L A
F I
G L I A
D E L L A S T E L L A
Raiden
restò folgorato per qualche istante
dall’intensa luce arancio sprigionata dalla ragazza, che si
era alzata in piedi
e gli si era parata davanti. Egli si lasciò cadere sulle
ginocchia, consapevole
che ciò a cui stava assistendo poneva definitivamente fine
alle sue speranze.
Se fosse stato nel pieno delle forze magari avrebbe avuto qualche
possibilità
contro una stella inesperta e non addestrata, ma non certo in quelle
condizioni. Quando il bagliore si ritirò, rivelò
una nuova Nilin. Non indossava
più antiquati abiti terrestri, ma un paio di pantaloni blu
infilati in un paio
di stivali di una lega particolare di gomma e carbonio di colore nero
che gli
arrivavano fin sopra il ginocchio. Sopra invece indossava una giacca
bianca a
mezzo busto con le maniche ripiegate all’altezza del gomito,
e al braccio
destro un particolare antibraccio che sfociava in un guanto del
medesimo
materiale degli stivali. Sotto la giacca indossava una semplice maglia
marrone.
I suoi capelli non erano più ordinati e pettinati
all’indietro, ma stavano
liberi e sciolti, con due mèche bianche che le scendevano
lungo il ciuffo che
piegava verso la sinistra e dietro fino alla nuca.
Con passo deciso e sguardo minaccioso, la Stella
sia avvicinò a Raiden. Semplicemente guardandolo, lo
sollevò con la forza del
pensiero, facendolo restare sospeso di qualche centimetro in aria. Poi
poggiò
la mano destra sul suo petto, sopra al cuore.
-Senti, come batte?
-Si ... – rispose lui.
-Il suo … il loro non batte più. –
sospirò la
ragazza. Poi poggiò il pugno nello stesso punto in cui aveva
poggiato la mano
sfiorando appena la pelle, e Raiden strabuzzò gli occhi e
cadde al suolo.
Respirava in maniera affannata e si contorceva per il dolore.
-Il tuo smetterà giusto qualche attimo dopo che il
pianeta sia bruciato – aggiunse sedendosi di fianco a lui.
-Pensavi davvero di farcela, non è così?
– chiese,
anche se sapeva che non avrebbe avuto risposta. In fondo, la domanda
era
retorica.
-Oh ma tranquillo, non sarai solo. Tutta questa
gente, tutti quelli che vivono su questo pianeta di merda, vedi
loro…non
meritano di vivere. Proprio come te. Loro uccidono, derubano, fanno
guerre in
nome degli dei, loro non meritano il dono che gli è stato
fatto. Loro
disprezzano la vita. Per questo ho deciso che verranno tutti
all’inferno con
te, e sarò io ad accompagnarvi. Questo
è il mio compito, il mio destino.
Edge, anche se a tratti e in lontananza, aveva
sentito. Se avesse avuto la forza, avrebbe potuto salvare tutte quelle
persone,
avrebbe potuto salvare se stesso e lei, ma non riusciva né a
muoversi né
tantomeno a parlare. Non poteva fare
niente. Era sopravvissuto a tutte quelle botte e a tutti quei traumi
per
niente. Sarebbe inesorabilmente morto lo stesso. Nonostante tutto non
voleva,
non così. Non in quel modo. Riuscì a voltarsi dal
lato opposto, e vide che a
pochi centimetri da lui c’era il baratro. Allontanarsi dal
punto
dell’esplosione gli avrebbe dato qualche istante in
più per raccogliere le
energie. Così si sforzò. Cominciò ad
oscillare finché il suo corpo non superò
il limite del monte Olimpo e cominciò a precipitare nel
vuoto, verso la terra.
Ruotando in aria, si trovò nella posizione ideale per vedere
la gigantesca
esplosione correre verso di lui. Raccolse tutte le forze che aveva,
chiuse gli
occhi e sperò che funzionasse.
Li tenne chiusi, serrati per un tempo che a lui
sembrò infinito. Ma le forze venivano sempre meno e prima di
mollare e
annullare la barriera della quale si era circondato per proteggersi
dall’esplosione della Stella e del pianeta stesso, aveva
bisogno di vedere cosa
lo aspettava.
Aprì gli occhi.
Il buio.
* * *
I
L B U I O
Continuò
a precipitare ancora e ancora nel vuoto,
nel gelo e nel buio più totali per un periodo infinito.
