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Autore: Gaia Bessie    02/02/2015    1 recensioni
N è riuscito a cambiare il mondo, esattamente come aveva programmato. O, almeno, è riuscito a cambiare Unima: la regione è adesso attraversata dal Muro, che divide gli uomini dai Pokémon. In un governo del terrore, dove ogni abitante vive nell'incertezza e nella possibilità di essere preso e usato come cavia per spaventosi esperimenti, N si trova troppo in alto per mollare ogni cosa e fuggire.
Touko è una ragazza in fuga. Oltre il Muro c'è una realtà che l'attrae come una calamita, una pace che a Unima non si prova più da tempo. Ma è in fuga anche dalle idee, da quel regime che le nega la sua vera essenza, quella di Allenatrice.
N continua a temere quella fitta al cuore, che gli annuncerà che lei è morta. Che non arriva. E lui vorrebbe soltanto andare a cercarla. Non sapendo che, in realtà, Touko è fin troppo vicina.
[Ferriswheelshipping]
Genere: Angst, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: N, Nuovo personaggio, Touko
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
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Note iniziali (sì, ormai è routine):
  • Sull'utilizzo dei nomi: in questo capitolo verranno fuori i primi OC della storia. I cui nomi non sono, né saranno, mai scelti a caso. Per evitare spoiler, evito di mettere spiegazioni nelle note iniziali. Per leggere le mie scelte onomastiche, andate giù.
  • Prossimo aggiornamento: lunedì 16 febbraio.
 


N Sinfonia

Primo movimento

Esposizione, primo tema (#1) - Storie




 

 

Non l'aveva riconosciuta.
Touko rimase annichilita, completamente senza parole, nel comprendere che davvero N non l'aveva riconosciuta.
L'aveva guardata con un sorriso imbarazzato, finché non l'aveva lasciata su un letto, probabilmente il suo, senza parole. Non ne aveva.
«Mi dispiace, ragazzina» disse lui, rosso in viso. «Solitamente non permetto che facciano i loro esperimenti sulle donne».
Touko affilò lo sguardo, con una gran voglia di urlare. Se soltanto ne avesse avuto la forza.
«So che non è una gran cosa da dire, ma non sarebbe dovuto toccare a te». Si sedette accanto a lei, sulla sponda del letto, con fare amichevole. «Vuoi dirmi come ti chiami?».

Lei, nella sua corteccia di pelle squamata e dolore, lo guardò, con le lacrime agli occhi. E la bugia le scivolò, fluida e dolciastra, fuori dalla bocca.
«B-Blanche» mormorò, a fatica, portando una mano alla gola. La trovò scorticata a sangue, in un riflesso involontario di come doveva essere all'interno.

N le sorrise, rassicurante. «Tranquilla» mormorò, sfiorandole la gola, nello stesso punto che aveva toccato lei. «Passerà presto e non lascerà cicatrici, entro tre mesi sarai tornata com'eri prima e potrò riportarti a casa, te lo prometto. Anche i capelli saranno tornati a crescere».
Le accarezzò la fronte, pensieroso, seguendo il sentiero di quel graffio obliquo sul cranio. Touko giurò di averlo visto rabbrividire, disgustato. Non a torto. Anche lei lo sarebbe stata, al suo posto.
«I tuoi genitori saranno preoccupati per te» osservò, con una dolcezza strana, che non gli si addiceva. «Mi dispiace che sia successo».

