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Autore: Nykyo    28/01/2015    1 recensioni
Stiles decide che il loft non ha un aspetto abbastanza natalizio e ordisce un piano per decorarlo in assenza di Derek. Le cose non andranno esattamente come le aveva programmate. Ma non sempre fare i conti con il passato serve solo a riaprire vecchie ferite.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Sorpresa, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stiles saltò su di scatto, come se qualcuno l’avesse appena punto con uno spillone acuminato. Confuso e stranito dovette lottare per un istante con il panico che lo assaliva sempre quando non capiva al primo colpo se era sveglio o se stava sognando.

Doveva essersi addormentato. Si stropicciò gli occhi in un gesto un po’ infantile e intanto riuscì a ricacciare indietro un’ondata montante di ansia. Per primissima cosa esiliò in un angolino della memoria i ricordi più terribili e molesti che avevano già iniziato a riaffiorare, dopodiché si sforzò di respirare piano, con calma. Ci riuscì più facilmente di quanto non avesse temuto ma, non appena fu in grado di aprire bene gli occhi e mettere a fuoco ciò che aveva intorno, l’angoscia risalì di nuovo a galla.

Stiles non si era svegliato davvero. Non poteva essere sveglio, no, proprio no. Di sicuro stava sognando, perché l’ultima cosa che ricordava era di essersi stravaccato tutto imbronciato sul divano del loft di Derek e ora, invece, si trovava in tutt’altro luogo. Per la precisione: da qualche parte in una casa sconosciuta.

Stiles non aveva idea di come poteva esserci arrivato. Non ricordava neppure di essere andato via dal loft. No, o stava dando di nuovo i numeri come non gli succedeva più da anni – e non voleva proprio pensare ai motivi per cui in passato gli era successo di svegliarsi dove non avrebbe dovuto essere o di ingannarsi sul luogo in cui si trovava realmente – oppure stava ancora dormendo e quello era solo un sogno.

Stiles si sentiva disorientato, però non aveva la sensazione di essere in pericolo o di star vivendo un incubo. Perciò ritrovò ancora una volta la calma con relativa facilità. Era più curioso che spaventato. Almeno per il momento.

Fece una rapida ispezione e vide che si trovava in un salone: bello, ampio, arredato con gusto. La stanza aveva un rivestimento in legno laccato avorio, pareti dall’intonaco color crema e un pavimento in caldo parquet chiaro e pulito. Il mobilio classico ed elegante comprendeva perfino un pianoforte e Stiles lo notò subito, al primo colpo d’occhio. Sogno o realtà che fosse, la sala in cui si trovava trasmetteva un’impressione di agio, comodità e sicurezza. E di calore, anche. Per quanto ricercato quello non era un ambiente freddo e formale. Aveva un che di accogliente e di vissuto.

In un angolo della stanza si ergeva un bell’abete verdissimo ed era un albero vero, non uno di quelli finti che la maggior parte della gente addobbava di solito. Guardandolo Stiles si disse che doveva essere proprio ossessionato visto che perfino i suoi sogni avevano un sottofondo natalizio. Restava perplesso, però, perché non gli sembrava affatto di essere addormentato. Tutto intorno a lui aveva un’aria assolutamente solida e palpabile.

Stiles mosse un passo in avanti, deciso a toccare uno dei mobili, per sincerarsi che fosse concreto e tangibile e per vedere che effetto gli faceva. A volte nei sogni il senso del tatto era come attutito.

Mentre raggiungeva il pianoforte gli torno in mente che per togliersi ogni dubbio gli sarebbe bastato contarsi le dita, o provare a leggere una pagina di uno dei tanti libri che ingombravano la grande libreria che aveva scorto con la coda dell’occhio quando, poco prima, si era guardato bene intorno. Non fece in tempo a tentare né l’una né l’altra cosa. La porta a vetri del salone si aprì all’improvviso e qualcuno entrò nella stanza.

Stiles si congelò sul posto, sentendosi istintivamente un intruso e quindi in colpa, come se fosse stato lui a scegliere di trovarsi lì, e come se fosse stato appena sorpreso mentre faceva qualcosa di sbagliato. Poi riconobbe il ragazzo che aveva appena varcato la soglia, con un grosso scatolone di cartone tra le mani.

Stiles si sorprese a trattenere il fiato per l’incredulità, perché si trattava di Derek. Sì, aveva davanti a sé Derek, non c’erano dubbi.  Ma… Stiles stava fissando un ragazzino, non l’adulto nel cui loft doveva essersi addormentato, eppure quello era Derek senz’altro. Stiles ricordava fin troppo bene l’aspetto che Derek aveva avuto quando Kate Argent l’aveva fatto tornare adolescente, una paio di anni prima.

