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Autore: Feds_95    02/02/2015    1 recensioni
- Conservi ancora quella statuetta?- bisbigliò, per non disturbare Nasir, il quale era caduto in un profondo sonno grazie alle erbe contro il dolore di Lucio.
- La conservo per pregare- risposi, sorridendo e arrossendo appena. Non potevo evitarlo quando si trattava di Agron.
- E speri che rispondano alle tue preghiere?-
- Forse non oggi, nè domani, ma un giorno lo faranno.-
- E tu saresti disposta ad aspettare? Per quanto, un mese, un anno, dieci anni? Aspetteresti pur non sapendo cosa hanno in serbo per te, se la morte, la vita o la schiavitù?- mi domandò, avvicinandosi e alzando la voce.
- Ho atteso tutta la vita che qualcuno mi liberasse dalle grinfie del mio padrone e, quando credevo di non avere più speranze, sei arrivato tu a salvarmi. Perciò si, sono disposta ad aspettare. Tutto il tempo che sarà necessario.-
****
La ribellione di Spartacus e la lotta per la vita degli ormai ex schiavi raccontata dal punto di vista di una giovane schiava greca, Abira, che si ritroverà a combattere i romani pr guadagnarsi la propria libertà, in una lotta sfrenata e all'ultimo sangue con la grande e potente Roma.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Agron, Nasir, Nuovo personaggio, Spartacus, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il Mio Nome


Spartacus?

Il portatore della pioggia? Colui che ha ucciso Theokoles e salvato la regione dalla siccità?

A quell’affermazione rimasi impietrita, come tutti gli altri schiavi intorno a me. Nasir continuava a guardare intensamente il padrone inginocchiato a terra, che al suono di quel nome alzò sbalordito il viso, pur mantenendo un atteggiamento di superiorità, che celava paura e insicurezza.

<< Spartacus? >> esclamò Scylla, una schiava della casa.

<< Ma allora è vero! >>

<< Sono loro. Sono venuti a liberarci! >>

Le voci sbalordite dei miei compagni si ammassarono di nuovo fra loro, incredule e felici.

Persino sulle mie labbra si aprì un leggero sorriso, mentre sollevata continuavo a guardare il mio salvatore, che invece fissava il mio padrone con astio.

Non gli sarei mai stata grata abbastanza per avermi salvata e liberata.

<< Non vi ho dato il permesso di parlare! >> sputò il padrone sollevandosi un poco da terra per riportare l’ordine tra di noi e ricordarci che lui aveva ancora potere su di noi.

<< Chi è il padrone di questa casa? >> chiese l’indomito Gallo, che nel frattempo si era appoggiato ad una colonna del porticato.

<< Ce l’hai davanti. >> rispose lui puntando i suoi occhi su quelli del gladiatore, che composto, giocherellando con un coltello, rispose:<< Devo fare un discorso con te. >>.

Poi con uno scatto felino lo prese violentemente per i capelli e lo trascinò dentro la villa. Le sue urla di paura si persero nei corridoi, mentre noi schiavi potevamo finalmente tirare un sospiro di sollievo. Ero sicura di aver sentito Tiberio accanto a me trattenere il fiato.
                                                                              
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I ribelli presero pieno possesso della casa in pochissimo tempo. Saccheggiarono le stanze e la dispensa, mentre gli ormai ex-schiavi che li seguivano si preoccupavano di salvare qualcosa per il viaggio e di prendere coperte e abiti.

Uomini e donne di tutte le età e tutte le razze, così tante che non avevo mai viso tutte insieme. C’erano persino dei bambini, che ridevano e giocavano felici vicino a quelle che probabilmente erano le loro madri, incuranti del sangue che era stato versato e delle anime mandate nell’Averno.

Dopo la presa della casa, vidi donne che abbracciavano e baciavano i loro uomini, amici che si salutavano, fratelli e sorelle, mariti e mogli… Come una vera famiglia.

Si erano disposti con le coperte nel cortile, mentre all’interno i guerrieri festeggiavano e bevevano alla loro vittoria. Alcuni di loro si erano completamente denudati e andavano in giro ad importunare le donne, le quali talvolta si concedevano senza problemi.

