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Autore: EleEmerald    25/01/2015    2 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4: Il pugnale nella neve

Quando il mattino seguente mi svegliai la neve si era depositata sulla mia finestra. Guardai il mio giardino ricoperto da quel candore bianco e, quasi tornando un bambino, mi precipitai a vestirmi e corsi fuori. Mi lasciai cadere e creai un angelo di neve con il sorriso sulle labbra perché l'ultima volta che avevo potuto farne uno avevo cinque anni. Una figura piccola e vagamente famigliare si catapultò su di me. Mi mancò quasi il fiato ma riuscii a togliermi quel mini esserino di dosso. La figura mi sorrise. Era coperta da un enorme piumino verde, cappello dello stesso colore, guanti e scarponcini da neve, aveva si e no quattro anni. Riuscivo a malapena a vederne la faccia.
- Fratellone! - urlò.
- Heidi? - domandai alla bambina.
- Si! - disse lei tirandomi una palla di neve.
Heidi non era affatto mia sorella, solo credeva di esserlo, il perché era un mistero. Era la vicina di casa che mi davano da curare per pochi spiccoli qualche volta al mese.
Non le tirai una palla di neve ma lei non si diede per vinta e iniziò a tirarne altre a raffica finché decise di venire verso di me, che nel frattempo mi ero messo seduto, e di cercare di smuovermi.
- Matt perché non vuoi giocare? - chiese spalancando i suoi occhi neri.
Ci pensai un po' su e alla fine decisi di farla contenta.
Mi alzai in piedi. La sovrastavo, era così piccola che mi venne voglia di prenderla in braccio. Le misi le mani intorno alla vita e la tirai su, lei si mise a ridere mentre la facevo girare.
- Ci sai fare con i bambini - disse qualcuno.
Heidi mi si aggrappò mentre mi voltavo. Thomas rideva.
- Declassato a baby-sitter.
- Mi pagano - dissi con leggerezza quindi guardai la bambina - Non oggi, ma non potevo deluderla. Che ci fai qui?
- Ho bisogno di parlarti.
- D'accordo. Andiamo dentro - dissi avviandomi verso l'uscio di casa.
- Vengo anche io! - si impose Heidi.
Sbuffai e le proposi di chiedere a sua mamma se poteva andare bene. Qualche minuto dopo la bambina tornò correndo, mi prese la mano ed entrò in casa con noi.
Thomas si tolse le mani dalle tasche e si sfilò via la sciarpa, infine tolse il cappotto e si sedette sul mio divano.
Mi accorsi solo in quel momento di un semplice bigliettino sgangherato appoggiato sul tavolo. Era di mia madre e diceva che era uscita a fare la spesa.
La bambina lasciò andare la mia mano e aspettò che mi sedessi di fianco a Thomas poi si mise alla mia destra, cercando di togliersi tutto quello che la copriva dal freddo della neve.
- Elizabeth mi ha detto che ti ha chiamato - iniziò lui.
- Si, mi ha chiamato ieri sera.
- A che ora? - chiese Heidi.
- Mezzanotte - le risposi sorridendo.
- Porta bene - disse la bambina - Mia nonna dice che la prima persona che vedi o senti nel nuovo anno sarà con te fino alla fine, fino al gennaio dopo.
- Speriamo allora. - Le misi a posto un ciuffo di capelli neri.
- Era di questo che volevo parlarti. - Tornai a guardare Thomas. - So che probabilmente la trovi carina e un bersaglio facile ma lei non è come credi, Matt.
- Non la credo un bersaglio facile.
- Non so come spiegartelo ma ti prego non assillarla, non provarci subito con lei, le faresti solo credere ancora di più quello che le hanno messo in testa da quando aveva tre anni.
- Io ne ho quattro - disse Heidi alzando la mano.
- Io non ci sto provando con lei, davvero - risposi a Thomas.
- Lei ti odierebbe se lo facessi.
- Cos'ha contro i ragazzi? - Mi ricordai quello che aveva detto alla festa: Voi maschi siete tutti uguali.
- Le donne della famiglia di mio padre non sono mai state molto fortunate in amore, penso sia colpa di tutto questo se non si fida di noi.
- Le delusioni d'amore capitano spesso - commentai - Non si fida neanche di te?
- Solo un po', perche sono di famiglia. - Alzò le spalle. - Non so che tipo di delusioni abbiano avuto ma mia nonna e mia zia hanno cresciuto i loro figli da sole. So anche che mio padre è l'unico uomo da generazioni.
Sospirai.
- Io mi fido di voi - disse la bambina, facendo nascere sul mio viso un timido sorriso - Voi non siete cattivi.
- No – concordai, - Non lo siamo.
- Matt, non far continuare a credere a Lil tutto questo. Sii cauto - mormorò Thomas.
- Posso farti una domanda? Perché la chiami Lil?
- È un soprannome.
- Perché non Beth?
- Odia il soprannome Beth, non chiedermi perché, non ne ho idea - si alzò in piedi - Ci vediamo domani a scuola.


