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Autore: didylanda01    28/01/2015    2 recensioni
Due ragazzine.
Due normali ragazzine
Due sacchi a pelo
Basterà però solo un campeggio a farle svegliare nell'era glaciale. Ce la faranno a non interferire rischiando di cambiare il futuro? Ce la faranno a risolvere il guaio che hanno combinato? Ce la faranno a salvare le epoche successive da un ignoto viaggiatore? Ma soprattutto, ce la faranno a tornare a casa?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dieci minuti dopo ero riuscita a rianimare quella “cuor di leone” di Safira a suon di schiaffi ed eravamo entrambe sedute incredule sulla soglia della macchina. Dentro di essa c’era ancora mia sorella che rincantucciata sulla poltrona si rifiutava di uscire. Io avevo la bocca spalancata da circa cinque minuti pieni e la gola mi si era sgradevolmente seccata. Tuttavia dopo lo shock che avevo avuto e che stavo avendo, non riuscivo a richiuderla. Safira era nelle mie medesime condizioni e, occhi sgranati, fissava quel dinosauro che stava passionalmente brucando come se niente fosse davanti a noi. Tentai di parlare, commentare, ma dalla bocca non mi uscì alcun suono. Bob (come lo avevo soprannominato) il brontosauro d’un tratto smise di divorarsi come un tagliaerba le piante di tutto il vicinato e dilatò la bocca. Sulle prime mi convinsi ironicamente che il colosso stesse sbadigliando ma non potei completare la mia ipotesi perché giunse a me una raffica maleodorante proveniente dalla caverna (bocca di Bob). Il mio naso catalogò il “profumino” come spazzatura organica di pesce andata a male al sole per due mesi e riuscii a trattenere con difficoltà due o tre conati di vomito. Mentre cercavo di pensare, di illudere il mio cervello del profumo delle rose bianche di nonna Jillick, osservai Safira che si stava contorcendo bianca in volto coprendosi il naso con la manica. Noi a stento riuscivamo a contenere il rigetto, ma “qualcuno” dentro la macchina. Sentii un rivoltante SQUAK e un attimo dopo un rivolo di vomito colò fino a noi. Mentre Safira alla vista e odore del vomito altrui cominciava a rigettare pure lei, io trattenendo il fiato entrai dentro e vidi Costanza che riversava a terra… beh vi evito i dettagli, comunque avete capito. A causa sua ora tutto l’interno era brulicante di schifezze (ma quanto male mangiava questa bambina?) e sempre a causa sua anche la mia amica stava vomitando. Irosa mi avvicinai e le urlai:
-Ma che fai, scema?!- le mollai un ceffone e ammetto che probabilmente mi scappò un po’ la mano, ma prima che me potessi accorgere già l’avevo colpita violentemente e come al rallentatore potei vedere che i suoi occhi si riempivano di lacrime, le gocce cominciavano a sgorgarle e i singhiozzi rimbombavano potenti e lei sussultava scossa  dai gemiti. Scioccata per ciò che avevo fatto, incapace di parlare, le asciugai la bocca di residui di vomito e sempre sconvolta senza proferir parola uscii. Safira aveva appena terminato di pulirsi la bocca e si era alzata ad osservare da vicino il brontosauro. Lo accarezzava continuamente ma sotto quella pesante pellaccia lui non la sentiva.
-Bob!- mi avvicinai saltellando. La mia amica mi guardò divertita e interrogativa:
-Bob?- chiese. Io scrollai le spalle e la raggiunsi. Lei confusa mi chiese:
-Ma dove siamo finite Didì…?- eccola. La domanda che temevo, ad essa non sapevo rispondere. Non C’ERA una spiegazione logica e razionale! O meglio, una spiegazione c’era, ma non era assolutamente né logica né razionale. Non osavo ammetterla nemmeno con me stessa, ma mi pigiava dentro come un leone rinchiuso in una gabbia: avevo bisogno di confidarla a qualcuno.
-Safira- mormorai con fil di voce. Non mi sentì, fui contenta di questo. Nonostante ciò riprovai più volte, sempre più forte, almeno fino a che Safira non si girò.
-Che c’è Didì?- la codardia e la vigliaccheria stavano spingendo la mia lingua a rispondere “niente” ma il leone intrappolato nel mio corpo mi fece sputare di getto tutto ciò che pensavo. Prima che io stessa mi potessi capacitare di ciò mi ritrovai la mano di Safira adagiata sulla spalla. Il suo viso adiacente al mio orecchio, la sua bocca si muoveva impercettibilmente e mormorava:
-è quello che pensavo anche io…-
 