Sembrava davvero non
dover finire mai, e spesso Edge si domandò se non fosse
così la morte: una
infinita caduta nell’oblio. Di tanto in tanto si scontrava
con qualche
asteroide, rimbalzava come un proiettile da una parte
all’altra, continuando a
precipitare come se fosse stato sparato a una velocità
indescrivibile. A volte
gli capitava di perdere i sensi e di risvegliarsi poco dopo con il
cuore che
gli batteva in gola. Ma proprio quando era giunto al limite della
sopportazione, scorse una luce in basso. Un puntino luminoso che si
faceva
sempre più grande man mano che si avvicinava. Una forza
devastante, una
propulsione immensa, lo sparò fuori da quel varco luminoso
reimmettendolo nello
spazio aperto alla stessa medesima gran velocità.
Viaggiò per anni e anni luce,
senza riuscire a fermarsi: nelle sue condizioni era difficile muoversi
nello
spazio. Finché non finì a schiantarsi contro il
vetro di una gigantesca nave –
cargo spaziale, sfondando uno degli oblò.
-Presto, tutti fuori e sigillate la stanza!! –
gridò uno dei presenti, mentre altri due lo avevano preso e
trascinato fuori.
-Gra…grazie – riuscì a balbettare Edge
prima di
perdere nuovamente i sensi.
Restò in coma per parecchi giorni, mentre
tutt’intorno a lui infermiere e medici industriosi
s’adoperavano per curare le
sue profonde ferite. Il gelo dello spazio e la totale assenza di calore
alla
quale era stato esposto aveva congelato letteralmente tutti tessuti
danneggiati, impedendo loro qualsiasi tipo di rimarginazione. I medici
non
riuscivano a spiegarsi come avesse fatto a sopravvivere, e soprattutto
cosa lo
avesse sparato a una velocità tale da fargli frantumare un
vetro temperato
appositamente studiato per resistere all’impatto con
asteroidi.
E nel sonno lui continuava a sognare di Nilin, e
del maestro Wuh, e tutto era felice. Non c’erano stelle, non
c’erano nemici ne
dei, solo tanta felicità. Poi di tanto in tanto qualche
ricordo affiorava e il
suo cuore perdeva qualche battito. Andò avanti
così per giorni, fino a che
grazie ai tecnologici macchinari medici presenti su quella nave, il suo
corpo
cominciò a riprendersi e finalmente si svegliò.
Aprendo gli occhi si sentì come
se non avesse mai visto la luce. Provò a muoversi, ma lo
trovò particolarmente
impegnativo. Fu istintivo guardarsi attorno, e gli sembrò
d’essere in una
stanza d’ospedale. Impiegò un po’ di
tempo a capire. Non ricordava quasi nulla,
solo che aveva perso nello scontro con Raiden. Poi più
nulla, buio totale. Il
suo sguardo si spostò su se stesso, e si rese conto di
essere completamente
bendato: si passò le mani sul volto e si accorse che anche
il volto era
bendato. Cercò una superficie riflettente, ma non ne
trovò. Allora provò ad
alzarsi ma tutta la parte inferiore del corpo sembrava non rispondere.
Rotolò
giù dal letto e cadde con un rumoroso tonfo, che
attirò l’attenzione delle
infermiere fuori dalla stanza. Edge emise un gemito, e si
voltò verso la porta.
Vide due infermiere correre attraverso il vetro trasparente di cui
erano
composte le pareti. Da quella posizione riuscì a scorgere
timido il suo
riflesso: sembrava una mummia.
-Presto, vai a chiamare il dottore – disse una
delle due infermiere, mentre si faceva aiutare a rimettere Edge sul
letto.
Provò a ribellarsi ma non riusciva a muoversi.
Così rinunciò. Se fosse stato
prigioniero molto probabilmente sarebbe stato legato.
-Do … ve … so … so … no
… - riuscì a dire con la
voce strozzata e sibilante.
-Siete sul Nautilus, una nave cargo, siete arrivato
quattro giorni fa dal nulla, era conciato davvero male. Mai avremmo
pensato che
si sarebbe svegliato. – gli rispose l’infermiera
con dolcezza, mentre gli
rimboccava le coperte. In quel momento giunse il medico, con alcuni
colleghi e
l’infermiera che era andato a chiamarlo.
-Dottor Jegghins, il paziente è sveglio – disse
l’infermiera.