 

La sveglia suonava incessantemente da quasi mezz'ora quando decisi di spegnerla e alzarmi. Dopo qualche giorno di vacanze mi dimenticavo come si faceva ad uscire dal letto la mattina presto. Purtroppo la neve caduta non era abbastanza da permettere la chiusura delle scuole e dovetti scivolare in macchina e far partire il motore. Ogni mattina passavo a prendere Iris per poi dirigermi nella terribile via che conduceva alla scuola.
Il vialetto della casa di Iris era ricoperto di soffice neve, una pala era appoggiata ad un'aiula dove in primavera spuntavano i primi fiori e davanti alla casa c'era la mia amica che mi aspettava. Si infilò in macchina e, dopo i soliti saluti convenevoli e qualche commento sul ricominciare della scuola, ci zittimmo entrambi, aspettando di rientrare in quel luogo del terrore.
Parcheggiai la macchina nel posteggio davanti all'entrata e con un grande sospiro entrammo. Il suono della prima campanella - quella che sembra urlare agli studenti: Muovetevi! Prendete i vostri cavolo di libri e portate le vostre gambe in classe entro cinque minuti o rimpiangerete di non averlo fatto! - ci risvegliò dal torpore mattutino. Andammo fino agli armadietti e iniziammo a tirare fuori i libri. Alla prima ora avevo lettere, ne cercai il libro che, come chiamato all'appello, decise di cadere per terra.
Sentì una presenza afferrarmi da dietro e mi voltai di scatto.
- Dì al tuo amico che se non vuole che gli rompo ancora il naso di aggirarsi lontano da me - disse Charles Brown con i capelli arruffati e senza la sua laccatura per tenerli a posto quotidiana. Mi lasciai sfuggire un sorriso. Allora era vero, il povero Charles era peggio di una ragazza con la cura del suo aspetto e senza i suoi shampoo era sperduto.
- Non aveva nessuna intenzione di starti intorno. Bei capelli.
- Se lo vedo in giro lo ammazzo. - Si allontanò.
Presi i libri e me ne andai in classe. Io e Thomas avevamo molte materie in comune e una di queste era proprio lettere. Lui era seduto tranquillo in un banco in quarta fila, lasciai cadere i libri su quello a fianco e mi ci sedetti.
- Brown ti vuole morto.
- È reciproco - ribatté lui. - Anche io lo voglio morto.
- Lo odi solo perché è presuntuoso e ricco? - domandai.
- E ti pare poco? No, comunque no. - Si mise le mani dietro la testa.
Il professore di lettere comparve sulla porta della classe trafelato e con la camicia fuori dai pantaloni. Quell'uomo era senza ombra di dubbio il mio professore preferito. Non era mai capitato di che mi distraessi, era impossibile non perdersi nelle sue parole. Sorrise, come ogni giorno, perché lui era quella persona che ogni mattina arriva al lavoro con un sorriso perché fa quello che ama. Appoggiò la cartelletta che si portava sempre appresso sulla cattedra e vi si sedette sopra.
- Bene! - esclamò. - Avete finito il libro che vi ho dato da leggere per le vacanze?
Gli rispose un coretto di si.
- E come vi è sembrato? - chiese di nuovo.
Un altro coro questa volta diceva che gli era piaciuto.
Lui si voltò verso Thomas. - Cos'hai fatto al naso, Lane?
Mi voltai a guardare il naso di Thomas che però non sembrava aver riportato troppi danni.
- Me l'ha spaccato Brown - rispose con calma lui.
- E perché hai evocato la sua ira tanto da farti spaccare il naso? Se posso chiedertelo, certo.
- Ho fatto esplodere i petardi nel suo giardino, lui mi ha detto di smetterla e io l'ho preso a pugni e poi stava troppo vicino ad una mia amica - rispose senza farsi troppi problemi. - Ha contribuito anche la sua faccia da...
- Okay d'accordo, hai reso il concetto. Ha vinto lui, vero?
- Si.- Gli occhi di Thomas si puntarono sulle mattonelle del pavimento. - Ma l'importante è che non l'abbia toccata.
- Dovresti dirglielo - mormorò il professore e prima che io capissi a cosa si riferisse domandò a Thomas se gli era piaciuto il libro.
Lui ci pensò un po' su per poi rispondere affermativo. - Lo ammetto prof, non avrei mai pensato che mi sarebbe piaciuto ma invece è così.
- Vi è piaciuto per il semplice fatto che l'autore scrive davvero come se fosse un ragazzo, vi siete sentiti il protagonista durante il libro, lo comprendavate, eravate nella sua mente. Sono soddisfatto. Bravi. - Scese dalla cattedra e andò a cercare nella borsa un foglio stracciato - Prossimo libro da leggere...