Un piccolo gruppo, ancora sobrio, aveva ammassato in un angolo tutti i cadaveri delle guardie, ormai completamente dissanguate. Gli avevano tolto le armature e le armi, poi li avevano gettati lì come stracci vecchi.

Per quanto riguardava gli schiavi della villa, sembravano essersi abituati facilmente ai nuovi “ospiti”. Anzi, alcuni di loro ne sembravano addirittura affascinati, in particolare da Spartacus, che guardavano con ammirazione e paura.

<< E’ quello che si meritano. >> disse Chadara, mentre anche l’ultima guardia veniva portata fuori << Ci trattavano come stracci e ora loro sono al nostro posto. >>
<< Non erano tutti così. >> risposi, prendendo il panno bagnato che mi porgeva Nasir, in modo che potessi pulirmi il viso dal sangue, riferendomi a Marco, che ci aveva sempre trattati con benevolenza, o ad Ulpianus, una vecchia guardia morta anni prima, il quale ,quand’eravamo bambini, prima di andare a letto, ci faceva sedere sulle sue ginocchia e ci raccontava storie e leggende.

<< No, ma erano pur sempre dei romani. >> ribattè alzandosi degli scalini del portico dov’eravamo seduti e dirigendosi dentro a prendere un po’ di vino.

Fino alla mattina prima ci era proibito anche solo sentirne l'odore ed ora scorreva a fiumi per casa. Le coppe stracolme passavano di mano in mano senza freni.

<< Sembra aver già dimenticato Marco e le lacrime che ha versato per lui. >>  dissi, seguendola con lo sguardo.

<< Non gli è mai importato realmente di lui. >> mi rivelò Nasir, continuando a guardare nella direzione in cui era scomparso ore fa il padrone. << Chadara cercava solo qualcuno che la proteggesse ed elevasse la sua posizione. Nulla di più. >>

Tipico di Chadara.

Era sempre stata insicura e impaurita; malgrado cercasse di nasconderlo sotto atteggiamenti spavaldi, lo si capiva subito. Infatti non rimasi sorpresa dall’affermazione di Nasir, solo un po’ ferita.

Marmorea diceva che sognavo così tanto che nei miei occhi verdi si potevano vedere i verdi prati della mia terra e le alte montagne della sua, ad oriente del Reno.

Ed aveva ragione. Per tutta la vita avevo desiderato che la vita mi concedesse qualcosa di più di quello che avevo tra quelle mura; qualcosa di più della miseria e dell’emarginazione che avevano accompagnato la mia crescita.

Qualcosa che avevo imparato fino troppo affondo che esisteva solo nell’immaginario di chi possedeva ancora la forza di sperare in un futuro migliore.

<> mi richiamò dai miei pensieri il mio amico, sempre più in ansia per le sorti del padrone, anche se non lo era più.

Nasir aveva sempre provato un sentimento molto forte nei confronti di Druso, che pensavo di fosse amplificato quando ne divenne lo schiavo carnale. Non si poteva definire il bisogno di attaccamento di Chadara o l’amore delle storie che Marmorea ci raccontava da bambini, ma era abbastanza forte da travolgerlo completamente e renderlo “schiavo” di quell’atto carnale che il padrone attuava su di lui tutte le sere.

<< Forse gli sta facendo tirare fuori tutti i tesori della casa. >> cercai di rassicurarlo.

Ma un suono sordo e un grido strozzato ci fecero sobbalzare e subito ci rizzammo in piedi, come risvegliati da un richiamo, aspettando di sapere cosa fosse accaduto a Druso.

In tutta risposta, il gallo Crisso uscì dalla stanza trascinando per i capelli il suo corpo, nudo…e morto.

Col sangue che gli colava dal naso e ferite da taglio su petto lasciava una scia cremisi dietro di se.

Sentì Nasir al mio fianco smettere di respirare e i suoi occhi allargarsi sconvolti. Con passo svelto cercò di raggiungere Crisso che stava per riporre il cadavere sul mucchio di fuori.

