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Autore: Nyktifaes    01/02/2015    7 recensioni
Dal primo capitolo:
[...]
“Saresti potuto restare in auto”, pensò Alice.
«No, voglio stare qui», mormorai.
Il piccolo casolare non era cambiato, in quegli anni. Le finestre del pian terreno lasciavano ancora intravedere la cucina malamente ridipinta di giallo e il bianco dei muri esterni era ancora candido, nonostante le intemperie. Un solo particolare fuori posto: i portelloni di una delle finestre del piano superiore erano sbarrati.
Strinsi i denti: Alice aveva appena suonato. Charlie, all’interno della casa, non era particolarmente contento di dover abbandonare la poltrona. [...]
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon, Successivo alla saga
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Incontro

Per l’ennesima volta allontanai lo sguardo dall’ennesimo oggetto.
Sedevamo lì, nel piccolo salotto della piccola casa, gli uni davanti agli altri.
Nessuno parlava, nessuno accennava a voler iniziare un discorso. Solo tre respiri rumorosi rompevano il silenzio.
Avevo avuto tutto il tempo di guardarmi intorno, di osservare ogni dettaglio: il tavolino quadrato sulla parte sinistra della stanza, quella che fungeva da cucina, i modesti elettrodomestici sulla parete opposta a quella del portoncino, oltre il tavolo. I vetri smerigliati della porta del corridoio, tra le due zone della stanza. La parte destra, quella in cui ci trovavamo noi, costituiva il piccolo salottino. Era arredato con un divano a due posti e due poltroncine – coordinati, di un pallido beige – al centro un tavolino basso, anch’esso di legno scuro. Sotto una finestra scorreva una piccola cassapanca, graziosa e ben intagliata, dall’aria antica.
Alice ed io sedevamo sul divanetto, spalla contro spalla. Davanti a noi, sulle due poltroncine, Bella e la ragazza. Jacob era rimasto in piedi contro il muro, teneva le braccia conserte e il naso arricciato: gli dava fastidio il nostro odore. Il ragazzo, su una sedia, era accanto a Bella.
Renesmee ed EJ, così Bella li aveva presentati.
Non c’era stato bisogno di dire chi fossero, era terribilmente ovvio.
Non c’era stato bisogno di dire chi fossi, nemmeno il mio nome, era ancora più ovvio.
Aveva presentato Alice in un borbottio, e poi ci aveva invitati ad entrare.
Ed eravamo lì, da cinque minuti e quarantasette secondi esatti.
In silenzio.
La tensione si sarebbe potuta tagliare con un coltello.
Ognuno immerso nei propri pensieri – nel proprio vuoto di pensieri –, ognuno impegnato ad aspettare che qualcun altro parlasse.
Allontanai l’attenzione dal vaso di fiori posato sul tavolo della cucina e, per un instante, incontrai lo sguardo della ragazza.
Gli occhi di Renesmee, i profondi occhi di cioccolato di Bella, si allontanarono in fretta dai miei. Arrossì violentemente e il suo cuore, già veloce, accelerò. Tutti nella stanza poterono sentirlo.
L’aveva già fatto quattro volte, negli ultimi sei minuti. Non l’avevo vista, ma gliel’avevo letto dentro. Fu quasi un sollievo rendermi conto che, a differenza di sua madre, la sua mente era un mondo aperto.
Molto bella, angelica e graziosa, somigliava a una bambola di porcellana, i tratti infantili abbracciavano ancora il volto delicato. Era molto simile a Bella, nei gesti, nelle reazioni, nelle espressioni. Eppure c’era qualcosa di incredibilmente familiare nel taglio degli occhi e nelle labbra sottili, qualcosa di mio.
Per non parlare dei capelli.
Ed era l’unica – che potessi sentire – a desiderare che la situazioni si sbloccasse.
Era curiosa e intimorita, terribilmente speranzosa. Tentava di bloccare i suoi pensieri – sapeva del mio potere – ma non ci riusciva.
Un orologio, posato sulla mensola del camino, segnava l’ora: le diciotto e quarantatré.
