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Autore: Nyktifaes    25/01/2015    4 recensioni
Dal primo capitolo:
[...]
“Saresti potuto restare in auto”, pensò Alice.
«No, voglio stare qui», mormorai.
Il piccolo casolare non era cambiato, in quegli anni. Le finestre del pian terreno lasciavano ancora intravedere la cucina malamente ridipinta di giallo e il bianco dei muri esterni era ancora candido, nonostante le intemperie. Un solo particolare fuori posto: i portelloni di una delle finestre del piano superiore erano sbarrati.
Strinsi i denti: Alice aveva appena suonato. Charlie, all’interno della casa, non era particolarmente contento di dover abbandonare la poltrona. [...]
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon, Successivo alla saga
Capitoli:
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Come James e Victoria

Arrivare a Grand Forks in meno di due giorni – e con tre pieni di carburante – era stato facile. Anche trovare l’abitazione di Bella, era stato facile. Ciò che non era facile, ma proprio per niente, fu raggiungerla.
Più ci pensavo e più mi dicevo che era davvero stato troppo semplice, trovarla. Era bastato fare qualche domanda in giro alle persone giuste – e con i modi giusti – e dare un’occhiata – di notte – agli elenchi giusti.
Il che, la facilità con cui eravamo riusciti a risalire a lei, al suo indirizzo, alle sue informazioni primarie, mi aveva riportato indietro, ai tempi di James. Anche lui aveva pedinato e cercato Bella in quel modo. E, anche lui, non aveva avuto la benché minima difficoltà nel trovarla.
Come James e Victoria, anche io e Alice eravamo riusciti a rintracciarla in un battito di ciglia. Così come avrebbe potuto fare chiunque altro.
Più ci pensavo, più sentivo montare l’irritazione.
A dire il vero, non c’era un minimo di logica nei miei ragionamenti.
Non mi sentivo in colpa per essere ricorso a vie più o meno legali per trovarla, né mi immedesimavo in James, o rivedevo Victoria in Alice. Tuttavia, mi infastidiva la facilità con cui ero riuscito a trovarla. Con cui chiunque avrebbe potuto trovarla. Non era sicuro, non doveva essere così. Avevano provato a ucciderla talmente tante volte, c’erano state diverse persone – vampiri, licantropi e umani ancor più mostruosi – che avevano attentato alla sua vita, tanto da far apparire quella mancanza di circospezione come un’imperdonabile negligenza. Certo, con tutta probabilità viveva con un licantropo, ma non poteva essere una garanzia di totale protezione.
Il mio istinto protettivo, il desiderio di tenerla lontana da qualsiasi pericolo, non si era mai sopito. O forse, semplicemente, sragionavo in preda all’ansia.
Ed ecco perché, combinata alla paura crescente, l’ansia m’impediva di andare direttamente da lei.
Alice, accanto a me, borbottava un vecchio successo. Era nervosa: il buio aveva circondato il nostro futuro e tentava di aggirarlo. Il lato positivo era che avevamo la certezza di incontrarli di lì a poco. Il negativo? Non avere nemmeno una minima visione del futuro m’innervosiva. E il motivetto di Alice m’innervosiva ancora di più.
«È qui?», mormorai.
Sterzai, evitando l’ennesimo quartiere chiuso di villette a schiera. La loro casa, com’era prevedibile, non si trovava nel centro urbano vero e proprio, ma leggermente spostata, in periferia.
Mi inserii nell’ennesima via, questa volta niente villette a schiera.
Mano a mano che ci avvicinavamo alla campagna, le case si facevano più grandi e i giardini più verdi. Percorsi la strada fino all’ultima casetta rosata incorniciata da un curato roseto giallo – i colori pastello predominavano su ogni singolo muro di quei quartieri –, mentre una vecchia signora ripuliva il marciapiede dalla polvere.
Svoltai, proseguii dritto, quindi svoltai ancora, a sinistra.
Il cielo era coperto da un sottile strato di nuvole, non abbastanza da assicurarci una copertura a lunga durata, ma momentaneamente sufficienti. Dubitavo avrebbe piovuto.
Mi ritrovai di nuovo all’inizio della stradina. Costeggiai ancora la villetta rosata e la signora che puliva.
