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Autore: Isabel_Sanders    01/02/2015    0 recensioni
Hope Stephen è la classica ragazza-angelo.
Seconda di quattro fratelli, figlia del pastore del paese e di una madre amorevole.
Dopo anni trascorsi a servire alla caritas, presidiare alle messe, aiutare ogni singolo abitante del paese, Hope ha deciso di cambiare.
L'occasione per scappare dalla sua vita-prigione, le arriva per caso, sotto le sembianze di un ragazzo, dai capelli scuri e gli occhi grigi come il cielo in tempesta, che la spaventa e la attira allo stesso tempo.
Che strada sceglierà di intraprendere? Continuerà a seguire la via che suo padre le ha tracciato, piena di certezze e amore, o deciderà di buttarsi nell'oblio?
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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capitolo 2 CAPITOLO 2

Finite le lezioni, mi avviai a casa pigramente, preferendo una bella camminata all'autobus.
Mi strinsi dentro il giubbotto, per proteggermi dalle piccole goccioline d’acqua che cadevano dal cielo.
Odiavo novembre, era un mese così bagnato e umido…
Pensai a quello che avrei dovuto fare a casa quel pomeriggio.
Mi venne in mente solo una parola: compiti.
La scartai in fretta, sostituendola con la visione di un bel film.
Sbuffai, notando  com’era noiosa e piatta la mia vita.
Erano pochi i giorni in cui le cose per me si facevano interessanti.
Abitavo in posto dimenticato da  Dio, circondata da campi, boschi e vecchietti in pensione che andavano a dormire alle sei e mezza di sera.
Non per la prima volta valutai l’ipotesi di scappare di casa e di andare in città.
Abitavo vicino a Boston, cavolo, possibile che il massimo di divertimento che mi era concesso fosse uscire con Faith per andare in gelateria?
Una macchina passò a tutta velocità su una pozzanghera, creando un’onda che mi bagnò i pantaloni nuovi.
- Vaffanculo- imprecai a denti stretti continuando a camminare.
Mi serviva un cambiamento. Non potevo continuare a vivere la mia vita da teenager in questo modo. Tra un anno mi diplomavo e non ero ancora andata in discoteca.
Ma cosa avrei potuto fare?
Mia madre era rigida sui regolamenti e mio padre era peggio di lei.
Due amanti del jogging e dello yoga, che si offrivano sempre per dare una mano alla comunità senza pensare che magari i figli non avessero voglia di fare volontariato alla casa degli anziani o di pulire le strade.
Mi fermai di fronte al cancello e ammirai la mia casa.
Una semplice bifamiliare su tre piani circondata da alte siepi.
Mia madre non era ancora arrivata a casa. Il lavoro in ospedale la prendeva molto e di rado riusciva a tornare per pranzo.
Mio padre invece era un casalingo. Non ci lasciava mai soli.
Avevo un fratello maggiore di diciannove anni, una sorella minore di nove anni un fratellino di quattro.
Prima di entrare in casa mi misi una caramella in bocca per cancellare definitivamente l’odore di fumo.
Una volta dentro, trovai mio padre ad aspettarmi, con indosso un grembiule.
- Ben tornata, Hope – mi disse e mi abbracciò.
Sapevo che quel rituale non era per dimostrarmi affetto bensì per assicurarsi che non avessi fumato o bevuto alcolici a scuola.
La sua fiducia nei miei confronti era pari a zero.
- Mmm, che buon profumino- osservai annusando l’aria.
C’era odore di polpettone e patate al forno. Il mio stomacò brontolò sonoramente.
- Sarà pronto tra cinque minuti, nel frattempo vai in camera tua a cambiarti e chiama Cristopher – mi ordinò mentre tornava in cucina.
- Dove sono Diana e Yuri?- chiesi notando lo strano silenzio.
- Avevano un compleanno-.
Salii pigramente le scale fino alla mia stanza. Una volta dentro mi distesi sul letto e mi coprii gli occhi con una mano.
Pure i miei fratelli minori avevano una vita sociale più attiva della mia.
Dopo qualche istante, la voce di mio padre mi raggiunse dal piano inferiore. – Hope! Cristopher! A tavola!-.
Scattai in piedi e mi cambiai in fretta, indossando un paio di leggins e una felpa imbottita per tenermi calda.
Scesi le scale di corsa, beccandomi un richiamo di mio padre. – Hope, sai che non voglio che corriate sulle scale-.
Con la testa bassa mi accomodai accanto a mio fratello.
- Ciao- mi salutò distrattamente.
Gli lanciai un’occhiata veloce, ma poi mi bloccai, notando qualcosa che di sicuro avrebbe fatto infuriare mio padre.
- Ti sei fatto un tatuaggio?- sussurrai incredula.
Mio fratello raggelò. – Si nota tanto?- replicò a denti stretti.
Lo guardai più attentamente, le punte dei capelli biodi gli sfioravano, dietro l’orecchio, uno strano tatuaggio tribale.
- Abbastanza- risposi. Poi aggiunsi:- Ma perché te lo sei fatto?-.