Bene, perfetto. Quindi quella era casa Hale? In un momento imprecisato dell’adolescenza di Derek? Stiles ora era davvero convinto che si trattasse di un sogno. Non si spiegava altrimenti. Soprattutto perché – stranezza nella stranezza – Derek stava guardando nella direzione di Stiles, però pareva proprio che non lo vedesse.

«Amico? Derek…» azzardò Stiles stranito e senza sapresi trattenere. Magari non era una buona idea interagire con le persone che incontrava in quella strana visione, ma Stiles non era riuscito a star zitto. Derek, in ogni caso, non diede segno di averlo sentito. Poggiò il suo carico sul pavimento, non lontano dall’abete, e poi si allontanò di un paio di passi, tutto immusonito. Stiles decise di riprovarci e si sbracciò, chiamandolo a voce più alta, con un tono un po’ indispettito, perché essere ignorato lo infastidiva, perfino in sogno.

Prima che potesse fare anche un tentativo di toccarlo Derek si voltò verso la porta. Qualcun altro, oltre Stiles, l’aveva appena chiamato.

Talia Hale – Stiles capì subito che doveva essere lei – era ferma vicino a uno stipite e fissava impensierita il suo unico figlio maschio. Teneva le braccia incrociate sul petto in un nodo molto stretto e il suo corpo era leggermente inclinato da un lato in una maniera che Stiles non poté fare a meno di notare, perché la faceva assomigliare a Derek. O meglio, ora che aveva modo di osservarla, Stiles si disse che era impressionante quanto di lei rivivesse in Derek, che lui se ne accorgesse o meno. Stiles si scoprì intenerito, almeno fino a quando non ricordò a se stesso che quello era solo un sogno e che, quindi, non era detto che nella realtà fossero stati così tanto somiglianti. Magari era solo il suo inconscio che li immaginava così. Si sarebbe anche soffermato a rifletterci oltre, ma il timbro stridulo della voce di Derek lo riportò alla scena a cui stava facendo da invisibile spettatore.

«Puoi farlo con Laura o con Cora. Perché devo farlo io? Così salterò un allenamento.»

Più che irritato o annoiato all’idea di un’incombenza sgradita Derek sembrava nervoso e terribilmente sulle spine. A guardarlo bene Stiles notò che aveva le spalle curve e l’aria di sentirsi davvero di schifo.

Talia, invece, aveva una luce molto dolce nello sguardo, ma il suo tono risuonò fermissimo. «Derek… ho ancora un udito e un fiuto migliore dei tuoi e anni e anni di esperienza. Non c’è nessun allenamento questo pomeriggio e lo sappiamo entrambi.»

Derek sbuffò e si lasciò cadere a sedere a gambe incrociate sul pavimento. Il movimento fu così rapido e fluido che Stiles l’avrebbe trovato elegante, oltre che sorprendente nella sua leggerezza, se solo non fosse stato troppo impegnato a notare che Derek era sul serio di un umore nerissimo.

«Perché io? Uffa!» Derek sarebbe potuto sembrare buffo come un bambino con il broncio, ma aveva la voce troppo roca e gli occhi velati. Stiles si sentiva lo stomaco annodato anche solo a guardarlo. «Cora e Laura sono fuori con le amiche e non hai preteso che rimanessero a dare una mano con l’albero, hai detto che potevano andare. Perché non lo fai da sola, perché devo aiutarti io? Sono troppo grande per queste scemenze. Tanto non ci credo. Sono tutte convenzioni inutili.»

Stiles mosse un paio di passi in avanti, con veemenza, senza riflettere. Quello che Derek aveva appena detto l’aveva fatto scattare. D’istinto si protese per allungargli uno scappellotto. Non ce l’aveva davvero con Derek, non conoscendo i suoi trascorsi, ma, proprio perché li conosceva, il suo primo impulso era stato quello di scuoterlo in qualche modo e di dirgli che si stava comportando come un emerito cretino.

Le sue dita, però, si bloccarono a pochi millimetri dalla nuca di Derek. Stiles non ebbe nemmeno modo di controllare se era o meno in grado di toccare lui ed eventualmente anche Talia. A fermarlo fu il fatto che lei si era appena chinata per ritrovarsi con il viso allo stesso livello di quello del figlio, occhi negli occhi.

