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Autore: Charlotte Doyle    12/08/2003    1 recensioni
Non hai mai sentito dire che la bellezza delle cose ama nascondersi? Cinque Grifondoro (Harry, Ron, Hermione, Neville e Ginny), e un mistero sulle macchinazioni di certi Serpeverde... (Ora Completa)
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Neville Paciock, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

[Dove Ron non riesce a pensare ad altro]



- Cooosa? - esclamai, incredulo, dopo che Neville ebbe finito di raccontarmi la sua scoperta. Possibile che Malfoy stesse architettando qualcosa per evitare che Grifondoro vincesse la coppa di Quidditch quest’anno? E pensare che lui si era anche ritirato dalla squadra, per motivi ignoti. Ed era una cosa normale, per i Serpeverde, che lui poteva far tutto quello che voleva anche se a discapito della squadra.

- Allora, che ne dici? - mi chiese Neville. Io scossi la testa.

- Bisogna cercare di scoprire qualcos’altro - risposi. Poi riflettei tra me e me. Neville lo avrebbe detto a Hermione, e ciò non andava affatto bene. Se lei fosse stata coinvolta… be’, sarebbe andata a raccontare subito tutto alla McGranitt o addirittura a Silente, e Malfoy ovviamente si sarebbe difeso. No, bisognava mantenere l’affare segreto. Neville era ancora davanti a me, aspettando un cenno per entrare nell’aula di Trasfigurazione. Gli intimai dunque di non dirlo a nessuno, assolutamente a nessuno. Che ci avrei pensato io a parlare con Harry, e poi ne avremmo discusso insieme. Purché Hermione non ci fosse in mezzo (e questo, ovviamente, non lo dissi a voce alta, ma lo pensai soltanto).

Neville annuì, serio.

Entrando, con lo sguardo feci intendere nuovamente quello che avevo appena detto. Dopodiché, presi posto accanto a Harry, dall’altra parte sempre Hermione, pronta come al solito per prendere gli appunti della lezione. Oh, anch’io prendevo appunti, a Trasfigurazione. La serietà e la compostezza della McGranitt a volte erano davvero degne di nota, e certi suoi atteggiamenti potevano diventare delle barzellette non poco divertenti. Già il fatto che chiedesse di non usare parolacce e insulti vari con “Preferirei che il livello del diverbio verbale della classe non scendesse sotto un determinato standard” faceva decisamente morire dalle risate.

E comunque mi aveva già ripreso due volte dall’inizio della lezione. Una volta quando ero entrato, non proprio in orario, in classe, e la seconda perché cercavo di comunicare a Harry il fattaccio, sperando che Hermione non sentisse.

E poi dicono che è una professoressa che non fa favoritismi, del tutto imparziale. Certo, non dico sia come Piton, ma perché prendersela sempre con me, e con Harry, quando Lavanda e Calì non facevano altro che ridacchiare per tutta la lezione, e anche Hermione quel giorno sembrava tutto tranne che attenta?

Se ne stava lì, con la testa adagiata tra le braccia incrociate, lo sguardo perso nel vuoto. Non dico addormentarsi durante lezione sia una cosa proibita. Ma per lei era tutto fuorché normale. Non era così dal terzo anno, quando seguiva tutte quelle lezioni. Quell’anno avevamo sì i G.U.F.O., ma lei avrebbe dovuto essere l’ultima a preoccuparsi. Eppure aveva davvero una brutta cera. E io… non che fossi preoccupato, per carità, ci mancava solo questo. Anzi, faceva ridere, sì, un po’ come la McGranitt. Quella preoccupazione inutile, la continua stanchezza per tutti quei libri sulle spalle e il sonno perso… è ridicolo, no?

No?



Non si meritava di stare così. Ma… ma certo non era tutta questa persona eccezionale. Anzi, anzi, era insopportabile a dismisura, e saccente, e presuntuosa, e tutto, cavolo, lei era tut-

Ecco, ehm, be’, insomma, era ridicolo.

Cos’era ridicolo, dite? Ecco, credo di… non vorrete mica che ricomincio daccapo?

Era molto più importante, invece, trovare un modo per dire di Malfoy a Harry. Quella mattina non sembrava che il suo rapporto con me fosse molto buono, ma sarebbe passata.

Insomma, lui era un eroe e non poteva certo darsi pensiero per litigi così futili. (Certo che pure io ne sparo di cazzate…).

Ehm, litigi così futili, dicevo. Che poi, tanto futile, di litigio, non era. No, non con Harry.

Io non avevo litigato con Harry, ma con lei, con Hermione, quella miss sotutto che stava dopo Harry. E non avevo neanche intenzione di farci pace tanto presto.

A dire la verità, sentivo che sarei stato molto meglio se non ci avessi mai più fatto pace. Pensare che liberazione, non avere più alcun peso sulla coscienza per lo sfruttamento degli elfi domestici, per i compiti copiati o non svolti, per tutte le regole della scuola infrante (e me le faceva pure pagare, quest’anno che era Prefetto), e per tutte quelle cose che non si erano universalmente considerate giuste, legali e cortesi. Oh, aveva una fissazione per quello che dicevo. Il diverbio verbale, come lo avrebbe definito la McGranitt.

Mi ossessionava, sul fatto di non essere volgare e tutto quanto.

E poi non andavamo neanche una volta d’accordo per qualcosa, per farla breve. Perché ci frequentavamo, era un mistero. Cioè, mistero alla fin fine non era, e lo sapevo benissimo perché ci ritrovavamo insieme quando io, be’, non l’avrei voluta accanto per tutto l’oro del mondo (e chi mi conosce sa che questa è un’affermazione piuttosto forte per me).