<< Nasir aspetta! >> gridai, seguendolo, ma i gladiatori e le loro voci mi sovrastarono e mi impedirono di raggiungerlo. Cantavano canzoni in lingue sconosciute e si abbracciavano tra loro. Era buffo vedere degli uomini così grossi e forzuti comportarsi come dei ragazzi della mia età. Non potei fare a meno di sorridere.

Ma tra di loro il mio salvatore non c’era.

Continuando a camminare e a guardarmi intorno, urtai per sbaglio la figura di una donna intenta a versarsi una coppa di vino, che finì per terra.

<< Oh scusami tanto. >> dissi raccogliendo il bicchiere << Non ti avevo vis- >> quando alzai il viso per vedere quello del proprietario della coppa le parole mi morirono in bocca.

Quella pelle olivastra, quegli occhi scuri, quei ricci indomabili e folti, quei lineamenti delicati…

Non avrei mai potuto dimenticarli…

<< Estella? >> domandai incredula alla donna che mi guardava altrettanto sbalordita.

<< Abira? >> chiese di rimando << Sei proprio tu? >>

<< O Déi… >> sussurrai, prima di abbracciarla di slancio con tutta la forza che avevo << Estella!! >>

Lei mi strinse forte a se e pianse. Piangemmo insieme, come due sorelle appena ritrovate.

La mia amica, la sorella che quattro anni prima avevo aiutato a fuggire da quella villa e con cui ero cresciuta era di nuovo tra le mie braccia.

<< Non credevo che ti avrei mai rivista. >> le dissi asciugandomi il viso con una mano << Credevo che ti avessero catturata o peggio… >>

<< Neanch’io credevo che sarei mai tornata da queste parti. >> sorrise, mentre le lacrime continuavano a scorrere sulle sue guance.

Sorrisi quasi stericamente, tant’era la felicità che provavo a saperla viva.

<< Vieni. >> mi invitò offrendomi una coppa di vino << Abbiamo molto di cui parlare. >>

Stavamo per ripercorrere il corridoio quando un gladiatore completamente nudo e completamente ubriaco si era avvicinato a noi dicendo con voce trascinata:<< La mia verga è magica! >> e alzò in aria un’intera brocca di vino.

<< Si si, certo Lydon. >> dando una leggera pacca sulla spalla del giovane dai capelli neri e la pelle scura, che barcollava e delirava.

Continuando a sorridere con gli occhi scuri e vacui riprese a camminare finchè si appoggiò completamente ad un altro gladiatore, altrettanto ubriaco.

<< Sarebbe meglio andare in un luogo più tranquillo. >> sorrise ed insieme ci dirigemmo verso i gradini dove eravamo seduti prima io e Nasir.

Per un attimo nessuna delle due parlò. Ci limitammo ad osservarci, a guardare quanto fossimo cambiate nel tempo in cui eravamo state separate.

Estella era sempre stata molto bella, anzi la più bella tra noi due.

Alta, slanciata, con la schiena dritta come una lama e con la pelle ambrata; sfoggiava un corpo prosperoso e morbido, accentuato dalla veste che lo rendeva invitante ed ipnotico. Indossava un abito chiaro, lungo fino a metà coscia, che si legava intorno al collo e metteva in evidenza i suoi seni e le curve dei suoi fianchi.

Anche negli atteggiamenti sembrava molto diversa. Mentre ci facevamo spazio tra gli uomini ubriachi e nudi che scopavano con le loro puttane sui muri, si muoveva con sicurezza e naturalezza, come se ci fosse abituata e per lei quel tipo di cose avvenissero tutti i giorni.

Mandò giù il vino con un sol sorso, come se fosse acqua, ed le dissi:<< Ancora non riesco a credere che tu sia qui. Pensavo che non saresti mai tornata. >>

Da quando l’avevo aiutata a scappare dalla villa avevo pensato molto a lei, ma non avevo mai voluto che tornasse, perché altrimenti sarebbe stata severamente punita. Dopo quello che aveva passato, meritava di essere libera.

<< Neanch’io l’avrei mai pensato. >> rispose << Eppure eccomi qui, con te. >>

Sorridemmo felici e nostalgiche, mentre intrecciavamo le nostre mani in una solida stretta fraterna.

