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Autore: AlexEinfall    26/01/2015    4 recensioni
Quando un eroe diviene il peggior nemico dell'umanità, quando ogni indizio conduce allo smantellamento di una maschera di bontà, quando è il cacciatore a divenire preda, chi potrà essere ancora dalla sua parte? Se Spencer Reid, un giorno qualunque, si risvegliasse con le mani sporche di sangue, chi potrebbe salvarlo dall'oblio? Tra lo spettro della dipendenza e qualcosa di molto diverso e più oscuro, la strada per la soluzione dell'enigma non potrà essere percorsa in solitudine.
Dal testo
Sangue. Nella nebbia della droga si era chiesto, tre o forse quattro anni prima, che odore potesse avere il sangue di un'altra persona sulla sua pelle. Possibile, si era chiesto, che le molecole odorose di qualcun altro, mischiate alle mie, possano dare come risultato un buon aroma? Soprattutto lo incuriosiva il pensiero che la morte, a contatto con la sua pelle, forse avrebbe avuto l'odore della vita.
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Morgan, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: Salve, lettore! Mi sento in dovere di proferire altre scuse profondamente sincere. Purtroppo è stato un periodo intenso sotto molti aspetti, che mi ha lasciato distratta e occupata (direi più immersa); ora eccomi, pronta a tornare a pubblicare e soprattutto, grazie Entità Superiore chiunque tu sia (o se tu sia), a scrivere. Ora cercherò di pubblicare più prontamente e annuncio che questo è il penultimo capitolo, quindi presto questa storia giungerà alla fine (niente più lunghe attese, se qualcuno ancora non ha deciso di mandarla al diavolo e dimenticarla).
  Piccolo sunto, per chi si fosse comprensibilmente dimenticato a che punto della storia siamo: in seguito alle indagini, il profilo e la testimonianza di Morgan hanno portato la squadra da Daniel Roland, ma ormai era tardi. Il ragazzo ha tentato l'ultimo estremo gesto di follia: uccidere Spencer provocandogli un'overdose. Reid è riuscito a evitare questa tragica fine, uccidendo Roland. Portato in centrale per essere interrogato, dopo un duro confronto con Morgan ed Hotch, ha realizzato di non aver mai commesso gli omicidi dei quali si riteneva colpevole. Pronto a firmare la dichiarazione di innocenza, raccontando gli avvenimenti con rinnovata speranza, riesce a giungere all'allarmante conclusione finale: l'agente Edwards della polizia non è chi sembra...




10

Monitor

Niente è più doloroso per la mente umana
della calma mortale dell'inattività e del disincanto
che fa seguito alle emozioni provocate da una rapida successione di eventi,
cancellando dall'anima ogni speranza e anche ogni paura.
Mary Shelley
 
   

  JJ ha due polpastrelli poggiati delicatmente sul vetro, dove le persiane sottili lasciano intravedere solo piccoli strati della stanza bianca. Chiude gli occhi colmi di lacrime, ricordando la prima volta che ha incontrato Spencer. Nella sua mente non c'è un'immagine precisa, né una circostanza particolare, ma solo la sua primissima impressione. Tenerezza. Ecco cosa gli ispirò. Molte persone reagiscono in modi particolari alla presenza del suo amico: irritazione, diffidenza, compassione. Eppure lei non lo ha mai guardato così, non ha mai dubitato della sua normalità. Spencer è eccezionale, certo, ma JJ non lo hai mai considerato un animale raro, quasi da circo, non come molti altri.
  Ora questa particolarità, che ha permesso al ragazzo di aprirsi con lei senza timore d'esser giudicato, sembra pesarle sul cuore come un'accusa. Forse, si dice, avrebbe dovuto rendersi conto prima che Spencer non è come gli altri.
  Prima di tutto, non è come lei, che ha Will, che ha Henry, che ha la sensazione che, malgrado gli orrori del suo lavoro, ci sia un luogo da chiamare casa, uno spazio mentale in cui sentirsi...giusta. Comincia a chiedersi se Spencer abbia la minima idea di cosa significhi.
Perché, tra tutti noi, proprio tu? Perché ha scelto te?