- Cosa avete da bisbigliare? Non ci si comporta così a tavola, se avete qualcosa da dire ditela ad alta voce- ci rimbeccò nostro padre.
Dopo aver ringraziato il Signore, ci gustammo il delizioso polpettone di mio padre. Era un cuoco meraviglioso, adorava la cucina e tutti i suoi segreti. E le mie papille gustative adoravano lui.
- Hope, tesoro, cos’ hai fatto a scuola?- chiese mio padre.
Mi schiarii la voce e attaccai con il discorso che ripetevo ormai da dieci anni. – Bene, papi, nessuna novità, ci hanno consegnato il test di chimica e ho preso il voto più alto della classe. Non mi ha interrogata in inglese, bensì fossi preparata. Per il resto è stato una vera noia-.
“Non dovresti dire queste cose, c’è gente che darebbe via un rene pur di essere al tuo posto” anticipai la risposta di mio padre, che subito arrivò.
- Non dovresti dire queste cose, c’è gente che darebbe via un rene pur di essere al tuo posto-.
Sorrisi della monotonia della mia vita.
- E a te Cris?- chiesi con un sorriso lupesco, girandomi verso mio fratello. – Qualche novità?-.
Okay, da brava sorella non avrei dovuto lanciargli così tante frecciatine riguardo al tatuaggio; ma era una tentazione troppo forte per potervici rinunciare!
Mio fratello arrossì. – No.. Ehm… Ryan oggi è finito in presidenza…-. E iniziò a raccontare dell’avventura del suo amico.
Smisi di ascoltare, leggermente dispiaciuta che la mia allusione nona abbia fatto alcun effetto e finii il mio pranzo.
- Cristopher, oggi pomeriggio vai dal parroco e aiutalo a sistemare delle cose, Hope, te prendi la macchina…-. I miei occhi brillarono nel sentire quella frase. Prendi la macchina. - … E accompagna la signora White nelle sue commissioni-.
Il sorriso mi morì sulle labbra.
- Non fare quella faccia, sai cosa le è successo- mi riprese mio padre.
- Si, suo marito è morto…- mi arresi. - .. Dieci anni fa- aggiunsi acidamente.
- Non parlare così-.
- Spero che almeno mi paghi il carburante-.
- Hope!-. Mio padre mi guardò esterrefatto. Non mi aveva mai sentita parlare così, ma mi ero stancata di fare da tassista a quella donna.
Presi un respiro profondo per calmarmi. – A che ora devo andarla a prendere?-.
- Alle tre-.
Tra due ore.
Aiutai mio padre a sparecchiare, dopodiché tornai di sopra e accesi il pc.
Controllai la posta e il mio account Facebook.
Nessun messaggio. Nessuna notifica.
Scorsi rapidamente la home, senza soffermarmi troppo a leggere gli stati dei mie compagni che parlavano di relazioni, feste e divertimento.
Demoralizzata, chiusi il computer.
- Hope, vieni giù, sai che non mi piace quando fai la asociale-.
Emisi un basso ringhio.
“Va al diavolo, padre” pensai mentre afferravo la borsa e correvo di proposito giù per le scale, facendolo impallidire.
- Vado a prendere la signora White- annunciai indossando la giacca.
- Ma l’incontro è tra due ore!-. Era impossibile fregare mio padre.
- Allora farò anche un salto da Faith, ci vediamo stasera-.
E uscii di casa. Sapevo che al mio rientro mi sarei beccata una bella punizione. Mio padre non accettava questi atti di insubordinazione da parte dei suoi figli.
Ingranai la marcia e mi diressi a casa di Faith, ignorando i limiti di velocità.
Ecco di cosa avevo bisogno: trasgressione. Non ne potevo più di stare alle regole dei più grandi. Volevo fare pazzie, combinare guai… dovevo solo trovare la persona giusta con cui farlo.
Faith era un buona candidata, ma i nostri genitori erano troppo simili, quindi non ci saremmo mai potute aiutare a vicenda.
Anche Faye era una buona scelta, ma la sua cerchia non mi andava tanto a genio. A parte due o tre, gli altri erano tutti antipatici.
Quindi mi restava… Thomas; ma lo scartai subito. Lui era una fotocopia di mio padre.
Accellerai ancora di più, ignorando gli stop e beccandomi clacson e gestacci.
Arrivata a casa di Faith, parcheggiai la macchina sul ciglio della strada e la chiamai.
- Pronto?-. Rispose dopo tre squilli.
- Sono sotto casa tua, ti va di andare a fare un giro?- le proposi.
Faith sospirò. Cattivo segno. – Mi dispiace, Hope, ma giusto ora mi sto preparando per andare all’asilo a dare una mano…-.
Guardai verso la sua finestra e la vidi affacciarsi.
Scossi la testa. – Non fa niente, anche io tra poco devo andare ad aiutare la signora White…-.
- Ancora?-.
- Si- ringhiai.
- Ma non credi che si stia approfittando un po’ troppo di te?-.
- Oh, si, ma che ci posso fare? Mio padre ha un cuore troppo buono per dirle di smetterla-.