Alice si mosse, irrequieta, al mio fianco. Il licantropo bloccava le sue visione e lei non aveva idea di cosa dire, né di come farlo.
Però era intenzionata a iniziare un discorso.
Renesmee ne sarebbe stata felice.
Alice si schiarì la voce e intrecciò le dita grembo, sporgendosi un po’ in avanti.
«Bella… ti trovo bene», tentò. Quando le rivolse lo sguardo, le sorrise. Bella impiegò qualche secondo a ricambiarla, titubante. Abbassò lo sguardo e attesi di sentire il suo cuore accelerare il battito, come quello di sua figlia. Ovviamente non accadde.
Puntò le iridi dorate su Alice, poi sorrise con maggiore sicurezza.
«Anche tu… anche voi, state bene», aggiunse infine. Spostò lo sguardo su di me e, com’era già successo all’ingresso, restai incatenato a lei. Quindi si voltò, questa volta verso il figlio, per poi tornare su Alice. Buffo come avesse scelto di non guardarmi, mentre io non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
Avevo già memorizzato ogni nuovo dettaglio della sua pelle e del suo corpo.  Anche del suo volto, ma non quanto avrei voluto, dato che l’aveva tenuto nascosto tra i capelli per la maggior parte del tempo.
«L’immortalità ti sta d’incanto», riprese Alice, tenendo ben stretto il sorriso. Era immensamente felice di rivederla, la gioia e la tenerezza che provava erano quasi fastidiose, tanto erano intense.
Bella sorrise con più convinzione, scuotendo lievemente i capelli. Indovinai che continuasse a non amare i complimenti.
«Come stanno gli altri?», chiese. Poi aggrottò le sopraciglia, come se si fosse appena ricordata di una questione importante. «Dov’è Jasper?».
«Stanno tutti bene, sai com’è: Carlisle è sempre alle prese con i suoi pazienti, Esme e noi altri lo sopportano e lo seguono nel suo pellegrinaggio di ospedale in ospedale. Ora sono a Calgary».
Il tentativo di alleggerire la tensione andò in porto, almeno in parte. Il sorriso di Bella contagiò gli occhi e Renesmee non riuscì a trattenere un risolino. Jacob, che aveva ascoltato e osservato tutta la situazione da lontano, in silenzio, inarcò un sopraciglio. La prospettiva di un vampiro dottore gli sembrava ancora troppo strana, anche se Bella gliene aveva già parlato. Fui sorpreso di ritrovare quella conversazione tra i suoi ricordi – ricordi piuttosto lontani, risalenti al periodo della gravidanza.
Ovviamente l’attenzione di tutti fu subito spostata verso destra, quando EJ sbuffò.
Per la seconda volta da quando eravamo arrivati, lo guardai. Sapevo perfettamente perché non ero riuscito a osservarlo ancora: mi inquietava. Guardare lui era quasi come guardare me stesso allo specchio, ma la mia immagine riflessa faceva ciò che mi aspettavo facesse, ciò che volevo facesse. Lui no.
Incontrò il mio sguardo e, a differenza della sorella, lo sostenne. Quegli occhi, erano quegli occhi ad atterrirmi. Erano verdi, intensi e quasi felini.
Guardavo i suoi occhi, ed erano i miei.
Era me, prima che Carlisle mi cambiasse.
Anche la sua mente mi turbava: era un ammasso di sentimenti e reazioni, nebulosa e senza un vero e proprio pensiero leggibile. Più provavo a soffermarmi su qualcosa, più questa si faceva confusa.
Non riuscivo a leggerlo con certezza e questo, com’era successo con sua madre, mi creava problemi.
Una cosa, però, era chiara: mi era ostile. Probabilmente non mi sarebbe servito nemmeno quel poco di conoscenza che avevo della sua mente, per capirlo. Trapelava dagli occhi di smeraldo e dalle spalle rigide.
Non ci voleva lì. Soprattutto, non voleva me lì.
Fui costretto a distogliere lo sguardo per primo. Non mi piacque per niente, specie perché avvertii un moto di soddisfazione da parte sua.