Nella lunga pausa di silenzio che seguì Stiles sospirò sonoramente e, quando capì che davvero non potevano sentirlo né vederlo, si accoccolò a sua volta sui talloni, si abbracciò le ginocchia e si concesse di sfogarsi a voce alta. «Stupido!» esalò, fissando la schiena irrigidita di Derek, così vicina che veniva voglia di pungolarla con un dito. «Sei un musone idiota, Derek. È tua madre. Cosa ti costa farla felice ora che è ancora viva? No, no, no, non ci posso pensare.» Ma lo stava facendo e aveva la gola chiusa e un dolore sordo al centro del petto. «Può essere l’ultimo Natale con lei, idiota, mi senti? No, no che non mi senti. È così frustrante. Non so nemmeno cosa ci faccio qui. Perché vi sto sognando? Sempre che sia un sogno e non… non lo so, una visione soprannaturale? Sono finito dentro un libro di Charles Dickens? Perché?» In realtà verificare sarebbe stato semplice. Ma a Stiles non piaceva l’idea di provare a leggere qualcosa o di contarsi le dita. Non in quel preciso momento. Aveva già il cuore troppo stretto senza aggiungerci il turbamento di certi brutti ricordi.

Per tutto il tempo, mentre lui si arrovellava, Talia era rimasta a fissare Derek in silenzio. Stiles era pronto a scommettere che era intenta a usare tutto ciò che aveva a disposizione, che fossero i sensi da lupa o l’intuito della madre poco importava, per cercare di comprendere cosa passava per la testa di Derek e come riuscire a toccarlo e a fargli cambiare idea.

Stiles, intanto, nemmeno si accorgeva di aver cominciato a dondolare sui talloni. Smise di colpo di torturarsi un labbro con i denti e sbottò dando ancora una volta sfogo allo scompiglio dei propri sentimenti. «Merda! Non voglio stare qui, se è un sogno voglio svegliarmi. Non ce la faccio. Ah! Mi fa ammattire. Cazzo! Derek è tua madre, io lo so quanto ti mancherà. Se questo è un sogno è il mio, quindi fai a modo mio e accontentala e se non è un sogno accontentala lo stesso, ok? Dille di sì, accidenti. Non voglio… se è il tuo passato… beh, se è il tuo passato è uno schifo e non so perché sono qui a vederlo succedere ma è davvero uno schifo. Non è giusto. Dovresti dirle di sì, è tua madre. Io lo so che poi ti odierai se le dici di no… è Natale, è solo un cavolo di albero e ti sta chiedendo di farlo con lei, ci vuole così poco…»

Talia si chinò ancora di più, accostando il viso a quello di Derek, e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Stiles non riuscì a capire cosa avesse appena detto, ma non gli importava. Pregò solo che Derek le desse retta.

Avrebbe voluto essere più distaccato, specie perché non aveva alcuna certezza che quello che stava osservando fosse un momento realmente accaduto nel passato di Derek, però non ci riusciva. Così come non riusciva a non provare, oltre a un senso di profonda ingiustizia e a un’empatia altrettanto profonda, anche il morso dell’invidia. Provarla lo rendeva una persona orribile, certo, ma Stiles non era capace di evitarlo: guardava Derek che continuava a scuotere il capo con tutta la caparbietà di cui era capace e sentiva le viscere contorcersi. Se quella fosse stata sua madre Stiles non l’avrebbe contrariata. Avrebbe dato un braccio pur di poterla aiutare e di vederla felice.

Non era giusto, no. Lui e sua madre avevano avuto così pochi anni sereni.

«Merda!» Sul serio Stiles si detestava per il tipo di sentimenti che stava provando. Derek ne aveva passate perfino più di lui. Bisognava essere davvero meschini per esserne gelosi. Eppure il cuore di Stiles si strinse nel vedere con quanta pazienza e con quanta gentilezza Talia stava sorridendo al figlio.

«Andiamo, tesoro. Capisco che alla tua età non credi più a Babbo Natale, ma decorare l’albero ti è sempre piaciuto. Fino all’anno scorso non vedevi l’ora di tirare fuori gli addobbi.»

Derek saltò in piedi con la stessa velocità e agilità innata con cui si era messo a sedere poco prima. «Fino all’anno scorso ero un bambinetto idiota. Avevo testa nelle nuvole ero un…»

Stiles non aveva i sensi di un lupo mannaro ma fu certo che Derek si fosse zittito giusto in tempo prima di dire una parolaccia. Un piccolo gesto automatico che, malgrado tutto, dimostrava il suo rispetto per la madre.

Talia pareva sul punto di dire qualcosa e di accarezzargli una guancia e Stiles sperò che ci riuscisse, o in alternativa di svegliarsi all’istante. Derek però voltò il capo e poi diede le spalle alla madre. Dopodiché marciò diritto verso l’altro capo della stanza, si trattenne a stento dal prendere a calci lo sgabello del piano, girò su se stesso e tornò indietro a passo di carica, con i pugni chiusi e i denti stretti.