<< Ma raccontami. >> la esortai<< Che cosa hai fatto finora? Dove sei stata? >>

Vidi i suoi occhi illuminarsi e il suo viso prepararsi a raccontare.

Parlò di ciò che c’era fuori dalla villa, dei boschi che la circondavano, dei villaggi e paesini che si alternavano, con i loro riti giornalieri e attività quotidiane.

Mi raccontò di come aveva camminato, di giorno e di notte, verso Capua in cerca di un nascondiglio, che poi aveva trovato presso una lavoratrice di pelli che l’aveva presa a lavorare, offrendole un modesto salario e un tetto sulla testa. Mi descrisse la città nei minimi dettagli: dalle case così alte e vicine da oscurare il sole alle strade soffocate dai viandanti e dai mercanti, dalle ville dei nobili, così asettiche e protette alle modeste e fatiscenti case dei più poveri.

Era stata con quella donna per tre anni, nei quali credette di essere al sicuro, e ,benchè cucire le pelli o lavorare il cuoio non fosse la sua massima aspettativa, era felice.

<< Quella donna, Nillithya, era greca come te. >> continuò a raccontare << Aveva perso da poco una figlia. Aveva appena dieci anni quando morì di febbre, e mi disse che io gliela ricordavo molto. Forse fu per questo che mi prese a lavorare con se e mi permise di vivere con lei. >>

<< Doveva essere davvero una persona meravigliosa. >> disse per rincuorarla, dopo che la sua voce aveva assunto un tono nostalgico.

<< Ora non so neanche dove sia. >>  mi rispose tristemente, torturandosi le mani.

Le ricordavo lunghe, morbide e con le dita affusolate; invece ora erano ruvide, arrossate e con le unghie mangiate fino alla carne, probabilmente a causa del duro mestiere di cucire le pelli, che di solito erano spesse e difficili da bucare.

<< L’importante è che tu stia bene e che ora sei al sicuro. >> la rassicurai << Ma, se posso chiedertelo, perché hai scelto di unirti a Spartacus? Eri già libera. >> chiesi curiosa.

I suoi occhi si illuminarono di una luce che non le avevo mai visto addosso, abbandonandosi a ricordi lontani e travolgenti, e con voce chiara e malinconica mi rispose:<< Sono cambiata molto da quando ho lasciato questa casa. >> fece una pausa in cui riprese fiato << Perciò non credo che capiresti Abira. Non ora. >>

Rimasi un po’ sconvolta dalle sue parole. Eravamo sempre state come sorelle, non avevamo segreti, eppure lei temeva che non avrei capito il motivo che l’aveva spinta ad abbandonare la sicurezza che aveva trovato a Capua per seguire questi ribelli, probabilmente fino alla morte.

Prima che potessi ribattere e chiederle il perché della sua risposta, una voce profonda e cupa si levò all’interno dell’atrium.

<< Stiamo cercando una schiava che porta il nome di Camilla! >> gridò Spartacus << Non vogliamo farle del male, vogliamo solo farle qualche domanda. >>

Camilla… sicuramente era stato il padrone a dirgli di me, dato che quel nome lo usava solamente lui.

<< So-sono io Camilla. >> risposi alzandomi, seguita da Estella, e facendomi avanti tra i gladiatori ubriachi finchè non mi trovai faccia a faccia con Il portatore della pioggia.

<< Vieni con noi. >> disse cordialmente quest’ultimo indicandomi la stanza del padrone con un braccio, che intimò a tutti gli altri uomini di lasciarmi passare. Lui ed il Gallo mi seguirono, mentre Estella rimase appoggiata ad una colonna e mi mimò con le labbra un “ti aspetto qui”.

Quando scostai le tende per entrare mi ritrovai davanti una giovane donna, dalla pelle scura ed i lunghi capelli neri, probabilmente di origini ispaniche, e, dietro di lei, chinato a studiare una cartina, il mio salvatore.

Si era lavato via il sangue dal viso e dalle braccia e aveva tolto il mantello e gli schinieri. Sembrava ancora più possente senza di essi, molto più pericoloso e letale.

