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Autore: the_black_wolf    01/02/2015    1 recensioni
Amavo ciò che sognavo, non ciò che vedevo. Amavo l'afrodisiaco piacere e la più orrenda paura al tempo stesso. Amavo l'inamabile, amo colei che è un mistero.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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                                                                                                        -CAPITOLO QUINTO-
                                                                               
                                                                             "L'amore non dà la felicità, ma la sua fatale illusione."      
                                                                                                                                     [Cit. R. Gervaso]      
               
I tanti anni di cui portavo il peso, sembravano essere spariti.  Anche se con un corpo differente da quello nel quale ti avevo conosciuta, Eri finalmente mia, al mio fianco, di nuovo. E parlavamo, parlavamo, parlavamo. Sorridevi vedendo il mio imbarazzo e alle mie carezze sulla pelle che conteneva il tuo essere.  Mi stupivo di quanto, in realtà, adorassi il tuo carattere ;  la bellezza che possedevi quando eri in vita , ovviamente non potevo più vederla… ma questo non mi importava. I miei sogni, i miei incubi erano terminati perché potevo parlarti e tu eri sempre pronta a rispondermi. Non ero più solo e non lo sarei mai tornato.
Alla mia felicità, tanto ambita e quasi raggiunta, mancava soltanto un particolare. L’amore che provavo per te era immenso, ti amavo, ti desideravo, ti ammiravo come ti amo, ti desidero e ti ammiro tutt’ora, anche nel tuo essere spietata. Sapevo di essere vicino a te, Viola. Se mi impegnavo, potevo quasi scorgere una sorta di luce chiara negli occhi scuri con cui mi osservavi: Sull’iride sinistro, vicino alla pupilla, scorgevo come una piccola macchia celeste, del colore dei tuoi VERI occhi. Quel corpo da ragazzina, l’aspetto infantile e la voce troppo acuta erano solo un involucro, niente di più. Dentro il corpo di Rebecca, in realtà c’eri tu . Dicevi  però di sentirti prigioniera di questo nuovo corpo,  eri poco più che una bambina e non ti ricoprivo delle attenzioni che meritava una donna…
Verissimo, senza dubbio. Ma come avrei potuto “amare “ una bambina? Se vi era una cosa che, oltre alla sofferenza e alla nostalgia, si era formata durante il corso di questi interminabili anni, era il decoro, la decenza, la bontà d’animo. Molte volte ti avvicinavi a me in un modo ambiguo, come un leone vicino alla sua preda. Resisterti era difficile, ma era giusto. Tutto sommato, ero già vecchio e mi accontentavo di quegli amori platonici, in cui il desiderio e la passione  non trovano spazio. Quante ragazzine avevo visto crescere durante gli anni della scuola! Qualcuna, nei primi anni, aveva lasciato lettere romantiche tra i miei appunti o altre, si erano sforzate di far colpo sulla mia figura di “eterno infelice” con resoconti scolastici brillanti o domande attente durante le mie spiegazioni. Ad esse, ovviamente, non donai mai un centimetro del mio cuore: erano soltanto delle bambine e l’amore malato che mai avrei potuto offrire loro le avrebbe soltanto infettate, tanto il mio cuore era avvelenato dai ricordi. Per questo, le avevo semplicemente ignorate, felice di vedere con quanta facilità e in quale modo ingenuo i giovani potessero innamorarsi. Ricordiamoci, inoltre, che agli occhi sprezzanti del mondo sarei apparso io come leone e tu come preda, visto il tuo corpo di semplice ragazzina.  Ero sicuro della mia scelta, non avrei cambiato idea per niente al mondo e oggi, ringrazio il Cielo per quella poca lucidità che mi concesse. 
Ma il motivo per cui non violai in nessun modo quel corpo da ragazzina, vogliate crederci o meno, fu un altro.  Se avessi ceduto alle tue tentazioni, Viola, amandoti in quel corpo di bambina ( che forse, ormai, si avvicinava più a esser quello di una donna), cosa avrei raccontato al padre di Rebecca? Ne aveva subite già tante, pover’uomo...                                                        Forse averlo visto piangere e disperarsi in balìa dei ricordi, forse aver pensato così tante volte a quanto il mio dolore assomigliasse al suo  , mi aveva spinto a considerare quell’uomo come un qualcosa di simile.. a un amico.