Stiles non era abituato a vederlo muoversi a scatti, come un’anima in pena. Derek sembrava un animale in gabbia. Di norma, malgrado la stazza, il brutto carattere e l’aggressività latente, Derek tendeva a non manifestare la propria ansia con il moto. Era Stiles quello che non riusciva a restare fermo un secondo, men che meno se era angosciato. Derek tendeva a rimuginare restandosene immobile come una statua di sale, a braccia incrociate e sfoggiando un’espressione impassibile o tutt’al più apertamente ostile verso il mondo intero. E quando invece camminava o gesticolava un po’ più del solito nei suoi gesti c’era sempre una certa eleganza ferina. E invece eccolo lì, adesso, brancolante e furioso, così sconvolto che pareva dovesse incespicare nei suoi stessi piedi da un momento all’altro.

A Stiles sembrava di star spiando il suo stesso riflesso, ma attraverso uno specchio leggermente deformato. Era una sensazione strana e dolorosa, difficile da sopportare. Lo riempiva di una tristezza amarissima e avrebbe voluto abbracciare Derek oppure essere abbracciato da lui, ma non osava neppure immaginare come si sarebbe sentito se avesse provato ad allungare di nuovo le mani solo per scoprire una volta per tutte che il suo tocco non veniva avvertito.

«Non sono più…»

A Derek era appena morta la voce. Stiles sapeva come ci si sentiva: era come ingoiare una manciata di sabbia che grattava in gola e non voleva proprio saperne di scivolare giù. Quando Derek trovò le forze per parlare di nuovo, però, ascoltarlo fu perfino peggio di quanto non fosse già stato fino ad allora.

«Non fare finta che non sia successo niente, mamma. Come fai a comportarti come se io non avessi fatto niente di male, come se fosse tutto a posto? Non voglio decorare quello stupido albero, non me ne importa niente del Natale, voglio solo… vorrei che Paige…»

Stiles smise di dondolare sui talloni e si premette un pugno chiuso sulle labbra, mordendo le nocche senza nemmeno accorgersene.

Avrebbe dovuto immaginarselo. Paige. Il primo Natale dopo la sua morte. Era quello che stava sognando? Il suo inconscio stava cercando di dirgli qualcosa? Bene, avrebbe potuto trovare un modo meno sadico per farlo.

Voleva svegliarsi o comunque essere altrove. Non riusciva a restarsene lì a guardare Derek in faccia mentre i suoi lineamenti erano così contratti dalla rabbia e dal senso di colpa. Un conto era ascoltare il racconto parziale e sicuramente romanzato di Peter Hale, un altro era avere davanti Derek e poter osservare con i propri occhi quanto il rimorso per la morte di Paige era riuscito a sconvolgerlo e a devastarlo.

Stiles cercò di ricordare a se stesso che quella non era la realtà, non poteva esserlo. Ma lui si sentiva ugualmente un intruso, gli pareva di essere del tutto fuori posto. Non credeva di avere il diritto di assistere a quel confronto tra Derek e sua madre.

Peter anni addietro gli aveva raccontato cosa era successo con Paige – beh, se non altro una versione dei fatti – ma lui non ne aveva mai parlato con Derek e dubitava che Derek l’avesse mai raccontato a nessuno. Quindi Stiles chiuse gli occhi, e avrebbe voluto tapparsi anche le orecchie, a costo di sembrare uno stupido. Tanto né Talia né Derek erano in grado di vederlo.

«Non sto fingendo che vada tutto bene, tesoro.» Le parole lo raggiunsero, che Stiles lo volesse o meno. Nonostante tutto c’era qualcosa nella voce di Talia che lo toccava nel profondo. Forse perché il suo era chiaramente il tono di una madre. «È proprio perché so che non è così che sto cercando… Derek, guardami, per favore, sto solo cercando di starti vicina e di mostrarti che almeno tra noi non è cambiato nulla, sei sempre il mio…»

«Non sono più un bambino!»

Era la prima volta in assoluto che Stiles sentiva Derek urlare e per di più in una maniera tanto sguaiata e furiosa. «Sì che lo sei» pensò, «guardati. Sei solo un ragazzino disperato e con le lacrime agli occhi, un adolescente terrorizzato che non riesce a fare i conti con se stesso. Non sei un adulto, non è strillando contro tua madre che ti sentirai meglio. Starai solo peggio, dopo, quando anche lei non ci sarà più. Dalle retta, cazzo, non startene lì a urlarle contro.»