-Lo vedo – rispose il medico pacatamente – potreste
lasciare tutti la stanza? – aggiunse. Tutti quanti obbedirono
e aspettarono
fuori. Il dottore chiuse la porta e abbassò le tendine della
vetrata così che
non potessero ne udire ne vedere. Poi si avvicinò al letto
trascinandosi dietro
un carrello. Mise una sedia bianca di fianco al letto, e
preparò una siringa.
-Questo dovrebbe aiutarti a parlare – disse prima
di fare un’iniezione al giovane.
-Gra…grazie.
-Chi sei tu?
-Mi chiamo…Edge.
-Sei un Guardiano?
-La galassia…la galassia di Leo…quando
è esplosa la
stella?
-Nessuna stella esplode da secoli in quella
galassia, che io sappia.
- Che giorno è?
-Ventiquattro luglio settantasei e novantuno1
-Mi prende in giro?
-Da dove vieni?
-Mi trovavo…sulla Terra, quando è successo.
- Quando è successo cosa? E che ci facevi lì?
E’
disabitata che io sappia.
-Lei non sa niente, dottore.
-Già, lo vedo, Illuminami.
-Non saprei neanche spiegarle…ero nella galassia
più remota dell’universo, e ora sono su una nave
cargo in un’altra epoca e non
ho idea di cosa sia successo in mezzo.
-In un'altra epoca?
-Era il settembre settantasei centoundici quando sono
arrivato sulla terra...
-Ma è impossibile...vuoi forse dirmi che vieni dal
futuro?
Edge guardò il dottor Jegghins come se si fosse
perso. Quello si passò una mano tra i capelli, sconvolto e
confuso. Il
Guardiano cominciò a sforzarsi per ricordare, doveva
assolutamente sapere cosa
era successo. Ripercorse gli ultimi istanti che ricordava nitidamente,
e per
aiutarsi partì dall'inizio della storia, da quando era
partito dal suo pianeta.
Parlò del suo viaggio, dell'arrivo sulla terra e della
battaglia con le
divinità locali. Poi narrò la sua battaglia con
Raiden, e la sua sconfitta. Qui
i suoi ricordi si fecero più offuscati, come se le sue
orecchie fossero state
coperte dall'ovatta e i suoi occhi velati dalla nebbia.
Rimembrò il suicidio
della dea Atena, e la furia di Nilin. Di essersi gettato dall'Olimpo e
di
essere sopravvissuto alla gigantesca esplosione. Poi si
ricordò del buio
interminabile, e del freddo, degli asteroidi e degli svenimenti e della
tachicardia e dell'oblò sfondato.
-Questo spiega molte cose... - disse Jegghins -
sai, ricordo che ai corsi di astronomia all'accademia dei medici, un
professore
ci parlò di una teoria secondo la quale la morte del figlio
di una stella
genera un'esplosione talmente violenta da creare un buco nero in
diretto
collegamento con quello generatosi dall'esplosione della stella... - si
guardò
intorno e afferrò la cartella medica del ragazzo. Ne
strappò un foglio bianco e
lo piegò a formare una U, poi riprese - immagina che questo
foglio sia la linea
del tempo. Da una parte abbiamo il primo buco nero, dall'altra il
secondo.
Essi, secondo quella teoria, sono due porte aperte in due punti diversi
della
medesima linea temporale...
Edge si guardò i palmi delle mani fasciate.
-Posso salvarla - farneticò - posso salvarla, posso
salvare tutti! Lei deve aiutarmi!
Il dottore accettò, e sottopose il ragazzo a una
cura molto particolare, che in due giorni lo porto quasi alla totale
guarigione. Si trattava di un trattamento rischioso, con numerosi
effetti
collaterali che andavano dalla tachicardia alla possibilità
di un collasso
neurologico. Ma queste cose non potevano far paura al coraggioso
guardiano, che
accettò di sottoporsi a qualsiasi cosa l’avesse
rimesso in condizioni di
lottare. Le ferite più grandi si ridimensionarono, mentre
quelle piccole si
rimarginarono completamente, così come le abrasioni e le
fratture sparse per
tutto lo scheletro. Quasi si spaventò il giorno in cui lo
sbendarono
definitivamente, lasciandogli solo una fasciatura che copriva la parte
bassa
del tronco, ancora ricoperta da diverse ferite e contusioni. I suoi
abiti
comuni erano andati distrutti sulla terra, e quelli della Gad mode
sarebbero
riapparsi quando fosse stato necessario. Tuttavia il dottore gli
donò degli
abiti nuovi.