A pensarci bene, di amici non ne avevo più neanche uno.
Nessuno.
Da quando avevo iniziato ad avvicinarmi a Viola, se ne erano andati in molti e i pochi rimasti, li allontanai io. Mio padre aveva smesso di parlarmi, non voleva più vedermi e mi considerava completamente fuori di senno. Mia madre, povera donna, era morta dopo pochissimi giorni dalla tua fuga da casa mia, da casa nostra. Avrei voluto partecipare al suo funerale e piangerne  la  morte insieme ai suoi cari, ma se tu fossi tornata e io non ci fossi stato?  Credevo che non vedendomi, avresti pensato a un abbandono, ne avevi già subiti molti…
Così ,Viola, mi eri rimasta soltanto tu e non volevo perderti.
Dopo mesi in cui ti supplicavo di non fare ciò che tanto mi chiedevi, scendemmo a un compromesso. Io avrei dovuto liberarti da quel corpo, quella prigione di carne. Sapevamo entrambi come fare.                                 Ci accorgemmo entrambi di una possibile soluzione nei confronti di questa tremenda barriera che ci separava e ti faceva sentire vittima del tuo stesso corpo.
Un giorno, mentre  passeggiavamo di sera, per la periferia della città ( sia mai che ci avessero visto insieme! Quante lingue di serpente ne avrebbero parlato e sparso la voce!) , ti fermasti davanti a una piccola chiesa, facendomi una richiesta strana.
Mi chiedesti se fosse possibile entrare nella chiesa e soffiare sulle candele accese per i defunti, in modo tale che si spegnessero. Ti dissi che senza dubbio era un atto scorretto, ma se volevi farlo, non potevo impedirtelo.
A questo punto, tuttavia, un pensiero mi balenò nella testa. L’anno prima, durante un colloquio con il padre di Rebecca, un fatto strano mi aveva scosso terribilmente. Egli raccontava di come, una sera, il padre di Rebecca avesse accolto la figlia disperata in casa. La madre non stava bene, certo, ma quel giorno aveva tremendamente insistito per recarsi in Chiesa con Rebecca. Dentro di sé, il mio confidente ne era entusiasta! Sperava che con l’aiuto della fede, la moglie potesse guarire o per lo meno migliorare. Era tanto che non la vedeva così risoluta nell’ottenere qualcosa. Rebecca volle accompagnare la madre, sperando che restando sole durante il viaggio ella le avrebbe riservato almeno una parte delle attenzioni che durante l’infanzia le erano state negate. Al momento in cui la piccola Chiesa del paese si presentò davanti alle due donne, accade, tuttavia, un fatto inquietante. La madre di Rebecca, che era stata fino a quel momento molto calma e serena, iniziò a disperarsi. Tremava tutta, la paura le si leggeva negli occhi, scuri come quelli di Rebecca. La figlia la incitava, la teneva per mano sussurrandole parole  dolci o risolute. Ogni tentativo appariva vano. Alla fine la madre riuscì a salire un gradino, poi un secondo, ma non riuscì a metter piede sul terzo ed entrare nella Chiesa vera e propria. Eppure non si era sposata proprio in quella Chiesa tanti anni prima? Non aveva tanto insistito per tornarvici quella sera con la figlia? La situazione, cari lettori, era assurda. Figuriamoci poi per quella povera bambina, che al tempo non disponeva che di tredici miseri anni d’esperienza sulle spalle. Madre e figlia dovettero tornare a casa  e nonostante il percorso fosse identico a quello già attraversato all’andata, il viaggio di ritorno apparve lungo almeno il doppio. Rebecca non chiese spiegazioni alla madre, e questa non gliene diede. La donna era troppo impegnata a piangere, trattenere urla composte d’un misto di spavento e rabbia. Le poche parole che pronunciava, erano confuse a causa dei singhiozzi e delle lacrime. Tutto ciò che Rebecca riuscì a comprendere (e in seguito riferire al padre) , fu una frase apparentemente senza senso. “Sempre meglio di lei… che neanche poteva vederla da lontano.” Ma lei chi? Chi non poteva vedere la chiesa neanche da lontano? Nulla aveva senso. Mi ripresi dai miei pensieri e con orrore mi accorsi di un particolare agghiacciante. Ero davanti a una Chiesa, con tre gradini all’ingresso.