Stiles però non avrebbe avuto il coraggio di ripeterlo a voce alta, nemmeno sapendo che Derek non poteva ascoltarlo. Non quando lui per primo non si sentiva affatto senza pecca nei confronti della propria madre. Il che probabilmente era illogico, ma Stiles non aveva mai smesso del tutto di chiedersi quante volte si era dimostrato incapace di renderla felice. Quanto spesso aveva fallito nel tenerla ancorata alla realtà e alla vita. «Ero solo un bambino» si disse, mentre tentava di rialzarsi un po’ alla cieca perché aveva lo sguardo velato di lacrime. «Oh, cazzo» sospirò nel rendersi conto di aver appena affermato il contrario di ciò che Derek aveva gridato in faccia a Talia. Era più che evidente che né lui né Stiles erano davvero convinti della propria osservazione e che nessuno dei due traeva dalle proprie parole il minimo conforto.

Talia in compenso si stava dimostrando caparbia proprio come, a giudicare dal carattere di Derek e Cora, Stiles l’aveva sempre immaginata. Raggiunse Derek in pochi passì, lo abbracciò stretto e, ignorando il fatto che lui si era irrigidito al primo tocco, gli sussurrò di nuovo qualcosa a un orecchio. Nemmeno questa volta Stiles fu in grado di capire o di indovinare cosa Talia stesse dicendo, ma fu grato di poter vedere il risultato del suo gesto. Derek le aveva appena gettato le braccia al collo. Aveva il viso affondato nell’incavo della sua spalla ed era impossibile stabilire se stava piangendo.

Stiles pensò che non era poi così importante. Se non altro Derek era al sicuro, almeno in quel momento.

Sapere che non sarebbe rimasto così a lungo era una pugnalata nelle costole, ma Stiles non riusciva a non sentirsi almeno un po’ sollevato.

Pregò ancora una volta di svegliarsi in quell’istante; posto di essere davvero addormentato. «Ora va bene, ok» disse rivolgendosi a un punto imprecisato del soffitto come se stesse parlando con una qualche entità sovrannaturale che non era in grado di scorgere. «Ora è perfetto. Sono prontissimo, se sono crollato sul divano del loft è ora che io riapra gli occhi, prima che Derek arrivi e decida di sbattermi fuori a calci nel sedere, e se invece questa è una specie di visione, beh, non so dove ti stai nascondendo “Spirito dei natali passati”, ma credimi sulla parola, ho visto abbastanza.  Giuro.»

Nessuno gli rispose e Stiles rimase dov’era, in piedi nel salone di casa Hale a guardare Derek che si districava con lentezza dall’abbraccio di sua madre, tirava su con il naso e tentava invano di sorridere.

«Va bene» masticò Stiles tra i denti. «Ok, ho capito. Ma almeno si può sapere perché sono finito nel passato di Derek? Non dovrebbe essere il mio? Lo so che non sono proprio normale ma non pensavo di avere un inconscio così contorto o di essere cosi tanto… ah, non ci voglio pensare ora. Non ha senso, è tutto uno stupido sogno. Lo odio. Odio quando mi succedono queste cose. Merda.»

La visione, però, di qualunque tipo fosse, non accennava a finire.

Rassegnato Stiles incrociò le braccia sul petto e cercò con tutte le sue forze di ignorare il fatto che, mentre cominciava a tirare fuori le decorazioni dalla scatola per passarle a sua madre, a Derek tremavano le dita. Stiles ce la mise davvero tutta. S’intestardì al punto di distogliere lo sguardo e mettersi a contare le frange del tappeto che aveva sotto i piedi. Perciò, in effetti, non vide Derek perdere la presa e non seppe mai per quale motivo, malgrado i riflessi di entrambi fossero nettamente superiori alla norma, né lui né Talia erano riusciti ad afferrare al volo la piccola pallina di porcellana bianca, salvandola prima che si schiantasse al suolo con uno fragore allarmante.

Una metà, sbeccata e puntuta come un guscio d’uovo appena rotto, rotolò fin quasi a sfiorare la punta delle scarpe da tennis di Stiles e lui fece davvero fatica a non chinarsi per tentare di raccoglierla. Serrando la mascella fino a farsi male si costrinse anche a non voltarsi per spiare la reazione di Derek.

«Derek» chiamò invano Talia, un attimo dopo. Ora era lei che suonava troppo accorata e a corto di speranze. Ma la sola risposta che ottenne fu il fragore di una porta che veniva sbattuta con violenza e lo scalpiccio di passi che si allontanavano troppo in fretta su per le scale.

«Merda!» ripeté Stiles ancora una volta. Aveva gli occhi che bruciavano così tanto che dovette sfregarli con una manica della felpa e anche così dovette compiere uno sforzo enorme per ingoiare le lacrime.

 

Stiles sobbalzò e sbatté le palpebre più volte prima di capire ciò che aveva davanti agli occhi, ossia un largo, grottesco buco tondeggiante che squarciava per intero una delle pareti del loft.