Bella gli lanciò un’occhiata ammonitrice in risposta allo sbuffo. Non era contenta di lui.
Gioii interiormente per quella piccola rivincita.
Bella tornò a guardare Alice, il sorriso di nuovo più lieve.
«Calgary è lontana… Come mai da queste parti?».
Come se non fosse ovvio.
Alice sorrise, beata, mantenendo il silenzio.
“Ecco, ora tocca a te. Non hai spiccicato parola”.
Annuii interiormente: era giusto.
Mi schiarii la voce, alternando lo sguardo tra Bella, i suoi figli e il licantropo.
«Io», iniziai, ma non continuai. Improvvisamente mi sentii nudo di fronte a tre paia di occhi estranei. Osservai per un lungo istante Jacob Black. Lui, dopo sei anni, viveva ancora con Bella, ed era stato innamorato di lei. Mi chiesi se stessero insieme. Non avevano il comportamento di due compagni, nemmeno lontanamente. Lui non le era accanto, non provava alcun tipo di gelosia nei miei confronti. Io non sarei riuscito a mantenere tanta calma se le parti fossero state invertite. Era relativamente quieto, anche se rancoroso nei miei confronti.
E poi, lui era un licantropo e lei una vampira. Decisamente contro natura.
Forse ero un po’ ipocrita.
No, non stavano insieme.
Decisi comunque che non era il caso di parlare – o anche solo lasciare intuire – certi sentimenti davanti ad altri. Non era giusto, specie nei confronti dei suoi figli.
«Noi», mi corressi «siamo venuti a cercarti, Bella. A Forks». La guardai, vincendo la battaglia contro il magnetismo dei suoi occhi. «Ma abbiamo saputo in linea generale cos’è successo. Quindi abbiamo iniziato a cercarvi, e oggi vi abbiamo trovati».
La gioia di Renesmee per il plurale inatteso procreò anche la mia gioia.
Bella era stupita e, come lei, Jacob.
«Siete stati a Forks?», chiese.
Annuii. «Sì, abbiamo chiesto informazioni ai licantropi».
«E loro vi hanno detto dove trovarci? Non è possibile. Sono stato attento quando l’ho portata via». Jacob Black era, se possibile, ancora più esterrefatto di prima.
«No, infatti. Loro ti pensano morta». Mi rivolsi direttamente a Bella, senza badare al licantropo.
«Oh, capisco», mormorò.
Aggrottai le sopraciglia. «Sei stupita di quello che hanno dedotto? So che non è stata una gravidanza facile».
«Certo che no, dato che è stata abbandonata in un mondo estraneo».
Non ebbi il tempo di risentirmi – o di provare dolore – per la frecciatina, né di assaporare a pieno il timbro della voce di EJ, perché Bella rispose.
«No, sono stupita del fatto che tu sia venuto a cercarmi».
Colpito e affondato.
Non l’aveva fatto di proposito, non voleva ferirmi o rinfacciarmi qualcosa, non era arrabbiata. Ma il suo stupore, così genuino e senza sottintesi, fu molto più doloroso.
Credeva davvero a quello che le avevo detto, sei anni prima. Pensava che non l’amassi, e questa consapevolezza non le causava alcuna reazione.
Fece davvero troppo male.
«L’avrei voluto fare tanto tempo fa», mormorai mestamente.
«Sei solo in leggero ritardo, infatti», sibilò EJ.
Bella voltò di scatto il capo, rifilando un’occhiataccia al figlio.
«EJ, non credi che tua madre sia in grado di parlare da sola?».
Il ragazzo non gradì essere sgridato in quel modo davanti ad altri. Imbarazzato e risentito, si lasciò andare contro lo schienale della sedia. Incrociò le braccia al petto, ma non smise di incenerirmi con lo sguardo.
Di nuovo, sentii montarmi dentro un moto di soddisfazione, ma non durò a lungo: Bella si voltò nuovamente, ma questa volta le sue labbra non si curvarono in un sorriso.
«Dopo Forks, come avete fatto a trovarci? Perché siete qui?», chiese.
