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Autore: Dolll    27/01/2015    2 recensioni
{Dalla storia}-Mi misi la maglia blu del Campo ed uscii dalla mia Cabina, guardandomi intorno mentre cercavo Hiro con lo sguardo. Lo trovai e lo salutai con un cenno, quindi si avvicinò a me.
«Secondo te come saranno?» chiese mentre andavamo verso il luogo di ritrovo del campo.
«Non lo so...eroici?» risposi ridacchiando.-
«Quarto, sei americana. E dove ha colpito di più l'influenza degli dei dell'Olimpo? Mh? In America. Che tu lo voglia o no, Alie, tu potresti essere benissimo figlia di Artemide.» concluse in tono risoluto.
Guardai l'orizzonte, sfregandomi le mani sudate sulle cosce. In effetti, aveva ragione. Potevo esserlo davvero. Tutto quadrava. Il mio essere una cacciatrice nata, la mia passione per le stelle e la mia acutissima vista. Ma qualcosa impediva tutto questo. Era il mio stesso essere."-
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Gea si sta risvegliando ed a una nuova profezia è stata data voce. La figlia della dea Sbagliata dovrà aiutare i Sette a salvare nuovamente l'Olimpo. Ma essa dovrà fare i conti con il suo passato e con la sua stessa esistenza, il tutto complicato da un nuovo pericoloso amore.
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Artemide, I sette della Profezia, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Incontro un elfo.

 




Mi guardò stranito, neanche avessi parlato in giapponese. 

«Voglio venire con voi» ripetei scandendo le parole.

Fece una faccia offesa- che sembrò il broncio di un bambino- e mi fece cenno di entrare nella stanza. Era piccola, per massimo due persone, e una porta scorrevole portava al bagno.

Notai che c'erano due materassi.

Feci per sedermi su un cuscino, quando la porta si aprì e spuntò un ragazzo più basso di me, dal fisico asciutto e piuttosto atletico, dai capelli castani gocciolanti e appiccicati alla fronte. Aveva lo sguardo furbo, i lineamenti da elfo e scuri occhi bruni. Il problema era che, beh...l'unica cosa che indossava era un corto asciugamano legato in vita.

Ora, immaginatevi la scena: io che mi stavo per sedere, in una posa da Just Dance con la gamba semi alzata, un ragazzo semi zombie che guardava attonito il micro asciugamano e un ragazzo elfo che usciva felicemente dal bagno, proprietario del micro asciugamano.

«Torna subito in bagno e mettiti qualcosa!» gridò Nico con voce stridula, a metà tra lo shockato e l'arrabbiato.

«Ehi amico calmo, lo so che sono sexy, ma evita la voce da donnina» fece l'altro facendo scivolare pericolosamente l'asciugamano dai fianchi.

Si girò verso di me e fece un sorriso furbo, si tirò su l'asciugamano e mi tese la mano. «Leo, Leo Valdez. Figlio di Efesto, capo cabina e Bad Boy Supreme»

Guardai la sua mano, imbambolata (probabilmente con un espressione diversamente intelligente) e caddi con un tonfo sul cuscino.

«Ehm...Alie Nishimura. Alie Makoto Nishimura»

«Bel nome! E dimmi, come stai messa a situazione sentimentale?» chiese in modo sfacciato, sfoggiando il suo sorriso furbo.

Storsi il naso.

«Single, a gonfie vele. Sempre meglio che stare con uno come te»

Il suo sorriso svanì, ma un secondo dopo scoppiò in una fragorosa risata. «Mi stai simpatica» e detto questo, si rintanò in bagno come niente fosse successo.

«Lascialo perdere, il fuoco gli ha fuso la poca materia prima rimasta. »

«Ti ho sentito, zombie!»

Nico sospirò, e si sedette di fianco a me. Mi guardò a metà tra l'incuriosito e l'infastidito.

Piccolo problema: tra elfi seminudi, rivelazioni e battutine, ero troppo scossa per rispondere. E la mia tremenda timidezza non aiutava, nono.

Scattai in piedi, feci un piccolo inchino imbarazzato e scappai via dalla stanza, sotto lo sguardo sbalordito e stralunato di Nico.