Così la sua sortita nel passato, a casa Hale, era stata sul serio solo un brutto sogno? Stiles prese fiato. Ok, ora era sveglio, quindi avrebbe dovuto sentirsi molto meglio. Invece aveva ancora la sensazione di avere il cuore stretto in una morsa feroce e sentiva sul palato il sapore salato del pianto trattenuto a stento. Inoltre non capiva perché le luci del loft erano spente. Ricordava con sicurezza di averle lasciate accese. Intorno a lui, però, regnava il buio tipico delle serate invernali, rischiarato solo dalla luce lunare che si riversava sul pavimento dal lucernario e dalla grande vetrata che dava sul terrazzo.

Stiles sarebbe stato incline a convincersi che si stava sbagliando, che le luci erano sempre state spente, anche se era un pensiero che, in realtà, non aveva alcun senso. Si ricordava perfettamente di averle accese al suo arrivo. Ma raccontarsi che forse si stava sbagliando era confortante e non gli faceva venire il dubbio – per lui fin troppo frequente – di star avendo le traveggole. Sì, Stiles avrebbe anche mentito a se stesso fino in fondo pur di tranquillizzarsi, non fosse stato per la figura che intravvedeva nella penombra, ferma in piedi, non lontano dal letto di Derek.

«Questo punto sarebbe perfetto per l’albero, non trovi?» Talia Hale stava di nuovo usando un tono caldo e delicato. «Derek non lo ammetterebbe mai, ma credo che gli farebbe bene vederlo la mattina appena si sveglia. Gli farebbe bene ricordarsi che il Natale è un tipo di gioia che può ancora permettersi.»

Stiles rimase a fissarla a bocca aperta e con gli occhi sgranati. Aveva la consapevolezza che doveva essere uno spettacolo ridicolo, una specie di cartone animato vivente, ma del resto stava guardando un… cos’era? Un fantasma?

«No, no, proprio no! È solo che sto ancora sognando.» Però non ebbe il coraggio di dirlo a voce alta. Non sapeva perché, ma questa volta aveva paura che Talia l’avrebbe sentito eccome e che per giunta gli avrebbe risposto. Così tirò su le gambe, rannicchiandosi sul divano, come per proteggersi, per quanto non pensasse che lei gli avrebbe fatto del male.

Una cosa fu subito certa: Talia ora riusciva a vederlo. Stava guardando proprio lui ed era a lui che si stava rivolgendo.

Stiles si diede dello stupido perché da un lato non aveva nessuna intenzione di risponderle – non gli mancava che di mettersi a discutere con i fantasmi, che li stesse soltanto sognando o meno – e dall’altro si sentiva in colpa nel fingere di non averla sentita.

Talia, però, non pareva in collera con lui. Avanzò con tutta calma, a passi lenti e misurati, e quando il suo viso fu un po’ meno in ombra Stiles vide che stava sorridendo. La guardò sfiorare con le dita i bordi della scatola di cartone piena di decorazioni che lui stesso aveva depositato sul ripiano metallico del tavolo e poi infilare una mano all’interno e ritrarla appena un attimo dopo.

Stiles si chiese se Talia non avesse fatto scivolare qualcosa all’interno, ma accantonò subito quella curiosità, distratto dal fatto che lei in quel momento era investita in pieno dalla luce della luna e sembrava così reale e tangibile. Non aveva per niente l’aria di uno spirito disincarnato, eppure Stiles non riusciva a convincersi di poterle parlare e non osava avvicinarsi per osservarla meglio o per toccarla.

Avrebbe voluto sollevare una mano e contarsi le dita, ma era troppo agitato. L’ansia lo spingeva a chiudere gli occhi. Stiles decise di non provarci nemmeno e si ficcò le mani in tasca, con i pugni troppo stretti, per evitare ogni possibile tentazione. Non era un codardo, ne aveva viste troppe per spaventarsi per uno spirito che, tra l’altro, non gli pareva affatto bellicoso, ma per qualche motivo aveva paura di scoprire come stavano davvero le cose. Se fosse stato certo di essere sveglio avrebbe finito con l’agitarsi ancora di più, anche se più per l’angoscia che per la paura. No, grazie, proprio no. Quella di farsi venire una mezza crisi di panico sotto lo sguardo della madre morta di Derek era un’evenienza che Stiles proprio non poteva accettare. Comunque fosse non poteva essere sveglio, sarebbe stato da pazzi. Cosa gli stava succedendo? Era ammattito sul serio, proprio adesso che, dopo anni, si era finalmente convinto che il mondo fosse molto più folle di lui e che la sua mente fosse, tutto sommato, normalissima?