 

Uscito dalla classe percorsi il corridoio tranquillamente, avevo già i libri della prossima ora e mi bastava solo raggiungere l'aula. Quel giorno dovevo avere un cartello con su scritto: Atterratemi da dietro, perché un altro corpo decise si afferrarmi. Fermai l'urlo nella mia gola, questa volta mi ero davvero spaventato.
- Ciao - disse la ragazza mettendosi davanti a me. Aveva i capelli raccolti in una treccia.
- Ciao! - esclamai - Bella la treccia. - Additai i capelli.
- Grazie – disse Elizabeth.
- Ma cosa ci fai tu qui?
- Ci vengo a scuola! - Alzò i libri che teneva al petto e che non avevo notato. Erano parecchio alti.
- Non ti avevo mai vista. - Presi un libro dal mucchio e con uno sguardo le chiesi se potevo sfogliarlo.
- Fai pure. Sono al secondo anno. Io ti avevo visto. - Mi rivolse un sorriso - È strano il modo in cui ci si accorge delle persone, senza quel ballo non sapevi neanche che il tuo migliore amico aveva una cugina.
- Non gliel'ho mai chiesto.
Sul libro c'erano un sacco di disegni, davvero molto belli in effetti, e scritte, ma quello che ricorreva di più era un simbolo. Sembrava un germoglio con solo due rami e due foglie, una per ciascuno e poi il fusto del germoglio si allungava e circondava il tutto formando una foglia, più grande. Appena si accorse che fissavo quel simbolo mi prese il libro dalle mani e lo chiuse.
- Cercavi Thomas? - domandai.
- Si. Volevo chiedergli a che ora va alla mensa, la mia amica non c'è e io non volevo restare sola.
- Oggi ce l'abbiamo tutti a mezzogiorno. - Sorrisi - Ti aspettiamo al quarto tavolo, andiamo sempre a quello. - La campanella suonò e io scappai via senza neanche aspettare una risposta.


 

Dopo due ore di matematica avevo il cervello ancora pieno di problemi che non riuscivo a risolvere. Era una cosa che non sopportavo, la maggior parte delle volte se non risolvevo un problema lo rifacevo, oscurando quello che avevo già fatto, e finché non usciva lo stesso risultato del libro non ero soddisfatto. Era questa mia perseveranza che mi aveva portato al corso avanzato. Mia mamma diceva che avevo un cervello molto logico, ma il mio problema erano le cose semplici, potevo risolvere test difficilissimi e invece mi ritrovavo a mettermi le mani tra i capelli per esercizi del primo anno, la stessa cosa mi succedeva per cose reali.
Imboccai il corridoio che conduceva alla mensa, Thomas mi aspettava al quarto tavolo, con il vassoio pieno. Gli rivolsi un cenno di saluto e, lasciato lo zaino, mi misi in coda per prendere il cibo della mensa. Quando riuscii a sedermi di nuovo al tavolo Iris era già lì, la forchetta già tra i denti.
- Come va il naso? - chiese dopo aver masticato la sua carne.
- Cosa ti è successo al naso? - Elizabeth comparve dietro di me.
- Che ci fai tu qui? - domandò Thomas.
- Le ho detto che poteva venire, è da sola - dissi.
- Okay – disse syo cugino facendole spazio al tavolo. - Me lo sono rotto Lil. Si sta bene Iris. Non avrei mai pensato che il mio naso sarebbe diventato oggetto di conversazione! - esclamò Thomas con finta felicità.
- Scemo - disse ridendo Iris.
Thomas chiese alla cugina perché fosse sola e lei rispose dicendo che l'amica aveva la febbre.
- Avete sentito che hanno trovato un uomo morto nel bosco? - domandò Iris.
- Cosa? - sbottò Thomas - Com'è morto?
- Accoltellato.
- Che cosa? Lo hanno assassinato? - Ma non si aspettava una risposta.
Di fianco a me Elizabeth si era pietrificata. - Vado a prendere da mangiare. - Si alzò di scatto e si mise in fila per la torta al cioccolato.
Avevo trovato Elizabeth sporca di sangue in un bosco, lo stesso bosco in cui avevano trovato quell'uomo morto. Non potevo credere a quello che avevo appena pensato.
- Si sa chi era? - domandai a Iris.
- Non era di questa città, hanno chiesto ma nessuno sembra conoscerlo, stanno controllando se è già stato qui.
- Come si chiama?
- Non ne ho idea. - Sbuffò.
- Quando lo hanno trovato?
- Il giorno dopo Natale ma dovrebbe essere morto quattro giorni prima.
Mi si fermò il cuore. Il giorno coincideva.
Elizabeth era un'assassina? Avevo abbandonato quella tesi dopo che lei mi aveva detto di non aver ucciso nessuno ma ora, con un corpo, il mio cervello cominciava a farsi troppe domande.
Mi alzai con il vassoio dicendo che mi sarei messo in fila per la torta al cioccolato e, senza che gli altri ragazzi in attesa si accorgessero, mi infilai davanti ad Elizabeth.
- Perché sei scappata? - sussurrai.
- Volevo prendere del cibo.
- Cos'hai a che fare con quell'uomo?
- Niente! - disse ad alta voce. - Amici. Ricordi? Te l'ho detto: io non ho ammazzato nessuno.
Feci per parlare mentre Bess, la cuoca, mi dava la torta, ma lei mi precedette. - Ti ho detto che forse un giorno te lo dirò, sei parecchio insistente, non è vero?
- Già. - E la tirai al tavolo.