«Non ho i genitori» tossì, lei, sporcandosi la bocca di sangue. E, in parte, era una mezza verità: prima della presa di Unima, era riuscita a farli andar via, in giro per le altre regioni, dove ancora non erano stati costruiti i Muri. «Li hanno portati via».
«Molte persone sono andate via» mormorò N, scrollando il capo. «Anche io ho perso qualcuno e, a quanto pare, sono ancora il Re. Dovrei sapere dove si trova, ma non ne ho idea. Conoscendola, avrà scavalcato il Muro per andare a vivere con i Pokémon. Non l'ho mai capita, in questa sua ossessione». N, sospirò, pensieroso. «Tu le somigli».
A Touko si bloccò il respiro in gola. E sperò di riuscire ad andar via prima che la pelle tornasse quella di un tempo, restaurando l'antico calco dei lineamenti, ora distorti dall'acido. Tre mesi era la scadenza. Sarebbe dovuta fuggire, di nuovo, cercando di non farsi scoprire.
«Di che colore hai, avevi, i capelli?» domandò N, pensieroso. Sembrava quasi perso, nei suoi pensieri, come quando lei si era scoperta capace di fluttuare nel nulla, per non sentire il dolore. E lei lo guardò, senza sapere se era più conveniente mentire o dire la verità. Se l'avesse scoperto, che era lei, non l'avrebbe mai lasciata andare. Né lei avrebbe trovato la forza necessaria per correre via. Così, si limitò a guardarlo, indecisa, in quel sorriso che N le rivolgeva.
«Biondi» biascicò. E questa, a suo tempo, sarebbe stata un'altra gatta da pelare, sicuramente. «Biondo scuro» si corresse.
Almeno, sarebbe sembrato più verosimile, se confrontato con il colore delle sopracciglia. Lui guardava la finestra come se la sua vita dipendessa da quella, dai tendaggi pesanti di un antico blu oltremare.

«Lei li aveva di un colore assurdo, un castano che non ho più visto da nessuna parte» mormorò, pensieroso. «Era troppo chiaro per essere nero, ma era troppo scuro per essere un semplice castano. Non ho mai avuto un termine di paragone soddisfacente». Le dedicò un sorriso vagamente imbarazzato. «Perdonami, se ti parlo sempre di lei» mormorò. «Ma non posso parlarne con nessuno. Se la trovassero... lo sanno tutti, chi è. Se la trovassero la ucciderebbero».
Lei ebbe l'ardire di sfiorargli il braccio, delicatissima.
No, N, sei sempre stato il più furbo, il più intelligente, ma non capisci – pensò – se mi avessero uccisa, saresti venuto a saperlo. Sono cose che ti senti dentro, quelle. No, N, se davvero avessero preso la persona di chi parli, non l'avrebbero uccisa. L'avrebbero torturata. Le avrebbero tagliato i capelli e sciolto la pelle, le ossa, gli organi nell'acido al punto che nemmeno tu saresti stato in grado di riconoscerla. Non l'avrebbero uccisa. Te ne saresti accorto.

Non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. Se l'avesse detto, probabilmente, sarebbe stato un indizio troppo grande. Così lo toccò e gli sorrise, semplicemente.
«Qualche volta, l'unico pensiero che riesce a tranquillizzarmi, è che se le avessero fatto del male me ne sarei reso conto» mormorò N, gli occhi puntati sulla mano di lei, come se fosse un serpente. «Avrei sentito qualcosa, se fosse morta. Ma non sento niente, il nulla assoluto».
L'hanno torturata, N. L'hanno presa mentre cercava di scappare e le hanno davvero fatto desiderare di essere morta, o peggio, se davvero può esistere qualcosa di peggiore. L'hanno quasi scuoiata con l'acido, l'hanno marchiata come un'animale. Come hai fatto a non sentire niente?
«Starà bene» disse, invece. «L'hai detto tu: non hai sentito niente, deve stare bene». E tutto, dentro di lei, sembrava che stesse gridando che era una sporca bugia. Inghiottì altre parole, una sorta di verità, per tornare a prestargli attenzione. Lo comprese così, Touko. Lo stava proteggendo, in un certo senso. Lei, che era quella che avrebbe dovuto uscirne spezzata in mille pezzi, lo stava proteggendo. Se gliel'avesse confessato, di essere lei, probabilmente sarebbe stato lui a crollare.
«Qualche volta penso che dovrei mettermi a cercarla» mormorò N, di rimando. «Che dovrei filarmela e lasciare tutto a mio padre, come vorrebbe sicuramente che facessi, e cercare un posto dove tenerla al sicuro. Ma non me lo permetterebbe mai, sai. È la persona più dannatamente cocciuta che si possa immaginare. Ed è, era, anche l'Allenatrice con più talento che io abbia mai conosciuto. Se non corro a cercarla è perché ho la certezza che non vorrebbe essere salvata».
«Era una tua amica?» domandò Touko, dolcemente.
«Sì» disse N, rigido. «Solo un'amica».