Svoltai, proseguii dritto, svoltai – a destra.
Di nuovo l’ultima via, la villetta rosata e la signora che puliva.
Per altre due volte girai in tondo, e per altre due volte passai per l’ultima via.
Sbuffai: anche il labirinto di villette m’innervosiva.
Possibile che non riuscissi a trovare l’uscita?
«So che gli uomini lo odiano», Alice smise di canticchiare «ma dovresti chiedere informazioni. Io non vedo niente e tu hai perduto tutto il tuo senso dell’orientamento». Si sporse in avanti, inclinando il capo.
«Vai da quella signora», disse, indicandola.
Eseguii, consapevole della veridicità delle parole di Alice. In quel momento non sarei stato in grado di orientarmi nemmeno nella mia stanza.
Tale cognizione, ovviamente, non aiutò i miei nervi feriti.
Accostai accanto alla donna che, fingendo di non averci visti girare in tondo come due deficienti, spazzava il marciapiede davanti casa sua. Rideva sotto i baffi, ma si premurò di nasconderlo, specie quando mi fermai a due metri da lei.
«Mi scusi», dissi «posso avere un’informazione?».
Mi sporsi verso il finestrino di Alice, e la signora si avvicinò, incuriosita. Alice le rivolse un cenno del capo, mentre lei ci osservava, ora stupita.
Si riscosse presto dal torpore causato dal nostro aspetto e scosse il capo. Mi chiesi se fosse un segno di assenso o negazione, ma nemmeno lei lo sapeva.
«Buongiorno», rispose sorridendo. «Mi dica».
«Stiamo cercando una ragazza, si chiama Isabella Swan. Dovrebbe vivere da queste parti», risposi, tendendo le labbra in un sorriso. Mi costò più sforzo di quanto immaginassi, tentare di corrompere l’umana con la gentilezza.
Titubò, ondeggiando sui talloni: non era sicura che fosse prudente dare l’indicazioni su una ragazza a due sconosciuti.
Presi immediatamente la donna in simpatia.
L’unica pecca della sua mente – tanto gentile quanto semplice – era che non aveva la benché minima idea di chi stessi parlando.
«Swan, ha detto? Non conosco nessuna Swan, mi spiace…», rispose.
«Isabella, Isabella Swan. È una ragazza di ventiquattro anni», Alice aveva fatto migliaia di volte il conto dei mesi passati «mora, non particolarmente alta».
La donna scosse il capo, corrucciata. «Mi spiace, temo di non-».
«Si fa chiamare Bella, dovrebbe abitare un po’ oltre questo quartiere, in periferia», aggiunsi.
Nel giro di pochi attimi gli occhi della donna s’illuminarono. I suoi pensieri si focalizzarono su un volto, pallido, angelico, incorniciato da una chioma d’ebano. Due gemme di topazio lo accendevano, nei suoi ricordi.
Era lei, la mia Bella. Ed era una vampira.
Com’era accaduto fin troppe volte nelle ultime settimane, m’immobilizzai, raggelato dalle novità.
Era un ricordo recente, il suo. Le iridi di topazio, tanto singolari da aver incuriosito la donna, sorridevano, gentili, mentre passeggiava proprio lì, dove ci trovavamo noi.
Bella era una vampira.
Non riuscivo a pormi alcun interrogativo, non mi chiesi né il come né il perché della trasformazione.
Rimasi a contemplare l’immagine che, involontariamente, la donna mi aveva regalato. Non v’era alcun dubbio.
Bella era una vampira.
Una risata rauca e imperfetta mi riscosse. Né la donna né Alice si erano accorte dal mio momentaneo distacco?
«Oh, ma ho capito di chi parlate! Perdonatemi, la mia memoria non è più quella di una volta», ridacchiò ancora, scuotendo il capo. Improvvisamente sembrava aver abbandonato ogni remora nel parlare di una donna con degli sconosciuti. «Ma quella ragazza non ha ventiquattro anni. Credo non arrivi nemmeno ai venti!».
Volse lo sguardo da Alice a me e sembrò vedermi davvero solo allora.
Mi squadrò a lungo, e mi chiesi se potesse leggermi lo sgomento in volto.