«Sono riuscita ad aggirare il vuoto di visioni che mi causa Jacob», spiegò Alice, accennando con il capo al lupo. «I licantropi hanno questa strana particolarità: non posso vedere il loro futuro e quindi nemmeno quello delle persone le cui vite sono da loro influenzate. Voi, in questo caso. Comunque avevamo preso la decisione di trovarvi, quindi non è stato per niente difficile arrivare a voi, specie perché non fate nulla per nascondervi particolarmente».
Bella sollevò le sopraciglia, presa in contropiede.
«E, comunque, una volta da queste parti, è stata una signora della città a indicarci come raggiungere casa vostra», aggiunse Alice, ridacchiando. Aveva ignorato la seconda domanda ed io con lei.
Bella sollevò ancora di più le sopraciglia, sempre più stupita.
«Una signora? Chi?».
«Oh, una donna che abita nell’ultima via di uno dei quartieri chiusi, in periferia. Ha una bella casetta rosa pastello, e un roseto di rose gialle», spiegò Alice.
Bella non fu la sola a capire di chi stesse parlando.
«La signora Barnes è una grande impicciona», borbottò EJ.
Bella scosse il capo, ma non rifilò nessuna occhiataccia al figlio. Anzi sorrise, comprensiva.
«Alla signora Barnes piace essere sempre ben informata, ma è anche tanto gentile», trillò una vocetta squillante. Renesmee sorrise, soddisfatta di essere riuscita a inserirsi nel discorso. «Peccato non aver potuto accettare il suo invito, qualche settimana fa. Aveva appena fatto i biscotti, e avevano un così buon odore!».
«Li mangi?», chiesi, senza riuscire a trattenere la curiosità.
Renesmee s’illuminò, entusiasta per il mio interessamento. Sentii un sorriso allargarsi sul mio volto: provavo uno strano senso di appagamento nel rendere felice quella ragazzina con dei gesti insignificanti come un sorriso o una domanda. Poi, però, il riso fu sostituito da una morsa in pieno petto. Perché mi resi conto che aveva anelato una piccolezza, un niente, per tutta la vita e suo padre non c’era mai stato per dargliela. Io non c’ero mai stato.
Eppure tutto ciò che provava per me era venerazione.
Annuì vigorosamente. «Sì, certo. Mi piacciono, specie quelli al cioccolato». Lanciò un’occhiata a suo fratello, per poi aggiungere: «Anche a EJ piacciono, ma più quelli alla cannella».
Continuò a sorridere – non aveva mai smesso. Voleva coinvolgere anche suo fratello nella nostra piccola conversazione, voleva che fosse parte della situazione, qualsiasi essa fosse. Lui, però, si limitò ad alzare le spalle con indifferenza.
«E mangiate anche altro cibo umano?», chiese Alice.
Renesmee annuì di nuovo. «Sì, a parte la verdura. La verdura non ci piace, il cibo umano sì. Ma preferiamo il sangue».
«Comprensibile», rise Alice.
«Neanche un po’», soggiunse Jacob. Storse il naso, osservando Renesmee. Era in attesa di una risposta, magari di una battuta ironica, com’era accaduto tante volte.
«Non sai cosa ti perdi, Jake», disse invece EJ, arricciando le labbra e voltandosi verso di lui.
«Ben felice di perdermelo, succhiasangue», gli rispose, mollandogli uno scappellotto sulla nuca. EJ rise, scuotendo la testa per allontanare il lupo.
Bella, accanto a loro, sorrideva beata. Li osservava, e sembrava che l’arrabbiatura nei confronti del figlio fosse evaporata nella condensa estiva.
«Una perfetta via di mezzo tra le due razze, quindi», sorrise Alice.
«Già», rispose Renesmee, laconica. Cercava un argomento da trattare, per impedire che ci ritrovassimo nuovamente in silenzio troppo a lungo.
«Corriamo anche, e lottiamo. Non con la stessa forza dei vampiri, ma non ce la caviamo male. E possiamo uscire anche con il sole», ridacchio.