“Non può essere… Non può essere…” risuonava nella mia mente nello stesso momento in cui le mie gambe, vecchie e stanche, superavano con un sol balzo i tre gradini della Chiesa, all’interno della quale ti vidi perfettamente in piedi davanti ad alcune candele accese. Non si sentiva un rumore e tutto era perfettamente immobile, illuminato da una luce fioca e tremula. Gli affreschi e i dipinti riservati al Signore e ai Santi apparivano quasi inquietanti e per un attimo, giuro che tutti gli occhi delle piccole statue, dei quadri e degli affreschi sui muri fossero tutti puntati su quel piccolo corpo di adolescente. Su di te, Viola.
Mi avvicinai lentamente, con cautela, avevo paura che tu potessi girarti di scatto e spaventarmi a morte; un oscuro presagio mi attraversava la mente. Ti chiamavo e non ti giravi, rimanevi immobile davanti alle tue candele. Nel momento in cui, con estremo coraggio, riuscii a raggiugerti, vidi la tua bocca contorcersi nel tentativo di soffiare e spegnere quelle piccole fiammelle. Le  mani ti tremavano leggermente, sembravi sconvolta. Iniziasti a disperarti, ad agitarti e piangere. I singhiozzi ti facevano sussultare.                                                                                                               Poi accadde.
Ti girasti verso di me e potei vederti di nuovo, viva.
I sublimi ricci lungo la schiena , gli occhi chiari e bellissimi nonostante le lacrime. Le tue labbra..
“E’ il momento, professore, devi farlo!” disse la mia amata.   
“Per noi!” aggiunse.                                                
Ora, ciò che non vi ho detto è estremamente semplice. Semplice e spaventoso nell’esser semplice. Viola mi disse che l’unica soluzione che avevamo per poterci amare in ogni modo che ci fosse parso e vivere il nostro amore alla luce del Sole, sarebbe stata quella di liberarsi di quel fastidioso corpo da adolescente. Se io avessi ucciso quella ragazzina  senza farmi scoprire, allora Viola sarebbe finalmente stata  libera di mostrarsi a me nel suo vero aspetto. Ormai avevo già intuito un qualcosa di strano nella mia amata, e lei me lo confermò. Disse che le anime delle persone morte, vagano vicino al corpo che hanno appena lasciato per diverse ore. In seguito iniziano a sentirsi sempre più leggere fino a sparire del tutto e risvegliarsi in Cielo o in altri luoghi. A  lei però, questo non era mai accaduto, poiché l’amore percepito nei miei confronti e i sensi di colpa per il suo comportamento scorretto le avevano impedito di lasciarsi la vita alle spalle. Così aveva aspettato molti anni e, per motivi misteriosi, era riuscita a risvegliarsi nel corpicino appena nato di una bambina. Rebecca. Poi, il resto, lo conoscete. In questo modo Viola mi aveva convinto ad accettare la sua proposta. Il grosso, era fatto. Restava soltanto da posare le mani su quel candido collo e ,a malincuore, stringere forte. Sempre più forte. Così pian piano mi avvicinai per compiere il macabro gesto. Sentivo il battito del cuore di quel corpo sempre più veloce, pronto a spegnersi sotto la forza delle mie grandi mani. Mancava poco, lo sentivo, mancava sempre meno…
Lasciai la presa.
“CHE COSA FAI?” urlò Viola.
 Capii tutto.

 

  
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