Non avevo tutta questa voglia di confrontarmi con lei in quel momento, ecco tutto. Sempre che non fosse sulla scacchiera, lì chiunque mi sarebbe andato bene. Anche Malfoy.

Malfoy. Già. Mi ero giusto detto che dovevo parlarne a Harry, appena ne avessi avuto l’occasione. L’ora dopo Hermione sarebbe stata in biblioteca ad aiutare Neville in Pozioni e quindi io avrei avuto campo libero.

Poi, questa faccenda delle ripetizioni. Non solo si faceva carico di un peso molto superiore alle sue forze, per quanto intelligente e capace e tutto quanto. Ma cercava anche di aiutare gli studenti in difficoltà, in qualsiasi momento, in qualsiasi materia, momenti anche in Divinazione. Oh, dopo la faccenda degli elfi domestici non dubitavo certo del suo esemplare comportamento cristiano. Soprattutto, dopo la faccenda di Krum, non ne dubitavo affatto, non ne avevo proprio motivo. “Non conosceva nessuno, voleva semplicemente fare amicizia”.

Certamente, certamente. E con tutte le…, insomma, quello, presenti a scuola, proprio lei doveva offrirgli il suo aiuto. Davvero caritatevole, non c’è che dire. Intanto, non che ci avesse ricevuto qualcosa in cambio. Se ne stava sempre lì, a morire sopra i suoi libri e sopra i suoi fogli di pergamena da riempire.

Bisognava lasciarla friggere nel suo brodo. Ecco che bisognava fare.

- Ron? Ohi, Ron? - la voce di Harry entrò a forza nelle mie orecchie.

- Che c’è?!? - sbottai voltandomi verso di lui, con il viso che scottava. Harry fece un balzo indietro con la sedia, terrorizzato.

- Ma che ti prende? - mi chiese, cercando di riprendersi. Io intanto mi guardai intorno. Sì, fortunatamente la campanella era suonata già quando Harry mi aveva chiamato, la McGranitt era alla cattedra ad aggiornare il suo registro.

Scossi la testa.

- Niente, niente…

- Sembravi molto preso dai tuoi pensieri.

Che brillante deduzione!

- Affari miei - dissi, come se ci fosse qualcosa che non avessi mai detto a Harry. Poi lo guardai seriamente - Ti devo dire una cosa.

Lui però, dopo il colpo, sembrava di essere diventato stranamente allegro.

- Hai finalmente deciso di farmi la dichiarazione? - disse, facendo finta di pavoneggiarsi alla Allock. Io, per quanto mi sforzassi, non riuscii a non farmi scappare un sorrisetto.

- No, stupido - disse - è un affare serio davvero - e con le labbra, lentamente, formai il nome di Malfoy. Harry, con la stessa lentezza, fece cenno di aver capito.

Mi stava prendendo in giro.

Sferrai un pugno, ma non riuscii a beccare Harry. Non ci avrei mai creduto, che quell’allenamento con i bolidi avrebbe davvero portato a sviluppare, oltre a dei bernoccoli sensazionali, anche dei riflessi. Soprattutto se si doveva parlare di Harry.

In breve, dopo questo sfogo, tornai serio. O almeno, quanto uno come me può essere serio. Spiegai brevemente la faccenda a Harry. Questo sembrò incredulo quanto me, forse anche di più.

- Se è qualcosa per la finale di Quidditch dobbiamo stare attenti - mormorò - ma strano, perché lui aveva anche lasciato la squadra, e…

- Hai qualche idea riguardo il motivo per cui l’ha fatto? - chiesi.

Lui fece una faccia della serie “Certo-Che-Ce-L’ho-Sono-O-Non-Sono-Il-Miglior-Amico-Di-Draco?”. Poi prese un’aria cupa. - Io, piuttosto, ho paura che abbia qualcosa a che fare con il padre.

Io annuii.

- Sei sicuro che non fosse Tiger o Goyle l’altro con cui stava parlando? - mi chiese poi. Risposi che Neville mi aveva assicurato così, che aveva un altro nome che non ricordava. Harry rimase perplesso.

- Dov’è Hermione? - chiese infine. Sbuffai, scocciato.

- E che ne so, io?

Lui sembrò capire che non era proprio il caso di parlarne.

Sembrò, giustamente.

- Non sarebbe meglio parlarne con lei? - chiese.

Sospirai.

- Assolutamente no - dissi, ringraziando il cielo che almeno me lo avesse chiesto. - Lei lo andrebbe a dire alla McGranitt e poi lei non ci crederebbe e Malfoy chiederebbe aiuto a Piton e-

- Okay, okay - disse. Questa volta aveva capito. Ma non si rassegnava.

Possibile che dovessimo sempre lavorare a tre? Aveva ragione Piton, per quelle storie del “Dream Team” e tutto. Insomma, eravamo un pacchetto unico, venduti necessariamente indivisibili. Harry-Hermione-Ron, in ordine di importanza, ma Hermione-Ron-Harry, in ordine di intelligenza, e Ron-Harry-Hermione, in ordine di altezza, ma la sostanza in poche parole era quella, noi tre, tre e non due, mai una volta che potesse essere solo Harry e me, o solo Hermione e Harry.

O solo Hermione e me.



Cazzo ma perché il pensiero di lei non mi lasciava in pace?



L’uccello che canta nella mia testa

E mi ripete che ti amo E mi ripete che mi ami
L’uccello dal fastidioso ritornello

Lo ucciderò domani.

(Jacques Prévert, Le canzoni più brevi…)


[/Dove Ron non riesce a pensare ad altro]

Fine Capitolo 3
  
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