«Sì? Beh, sembra proprio che abbiate preso il meglio da entrambi i vostri genitori», rispose Alice.
Il silenzio piombò sulla stanza, ancora più pesante di quando eravamo arrivati. Era strano come il significato di quelle parole, che avevano sussurrato e ronzato per tutto il pomeriggio tra noi, fosse improvvisamente diventato tanto denso da isolarci gli uni dagli altri. Dire quella parola – genitori – apertamente e sottintendere, altrettanto apertamente, che anche io fossi parte di quell’insieme di sole due persone, era stato avventato.
Come quando, dopo un pomeriggio plumbeo, d’improvviso inizia a piovere. Tutti sapevano che, presto o tardi, sarebbe successo, eppure nessuno è pronto.
Nessuno, in quella stanza, era preparato alle parole di Alice. Nessuno si aspettava che le avrebbe dette.
Tutti sapevano che erano vere prima ancora che prendessero forma.
Dopo un tempo fatto di secondi e ore, minuti e decenni, fu Bella a rompere il silenzio.
«Credo si sia fatto tardi», mormorò. Voltò lo sguardo verso una delle finestre: il sole, ancora seminascosto dietro alle nuvole, aveva iniziato il suo declino, ma avrebbe impiegato ancora delle ore prima di raggiungere l’orizzonte. Premette le dita esili sulle ginocchia, poi si alzò. «EJ e Renesmee vanno a letto presto», si giustificò.
Annuii, consapevole del pretesto. Avvertii una morsa stringermi il petto all’altezza dello sterno, mentre comprendevo che Bella non ci voleva lì. Non mi voleva lì. Chiedeva che ce ne andassimo e non aveva il coraggio di mandarmi via di malo modo. Sapevo di meritarlo, eppure avrei dato mille anni di vita solo perché mi volesse ancora lì, con lei, così che avessi il diritto di ammirarla. Ma questo non era ciò ch voleva, ed io non sarei riuscito a recarle altro danno.
Alice, però, non sembrava intenzionata a demordere.
«Dormite, quindi?», domandò.
Non c’era alcuna inflessione nella sua voce, nulla che facesse trasparire imbarazzo o agitazione per le parole di poco prima, solo un leggero e sincero stupore.
Perché continuava a prolungare quei momenti? Perché non faceva ciò che tre persone su quattro, in quella stanza, ci invitavano a fare?
Bella s’irrigidì.
La osservai stringere la mascella e immobilizzare il peso su una gamba, in piedi davanti al divano. Era tesa, per nulla contenta della determinazione di Alice, e bellissima.
Vidi le sue iridi scattare per un momento di lato, senza però posarsi davvero sulla mia figura. Voleva guardarmi? Si era accorta che io non potevo fare a meno di guardare lei? Probabile, dato che tenne ben fissi gli occhi su Alice.
Renesmee si limitò ad annuire, passando lo sguardo da me a mia sorella.
Mi alzai anch’io e attesi che Alice facesse lo stesso. Bella non accennava a muoversi né a parlare, e mia sorella aspettava.
«Credo che quindi sia il caso di andare», dissi.
Avvertii il cuore di Renesmee accelerare la sua già forsennata corsa, mentre afferrava la mano di Jacob: non voleva che ce ne andassimo, ma non sapeva come dirlo a sua madre.
Simultaneamente l’immagine di noi che uscivamo dalla porta – la stessa che vedeva Renesmee nella sua mente e che tentava di allontanare – comparve tra i pensieri di Jacob. Sentii provenire dal licantropo non solo i suoi pensieri, ma anche la cristallina voce mentale di Renesmee. La cosa più assurda fu che anche Jacob la sentii e cercò di risponderle con uno sguardo, aumentando la stretta delle loro mani. Non voleva che restassimo, non mi voleva nella loro vita. Tuttavia, non appena Renesmee trasferì il suo pensiero nella mente di Jacob, tentennò, impaziente di soddisfare il suo desiderio.
Renesmee era capace di trasmettere i suoi pensieri con il tocco delle mani.
