vi piace? >.
E quella riverenza con cui aveva raccolto nelle sue mani una piccola pietra, quasi sfociante nella paura quando aveva iniziato a sfiorarla.
< Presumo che sia rubata >, rispose alla mia domanda, riprendendo il controllo di sé e raccogliendo la pietra che aveva fatto cadere per lo spavento. < Quindi no, ai miei occhi perde tutto il suo fascino >.
Ero rimasto incantato. Non riuscivo a capacitarmi come l’esuberanza e la ferma volontà di sfidare Mikael potesse conciliarsi con la regalità con cui si muoveva.
Mikael.
Al ricordo di mio padre, d’impeto mi cercai di alzare, trattenendo un lamento tra le labbra. Mettendo i piedi a terra, alzandomi, chiusi gli occhi quando una leggera frescura mi invase il corpo. Il freddo strisciante delle fondamenta della nave mi diede l’impressione di gettare acqua gelida sulla mia schiena in fiamme.
< Ho sentito che adesso siete voi il capitano >.
Trattenni il respiro, chiedendomi cosa fosse successo durante il mio periodo di incoscienza.
< A si? >, dissi, lanciando alla ragazza una veloce occhiata da dietro la spalla.
Sarei dovuto andare da Elijah per sapere con esattezza come stavano le cose. A quel pensiero, qualcosa dentro di me si ribellò alla condizione di privarmi ancora di quella testarda, temeraria, dolce compagnia. 
In lotta con me stesso, avanzai un passo lento aspettandomi una fitta di dolore che non arrivò. 
Il senso del dovere mi diceva di uscire da quella stanza, di andare da mio fratello, ma le mie gambe mi condussero davanti al catino dell’acqua, dove mi specchiai nella sua superficie liscia. I miei capelli erano scompigliati, il mio volto stanco.
Ad un tratto, i profili del mio volto specchiati nell’acqua si distorsero, venendo alterati dai ricordi. Con una violenza tale da appesantire le mie spalle, arrivò l’attimo del primo colpo della frusta, il secondo, il terzo.  Sentendo la rabbia incominciare a ribollire dentro di me, avvertendo quelle ferite pulsare, vibrare alla violenza del colpo, sembrò che questo riuscisse a scavare in quelle crepe sanguinanti ancora più a fondo. Il mio respiro si fece irregolare e, stringendo i bordi del recipiente colmo di acqua, inspirai profondamente, come avevo fatto al settimo colpo di frusta. All’undicesimo, quel suono sinistro e ripetitivo capace di risuonare come un eco continuo e sinistro dentro il mio orecchio, rimbombando in tutto il mio corpo in violenti scossoni, svanì.
Il dolore, quello no.
Con un movimento deciso, immersi le mani nell’acqua, interrompendo quella visione, gettandomi le mani ricolme del liquido freddo ed incolore sul viso. Rimasi ad occhi chiusi, con le mani a nascondere il viso.
Dopo tante promesse e minacce ringhiate, avevo ucciso Mikael. Il rumore dello scontro del corpo con l’acqua si sostituì a quell’eco ronzante nell’orecchio, chiedendomi con quale forza in corpo fossi riuscito a disarmarlo e affondare la mia spada nel suo costato, guardarlo con occhi sbarrati e ricolmi di rabbia e gettarlo oltre il parapetto della nave.
< In ogni caso domani sarò libera e potrete incantare altre donne >.
< Attenta Miss, il capitano ha detto che vi lascerà andare, non che sarete libera >.
< Quindi cosa ne farà di me? >.
< Con ogni probabilità? Vi venderà come schiava al miglior offerente >.
< Come … schiava? >.
Ecco da dove avevo attinto alla forza. Mi ero promesso di salvarla.
< E poi voi siete straordinariamente bella. Non mi piace pensarvi a servire qualche uomo o prendere ordini da donne che fanno di tutto per apparire eleganti e fini, come lo siete voi >.
Avevo promesso.
Adesso potevo mantenere quella promessa. Ignorai la domanda se lo volessi davvero.
< Vorrà dire che come mio primo ordine sarà la promessa che domattina vi lascerò libera >, dissi, asciugandomi il volto con un panno.
Mi voltai e scontrandomi con al sua figura, vidi l’incredulità disegnata su quel bel viso.
L’avrei lasciata libera, libera di vivere la sua vita, libera da me.
La luce soffusa e scarsa delle candele sembrò tremolare, per un attimo oscurarsi. 
La nebbiolina composta dal rosso delle ferite, dal sangue e dalla pelle che tirava lungo le ferite, tornò più fitta e più grigia di prima, lasciandomi l’angoscia di ritrovami avvolto dalle sue spire.