- Mi dispiace-.
- Tranquilla, sopravviverò-.
La salutai con la mano e riattaccai.
Lei mi fece un cenno con la testa e io tornai in auto, avviandomi lentamente verso la casa della signora White.

Quando arrivai a casa sua la trovai intenta a togliere le erbacce del giardino.
- Salve- la salutai, chiudendo la macchina.
- Oh, cara!-. Si tolse i guanti e si sollevò, venendomi incontro. – Sei in anticipo- disse abbracciandomi.
- Lo so, ma ho pensato che magari le avrebbe fatto piacere partire prima così da essere a casa per le….-.
- Tesoro mio, adesso i negozi sono tutti chiusi-. Mi sorrise.
Mi morsi la lingua, dannandomi per non averci pensato.
- Okay, allora ripasserò più tardi- mi congedai il più gentilmente e il più in fretta possibile, ma la vecchietta mi fermò.
- Ti va di darmi una mano con le piante?-.
Contrassi leggermente la mascella. No, non volevo.
- Si- mi costrinsi a dire. – Con piacere-.
Mi tirai su le maniche e la raggiunsi in giardino.
- Ecco, prendi i miei guanti, io vado a prenderne un altro paio in casa-.
L’anziana donna si avviò lentamente verso casa e io iniziai a strappare le erbacce, sporcandomi i jeans.
Ecco cosa portava ad essere buoni e altruisti, ad essere figli di genitori fissati col volontariato e la disponibilità.
Tutti si approfittavano di te, capaci solo di chiedere e mai di dare. Questa situazione mi faceva schifo, ma in quanto figlia di Edward Stephen avevo il compito di tenere pulito il suo nome.
Ad un certo punto udii delle risate.
Sollevai la testa e vidi passare un gruppo di ragazzi che ridevano e scherzavano, lanciandosi bottiglie e sfidandosi. Dietro c’erano le ragazze, intente a ridere alle loro battute e a farsi foto da postare su Facebook.
Mi vidi passare davanti la mia vita mancata, fatta di feste, ragazzi e pazzie.
- Tutto okay?-. La voce della signora White mi riportò alla realtà.
Scossi la testa, per cancellare gli ultimi pensieri e sorrisi.
- Certo-. Mi voltai verso di lei e vidi che in mano portava un vassoio con dei bicchieri e una caraffa di limonata.
Niente guanti.
- Sei veloce, hai quasi finito-. Accennò all’erbacce.
Mi sollevai, togliendomi i guanti. – Si, a casa mia sono l’addetta al giardinaggio-.
- Ah, tuo padre vi sta crescendo proprio bene!- si complimentò portandosi le mani sul cuore.
- Grazie- mormorai versandomi la limonata.
Guardò l’orologio. – è ora di andare. Puoi finire il lavoro quando torniamo-.
Mi diede il vassoio. – Portalo in cucina per favore e poi chiudi la porta di casa con due giri di chiave, io ti aspetto in macchina-.
Non mi chiese nemmeno per favore.
Obbedii ai suoi ordini, poi la raggiunsi alla macchina.
- Prima tappa?- chiesi accendendo il motore.
- In centro c’è un mercato, penso che potremmo iniziare da lì-.

La scarrozzai in giro per le periferie di New York fino alle sei e mezzo di sera.
- Puoi fermarti da Starbucks? Ci lavora la nipote di una mia amica e si è appena laureata, vorrei farle congratulazioni-.
- Certo- dissi a denti stretti dirigendomi verso Main Street.
Accostai e misi le quattro frecce.
- Te non scendi?-.
- Sono faccende personali, le sue, non vorrei creare imbarazzo, aggiungendomi-.
La donna scrollò le spalle e scese dall’auto.
Accesi il riscaldamento. A quell’ora si gelava e le strade erano già buie.
Ad un certo punto, qualcuno aprì la portiera della mia macchina e ci montò su ridendo.
Mi voltai di scatto e mi trovai di fronte un ragazzo.
Anche lui si bloccò non appena mi vide.
Portava il cappuccio, ma intravidi qualche ciocca nera di capelli e aveva degli occhi bellissimi. Grigi. Grigi come il cielo durante una tempesta.
- Ah… Ehm... cazzo- balbettò, cercando di uscire dalla macchina.
Aveva in mano una sigaretta accesa e mi sporcò di cenere il sedile, ma non si preoccupò di chiedere scusa.
Mi guardò un ultima volta prima di chiudere la portiera e correre via.
Lo guardai attraverso il finestrino appannato fin quando non sparì.
Espirai bruscamente, accorgendomi di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.
Scossi la testa ridacchiando nel ripensare a quanto fosse potuta sembrare buffa quella scena.
La portiera si aprì di nuovo, e i miei occhi brillarono, ma questa volta fu la signora White.
- Okay, tesoro, ora possiamo tornare a casa, così tu puoi finire di togliere le erbacce-. Mi diede un buffetto sulla guancia.
Voltai al testa e alzai gli occhi al cielo.
Di cosa mi ero illusa?
Nessuno poteva salvarmi da quella vita.
   
 
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