Non appena entrai, puntò i suoi occhi azzurri nei miei e mi immobilizzò sul posto. Mi mancò per un attimo il fiato; avrei voluto sorridergli, ma era come se il mio corpo fosse pietrificato, non sapevo se per lo stupore di rivederlo o per la paura di quello che avrebbero voluto da me.

<< Stai tranquilla Camilla. >> disse Spartacus da dietro di me, avvicinandosi al mio salvatore dietro il tavolo ricoperto di cartine e fogli di pergamena << Vogliamo farti solo un paio di domande. >>

<< Su quale argomento? >> domandai, riprendendo il controllo di me. Sperai che la mia voce fosse venuta fuori normale,  non balbettante e impaurita. Cercavo, almeno all’esterno, di mostrarmi sicura.

Avevano ucciso le guardie ed il padrone, se avessero voluto far fuori anche noi l’avrebbero già fatto.

<< Il tuo padrone aveva ricevuto un dono. >> cominciò Crisso, mentre lentamente si posizionava davanti a me con fare minaccioso << Una donna, inviatagli da Quinto Lentulus Battiato. E’ giusto? >>

<< Si. >> risposi, puntando i miei occhi nei suoi sperando di intimorirlo abbastanza da costringerlo ad allontanarsi, almeno un po’.  Ma cosa poteva una fanciulla fragile e inesperta come me contro un eroe dell’Arena?

Niente.

<< Calmati Crisso. >> parlò per la seconda volta il mio salvatore, rizzandosi in tutta la sua altezza, che superava di un bel po’ quella degli altri gladiatori. << Non vedi che la stai spaventando? >>

<< Ti chiedo scusa. >> si rivolse a me il gallo, avendo percepito la mia agitazione. << Quando entra in gioco il cuore, la ragione passa in secondo piano, fino a disperdersi nella nebbia del dolore. >> Poi si appoggiò al tavolo di legno scuro, affianco alla giovane vestita di rosso.

<< Voi vi riferite a Naevia, vero? >> chiesi ricordandomi della schiava arrivata mesi fa su di un carro.

<< Allora il bastardo non mentiva. >> bisbigliò Crisso, stringendo i pugni fino a far diventare le nocche bianche << Lei è stata qui!! >> e poi li batté violentemente sul legno, facendo cadere alcune carte, evidentemente di poco valore.

<> mi esortò più gentilmente la giovane, facendo un passo avanti nella mia direzione << Il padrone di questa casa ha detto che tu avresti potuto riferirci qualcosa di più su di lei. >>

Scavai nella mia mente per trovare quanti più ricordi ed informazioni possibile.

<< Quando è arrivata qui era ferita e denutrita. >> iniziai << La padrone Lucilla mi incaricò di prendermi cura di lei ed badai che fosse nutrita, lavata e medicata. Quel giorno il padrone sarebbe stato fuori fino a sera, perciò poteva stare tranquilla; parlammo molto, ma non mi raccontò mai nei dettagli cosa avesse fatto perché venisse trattata in questo modo. Disse solo che “aveva osato concedersi all’uomo che possedeva il suo cuore” e che per questo era stata punita. >>

<< Punita come? >>

<< Mi disse che veniva caricata su di un carro e spostata di villa in villa, di padrone in padrone, e che loro potevano farne ciò che volevano, purché restasse in vita. La padrona mi ordinò di nasconderla, nella botola in cucina, ma il padrone arrivò prima che potessi farlo… e la portò via. Non la rividi fino alla sera dopo, quando lo schiavista la venne a riprendere per portarla in un'altra casa, sempre nella Macchia. >>

<< Com’era quando l’hai rivista? >> disse il gallo non celando un velo di dolore nella sua voce << Che le aveva fatto il tuo padrone? >>

<< Era… era... >> non riuscivo a dire nulla. Il ricordo era ancora troppo bruciante.

Le mani del padrone Druso attorno al collo…

I suoi calci sulla pancia…

Le bastonate sulla schiena…

I suoi insulti…

<< Com’era?! >> abbaiò il gallo, scuotendomi per le spalle con una presa fin troppo forte << Dimmelo! >>

<< Crisso! >> gridò il mio salvatore, frapponendosi fra me e Crisso << Vedi di darti una calmata! >> ringhiò minaccioso. Sovrastava di molto l’altezza del gallo.