Indossò dapprima i calzoni bianchi e rigonfi, che
gli arrivavano fin sotto al ginocchio. Poi lo smanicato bianco coi
bordi rossi,
che lasciava scoperte le braccia muscolose e piene di cicatrici.
Indossò gli
stivali che arrivavano esattamente dove finivano i calzoni; questi
ultimi erano
neri, con delle una riga rossa che li attraversava verticalmente da
un’estremità all’altra. Infine
indossò il soprabito bianco con dei particolari
in stoffa scarlatta e nera, lungo i bordi. Esso si reggeva solo sulla
spalla
sinistra, ed era tenuto avviluppato attorno al corpo di Edge con una
fascia di
lino vermiglia. Quando fu pronto, gli fu concesso di prendere una delle
navicelle di salvataggio presenti a bordo del cargo, visto che avrebbe
dovuto
assolutamente raggiungere il pianeta natio di Nilin.
Il suo piano prevedeva di giungere li e impedire a
Raiden di trovarla, così che nessuno fosse costretto a
spedirla sulla terra. In
questo modo le avrebbe salvato la vita e avrebbe salvato il destino del
pianeta
Terra.
-In bocca al lupo, Edge.
-Grazie dottore…lei cosa farà?
-Io sto andando sul pianeta Askin, sono in cerca di
una clinica che mi accetti.
-Sono sicuro che la troverà…addio.
Disse il giovane mentre chiudeva lo sportello della
navicella. Jegghins si allontanò, e il portello di sgancio
si aprì, lasciando
andare la navicella di forma ovoidale. Questa in un attimo fu
già fuori dal
campo visivo della nave madre. Era ormai il ventisei luglio, il giorno
del suo
compleanno era vicino e quindi anche quello di Nilin. Secondo il
computer di
bordo avrebbe impiegato circa un giorno a giungere alla meta. Si mise
comodo,
ed avviò la macchina, gli ingranaggi del cervello per
studiare un piano che non
fosse “arrivo e spacco il mondo”. Doveva sapere
esattamente cosa fare prima del
tempo, anche perché non poteva sapere se Raiden
già a quel tempo era più forte
di lui o se lo divenne nei venti anni successivi. E il fallimento non
era contemplato.
* * *
L A
T E
N A C I A D E L
G U A R D I A N O
Giunto
sul pianeta, atterrò in una zona deserta,
dove nessuno se ne sarebbe accorto facilmente. Non sapeva cosa lo
aspettava,
quindi doveva usare la massima prudenza. Di preciso, era atterrato
vicino a una
foresta, su una collina verde. Il pianeta Askin era famoso per il
caratteristico colore arancione del cielo, data da un particolare
fenomeno
chimico che Edge non conosceva ma che si fermò ad ammirare
per qualche istante.
Ad un tratto, si voltò verso la fitta boscaglia che gli
stava dietro. Qualcosa
gli diceva che doveva entrarci. E così, incuriosito da
questo suo strano
istinto si addentrò. Non dovette arrancare troppo tra gli
arbusti e le
ragnatele prima di scorgere in lontananza un piccolo cratere. Con calma
si
avvicinò, e vide che al centro vi era un’astronave
atterrata da poco. La
riconobbe subito.
-Merda, quella è la mia nave…come ci è
finita qui?
Dovrebbe essere esplosa insieme alla Terra
Per un istante il pensiero che Raiden fosse ancora
vivo si fece strada nella sua mente. Se fosse riuscito, in qualche modo
a
salvarsi? Ma si rese conto che era più probabile che uno dei
suoi scagnozzi,
che doveva essere sopravvissuto, l’avesse trovata e usata per
scappare.
“Ma perché venire proprio su questo
pianeta?”
pensò. Per lui, non aveva senso. Decise di proseguire,
scacciando quei
pensieri. Magari era solo una coincidenza, o un altro Guardiano con una
navicella simile era atterrato sul pianeta. Continuò a
camminare fin quando non
sbucò dall’altra parte della foresta. Qui, sulla
sua sinistra ma un po’ più a
valle scorse una seconda navicella monoposto, che però era
diversa dalla
precedente.
-Ma che sta succedendo? – si domandò. La luce del
giorno stava calando, e in lontananza notò in cima a una
collina un’abitazione.
Poteva essere un buon riparo per la notte, così fece in modo
di raggiungerla.