< Cosa c'è, Miss? >, le domandai, cogliendo un primo bagliore di agitazione.
Avvicinandomi lento, vidi i suoi occhi incupirsi, guardarmi con tristezza.
Ad inibire i miei sensi, si fece avanti il dolore, che dentro di me iniziò a stiracchiarsi, pronto ad attaccare di nuovo ogni singolo muscolo del mio corpo.
Trovandomi di fronte a lei, captando quasi il suo profumo, nel suo movimento di alzarsi, deglutii quando i miei occhi presero a seguire i movimenti della sua mano, che, timorosa e timida, si arrestò vicino al mio petto. Mi immobilizzai quando il palmo caldo si adagiò come piuma sulla mia pelle.
Di vitale importanza era per me imprimere nella mia mente quel suo volto concentrato a seguire la linea che tracciava la sua mano lungo le mie clavicole.
Di vitale importanza era per me, marchiare la mia pelle con il calore che quella creatura che mi fronteggiava, riusciva a trasmettermi, scaldandomi, curandomi da quei ricordi che pochi minuti prima sembravano avessero urlato l’arrembaggio ai miei pensieri.
Evitai di respirare per la paura di sospingere via quella bolla che si era formata intorno a noi e dentro la quale tutto ciò che era successo, chi ero stato prima di lei, sfumò.
La nebbia che mi avvolgeva, tornò a diradarsi.
Trattenni il respiro, quando cercò di riprodurre il tatuaggio che ritraeva la piuma, sulla mia spalla sinistra. Percorrendo il suo contorno, la voglia di sfiorarla, di accarezzarla a mia volta mi invase, ma prima che potessi accarezzare i capelli, inondarmi del suo profumo, lei si mosse piano, girandomi intorno senza che questa volta la sua mano si allontanasse da me. Chiusi gli occhi, ritrovandomi cullato come se fossero le onde stesse del mare a far rilassare i miei muscoli, ad abbassare le mie barriere, a lasciare che quel tocco, che quella ragazza curasse le mie ferite. Era una sensazione così simile al sentirsi in totale equilibrio e in pace dal ritrovarmi tentato di abbandonarmi a lei. Ma quel senso di calma che mi invase, si incrinò di colpo, poiché sentii il suo corpo avvicinarsi al mio, il suo viso contro la mia schiena.
< Cosa state facendo? >, dissi, e questa volta non riuscii a mascherare la mia sorpresa.
Ancora una volta mi ritrovai in lotta contro me stesso: il mio istinto mi chiedeva di allontanarmi, ma quella parte avida di lei sovrastò il rumore di quella richiesta, lasciando che quel contatto si protraesse ancora nel tempo.
< Avete subito quasi trenta frustate, avete ucciso vostro padre e l'unica cosa che vi rimarrà di me saranno queste cicatrici >, sussurrò, intanto che il suo respiro mi solcava la pelle nuda con la stessa essenza di una brezza mattutina. < e la camicia rammendata >.
Cogliendo la maglia abbandonata ai piedi del letto, sorrisi, decidendo che di quel momento mi sarei preso tutto.
Sfiorai la sua mano, liscia e calda. Avvicinandomi alle sue dita, le intrecciai con le mie e mi voltai. Sfiorai il suo mento, alzando il suo volto. Rimirandolo, lasciai scorrere il mio dito lungo il collo, facendolo discendere sul braccio scoperto. Il pensiero che in qualche modo, qualcosa o qualcuno l’avrebbe potuta colpire, macchiandola, mi fece stringere di più la sua vita, attirandola a me.
Lessi il suo volto inclinato di traverso, la sua bocca leggermente socchiusa, il suo respiro che abbassava e sollevava il suo petto, riducendo e annullando la distanza che ci avvicinava. Avevo l’impressione di udire i battiti del suo cuore scontrarsi con il suo petto, trasmettere il loro rintocco nel mio.
< Siete sicura che io non abbia alcun ascendete su di voi, Miss? >.
< E io? Io ho qualche ascendete su di voi? >, bisbigliò, assottigliando gli occhi.
Sorrisi, avvicinandomi con il volto a lei.
Quel misto di malizia ed innocenza, di consapevolezza ed inconsapevolezza che metteva in ogni suo gesto inconsapevole, in quelle parole che poteva trasformale in armi per ferire o per provocare, in quell’occhiate a volte da bambina e a volte di donna, mi faceva girare la testa e impazzire..
< Lezione numero tre … Caroline: non portare mai un pirata a desiderare qualcosa, perché se lo prenderebbe senza chiedere il vostro permesso >.