Vidi il mio volto sfocarsi e sovrapporsi ad un altro e poi ad un altro ancora. Non erano immagini nitide come quelle di Bella, i dettagli variavano e i tratti più particolareggiati erano vaghi, nei suoi ricordi. Un ragazzo e una ragazza, probabilmente non li aveva visti abbastanza di frequente da memorizzarne le caratteristiche.
Eppure il ricordo fumeggiante bastava a riconoscere delle atroci rassomiglianze tra i nostri volti. Ne ero certo, almeno quanto lei: non sbagliava nell’identificare le similitudini.
S’illuminò. «Ma lei è un parente! Ah, come ho fatto a non notarlo prima? La somiglianza è stupefacente!», sorrise tra sé, soddisfatta della conclusione a cui era giunta. «Quindi non ho fatto male a parlarvi di lei! Meno male, non si dovrebbero dare informazioni su una ragazza a degli estranei».
Gli umani adorano trovare delle giustificazioni ai loro errori e scagionare se stessi.
«Perché lei è un parente…no? Un fratello?», chiese ancora.
«Sì».
Avevo risposto di getto, senza riflettere, ma cosa avrei potuto fare? In che altro modo avrei potuto giustificare una somiglia tanto serrata che può essere data solo dalla stretta correlazione genetica? Sfruttai la via di fuga che mi veniva offerta, incapace di cercarne una migliore.
La donna sorrise ancora, rimarcando le rughe attorno agli occhi e sulle guance.
Ci fornì le indicazioni per arrivare a casa di Bella, poi chiusi il finestrino e ripartii.
Alice si voltò di scatto.
«Cosa diavolo è successo?».
Non tentai di mettere insieme un discorso o di riflettere sulle nuove informazioni. Mi limitai a sputarle fuori, separatamente. Alice le avrebbe riordinate come meglio credeva.
«Bella è una vampira. Vive insieme a tre ragazzi, uno di loro è Jacob Black. Ce ne sono altri due, una femmina e un maschio, più giovani. Le somigliano molto, la signora pensa che siano i suoi fratelli. Somigliano a lei, somigliano a me. Quindi ha pensato fossi un altro fratello».
Serrai le labbra, in attesa. Non avevo bisogno del mio potere per sentire gli ingranaggi lavorare, nella testa di Alice.
«Somigliano a te?», mormorò, dopo un po’.
«Lei ha i capelli rossi, lunghi e boccolati. L’ha colpita, è un colore singolare. È il mio. In lui non ha trovato un tratto particolarmente distintivo da associarmi, ma nel complesso sembra somigliarmi fin troppo».
Lasciai defluire tutta l’aria dai polmoni, prima di inspirarne un altro soffio e riprendere a parlare.
«Non deve averli visti spesso, oppure è passato più tempo rispetto all’ultima volta che ha incontrato Bella. Il suo volto è molto più nitido, nei suoi ricordi».
«Quanto tempo?».
«Per Bella una settimana fa, il cielo era scuro ed era quasi il crepuscolo. Gli altri due non lo so».
Attesi ancora mentre, finalmente, riuscivo a uscire dal centro abitato.
«Hai visto anche tu la somiglianza, quindi?».
Annuii meccanicamente.
“Una gravidanza gemellare?”.
«Non lo so», sibilai. «Sono passati solo sei anni, maledizione! Quei due non ne hanno meno di quindici!».
Alice voltò il capo verso di me, inarcando le sopraciglia.
“Calmati. Qual è il problema? Bella è viva, sta bene. E anche i vostri… figli”.
Era incredibilmente serena e, davvero, non capiva cosa mi prendesse. Come poteva? Dopo tutto quello che le avevo detto, dopo tutte le assurdità che avevamo appena scoperto, lei era calma. Impaziente di trovarli, sorpresa, stranita, ma calma.
Perché io no?
«Bella è una vampira», rimarcai, ringhiando. «Per quale ragione?».
«Non lo so».
Espirai, irrequieto.
«Sei anni, solo sei anni! Non è normale!».
«Sai che non poteva esserlo, la vostra relazione non è mai stata tradizionale».
Si rilassò sul sedile, indirizzando lo sguardo oltre il parabrezza.
“Edward, stiamo arrivando. Andrà tutto bene. Vedrai, andrà tutto bene”.