Si trattava di una semplice casa fatta con assi di legno scuro, molto
probabilmente ricavato dalla stessa foresta che aveva attraversato.
Davanti
alla porta d’ingresso c’era una piccola veranda
rialzata, alla quale si
accedeva salendo una rampa di quattro o cinque scalini. Quando la
raggiunse,
Edge si rese conto che si trattava di una casa abbandonata. Le assi
erano quasi
tutte consumate, e la porta si reggeva per miracolo. Poggiandoci
semplicemente
la mano, la fece cadere. Poi sentì un rumore provenire
dall’interno e si
allarmò. Entrò con cautela, con la guardia
alzata. Alla sinistra vi erano delle
scale, sempre in legno, che salivano al piano superiore, mentre alla
sua destra
vi era una porta chiusa e di fronte a lui uno stretto corridoio, che
portava a
una stanza più grande circolare, al centro della quale vi
era un tavolo. Quando
vi fu di fronte, qualcosa lo attaccò dal suo lato sinistro.
Una figura
incappucciata, col volto celato dal buio della stanza. Edge
parò il colpo, e
deviò anche i seguenti. Provò ad interrompere la
sequenza, ma nella
colluttazione risultarono esattamente alla pari.
-Chi diavolo sei? – disse il giovane guardiano.
La figura incappucciata fece qualche passo avanti,
e si tolse il cappuccio per farsi riconoscere.
-Io sono te – disse. Era davvero lui, un altro
Edge.
-Come diavolo… - chiese il ragazzo avvicinandosi –
che stregoneria è questa?
-Nessuna stregoneria … - disse una terza voce
uguale alla sua. Edge si voltò e dietro di lui
c’era un secondo Edge.
-C’è un motivo se il tuo istinto ti ha portato qui
… - disse il primo.
-Noi siamo qui per il tuo stesso motivo, per
salvarla. – aggiunse il secondo. Edge era piuttosto confuso.
-Le navicelle…sono vostre. – bisbigliò
tra se e se.
-Noi fin ora abbiamo fallito per due volte…ma
stavolta possiamo farcela, con te le cose cambieranno – disse
ancora quello che
gli stava di fronte. – abbiamo già un piano.
Prenditi una sedia, sarà una lunga
conversazione
* * *
I
L P I A N O
I
tre Edge si separarono, ognuno con la sua parte
del piano. Il nostro Edge aveva il compito di andare a prelevare la
bambina e
portarla sana e salva a una navicella. Se le cose fossero andate bene
uno di
loro l’avrebbe accompagnata sul pianeta dei Guardiani, dove
sarebbe stata al
sicuro. Se le cose fossero andate male l’avrebbero spedita da
sola e loro sarebbero
rimasti li ad assicurarsi che nessuno la seguisse. In ogni caso
c’era una via
di fuga sicura per Nilin.
Era la sera del ventotto luglio e Nilin era nata da
appena due giorni, secondo quanto detto dai suoi alter ego. Il che
significava
che Raiden doveva essere arrivato già sul pianeta.
-Sono nel posto giusto – disse Edge tra se e se
mentre bussava alla porta. Un uomo basso e baffuto aprì la
porta. Era
mingherlino, non si sarebbe mai aspettato che fosse così il
padre di Nilin.
-Sa perché sono qui – disse Edge guardandolo
dritto
negli occhi, assumendo un’espressione piuttosto seriosa.
L’uomo gli fece cenno
di entrare.
-Il mio nome è Milos – disse – sono il
padre della
bambina.
-Nilin…
-Come fate a conoscere il suo nome? – chiese.
-Non capireste – disse sorridendo il Guardiano – il
mio nome è Edge – proseguì porgendogli
la mano. L’uomo glie la strinse
vigorosamente, e poi gli fece cenno di entrare nella stanza davanti
alla quale
si erano fermati.
-Milos…chi è? – chiese una voce
femminile. Sul
letto matrimoniale che c’era nella stanza stava una donna
piuttosto grassoccia,
che allattava una minuscola neonata. Alzando lo sguardo rimase
atterrita.
-Alin…quest’uomo si chiama Edge…
-No…la mia piccola… - cominciò a
piangere la donna.
Edge provò ad avvicinarsi ma lei si alzò in piedi
e fece qualche
passo indietro, finendo con le
spalle al muro.