--
 
-Non c’è niente!- erano passati circa cinque minuti da quando avevo convinto la pigra Safira ad analizzare la macchina ma ancora, con mia conseguente stizza, non avevamo trovato niente.
-Ci deve essere un indizio, qualcosa che tradisca il costruttore…- ribattei e Safira scosse violentemente la testa sconsolata lasciando ondeggiare ipnoticamente i lunghi capelli color pece. Io ero tutta sudata e sporca di terra, la mia maglietta era strappata e mi si erano formati lungo il braccio molti lividi. Dolorante mi stavo rassegnando, dandola vinta e quella pessimista della mia amica… quando un’incisione attirò la mia attenzione. Mentre cercavo di metterla a fuoco con la grande lente d’ingrandimento dalla montatura rossa che avevamo trovato, mi imponevo la calma, mi obbligavo a non nutrire false speranze, perché se poi non fosse stato ciò di cui avevamo bisogno sarei rimasta delusa. Questo era anche il motivo per cui non avevo avvertito Safira, che non venne da me almeno finché io non lanciai un gridolino.
-Che succede?!- mi raggiunse trafelata e spaventata, e appena le confessai che avevo gridato solo per un’incisione…:
-Mi hai fatto prendere un colpo! Ma io ti uccido!-
-Anche io ti voglio bene!- risi e con quella battuta tagliai di netto quella insensata conversazione perché morivo dalla voglia di condividere con Safira la mia scoperta.
Mi chinai curiosa ma la scritta era talmente piccola che ad occhio nudo le lettere erano impercettibili. Mi feci passare la lente e soddisfatta ma contemporaneamente spaventata richiamai l’attenzione di Safira.
-Guarda qua bella!- lei seguì il mio dito e constatò:
-No… no, no, no! Che vorrebbe dire macchina del tempo?- orgogliosa le risposi:
-Significa esattamente ciò che pensavo io!-
-Questo non va bene…-
-Invece è fantastico! Possiamo cambiare il futuro se ci troviamo nel passato…- appena mi resi conto di quanto affermato fissai atterrita Safira e insieme urlammo spaventate:
-Rischiamo di cambiare il futuro!-
-Potremmo anche non nascere, in teoria, più lontano siamo dalla nostra nascita, più piccola è l’azione che potrebbe cambiarla! Metti che se do un calcio a quel sasso esso finisce in una crepa che si dilata raffreddando il pianeta ed evitando la pioggia di meteoriti, i dinosauri restano vivi e gli umani non vengono mai creati!-eravamo letteralmente scioccate, e così in tensione da dimenticarci i nostri bisogni primari.
-Safira! Il cibo! Non ne abbiamo!-
-Non dobbiamo fare altro che cercarlo. Gli animali mangeranno…-
-dove intendi cercare babbea? Qui è tutto secco. –
-Confido che troveremo da mangiare!- scossi la testa e afferrai per il polso la mia amica. Mentre ci allontanavamo dalla macchina con passo sostenuto gridai a Costanza:
-Non toccare niente scema!- un rumore, il ticchettio di veloci e leggeri passi e mia sorella ci aveva raggiunto:
-No! Vengo con voi… - in un intinto di protezione la sollevai e me la posizionai comodamente tra le braccia, lei soddisfatta qualche attimo dopo stava già dormendo. Mi chiedevo stupita come facesse Costanza ad addormentarsi in un momento come quello, io non ci sarei mai riuscita!
 