Fui sorpreso nel constatare che, certamente, anche quel particolare potere legato alla telepatia provenisse da me.
Lo scambio tra Jacob e Renesmee durò una frazione di secondo ed io distolsi in fretta lo sguardo. Sondai velocemente le menti dei presenti, ma nessuno sembrava essersi accorto della mia piccola scoperta.
Bella ci aprì la porta, restando accanto ad essa, in attesa che uscissimo.
Alice si fermò sull’uscio e, con un movimento repentino, abbracciò Bella.
«Sono davvero felice di averti ritrovata, sorellina», mormorò, prima di scoccarle un bacio sula guancia.
Ritrovata, non rincontrata o rivista, ma ritrovata. Mi chiesi se Bella avesse compreso il sottinteso delle sue parole: non l’avrebbe – non l’avremmo – più lasciata andare.
Rimase interdetta, ma Alice prolungò l’abbraccio abbastanza da consentirle di accettarlo e contraccambiarlo. Non rispose, ma le sorrise.
Poi Alice si voltò e con un movimento della mano salutò gli altri. Solo Renesmee le rispose.
Uscì e fu il mio turno.
Guardai Bella e lei guardò me, avrei voluto abbracciarla come aveva fatto Alice, stringerla e impedirle di andare via di nuovo. Anche se, in realtà, ero stato io ad andarmene.
Erano anni che non ci trovavamo così vicini l’uno all’altra e, nonostante tutto ciò che era accaduto e tutti i presenti attorno a noi, l’unica cosa che riuscivo a pensare era il desiderio impellente di baciarla. Quanto mi erano mancate quelle labbra? Le volevo di nuovo sulle mie molto più di quanto avessi mai voluto il suo sangue, e la nostalgia era difficile da tenere a freno.
«Sono lieta di averti rivisto», disse, salvandomi dall’incantesimo del desiderio.
Mi concentrai sui suoi occhi di topazio compatto, impenetrabili, e non mi chiesi nemmeno se avesse potuto leggere la smania nei miei.
«Mi sei mancata», risposi. Optai per la verità, perché in quel momento non avrei saputo dire nient’altro.
Lei non rispose e prima che potessi scorgere l’ombra di un rifiuto anche sul suo viso, oltre che su quelli di suo figlio e Jacob Black, rivolsi un veloce sorriso a Renesmee, e uscii.
«Tornerete, vero?».
Di nuovo quella voce squillante intrisa di speranza e imbarazzo. Mi voltai ancora e incontrai le iridi di cioccolato di Renesmee. Mi pregava di non sparire, di tornare da lei.
«Anche domani, anche domani va bene. Mi piacerebbe che mi raccontaste di più su Calgary», disse.
Sapeva di aver tirato fuori la prima scusa che le era capitata a tiro, esattamente come sapeva di aver tradito sua madre e suo fratello. Si sentiva in colpa, eppure non riusciva a non essere sicura della sua volontà.
Guardai Bella e poi EJ, seminascosto dietro Jacob, ascoltai le speranze di Renesmee.
Annuii. Sarei tornato, pur non essendo mai stato a Calgary.
 

 

 

Buongiorno! ^^
Allora, gente, come state? Io ho – alleluiaaa –  terminato il quadrimestre e sono libeeera (si fa per dire, ma non importa). Ovviamente, quando io posso finalmente uscire dopo mesi di segregazione forzata, decide di venir già il diluvio universale. Se questa non è sfiga  -.-“
Coomunque, che ve ne pare del tanto atteso incontro? Ce l’abbiamo fatta ahahah  I gemelli, Jacob e Bella ve li aspettavate così? Non dico nulla, voglio conoscere i vostri pensieri senza che siate influenzati da me ^^
Come sempre, grazie mille a tutti per i commenti e per la lettura del capitolo!
In questi giorni di tanto agognato riposo risponderò a tuuutte le vostre recensioni. **
Un bacione,
a domenica!
Vero
Ps. Già, a domenica. Ho terminato il capitolo settimo e quindi riuscirò a postarlo nel prossimo week-end. **
   
 
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