-Signora…ehm…Alin…mi ascolti, lei
è una madre. Le
madri sanno sempre cos’è meglio per i loro figli,
è questo che siete no? Delle
guide. Mi guardi, la prego, mi guardi negli occhi.
La donna teneva lo sguardo basso, mentre piangeva
sommessamente, cercando di trattenersi. Il giovane fece qualche passo
verso di
lei, ed ottenne la sua attenzione visiva. Si guardarono attentamente
negli
occhi.
-Lei sa che è la cosa giusta – disse il Guardiano
–
mi permetta di salvarla, la prego…non abbiamo più
tempo. Mi guardi Alin, mi
guardi. Si fidi.
La donna osservò sua figlia, e poi di nuovo tornò
a
fissare gli occhi del giovane. Sembravano così innocenti.
Non mentiva. Aveva
ragione, il suo istinto di madre glie lo diceva. Si avvicinò
timidamente ad
Edge, e le porse il fagottino. Lui sorrise alla bimba, che dormiva
beata.
-Hei…ciao – sussurrò dolcemente
cullandola un poco
– da quanto tempo eh?
Rialzò lo sguardo, per osservare i due genitori
della piccola abbracciarsi affranti.
-Io vi prometto che darò la mia vita per
proteggerla – disse loro – e non solo io.
Prese una copertina da sopra il letto e la avvolse
al fagottino che già cingeva la piccola e lasciò
la casa. Fuori faceva freddo,
ed aveva iniziato a nevicare. Il guardiano arrancò
controvento risalendo dalla
città fin sulle colline, dove i fiocchi erano più
grossi e gelidi. Arrivato alla
sua navicella, mise Nilin al suo interno, per non farle prendere
freddo. Ed
aspettò che gli altri tornassero.
Aspettò.
Aspettò.
Aspettò.
Per ore e ore attese il loro ritorno. Forse li
avevano catturati, forse avevano bisogno di aiuto. In fondo erano suoi
alter
ego, come poteva abbandonarli a loro stessi? Pensò che la
bambina si sarebbe
salvata lo stesso, se l’avesse spedita al Monastero. Ma se
gli altri due avevano
fallito, sarebbe toccato a lui fermare Raiden. Così
riaprì il portello della
navicella, caricò la destinazione sul computer di bordo e la
programmò per il
decollo. Poi lo richiuse e si allontanò. Si diresse verso
quello che sarebbe
dovuto essere, secondo il piano, il punto di scontro.
* * *
E
P I L O G O *
I L
C O R
A G G I O D I U N U
O M O
Poco
fuori il porto spaziale, i due alter ego di
Edge avrebbero dovuto intercettare Raiden e i suoi uomini e
sconfiggerli. O
tenerli occupati abbastanza da permettere allo stesso Edge di mettere
Nilin in
salvo. E così fecero. Il loro obiettivo non tardò
ad arrivare e cominciarono
subito a battersi. Uno si sbarazzò in pochi istanti delle
pedine, mentre
l’altro teneva impegnato il “Re”.
Poi, due contro uno, diedero vita a uno scontro
epico. Tre Guardiani che si battevano come delle furie, ognuno per le
proprie
ragioni. Perfino il pianeta su cui si trovavano temeva e rispettava il
loro
potere. Il cielo si addensò e divenne nero mentre iniziava a
nevicare e a
soffiare un vento gelido. La terra si spaccava sotto i loro colpi,
mentre
violenti fulmini si abbattevano sulla terra squarciando
l’aria con boati pari a
quelli provocati dai colpi che si scambiavano i tre combattenti.
Nonostante il
vantaggio numerico però, Raiden sembrava sempre il
più forte. Ogni volta che
colpiva, era come se la felicità e la voglia di combattere
si affievolissero
all’interno del corpo del bersaglio, sotto
l’effetto di una potente magia. I
due Edge non riuscivano a contenere la sua esuberante forza,
così subivano
danni su danni. E i loro colpi si fecero sempre più deboli,
fino a diventare del
tutto inefficaci.
-A quanto pare tu sarai il primo. – disse Raiden
mentre teneva stretto per il collo uno dei due. L’altro era
rimasto a terra
dopo aver ricevuto un violento calcio che da una ventina di metri
d’altezza
l’aveva fatto schiantare al suolo. Il giovane, stretto nella
presa dell’avversario,
sogghignò un attimo e poi cercò di afferrare con
le mani il polso
dell’avversario per far si che lo lasciasse andare.