  La mano sulla spalla la fa sussultare e voltare di colpo. Cerca di asciugarsi le lacrime, come una bambina sorpresa a commuoversi per un nonnulla. Lo sguardo di Derek si ammorbidisce.
  «JJ...»
  «L'hai trovato riverso sul pavimento, vero? Era svenuto. Non sono arrivata in tempo.»
  «Non hai colpe.»
  Derek fissa il vetro della stanza senza realmente vederlo, poi si guarda attorno in cerca di un aiuto: il medico è ancora al capezzale del ragazzo, a monitorare le sue reazioni. Lo hanno ricoverato d'urgenza.
  Ha ancora nella mente quel terribile viaggio in ambulanza, a sirene spiegate. I paramedici che lo intubavano, il movimento intorno a sé, a lui che gli stringeva la mano. Una mano che non ha reagito.
  Fissa gli occhi in quelli di JJ, attirandoli nei suoi buchi neri. La mano sulla spalla non riesce a confortarla, aumentando il senso di frustrazione di Morgan.
  In quel momento il medico esce dalla stanza, richiudendo piano la porta alle sue spalle e stringendo la cartella al petto. Un uomo sui cinquant'anni che, Morgan calcola velocemente, deve avere alle spalle un'impeccabile carriera. Spencer è in buone mani, decide, prima di fiondarsi sul medico, invadendo la sua traiettoria.
  «Come sta?» quasi ringhia.
  L'altro da una rapida occhiata alla cartella, organizzando le idee, poi sospira e assume uno sguardo molto professionale.
  «Le sue condizioni ora sono stabili. È fortemente disidratato, ma siamo riusciti a intervenire in tempo. L'intossicazione era estesa, ma non ha compromesso organi vitali. È  stato fortunato che siate riusciti a intervenire rapidamente.»
  «Ma cos'è successo?» chiede Morgan, lievemente rassicurato.
  «Il risultato degli esami tossicologici potrà stabilirlo con certezza» risponde evasivo.
  «Esami tossicologici? Quindi pensate sia stato drogato?»
  Il medico sbatte le ciglia, visibilmente sorpreso. «Drogato no. Direi avvelenato.»
  JJ ha un sussulto e si porta la mano alle labbra, come a sopprimere un urlo muto.
  «Come ho detto bisogna aspettare il tossicologico, ma per ora mi sento abbastanza sicuro di avanzare un'ipotesi. Secondo la mia esperienza e le reazioni fisiologiche, si tratta di Veleno della Belladonna. Gli abbiamo somministrato l'antidoto e continueremo con la terapia in caso avessimo una conferma dal laboratorio. Ma sono quasi certo si tratti di questo.» Il medico aspetta che i due assorbano la notizia.
  Una sostanza inodore e insapore, facilmente diluibile nel caffé, medita Morgan.
  «Mi faccia entrare.»
  «Sarebbe meglio aspettare...» dice con poca resistenza, trovandosi davanti la determinazione dell'agente. «Ma posso lasciarvi entrare, per poco. Non agitatelo in alcun modo, il suo cuore ora è sotto sforzo.»
 
«Vai tu per primo. Chiamo Hotch, è in sala d'aspetto con gli altri» gli dice JJ, carezzandogli un braccio. «Ha bisogno di te.»