Tra i due cominciò una silenziosa lotta di sguardi. Si avvicinavano sempre di più e con sempre più rabbia, a giudicare dal movimento accelerato delle spalle del mio salvatore che si muovevano seguendo il suo respiro.

<< L’aveva picchiata. >> mi intromisi, precedendo Spartacus che si era avvicinato per placare i due uomini << Ma era viva, stava…bene. >>

L’indomito gallo sembrò aver ricevuto un pugno sullo stomaco ed indietreggiò guardando a terra con la bocca spalancata e lo sguardo vuoto.

<< Lei mi ha detto che stava bene prima di salire sul carro. >> tentai di rassicurarlo un poco.

<< Tu sapresti dirci dove l’hanno portata? >> mi domandò Spartacus, avvicinandosi con modi educati e gentili. I suoi occhi azzurri trasmettevano tutta la sua bontà d’animo.

<< Si. Ho sentito lo schiavista parlare con il padrone chiedendogli la strada più veloce per arrivare alla villa di Iginius. >>

<< Tu sai dov’è questa villa? >>

<< Si. >> e mi avvicinai alla tavolo e , dopo aver trovato la cartina della Macchia più dettagliata che c’era, indicai il luogo dove lo schiavista avrebbe portato Naevia.

<< Sai anche come arrivarci? >> mi domandò il mio salvatore, affiancando il suo capo.

<< Si. Con la mia padrona ci andavamo a volte. >> spiegai << La sposa del padrone Iginius era la cugina della padrona Lucilla e prima che morisse andavamo a trovarla. >>.

<< Spiegaci. >> alitò il trace appoggiandosi con i gomiti sul legno pronto ad ascoltare quanto avevo da dire.

Lui ed il mio salvatore mi si avvicinarono ed ascoltarono tutto ciò che gli dissi.

Gli spiegai che se avessimo tagliato per i boschi saremmo arrivati prima e più coperti, mentre col le dita gli indicavo il percorso preciso da seguire. Gli rivelai che se avessero voluto vi avrebbero potuto trovare qualche animale da cacciare o erbe da raccogliere.

Malgrado fossi uscita rarissime volte, a causa della cagionevole salute della padrona, quelle poche volte che avveniva cercavo di memorizzare tutti i dettagli dei luoghi che visitavamo.

<< La villa è circondata da mura un po’ più alte di queste e ha due ingressi: quello principale guarda a ponente ed è chiuso da un portone in legno molto spesso. Le guardie si danno il cambio ogni ora: il padrone teme un attacco da… da parte vostra. >>

<< Scelta saggia. >> disse il gallo << Perché una volta entrati lì dentro non avremo pietà. Verserò fino all’ultima goccia di sangue romano finchè non riavrò Naevia tra le mie braccia. >>

<< E noi ti aiuteremo a raggiungere il tuo scopo, fratello. >> aggiunse Spartacus, stringendo con forza la mano di Crisso. Tra i due c’era un legame unico, che trapelava dalle loro azioni e dai loro gesti.

Il mio salvatore rimase in silenzio, ma ,quando Crisso alzò lo sguardo verso di lui, si limitò ad annuire, come in risposta ad una muta domanda.

<< Vado dai miei uomini. >> disse << Rhaskos deve darsi una calmata. >> ed uscì dalla stanza con passo veloce, seguito dal mio salvatore, che si limitò a lanciarmi uno sguardo fugace, e dalla giovane donna, che si congedò dopo aver lasciato un delicato bacio sulle labbra del portatore della pioggia.

Sicuramente era la sua donna, a giudicare anche dal sorriso sul suo volto mentre la guardava allontanarsi.

Poi si rivolse ugualmente sorridente a me: << Ti sono grato per il tuo aiuto, Camilla. >>

Gli sorrisi di rimando, ma prima che lui potesse varcare la soglia lo fermai e dissi:

<< Abira. Il mio nome è Abira. >>
  
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