-No..n-non mi arrendo. – balbettò.
Raiden strinse la presa con l’intento di
strangolarlo ma in quell’esatto istante arrivò il
nostro Edge, che lo centrò
con un gancio destro in volo violentissimo, tale da farlo schiantare
contro una
rupe che stava a centinaia di metri di distanza.
-Stai bene? – disse al suo compare che era caduto
sulle ginocchia e si massaggiava il collo.
-Si…ma noi siamo a pezzi…sei…
-No – lo interruppe voltandosi verso di lui – non
sono solo. Gad mode.
Stavolta non avvenne nessun magico cambio d’abito.
Ma il simbolo di Leo si espanse come sempre, mentre un’aura
scarlatta avvolgeva
il suo corpo.
-Oggi io non sarò sconfitto.. – disse mentre
avanzava sicuro verso l’avversario. Quest’ultimo si
alzò, confuso.
-Ma che stregoneria è questa?! Quando lo capirete
che non basterebbero neanche cento di voi per battermi?
-Io sono l’ultimo…e basterò.
Dando fine alle vuote ciance i due cominciarono a
scontrarsi. I loro colpi andavano per la maggior parte a vuoto o
venivano
parati. Edge sapeva che finché fosse rimasto fresco sarebbe
riuscito a tenergli
testa, ma era importante che non perdesse la concentrazione.
All’improvviso però Raiden cambiò
tecnica di
combattimento, e ne usò una che non conosceva. Era come se i
suoi pugni gli
succhiassero via la felicità. I suoi ricordi cominciarono a
farsi confusi e
lontani. Questo lo sorprese e lo rese vulnerabile a una serie di colpi
micidiali, calci e pugni carichi di energia che lo consumarono
letteralmente.
La violenza dell’ultimo colpo lo scagliò a decine
di metri, facendolo
schiantare al suolo. A fatica e barcollante, ma riuscì a
rialzarsi.
-Maledetti! Avete la pellaccia dura, non è così?
Ma
la vostra fine è vicina. – disse Raiden camminando
verso l’Edge con cui si
stava battendo. Egli richiamò a se quanta più
energia possibile.
“E’ un tentativo disperato, ma devo
provare”, pensò.
Si preparò per eseguire la sua mossa finale ma non
glie ne venne concesso il tempo. Il grido di lancio gli fu strozzato in
gola
dalla devastante tecnica di Raiden.
-ESPLOSIONE DEL DRAGO! – gridò quello, mentre dal
suo corpo un turbine di luci smeraldine si diffondevano tutto intorno,
generando una esplosione di dimensioni tali da essere visibile dallo
spazio.
Tutti e tre gli Edge vennero raggiunti e spazzati
via in un sol colpo, inondati da quella potenza inaudita. Quando la
luce si fu
ritirata, Raiden stava sospeso in volo, su di un gigantesco cratere,
non tanto
profondo quanto vasto. La temperatura si era innalzata al punto che la
terra si
era fusa e trasformata in sabbia in seguito al brusco calo della
temperatura.
Egli dall’alto guardava compiaciuto la sua opera,
finché non notò qualcosa
muoversi sotto la sabbia. Da essa spuntò Edge, rimasto a
torso nudo, con in
dosso solo i calzoni bianchi e gli stivali logori. Il suo corpo era
ricoperto
di sangue, che gli grondava da tutte le parti, misto a sabbia.
-PERCHE’ NON VI DECIDETE A MORIRE?! CHE RAZZA DI
STREGONERIA STATE USANDO?! –
esclamò
furibondo il nemico mentre scendeva a terra.
-Non è una stregoneria… - rispose il giovane
guardiano mentre alimentava le deboli fiamme della sua aura con le
energie che
gli restavano -
è il coraggio di un
uomo…
Un altro di loro, più distante, sbucò tra la
sabbia.
-Non è una stregoneria… – disse mentre si sollevava a fatica, e
innalzava anch’esso
la sua aura vermiglia – è la tenacia del
Guardiano…
Infine sbucò anche il terzo, il più malconcio di
tutti, che a stento si reggeva in piedi.
-Non è una stregoneria… - esclamò
raccogliendo le
sue forze, cercando di non stramazzare al suolo –
è la fedeltà del Guardiano!
Le tre aure scarlatte brillarono tutte e tre
intensamente, come se l’una traesse forza dalle altre. Poi
due fasci splendenti
partirono dal secondo e dal terzo Edge, ed avvolsero il primo, che
ricevette
tutto il potere che restava loro.