 

Ma che diamine avevo fatto? Ero scappata come una bambina davanti ad un clown. Beh, non che tutte le bambine abbiano paura dei clown, ma dato che per me è così allora il paragone rimarrà quello. Sospirai. Stavo divagando con la mente.

Guardai verso la Casa Grande, sormontata dal sole calante. In teoria ora dovevamo tutti riunirci per chiacchierare un po' in attesa della cena, ma non ne avevo per niente voglia. Avevo fatto una figura di merda. Però dopo pensai che dovevo perlomeno scusarmi, e le mie gambe, pur controvoglia, si distesero e iniziarono a muoversi verso la Casa Grande.

Ormai non c'era più nessuno in giro, e il silenzio veniva interrotto sconnessamente solo dal vento fra le foglie degli alberi sparsi qua e là.

Senza accorgermene ero già davanti alla porta. La aprii piano, e il mio sistema uditivo venne disintegrato da un forte ritmo sicuramente house.

Cercai con lo sguardo la provenienza di quell'orribile suono, e lo trovai. Un enorme stereo, posizionato proprio davanti a Leo Valdez, che scuoteva i capelli castani a ritmo. Beh, vederlo vestito era centomila volte meglio che vederlo seminudo. Aveva una camicetta ormai logora e bruciacchiata, dei pantaloni da lavoro con bretelle ed un enorme cintura da lavoro in vita. Sembrava comunque un elfo.

Mi avvicinai a grande falcate a lui e spensi lo stereo, con fari mormorii soddisfatti e sollevati in sottofondo. Varie persone lo guardavano male.

«Ehi tesoro, era bella musica, quella!»

«Lo sai che questo è un luogo sacro, vero?»

«Su dai, qui è un mortorio, vi si deve divertire in qualche modo.

Stavo per ribattere, quando la mano di Rachel si posò sulla mia spalla, e mi lanciò uno sguardo sconsolato. Non serviva a niente, in poche parole.

Mi sedetti vicino alla rossa, che riprese a parlarmi del Labirinto di Dedalo, mentre di tanto in tanto lanciavo occhiate minacciose a Leo quando stava per fare qualche cosa di stupido o quando ci provava con delle ragazze. Aveva già ricevuto vari schizzi d'acqua da ragazze figlie di spiriti di laghi e fiumi, ma sembrava non voler afferrare il concetto.

Tutto procedeva bene, finché Haru non disse a Percy che c'era un messaggio per lui. O meglio, che un arcobaleno era apparso sul lavandino della cucina della mensa.

«Un...arcobaleno?»

«Esatto» rispose Rachel picchiettando le unghie sul tavolo, con aria nervosa. Continuava a guardarsi intorno, a controllarsi allo specchio e a fare grandi sospiri.

«Rachel...è tutto okay?»

«No. Devo andarci anche io, devo andarci.»

Non sapevo perché, non sapevo cosa stava succedendo. Leo guardava verso la porta della cucina, spegnendo le fiammelle che ogni tanto gli infiammavano la pelle leggermente olivastra. Nico giocava con il suo anello, nervoso. Jason stava facendo volare vari vassoi, chiedendo poi scusa imbarazzato.

Improvvisamente, Rachel mi prese per un braccio e mi trascinò verso la cucina, spalancò la porta e guardò intensamente la figura di una ragazza apparsa fra il vapore acqueo. Sembrava tesa, gli occhi grigi erano preoccupati e sfuggenti, tempestosi. I capelli biondi erano raccolti malamente in una coda fatta palesemente in fretta e furia.

«Annabeth, che succede?»

La ragazza bionda mi guardò per un attimo, stranita, per poi ritornare a guardare Rachel.

«Il Campo è sotto attacco.»







 

Odiatemi. Fatelo. Vi do tutto il diritto.
So che ci ho messo un sacco, ma ho avuto vari problemi e impegni, e l'ispirazione era poca. Ma finalmente eccolo.
Questo è ancora un capitolo noioso, solo per dar inizio alla vera storia. Spero di avervi incuoriositi con l'attacco al Campo.
Ci vediamo al prossimo capitolo, spero in tante recensioni, e scusatemi ancora.
 

 

  
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