«Cazzate!» ricordò a se stesso. Se quello non era un sogno, beh, esistevano i licantropi, perché non i fantasmi? Per lui non cambiava poi molto se Talia era solo una proiezione della sua fantasia o uno spirito dall’oltretomba. In fondo a Beacon Hills i morti ogni tanto tornavano quando uno meno se lo aspettava e di norma erano pericolosi, letali e vendicativi. Stiles avrebbe dovuto considerarsi fortunato per una volta che ne incrociava uno il cui argomento di conversazione era il punto migliore in cui piantare un abete di metallo e plastica. Allora perché si sentiva così sulle spine?

«Derek è cambiato dopo che Paige è morta.» Talia aveva smesso del tutto di sorridere e stava parlando proprio con Stiles. «Ma non in peggio come crede lui.»

Stiles prese a tormentarsi un labbro con i denti. «Gli sono successe altre cose dopo» avrebbe voluto spiegarle, «cose che riguardano te e il resto della vostra famiglia.» Ma che senso avrebbe avuto dirlo? Se quello non era un sogno e Talia era un fantasma era possibile che sapesse già tutto. Se anche così non fosse stato Stiles era già abbastanza turbato per il solo fatto che lei lo stava osservando e che gli stava rivolgendo la parola. Era confuso e si sentiva impreparato. Mille pensieri gli si accavallavano nella mente, riflessioni per lo più dolorose, ma anche sciocche curiosità. Le cose che avrebbe voluto dire o domandare erano troppe e i suoi sentimenti al momento erano davvero ingarbugliati. Stiles non si sentiva in grado di dar loro la forma di un discorso quanto meno sensato.

Talia non parve impressionata dal suo silenzio. «Avevamo una decorazione speciale, un tempo. Una pallina di porcellana bianca, con sopra il disegno di due campanelle dipinte a mano, credo fosse della mia bisnonna. Antica, comunque, e molto graziosa. È buffo, ma credo che a Derek sia sempre piaciuta più di quanto non piacesse alle ragazze. Laura ha sempre preferito le cose moderne e Cora da piccola la ammirava con reverenza, ma non osava toccarla e dopo… immagino che quando ci si affaccia sulla soglia dell’adolescenza le priorità cambino e che le radici familiari non siano tra queste, almeno per un po’, nemmeno se si è un lupo mannaro. A Derek però le sue origini, il passato del branco, le tradizioni sono sempre interessate moltissimo.»

Stiles lesse tristezza negli occhi di Talia, soprattutto quando lei fece una pausa e si guardò intorno. «Ho sempre pensato che un domani avrebbe vissuto… non avrei mai immaginato una casa come questa per lui.»

I pugni di Stiles si serrarono di nuovo nel momento in cui si accorse che le si era incrinata la voce. Aprì la bocca per confortarla e la richiuse subito dopo perché non riuscì a trovare le parole giuste. Il che la diceva lunga su quanto il suo stomaco fosse di nuovo annodato e sottosopra.

Talia fece un cenno con il capo, come per rassicurarlo, e quando parlò di nuovo aveva recuperato del tutto la compostezza. «Il giorno in cui Derek ha rotto quella decorazione per un momento ho pensato che non ci fosse più nulla da fare, che anche quello che si era spezzato dentro di lui fosse irreparabile.» Talia scoccò a Stiles una lunga occhiata penetrante. «Ero così demoralizzata che non ho nemmeno provato a rimediare al danno che aveva combinato. Ho comprato un intero set di decorazioni nuove e le ho usate per preparare l’albero da sola… che cosa stupida, eh? Mi sono detta che se Derek avesse visto tutti gli altri pezzi che già conosceva avrebbe pensato soltanto a quello che aveva distrutto e alle cose che lo facevano soffrire. Come se nascondere il danno bastasse a cancellare le conseguenze… a volte noi genitori vi amiamo così tanto che ci sbagliamo anche solo per paura di perdervi.»

Senza neppure accorgersene Stiles si era dimenato sul cuscino fino al punto che ormai era seduto solo per modo di dire. Appollaiato sul divano, se non ne avesse artigliato il bordo avrebbe potuto cadere in qualunque istante. Per un qualche miracolo era riuscito a non piangere, nemmeno ascoltando le ultime parole dell’accorata ammissione di Talia. Forse era solo troppo frastornato e teso per riuscire a sfogare il tipo di dolore che stava provando. Stava pensando a sua madre. Non riusciva a smettere di pensare a lei, ma neppure di pensare a Derek o di provare comprensione per la preoccupazione che doveva aver tormentato Talia.

Sempre più irrequieto, Stiles prese a mordicchiarsi un labbro e l’interno delle guance, senza trovare sollievo. Voleva sentirsi dire che Derek si era perdonato, se non per Paige – probabilmente mai del tutto per Paige – almeno per quella stupida pallina natalizia, antica o meno che fosse.  Aveva bisogno che Talia gli dicesse qualcosa di rassicurante. Non sopportava di vederla abbattuta o di pensare che Derek era stato così vicino al limite.