La strinsi a me, sentendo come il vestito sotto il palmo della mia mano si stropicciasse, assaporando solo con il pensiero la delicatezza che aveva la sua pelle, mentre vidi le più tempestose delle emozioni attraversarle il volto, l’una prendere il posto dell’altra.
< E voi cosa desiderate, Capitano? >, chiese, ammiccando al mio indirizzo con lo sguardo. 
Controllo, potere, piacere. Lei.
I miei occhi corsero alle sue labbra e sulle mie riaffiorò il ricordo di quel primo bacio rubato, al sapore di quelle due linee, vittime di un carnefice che le aveva gettate in un vortice di passione.
< Lo avete chiesto, adesso mi spingete ad ignorare le buone maniere >.
Sorrisi segretamente quando mi avvicinai alla sua guancia, sfiorandola con le labbra, baciando la sua mandibola.
Sentivo i suoi brividi, il suo corpo fremere in turbinio di desiderio capaci di istigare il mio.
< Siete un pirata, è usanza per voi non osservarle, come anche chiedere il permesso per qualcosa >, disse con voce tremante.
In quelle avventure passate, di quelle donne che avevano abitato le mie notti, non ne ricordavo una che fosse riuscita davvero a scaldarle. Divertimento, attimi dove farmi scivolare di dosso quella vita vissuta ai piedi di mio padre.
< Invece devo, se si tratta di una donna come voi >, ammisi, portando una ciocca dei suoi capelli color d’oro dietro l’orecchio.
Lei non era come quelle donne di Singapore o dei bassi borghi di una grande città. Al contrario. Con lei non mi sarei mai comportato come con le altre. Forse per quel potere di disorientare le mie pene, forse per quei suoi modi a volte da bambina altre da donna, c’era qualcosa in lei che mi attraeva, sospingendomi sempre più vicino.
Sovrappensiero, iniziai ad accarezzarle la schiena in un lento percorso, come se io stesso volessi orientarmi trai i miei dubbi e le mie emozioni.
Le sue mani scivolarono lente sul mio petto per andare a sfiorare il mio volto.
< Allora lasciate che sia io a non osservarle >, bisbigliò, guardandomi.
Le sue labbra arrivarono d’impeto, scontrandosi con le mie, come l’acqua salata e agitata si scontra sugli scogli, alzandosi e rituffandosi in mare il secondo dopo. Il rumore, il frastuono che riuscirono a scatenare in tutto il mio corpo era tale da tentarmi nel retrocedere di un passo. Non lo feci, non ne avevo bisogno, perché il sapore delle sue labbra portò di nuovo le acque del mio mare privato, calme e trasparenti.
La sentì distaccarsi per un secondo da me. Questa volta non glielo permisi. Incatenandola a me, legandola al mio corpo in un abbraccio deciso, ma così gentile da apparire stonato all’urgenza che le mie labbra stavano portando quel nuovo bacio, la respirai agognante.
Con gentilezza, la costrinsi a compiere  un passo seguito da un altro senza mai lasciarla. Si lasciò guidare e scivolare sul letto. Quando mi sdrai su di lei, sentendo il suo corpo aizzarsi sotto di me, mi sembrò di essere disteso sotto il sole caldo, e quelle mani che mi esploravano avide potevano essere i raggi caldi e alti nel cielo.
Cercando e trovando le sue labbra, lasciando su di esse un mio nuovo bacio, mi distaccai da lei per osservarla. Folte ciglia dorate incorniciavano i suoi occhi, come i capelli biondi erano sparsi sul letto liberi e disordinati. Si inumidì le labbra passandoci la lingua, e io dovetti frenarmi dal divorare ogni centimetro del suo corpo.
Lanciandomi un veloce sguardo, facendo vagare le mani sul mio addome, si sollevò e baciò la mia spalla, la base del mio collo, mentre i suoi capelli non facevano altro che solleticarmi, che invogliarmi a diventare dipendente di quella creatura.
Tutto era lontano. Ancora una volta era grazie a lei.
Percepivo il suo senso di smarrimento investirla, mentre cercava di regolare il suo respiro sempre più agitato a contatto con le mie labbra.
Quando iniziai ad accarezzare la sua gamba, oltrepassando l’orlo del vestito, sentendo quanto la sua pelle fosse calda e reagisse al mio tocco con tremiti e brividi, lei si strinse a me, allacciando le sue mani intorno al mio collo.
Le sue mani furono trai miei capelli, ingarbugliandoli tra le sue dita affusolate. Li tirò e io fui tentato di morderle un labbro in segno di protesta, ma mi limitai a fermarla, baciandola, osando di nuovo, provocandola. Sentendola agitarsi sotto di me, districai le mani trai miei capelli e le portai sopra la sua testa.