-Prendi le nostre vite – disse uno di loro due –
era questo il piano, fin dall’inizio…noi tre
dobbiamo morire qui ed oggi, ed
useremo questo potere per portarti con noi Raiden di Leo!
Il giovane guardiano si guardò i pugni, ammirando
lo straordinario potere che sentiva dentro di se. Il potere di tre
guardiani,
di tre vite messe insieme.
-Finitela con queste pagliacciate, è ora che io vi
uccida una volta per tutte. – commentò seccato
Raiden.
-Sai… - disse Edge - prima hai detto che non
avremmo potuto sconfiggerti neanche se fossimo stati in
cento…ora proverai la
sensazione di essere colpito da un milione di noi!
Poi si piegò sulle ginocchia, preparandosi a
scattare mentre la sua aura ardeva scintillante come non mai.
-STELLA DI LEO, MILIONE DI PASSI DEL LEONE! –
gridò
con tutto il fiato che gli restava in colpo scattando in direzione
dell’avversario. Quest’ultimo non restò
a guardare, e preparò il suo colpo
migliore.
-VENDETTA DEL DRAGO, RYU KEN! – gridò mentre un
drago verde si dipartiva dalla sua figura emanando una luce
d’orata e si
dirigeva a contrastare il colpo di Edge che avanzava. Ma i pugni che
questi
scagliava erano carichi di un potere fuori dal comune, paragonabile a
quello di
alcune stelle addirittura. I suoi colpi aveva una frequenza tale da
ripetersi
uno ogni milionesimo di secondo. La sua potenza era talmente devastante
che in
mezzo secondo spezzò la tecnica che lo aveva sconfitto pochi
giorni prima sulla
Terra, e scagliò i restanti cinquecento mila colpi addosso a
Raiden,
devastandolo e uccidendolo in un boato devastante. Gli altri due Edge
avevano
già dato la loro vita, ora mancava solo lui.
Quando gli effetti dell’esplosione si ritirarono,
il giovane guardiano si ritrovò a terra, completamente
paralizzato e con le
braccia fratturate in più punti. Sentiva ogni centimetro,
anzi ogni millimetro
del suo corpo chiedere pietà. Il dolore era insopportabile.
Non riusciva neppure a roteare gli occhi. Batté le palpebre
un paio di volte e poi le strabuzzò
un’ultima volta meravigliato.
Una splendida visione conciliò il suo violento e
brutale trapasso.
Un bambino e una bambina che giocavano sereni, nel
giardino della casa del maestro Wuh.
-Nilin…
Affidò quel nome al vento un’ultima volta prima di
chiudere gli occhi per sempre e guadagnarsi il meritato riposo.
Nilin, figlia della stella Nilin di Leo.
NOTE
1. La data: ovviamente non potevo utilizzare un sistema di numerazione temporale basato sulla nascita di Cristo, quel novantuno non sta per 1991, ma a un sistema ben più complesso basato sul calcolo dell’età dell’universo a partire dall’esplosione della prima stella e la conseguente nascita della prima figlia della stella, avvenuta circa nove miliardi, seicento milioni cinquecento settantasei mila e novantuno anni prima del momento in cui Jegghins e Edge parlano (9'600'576'091).
ANGOLO DELL'AUTORE
Ebbene
eccoci giunti alla fine di questa storia. Alcuni mi hanno detto che
pare scritta un pò di fretta, e forse è vero,
quindi potrebbe essere riscritta sotto forma di long. In ogni caso si
tratta di una storia che fa da pilota a una saga, la Saga delle Stelle,
della quale oltre a questo racconto faranno parte altre due one shot (o
forse una) e un'altra long. Quindi in realtà la storia non
finisce qui. Questo è solo l'inizio....
Spero che non vi siano sfuggiti i ricchi dettagli di cui ho impregnato
la storia e che sono indispensabili per capire molte cose (ad esempio:
avevate notato che il medico che fa nascere Edge è lo stesso
che gli salva la vita nello spazio? Questo è solo un
esempio, e spero che li abbiate notati tutti perchè li
reincontreremo quasi tutti molto presto :D)
Come sempre commenti e recensioni sono graditi, ringrazio tutti coloro
che mi faranno il grande piacere di leggere questa storia e
chissà, magari si appassioneranno alla saga. Alla prossima
storia :D
Ryuke