 

Accostai la macchina sulla strada, presi lo zaino di scuola e mi addentrai nel bosco. Avevo promesso ad Elizabeth che non le avrei più chiesto nulla ma non che non avrei indagato per conto mio. Lei non aveva ucciso quell'uomo ma aveva qualcosa a che fare con lui, ne ero certo.
Arrivato alla piccola radura dove avevo visto Elizabeth quel ventuno dicembre, puntai il mio sguardo sul masso a cui si era appoggiata e qualcosa di luccicante attirò la mia curiosità. Mi lasciai scivolare per terra e fissai quel luccichio argentato, proveniva da qualcosa che era stato sotterrato dalla neve. Mi misi a scavare con le mani attraverso quel gelo per poi accorgermi che quel qualcosa era stato infilzato nel terreno. Tirai forte, movimento che non servì affatto perché caddi sbalzato all'indietro con l'oggetto in mano e per poco non mi tagliai. Era un pugnale.
Era bellissimo. Un'arma così efficace e così bella. L'impugnatura era nera e decorata da semplici scanalature, la lama era argento e molto tagliente, tanto che solo sfiorarla fece esplodere sul mio dito il dolore e la lama, leggermente sporca di terra, si macchiò anche del mio sangue.
Mi lasciai sfuggire un gemito e immersi la mano nella neve.
Quando il dolore si attenuò rigirai l'impugnatura e la pulii dalla neve. Parte di questa, invece di cadere dal pugnale, si inserì nelle scanalature e io vidi il disegno che fornavano: un germiglio che girava su se stesso formando quasi una foglia. Avevo già visto quel disegno.
Senza un attimo di esitazione presi il pugnale e lo infilai nello zaino per poi addentrarmi ancora più in profondità.
Camminai per qualche centinaio di metri finché non trovai due degli uomini della polizia a sbarrarmi la strada. Il primo era molto alto, sguardo minaccioso, capelli neri. Il secondo aveva i capelli biondi, la barba di chi non si rade da diversi giorni e un velo di preoccupazione negli occhi.
- C'è stato un omicidio, non possiamo lasciarti passare - disse il secondo.
- Perché sei qui? - domandò invece il primo, sospettoso.
- Ho saputo dell'omicidio. Forse conosco quell'uomo - inventai come scusa.
- Per testimoniare devi andare in commissariato - disse l'uomo biondo.
- Non testimoniano i bambini. - Il primo uomo doveva fare la parte del polizziotto cattivo perché era bravissimo.
- Ho diciassette anni. Posso sapere il nome dell'uomo?
- Queste sono informazioni che non ti riguardano - disse il cattivo.
- È vero ma come faccio a sapere se lo conosco se non ne so il nome?
- Non siamo autorizzati a dirlo, una volta in commissariato ti mostreremo la foto dell'uomo - rispose educatamente il poliziotto buono.
- Avrà già visto la foto se dice di conoscerlo - disse il cattivo. - O forse è solo un curioso.
Cercai di ribattere ma il cattivo mi zittì con un'occhiataccia. Mi sistemai il giubbotto e uscii dal bosco per poi infilarmi in macchina. Non andai in commissariato. Non andai da nessuna parte. Rimasi a guardare la strada per un po'.


 


Angolino dell'autrice: Eccomi qui. Be' si inizia ad entrare nel vivo della storia. Chi è secondo voi l'uomo trovato morto? Lo conosciamo già? Spero di avervi incuriositi. Vi ringrazio per le recensioni e continuo a sollecitarvi a continuare, anche gli altri, commentate su che mi fate contenta. Ora scappo via, al prossimo capitolo!

  
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