«Ti prego!» supplicò senza parole e maledicendo la nuova pausa che Talia si era concessa e il conseguente silenzio carico di tensione. «Perché sei qui se non per dirmi che c’è un briciolo di speranza anche per quelli come me e tuo figlio? Andiamo… per favore.»

Avrebbe dato un braccio perché lei continuasse il discorso, magari distraendolo dai ricordi che continuavano ad assalirlo, taglienti come i monconi di porcellana della pallina che Derek aveva frantumato nel sogno precedente.

Più Stiles cercava di non pensarci più l’immagine del viso stravolto di suo padre gli si accendeva nel cervello come un lampo accecante e doloroso. Alla memoria visiva Stiles poteva fin troppo facilmente aggiungere altre reminiscenze altrettanto lancinanti: lo scoppio furente con cui il puntale di vetro soffiato che sua madre aveva sempre piazzato in cima all’albero era andato in mille pezzi contro una parete del salotto, le schegge mischiate a quelle di una bottiglia di whisky vuota; l’odore pungente dell’alcol nel respiro di suo padre; il sapore salato delle lacrime. Quello che Stiles stava cercando disperatamente di rimuovere era il ricordo del loro momento peggiore e, anche se erano passati anni e da quel giorno in poi lui e lo Sceriffo avevano cominciato a risalire la china, ripensarci faceva ancora malissimo.

«Ti prego» supplicò ancora Stiles, fissando Talia attraverso un velo sempre più umido e tremolante, «Di’ qualcosa. Dimmi che io e Derek possiamo… di’ qualunque cosa, per favore. Ti prego.»

Come se avesse sentito la sua implorazione silenziosa, Talia abbozzò un mezzo sorriso e aprì le braccia in un gesto eloquente. «A volte le cose che amiamo si rompono, ed è inutile provare a sostituirle con altre nuove. Spesso cambiare tutto ci aiuta, ma non sempre è così. Far finta di niente è come mettere le briciole sotto un tappeto: non serve a nulla. Aveva ragione Derek. Quando andiamo in pezzi dobbiamo sforzarci di raccogliere i cocci e di rimetterli insieme, per quanto è possibile. È la sola cosa che funziona davvero e l’ho imparato da mio figlio. Quando ho sentito il rumore dei suoi passi nel silenzio notturno e ho deciso di alzarmi dal letto non avevo nemmeno notato che era quasi mezzanotte della vigilia e non so cosa mi aspettavo di trovare, so solo in cosa speravo di tutto cuore.»

Inspirando a fondo Stiles socchiuse gli occhi e provò la sensazione di essersi appena liberato da un macigno che fino a un secondo prima gli aveva gravato sul petto. Non ebbe bisogno che Talia gli confermasse ciò che stava congetturando, ma la ascoltò comunque con la massima gratitudine quando lei concluse: «Non ho mai capito come ha fatto Derek a riparare quella decorazione così delicata e a rimettere insieme tutti quei pezzi rotti, così minuti e fragili.» Stiles notò che lo sguardo le si era fatto più acceso. «Doveva averci provato per ore, anche se Dio solo sa che non è mai stato un tipo paziente. Alla fine si vedevano i segni di ogni punto in cui aveva incollato i vari frammenti, più che una pallina sembrava un mosaico sferico, ma quando l’abbiamo appesa insieme su uno dei rami dell’albero ho avuto la certezza che Derek se la sarebbe cavata. Con le sue cicatrici, ma poteva farcela, anche senza di me. Mio figlio è più forte di quello che crede e sono sempre stata fiera di lui.»

Stiles annuì. Nonostante tutto ciò che sapeva del passato di Derek, compreso il modo in cui Kate Argent l’aveva usato per assassinare gli Hale, Stiles non faticava a credere nell’orgoglio che Talia professava verso il figlio.

«Sì, credo che quello sia davvero il posto perfetto per l’albero» sentenziò Talia, voltandosi per un attimo a guardare il punto che aveva indicato prima. «Specie ora che Derek ha di nuovo qualcuno che lo ama davvero con cui decorarlo.»

Il cuore di Stiles diede un tonfo sonoro e lui deglutì. Talia era il fantasma di un lupo mannaro, giusto? I fantasmi dei lupi mannari avevano i sensi sviluppati come li avevano avuti da vivi? Se sì, lei ora poteva sentire che il battito del suo cuore era appena impazzito.

«Non è come…» iniziò a dire Stiles, ritrovando finalmente l’uso della parola, ma all’improvviso tutte le luci del loft si riaccesero e quando lui si riebbe dalla sorpresa Talia non c’era più. Era svanita nel nulla.

   
 
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