< Caroline >, bisbigliai, baciando ogni lettera di quel nome, come se fosse la sua pelle, come se fossero le sue labbra.
Abbandonai la sua bocca, facendo scorrere il mio corpo giù, con un gesto deciso, privai quel corpo del suo vestito. Come se fossi richiamato da una voce tentatrice, sul suo ventre depositai le mie labbra, beandomi come questo reagiva ad un mio sussurro, ad un mio accenno di riguardo.
< Sei profumata come la spuma del mare >, sussurrai, respirando la sua fragranza fresca e delicata, < delicata come il vento sul viso >, dissi, baciandola ovunque ci fosse qualche centimetro di pelle che ancora non avevo fatta mia, < calda come il sole sulla pelle >.
La vidi aprire gli occhi lentamente.
Avevo viaggiato, visto luoghi dove l’azzurro cambiava gradazione, cambiava la sua personalità, diventando a volte più scuro, a volte più chiaro, tuttavia, mai, in quei lunghi viaggi da sembrare interminabili, avevo colto una tale gradazione. L’azzurro e lo smeraldo delle sue iridi coniavano quella gradazione che sfoggiavano solo i mari del profondo sud, caldi, cristallini, limpidi da poter vedere il proprio fondale. E lei, quella creatura di sole e di mare che avevo dinnanzi ai miei di occhi, avevo scoperto essere proprio così: trasparente come l’acqua, impetuosa come il mare, calda come la sabbia.
< Inizio a pensare che le sirene abbiano il tuo aspetto >, le sussurrai suadente all’orecchio, intrecciando una ciocca dei suoi capelli intorno al mio dito, osservando quanto il suo volto avesse assunto un’aria sognante e remissiva. < Dovrò limitarmi a baciarti >, riflettei, percorrendo la figura delle sue labbra in una lenta carezza, < sono rosse e gonfie, incredibilmente provocanti per rinunciare a stuzzicarle. Vuoi che mi fermi, Caroline? >.
Assottigliai gli occhi, conscio della mia provocazione.
Lei si rimpadronì delle mie labbra, come se le appartenessero. Per dimostrarle il contrario, lasciai libero sfogo alle mie voglie, senza trattenermi. Senza remore, le morsi il labbro inferiore, che tanto mi stuzzicava e mi continuava a provocare. Una leggera pressione mi strinse i fianchi, sentendo come quel corpo si avvicinasse al mio ancora più avido, come se necessitasse di aggrapparsi a me per non lasciarsi portare via da quella corrente che stava investendo entrambi.
Sorridendo per il chiaro effetto che avevo su di lei, spostai la mio bocca sul suo seno, iniziandola a provocare in una scia di baci.
< Klaus >.
A quel sussurro appena accennato tra le labbra, mi bloccai. La guardai incantato, in balia delle mie stesse emozioni. Come poteva scomporre così la mia anima pronunciando solo il mio nome?
Ebbi la sensazione di trovarmi sotto litri di acqua, in essa nuotavo, mi dimenavo, ma non per l’urgenza di tornare in superficie, non per la voglia di tornare a respirare aria; mi dimenavo per quella sensazione di tranquillità e pace che mi stava invadendo.
La baciai dolcemente, un bacio lento, senza urgenza, perché quel tempo, quel luogo, era nostro.
Con un movimento veloce e fluido, privandomi dei pochi indumenti che avevo addosso, annullai pensieri e parole, dolore e ricordi.
Fu solo pace.
Le acque agitate nelle quali ero abituato a nuotare, a lottare per sopravvivere, si stavano calmando e, mentre un desiderio pari alla voglia di averla completamente si propagava in ogni parte del mio corpo, mi chiedevo se dopo la sua assenza sarei riuscito a tornare a sfiorare quelle serenità.
Scivolai al suo fianco. Il contatto immediato con il letto contro la schiena provocò una scarica elettrica che mi fece tremare le gambe per il dolore. Respirando ad occhi chiusi, sentii un movimento al mio fianco. Aprendo gli occhi, colsi la sua figura scavalcarmi e prendere un lembo della coperta ai nostri piedi. Con mio stupore, senza che riuscissi a proferire parola, mi lasciai avvolgere nella coperta e cullare della sue braccia. Avvertendo il suo corpo caldo contro la mia schiena, sorrisi al pensiero di quello scricciolo che cercava di proteggermi.
Chiusi gli occhi, intrecciando le nostre mani per mai più lasciarle.
Mi ero lasciato investire da quella sua luce. Adesso mi preparavo a tornare nelle tenebre.
L’avrei lasciata libera. Mi sarebbe mancata.
  
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