    
   Il bip dei monitor, il tubo della flebo che termina nell'ago infilato nella vena, lì dove un piccolo puntino violaceo spicca sulla pelle bianca, futura cicatrice di un'antica angoscia; i capelli adagiati sul cuscino come una corona umida, gli occhi cerchiati di nera stanchezza. A vederlo così, Morgan avverte tutta la realtà della situazione: Spencer ha rischiato la vita. Ricaccia indietro il dolore e si avvicina cauto. Le tapparelle della finestra sono socchiuse e la poca luce infastidisce gli occhi dietro le palpebre lisce e sottili, dove piccoli capillari sembrano sul punto di scoppiare.
  Derek sta pensando a cosa dire, seduto sulla pratica sedia di metallo al capezzale del ragazzo, quando sente la voce fioca emergere pastosa dal letargo narcotico.
  «Non sono morto» dice Spencer aprendo piano gli occhi. Apre e chiude la bocca per sciogliere la lingua, ma le parole sembrano attaccarsi al palato.
  «Hey, ragazzino» riesce solo a dire Derek, stupidamente dolce. Vorrebbe prendergli una mano, ma esita e la poggia sul letto. Quella di Spencer è forata dall'ago sottile di un'altra flebo, la cui boccetta pensola sulle loro teste. Le vene in rilievo sono gonfie di soluzione fisiologica.
  «Come ti senti?»
  «Come mi sento...» biascica. «Non sento molto il mio corpo.»
  «Ti hanno imbottito per bene. Dovresti restare così per non cacciarti nei guai.» Morgan sorride mentre lo dice, ma se ne pente subito. Eppure la reazione di Spencer lo sorprende: anche lui sorride, debolmente, incrinandosi in una smorfia di dolore, o forse fastidio. Non deve essere facile emozionarsi in quelle condizioni. Spencer è meno debole di quanto si aspettasse.
  È più forte di quanto pensi. Si dice. Ha più bisogno di quanto immagini.
 «Ed-Edwards» sussurrano le labbra secche. «Era lui, vero?»
  «Sì. Era lui fin dall'inizio. La nostra ipotesi è che lui e Daniel fossero una squadra.»
  Spencer fa una smorfia. «Perché?»
  Derek sa bene a cosa si riferisce. «Non so darti una risposta, Spencer. Forse non sapremo mai il movente, forse erano solo due psicopatici.»
  «È ancora a piede libero» sussurra alla fine.
  Derek quasi sobbalza.
  «Se lo aveste catturato...» Tossicchia. «Me lo avresti già detto.»
  «Mi conosci» gli concede Morgan.
  Spencer fugge lo sguardo e muove le dita a sfiorare la sua mano. Lacrime faticose gli scivolano lungo il viso, formando due righe rosse agli angoli degli occhi. Lo sguardo puntato al soffitto si nascondende un attimo dietro le palpebre, prima di tornare su Derek.
  «Perdonami.»
  Morgan gli stringe la mano, sentendola fredda, le dita che si serrano con debole resistenza.
  «Va tutto bene, Spencer.»
  Va tutto bene. Sente Spencer nel petto. Sei qui, va tutto bene. Anche se domani ci perderemo, ora ci sei.

  Vorrebbe chiedergli di non lasciare mai la sua mano, ma questo lo spaventa. Non piange perché Daniel è morto, e qualcuno, uno sconosciuto, ha cercato di ucciderlo. Piange perché ora è felice. Si dice che sono i farmaci, che è la condizione di labile confine tra vita e morte che lo fa sentire così bisognoso del suo contatto, come quando Tobias gli salvò la vita e, annebbiato, Spencer provò qualcosa di vicino all'estremo bisogno della sua presenza.
  Ma Derek non è Tobias, Derek è lì, gli stringe la mano e lo guarda, senza mai abbandonarlo. Qualcosa di strano, simile a un'energia senza nome, scivola tra le loro mani e Spencer avverte un soffio al cuore, un senso di pace, come abbandonarsi a un fiume di miele e galleggiare sotto le nuvole.
  «Non abbandonarmi» sussurra senza rendersene conto, con gli occhi chiusi e la mano in quella di Derek.

  Sono passati due giorni e la squadra ha fatto un lungo via vai tra ufficio e ospedale.
  Ora che Reid è in grado di ragionare lucidamente e di stare seduto senza crollare, Hotch ha deciso di affrontare un argomento dolente. «Appena verrai dimesso dovrai stendere un rapporto con la tua testimonianza. Vuoi ancora farlo?»
  Spencer lo guarda come se stesse chiedendo l'ovvio, corrugando la fronte. «Certo che sì. Più che mai.»
  Hotch si concede uno dei suoi rari sorrisi e si avvicina al letto del ragazzo, accomodandosi sulla sedia.
  «Come stai?»
  «Sai, mi sono sempre chiesto che effetto potesse avere una simile domanda da parte tua. Non che tu sia uno di quei capi disinteressanti, ma hai scelto l'approccio duro e flessibile, autorevole più che autoritario, che tra le altre cose si è dimostrato molto utile ai fini della produttività-»
  «Reid.» Hotch alza la mano, interrompendo lo sproloquio del ragazzo, che sorride imbarazzato.
  È ancora Reid, pensa tra sé e sé, decisamente sollevato.
  «Scusami. Sto bene» dice il ragazzo sorridendo.
  «Ne sei certo?»
  «No» ammette. «Ma starò meglio. In realtà, non sono certo di cosa dovrei sentire.»
  «Sei confuso?»
  Spencer si tortura le mani abbandonate sulle coperte. «Sai, una volta Gideon mi disse: non sapere cosa senti non vuol dire non sentire nulla
  «Aveva ragione. Jason è una persona saggia.»
  Spencer sorride, tenendo lo sguardo fisso; quando lo rialza i suoi occhi sembrano pregarlo. «Ma poi lo sentirò, vero? Sentirò tutta la sofferenza, l'imbarazzo.» Gli fugge un sorriso amaro. «I cinque stadi del dolore.»
  «Quando avverrà, sai che il mio ufficio è sempre aperto.» Hotch trattiene molto bene un moto di commozione e si alza in piedi. «Ora ti lascio riposare. Vedrai, ogni cosa si aggiusterà.»
  Anche se il dottore sorride e annuisce, non è certo di cosa voglia dire quest'affermazione. Ora, più che mai, sente che la sua vita ha bisogna di una drastica sistemata.