--
 
Camminammo, camminammo e camminammo. Dentro le pesanti nike i miei piedi cuocevano come uova sode e le gambe mi facevano male per il jet lag* affrontato con il viaggio. Il largo cappello di paglia da vecchietta che avevo trovato nella macchina del tempo mi proteggeva solo parzialmente dal rovente sole di mezzogiorno e la testa mi faceva male come se un’incudine di piombo me l’avesse colpita. Safira, bombetta e occhialoni da sole, marciava sudata e brontolando. Con un’ossidiana si era da poco tagliata i pantaloni alle ginocchia per sopportare meglio il calore: assomigliava tanto a una di quelle turiste tedesche che si vedono in inverno. Inciampando su un grosso sasso rosso la mia amica era ruzzolata a terra provocandosi un’escoriazione al ginocchio destro e da allora si lamentava ancora di più (se possibile). Cochi si era da poco svegliata e io stanca e accaldata l’avevo messa a terra dicendole di proseguire a piedi. Mentre si asciugava con le manine gli occhi dal fastidioso sudore, piagnucolava per le incomode condizioni in cui eravamo, d’altronde lei, piccina, aveva solo sei anni. Mi stavo soffermando su una strana roccia blu quando l’urlo di Safira attirò la mia attenzione:
-T-REX alle dieci e dieci!- rimbambita dalla velocità dell’accaduto guardai l’orologio per vedere in che direzione puntavano le lancette all’orario detto da Safira. Diressi il mio sguardo lì e con orrore mi accorsi che un tirannosauro stava caricando verso di noi. Non ci pensai un attimo, mi misi a correre gridando:
-Cochi scappa!!- dal lieve scalpitare capii che la bambina mi stava seguendo. Sconvolta mi chiesi come mai non l’avevo presa io: non poteva mai correre veloce come noi! Era troppo tardi però, non potevo fermarmi, e augurandomi in cuor mio che Cochi fosse una scheggia, continuai. Alla deriva nel mare di quei pensieri sulle prime non mi accorsi di una vocina che mi chiamava e solo quando tornai alla realtà mi girai e vidi che Costanza non era più dietro di me. Il mio cuore mancò un battito, per non dire addirittura che si fermò. Ora non c’era più il tirannosauro, ma solo la mia sorellina dispersa. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, urlai il suo nome più volte, disperata. Mi gettai in ginocchio guardando passivamente il tirannosauro che si avvicinava: non me ne importava più niente. Come un suono ovattato percepivo separato da me come dal cellophane il suono della voce di Safira che mi tirava…
 
Mi risvegliai da quella trance solo quando udii:
-Didì!-
-Costanza! Dove sei?- risposi quasi piangendo dal sollievo. Un sottile braccino sporco di terra si sollevò aldilà di una dunetta. Costanza infatti era inciampata su un tronco e non era riuscita più a rialzarsi. Senza tener conto del t-rex in avvicinamento mi misi a correre nella direzione opposta a Safira, i polpacci mi bruciavano come bruciati col fuoco e mi pareva di leggere i pensieri del dinosauro: “Wow! Cibo che mi viene incontro! Amo il cibo suicida!”
Afferrai Costanza e mi rigirai saettando verso la mia amica. Superammo l’ultima duna osservando con felicità che c’era un sasso rosso: eravamo arrivate!
Tuttavia una cattiva sorpresa ci aspettava lì: dentro il cerchio di pietre con cui ne avevamo delimitato il contorno, la macchina del tempo non c’era più!
 
* Il jet lag (spesso indicato come "mal di fuso") o disritmia, discronia o ancora disincronosi circadiana, è una condizione clinica che si verifica quando si attraversano vari fusi orari (di solito più di due fusi orari), come avviene nel caso di un lungo viaggio in aereo. In questi casi, giunti a destinazione si è assonnati, stanchi o confusi. Il fenomeno si verifica a causa dell'alterazione dei normali ritmi circadiani; Diamante e Safira si erano “imbarcate” in piena notte e si erano ritrovate in pochi minuti a mezzogiorno.
 
 
 
   
 
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