 

***

 

La mattina dopo, Touko fu raggiunta da Firvor, così disse di chiamarsi, una donna infagottata in stracci violacei, tutta china come se l'avessero pugnata. La prese per mano, la vecchia, con dolcezza, per portarla in un'immensa stanza da bagno. Con una dolcezza quasi materna, Firvor le fece scivolare i vestiti di dosso, spingendola a entrare nella vasca piena d'acqua. «Brucerà un po', cara» mormorò, con un quella sua voce dal timbro strano, metallico. Dalla provenienza incerta, con la bocca nascosta nell'ombra del cappuccio. Non bruciò un po'. Bruciò troppo, come se le avessero gettato addosso altro acido, sulla pelle giò ulcerata. Ma Touko non emise che un fievole sibilo, stremato, mentre la pelle si abituava a quel calore inatteso, al bruciore del sapone che lavava via i residui di stanchezza, alla pelle morta che si staccava e crollava sul fondo della vasca. Non cercò di rimirarsi nelle pareti coperte di specchi: non sarebbe servito a nulla. Ogni centimetro di pelle si faceva sentire esattamente per quello che era: una massa intricata di vermicelli rosati, intrecciati, che tiravano e minacciavano di squarciarsi, rivelando una trama fitta di muscoli e ossa. Faceva perfino fatica a parlare, dove nella gola si era formato un intrico di bolle da ustione, che percepiva con dolorosa intensità, ogni volta che si trovava a dover dire qualcosa. La sua testa, poi, la vedeva ancora in una sorta di ricordo sfocato, lattiginoso. Una distesa arida di pelle graffiata, dove una volta c'era stata una cascata di boccoli. Dove fosse finita, l'amica di N, Touko non lo sapeva. Vedeva solo Blanche, un frantasma bianchissimo che, nel riflesso dell'acqua, sorrideva nelle labbra crepate e spaccate a sangue.
«Povera cara» borbottò Firvor, strofinandole la schiena con dolorosa solerzia. «Devo rimuovere tutti i residui di acido, bambina, non sarà piacevole».
Touko pensò che sembrava quasi che la donna sapesse cosa si provava ad essere prese, tutte vesciche e ulcere e graffi, e gettate in una vasca d'acqua bollente per vedere la pelle che si squama ancora di più, per sentire una spugna ruvida che raschia per portarsi via tutto quello che ti ha ferita. Così, provò a sollevare il viso, cercando di incontrare lo sguardo di Firvor. Nell'ombra del cappuccio, vide l'orrore, vide uno specchio. Una distesa infinita di pelle bruciata, arrossata. Gli occhi piegati verso il basso dalle cicatrici, di un colore indefinito, forse nero o forse marrone, che la scrutavano tristemente. La bocca senza labbra, dispersa nel viso, un'ennesima ferita. E i capelli, tutti persi, tutti tagliati via, come le ciglia e le sopracciglia. Firvor le carezzò il capo con la mano altrettanto rovinata, senza unghia, completamente bruciata. «È stato tanto tempo fa, piccola» mormorò, semplicemente. «Erano i primi esperimenti, quando si tentava di non uccidere la cavia. E non ci si riusciva, anche se sembrava quasi che i Gemelli lo facessero apposta» si arrotolò una manica, per scoprire il braccio martoriato, marchiato a fuoco. Lettere bruciate sotto le linee bluastre delle vene. Una N, la medesima N che ancora tirava nella pelle sotto il seno, delle cosce di Touko. Una sigla. Exp298. Un numero e una parola. 1st surv.