   Penso seriamente che Daniel sia stato un valido strumento, ma l'orchestra...oh no, quella è tutt'altra cosa. Spencer è stato l'organo di punta, Daniel la sinfonia d'accompagnamento che spinge a suonare ancora, finché non si cade a terra stremati. In quanto a me, bhe, è ovvio: sono il direttore. Silenzioso. L'orchestra potrebbe suonare all'infinito senza accorgersi che, senza il direttore, è solo un ammasso di suoni.
  Sono poco modesto, lo so. La modestia è un concetto volgare, non lo comprendo.
  Ma, a volte, la sinfonia prende una strada imprevista. L'improvvisazione. Credete che a quel punto il direttore si faccia da parte e, semplicemente, esca di scena? No, trova sempre il modo di inserirsi e riprendere le briglie. È in quei momenti che ne emerge la bravura.
  Spencer non doveva morire, non così, non tanto presto. Forse ho sottovalutato Daniel e la sua incapacità di resistere alle passioni. No, chi prendo in giro? Io lo sapevo, il suo punto debole era la sete di dominio. Io non ce l'ho. Perché? Perché sono sempre dissetato. Avevo previsto anche questo e sapevo che Spencer sarebbe sopravvissuto. Lo fa sempre, l'ho studiato.
  Ah, quanta intelligenza, quanta umanità, quanto attaccamento morboso alla vita. Mi fa vomitare.
   La messa in scena degli omicidi, tutto quel pensare a come inscenare il quadro perfetto, sistemare a dovere ogni particolare solo per far giungere loro al giusto profilo...mi ha stufato. E poi, Daniel che era lì a guardarmi e bagnarsi i pantaloni, quanto è stato divertente! Perché lui non sapeva che stavo firmando sotto i suoi occhi e con il suo sangue la sua condanna. Avrei dovuto accertarmi che fosse mancino. Ma va bene così. Penserete che il mio scopo, la ma uscita di scena, fosse la morte del dottor Reid? Certo che no, altrimenti non avrei usato la Belladonna, ma piuttosto l'aconito, mortale e incurabile. Avevo solo bisogno di una distrazione, di qualcosa che mi permettesse la fuga. Un diversivo. Avevo previsto potessero scoprirmi, ma dal vedere il mio volto a sapere chi sono, ce ne passa molto. E in quel passo io scappo via. Mi ritiro nell'ombra.
  Spencer, prima o poi avrò la mia vendetta. Per ora, sappi che ho tratto un profondo e sublime piacere nel vederti dar di testa. Un giorno ogni tua certezza crollerà e la follia, solo la cara follia, ti farà d'amica. Come adesso è la mia. Addio alla solitudine.
  Il ragazzo si sistema il camice e appunta una penna al taschino. Sorride allo specchio nel piccolo spogliatoio.
  «Hei, chico, che fine avevi fatto?»
  «Ero in malattia.»
  Il portoricano, togliendosi il camice, lo squadra ironicamente. «Malattia mentale?» E comincia a ridere, una risata grassa e fastidiosa.
  Il ragazzo deve fare un grosso sforzo per sorridere.
  «Hei, amico, scherzo. Non vorrei mai vederti in mezzo a quelli lì» dice indicando dietro le spalle, oltre la porta a vetri. «Sei ancora col direttore?»
  «Sì, studio il caso di Diana Reid. Sai, per la specializzazione.»
  «Quella lì, fiu! Sai cosa? Penso che da giovane fosse davvero prestante» e sottolinea le parole con un esplicito movimento del bacino.
  Il ragazzo stringe i pugni fino a farsi male, ma poi si rilassa e un sorriso perverso gli curva le labbra. Chiude lo sportello di metallo e si incammina lungo i corridoi della clinica psichiatrica.
  
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