Deglutii il nulla, svoltando. Tra gli alberi, a qualche centinaio di metri, intravidi un tetto e, tra il fogliame, dei muri chiari.
«Quindi lui, cioè il… la creatura che bella portava in grembo… Sono due? Sono loro?», sussurrai. Conoscevo già la risposta, l’avevo compresa nell’esatto istante in i pensieri della donna erano penetrati tra i miei. Eppure avevo bisogno di un appiglio, qualcuno che mi confortasse.
“Evidentemente sì. Se la gravidanza è stata acceleratissima, lo deve essere stata anche la crescita dopo la nascita”, pensò.
Annuii, senza più parlare.
Parcheggiai sul ciglio della strada, o sentiero, data la quasi mancanza d’asfalto.
Lanciai uno sguardo ad Alice poi, simultaneamente, scendemmo.
Ci avviammo, a passo d’uomo, tra gli alberi. La piccola casetta non poteva essere raggiunta in auto.
Lo era davvero, piccola: un cottage riportato in buono stato. Le pareti chiare, di un colore indistinto tra il pesca pallido e il salmone, si aprivano in qualche finestrella, di tanto in tanto.
Tre rumori, ben lontani dall’appartenere a qualche piccolo animale del bosco, ci accolsero. Erano umidi e quasi invitanti, quasi. Tre cuori, non del tutto umani.
Mi voltai indietro, rendendomi conto solo allora che Alice era rimasta un passo indietro. Fece un cenno sbrigativo con la mano.
“Vai, su”.
Osservai il piccolo portoncino di legno.
Feci un passo, poi un altro, e infine salii uno dei due gradini che rialzavano di qualche centimetro il cottage.
Non c’era alcun campanello.
Alzai la mano, sentendomi improvvisamente un cretino. Per due volte battei le nocche sul legno scuro, poi riportai il braccio lungo il fianco.
Quando avevo smesso di respirare?
Contai.
Sette secondi e due millesimi dopo, dei passi quasi inudibili si avvicinarono alla porta.
Un altro secondo. La porta si aprì.
All’interno, a un quarto di metro da me, con la mano ancora stretta alla maniglia, c’era Bella.
Bellissima, come la ricordavo. Fu strano, ma non mi resi conto dei cambiamenti della sua pelle, dei suoi occhi.
Era lei, la mia Bella.
Ci scrutammo a lungo, senza riuscire a distogliere lo sguardo l’uno dagli occhi dell’altra.
Mosse appena le labbra.
«Edward».
 


 
Salve! ^^
E ci siamo, finalmente! Il tanto atteso incontro è arrivato e nel prossimo capitolo potrete leggere di come si svolgerà. Allora, ve lo aspettavate? Gemelli, già. Qualcuno già c’era arrivato, lo so per certo, ma voi altri? Beh, è qui che si inizia ad entrare nel vivo della storia. Non vedo l’ora di leggere delle vostre macchinazioni. Cosa vi aspettate che succeda? :’)
So che il capitolo è corto, ma non sono riuscita a tirar fuori nient’altro e aggiungere altre parti così, giusto per “far pagine”, mi sembrava un’idiozia.
Oggi aggiorno con un leggero ritardo, o meglio, non al solito orario. Questa appena passata è stata una delle settimane più infernali di sempre. Oltre alla scuola che, come sempre, s’impegna per rovinarmi ogni singolo minuto, ho avuto un problema familiare che ha fatto spaventare davvero davvero tanto tutti. Tutta la pappardella di fatti miei per dirvi che, purtroppo, non sono riuscita a portarmi avanti con i capitoli come invece avevo sperato di fare. Questo è il penultimo pronto, poi, tra due settimane, la frequenza di aggiornamento sarà costretta a modifiche. Vi avviso già da ora, così che non abbiate brutte sorprese. Ma, keep calm, sono troppo affezionata a Eclissiper non trovare uno spazietto di tempo per scriverla.
Bene, penso sia tutto.
Come sempre grazie a tuuuutti voi che leggete, commentate e inserite la storia nei soliti, vecchi elenchi. <3
Al prossimo week-end,
Vero ^^
Ps. Le recensione, lo so, non me ne scordo. Appena potrò, risponderò, lo giuro.
   
 
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