«Ce ne sono stati duecentonovantotto, prima di me» mormorò Firvor, tornando a coprire il braccio. «Anche donne, e bambini. Tutti morti: dall'era dei Gemelli, sono stata la prima a farcela» scosse il capo, mortificata. «E sai perché? Avevo diciotto anni. Volevo
disperatamente vivere, più di ogni altra cosa». Lasciò cadere la spugna sul bordo della vasca, mentre trafficava con degli asciugamani. «Sono passato quattro anni».
Quattro anni prima, il primo compleanno del regime. Touko non riuscì a emetter fiato, mentre Firvor l'aiutava a uscire e la fasciava di asciugamani. Gettò uno sguardo dietro le proprie spalle, verso l'acqua torbida della vasca: era rosata di sangue. Ma non trovò nemmeno la forza di interrogarsi a tal proposito, così si lasciò trascinare nella sua stanza, dove l'attendevano una gran massa di bende e unguetti. Firvor le fece cenno di sedersi sul letto, mentre lei si riempiva le mani di oggetti.
«Stai tranquilla, cara» mormorò Firvor, mentre si armava di bende. «Entro tre mesi sarai esattamente come prima e ti rimanderanno a casa. Non è la prima volta che succede» in un gesto involontario, si sfiorò il capo, pensierosa. «I capelli ricrescono, la pelle ritornerà quella di prima. Non usano più i vecchi metodi».
Touko sobbalzò quando la donna sfiorò i marchi, più per la sorpresa che per il dolore. Firvor si scusò, silenziosamente, piena di compassione.
«Non ti rimarrà nemmeno una cicatrice, escluse queste» mormorò, sfiorandole la fasciatura sulla coscia. «E i capelli, almeno a te, ricresceranno. Io, prima, avevo capelli bellissimi. Del colore delle foglie autunnali, spruzzati di rame. Li tenevo sempre in una treccia lunghissima, almeno finché non l'hanno tagliata via».
Parlò senza intonazione ma, sotto i gesti frenetici delle sue mani, c'era rimpianto. A Touko, i capelli sarebbero ricresciuti. Firvor sarebbe rimasta un fantasma bruciato e marchiato, senza nome e senza voce. Aveva ventidue anni, sembrava già morta. Non le avrebbero mai restituito la sua vita, la sua pelle, la sua libertà.
«Come ti chiamavi prima?» mormorò Touko, con la gola che pungeva di dolore. Una bolla scoppiò, riempendole la bocca di sangue e pus che quasi la soffocò.
Firvor le poggiò un fazzoletto sulle labbra. «Sei acuta, bambina» disse, sorridendo, per quanto la sua bocca era in grado di permetterle.
Touko sorrise, incerta, con il sospetto che la sua interlocutrice non si sarebbe azzardata a rispondere. E Firvor le carezzò il capo, prima di dirigersi verso la porta.
«Cerca di dormire un po'» sussurrò, sulla soglia. Sembr fermars, incerta. «Lotte» tossì fuori, infine. «Mi chiamavano Lotte».

 

***

 

Firvor tornò poche ore dopo, con il pranzo e il tassativo ordine di riposare e non pensare nemmeno a uscire. Lei non rispose, si limitò a piluccare quel cibo che sembrava soltanto farla sentire peggio. Così, quando la sua compana si accomodò sulla sponda del letto, Touko non la notò nemmeno. Un rumore si diffondeva per il palazzo, senza tregua, facendole dolere le tempie. Touko sbuffò, tirandosi a sedere, gli occhi spalancati. Sembrava quasi una mandria di Pokémon imbufaliti. O, lo sarebbe sembrato se non ci fosse stato il Muro. «Cos'è questo rumore?» domandò, cercando di distinguere qualcosa in quella cacofonia. Firvor ridacchiò, con aria pensierosa.
«Oh, è una storia parecchio lunga» spiegò, scrollando le spalle. «Cercherò di sintetizzarla al massimo» disse, assorta. «Il nostro Re, un tempo, era un Allenatore come molti altri, un ragazzino. Accadde tutto circa un anno prima del Regime, quando ancora Natural Harmonia cercava un modo per salire al potere».
Touko li ricordava con chiarezza, quei tempi: c'era anche lei. Era stato poco meno di sei anni prima, un tempo infinito, interminabile. I ricordi, persi nell'ennesimo spazio che non riusciva a misurare, in un tempo che non sapeva contare, erano fantasmi sempre presenti. Per sei anni, di N era rimasto un fantasma, un qualcosa di talmente vago che, a volte, Touko aveva perfino sospettato di aver immaginato tutto. A volte. Poi si svegliava per ricordare che, sfortunatamente, la storia era diversa. Aveva tredici anni, al tempo. Non poteva avere idea. E, anche se l'avesse avuta, si sarebbe persa nei pensieri confusi di un'adolescente alla prima cotta.
«Non abbiamo un nome di riferimento. O, meglio, l'avremmo, se soltanto potessimo usarlo: il Grande Capo l'ha reso illegale, o qualcosa del genere. L'ultima volta che qualcuno l'ha nominata davanti al Re... quel qualcuno è diventato, di diritto, una cavia dei Gemelli» osservò Firvor, con un brivido. «Non è una storia facile, da conoscere, e non è nemmeno una favola: Lei era una di quelle persone che, il talento, l'aveva nel sangue. Forse è per questo che il Re cominciò a inseguirla, non ha mai smesso».
Ma Touko avrebbe davvero voluto che avesse deciso di farlo. Di smettere di inseguirla: non l'avrebbe mai presa. Era un finale un po' cliché di una storia non scritta: non l'aveva nemmeno riconosciuta. Se l'avesse fatto, forse sarebbe stato peggio. Touko, nel pieno del suo orgoglio, non avrebbe mai sopportato che la vedesse in quel modo.
«Nessuno saprebbe descriverla: sappiamo soltanto che aveva i capelli castani e gli occhi azzurri» osservò Firvor. «E lui continua a cercarla. Dicono che l'ami con tutto il cuore e, sebbene lei sia probabilmente una ribelle, la prenderebbe per farne la sua regina. Se soltanto la trovasse».
Touko sorrise, leggermente. Sicura che, per nessun motivo al mondo, si farebbe trovare. Non per diventare una maledetta regina delle bestie. Nemmeno per lui, per N. Ci sono giuramente da cui non si prescinde, o principi, o semplicemente desideri. Touko, prima di tutto, era libera. L'avevano torturata, minacciata e illusa. Non sarebbe mai potuta essere una di loro. Non sarebbe mai potuta essere di N, e guardarlo in volto per vedere... che cosa, poi, non lo sapeva nemmeno. Per vedere lui, forse.
«Solo che non la trova: ogni settimana, ogni giovedì, le Sentinelle portano qui un gruppetto di ragazze» continuò Firvor. «Sperando che ci sia lei, nel gruppo. Anche se non la trovano mai. E, se la trovassero, penso che il Re non lo verrebbe mai a sapere: la ucciderebbero e basta».
Touko si irriggidì, improvvisamente. Si costrinse a sorridere. «Sembra davvero una bella storia» commentò, atona. «Una gran bella fiaba».
Firvor annuì, partecipe. «Il grande problema è che è tutto vero. Ogni singola parte della storia».

 

***

 

Accadde poche ore dopo, con Firvor che corse nella stanza di Touko per raccontarle i nuovi risvolti della vicenda. Ed era per questo che non si vedeva N da tutto il giorno, quando solitamente non faceva che gironzolare per il Castello, come alla ricerca di qualcosa. Di qualcuno.
«L'hanno trovata, Blanche, l'hanno trovata!».


 


Riferimenti:

  • Blanche: essendo Touko il personaggio giocante di Nero/Bianco, mi è venuto istintivo chiamarla così. White, Blanche, il significato è quello.
  • Firvor: inutile dire che Lotte è un diminuitivo (Charlotte). Firvor, invece, deriva da un mio stupido gioco di parole. Per chi non l'avesse ancora intuito, dato che è pari a un giochetto delle elementari (maturità level: Bessie). Firvor: First Survivor.
   
 
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