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Autore: PeaceS    02/02/2015    6 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo ventinovesimo -
Stay Alive, ultima parte






Il Ministero della Magia Inglese era diventato un misero mucchio di detriti, sangue e polvere... un campo che ospitava morte. Che mostrava morte.
Lily era chinata sul corpo di Scorpius e riusciva a sentire la cupa Signora con la falce respirarle sul collo, contare le vittime, portarle con sé e banchettare sulle loro anime – sazia dello scempio che si era tenuto quella notte.
Sazia del dolore che trasudava da ogni singolo poro.
I suoi occhi bruni guizzavano in ogni dove e da nessuna parte: ovunque si posasse il suo sguardo, corpi senza vita brillavano simili a stelle cadute. Spenti per lo schianto, tristi in quell'angolazione così strana e quasi agoniosa per la sorte angosciosa che avevano dovuto subire, ma meravigliosi per il cratere di dolore che avevano lasciato al loro precipitare.
“Dio” annaspò quasi senza voce, affondando le dita nel petto del suo fidanzato e continuando a sporcarsi del suo sangue.
Lo stesso sangue che in passato li aveva resi nemici e ora sembrava richiamarla a sé in un modo quasi primordiale; aveva perso ogni cosa e la disperazione sembrava volerle piegare le membra – spezzarle le ossa e infine, in modo quasi crudele, frantumarle il cuore.
Stava perdendo più di ciò che si era prefissata e il dolore ora le risultava quasi insopportabile, così cattivo da toglierle il respiro e la voglia di alzarsi da quel pavimento; le ginocchia sanguinavano copiose per la pietra che le stava penetrando nella pelle, ma la sofferenza era quasi nulla: le sue mani non si staccavano da Scorpius e i suoi occhi erano appannati dalla morte.
“Aiutatemi, vi prego.
Aiutatemi!” urlò con quanto fiato avesse in gola, sentendosi una bambina impotente dinnanzi alla morte.
Lei le stava portando via l'unica persona per cui Lily aveva combattuto – per cui avesse provato qualcosa in tutta la sua misera esistenza.
La cupa Signora le stava portando via l'uomo che le aveva insegnato ad amare ed essere amata, a combattere e accettare di essere sconfitta.
L'uomo che aveva amato ogni suo difetto. L'uomo che aveva accettato il suo lato oscuro.
“Vi prego” singhiozzò ancora, con gli occhi intrisi di lacrime.
Piccoli rivoli d'acqua ora le stavano accarezzando le guance – lavandole dal sangue e dalla polvere. Lily non ricordava dove, ma una volta aveva letto che le lacrime erano piccoli pezzi d'anima e quando lo strazio era troppo forte, tanto da strappare via qualsiasi consapevolezza o voglia di poter andare avanti, questi scivolavano via senza alcun riguardo, lasciando, alla fine, il nulla.
E Lily cominciava già a sentirlo, quel nulla. Quel vuoto di cui parlava quella leggenda, lei lo sentiva già allargarsi dentro – proprio all'altezza del petto, dove avrebbe dovuto esserci il cuore.
“Spostati”
Quella voce era calda. E bassa, quasi come se avesse paura di disturbarla. Il tono era graffiante, quasi roco, e Lily alzò gli occhi di scatto sull'uomo che si stava inginocchiando ai piedi di Scorpius.
Aveva i capelli neri come le ali di un corvo e lisci e luminosi come la seta più pregiata; i suoi occhi erano dello stesso colore dell'ebano – dal taglio felino – e fissavano la ferita di Scorpius con criticità.
“Mi serve una pinza...un qualcosa con cui possa estrarre il proiettile” mormorò l'uomo, lasciando scivolare le dita da pianista nel buco che attraversava la carne del piccolo Malfoy.
Sembrava sapere di cosa parlasse e Lily non ci mise molto a richiamare, con un accio, qualsiasi cosa potesse aiutarli; le sue dita erano tese e il suo petto ansante: se fosse successo qualcosa a Scorpius, lei lo avrebbe seguito senza pensarci su due volte.
Ma... quel pozzo nero racchiuso in un taglio d'occhi sottile ora la stava fissando e Lily, per un attimo, si sentì soggiogata. Erano così bui e profondi da conoscere l'entrata, ma non l'uscita.
Erano così...così...
“Questa va bene”
Senza esitazioni le strappò l'unica cosa che l'accio le aveva depositato tra le mani: una pinzetta per capelli. Il suo tocco era caldo, quasi bollente e Lily rimase immobile alla carezza sottile che le fecero distrattamente i polpastrelli quando le presero l'oggetto dalle mani.
Erano così... così...
“Dobbiamo fargli delle trasfusioni di sangue e chiudere questo maledetto buco prima che muoia dissanguato” bisbigliò l'uomo, infilando senza delicatezza le due estremità della pinza nella carne e cercando il proiettile. E la sua voce era...
Era così... così...
“Avanti, andiamo...” si esortò da solo, assottigliando lo sguardo per concentrarsi di più.
Aveva le spalle larghe, quasi possenti e sembrava così grande accostato a lei.
Ed era così... così...
Le gambe erano lunghe e i jeans strappati e insanguinati in più punti.
Ed era così... così...
“Eccolo, questo piccolo bastardo!” esultò a voce alta, estraendo la pallottola e rigirandosela sotto il naso con un guizzo di vittoria negli occhi scuri.
Lily non sapeva spiegarselo com'era, ma dentro lei si era smosso qualcosa – qualcosa a cui non sapeva dare un nome, ma che l'aveva fatta rinsavire in un attimo.
E tutto quello non le piaceva.
Non le piaceva affatto.


E mentre Lily Potter si ritrovava dinnanzi a quel bivio – che in un futuro prossimo le avrebbe causato non pochi problemi – suo padre era riverso al suolo, con lo sguardo riverso verso il soffitto. Con uno squarcio nello stomaco che continuava a sanguinare e il volto tumefatto in più punti, Harry Potter sorrise.
Erano passati anni e lui aveva perso ogni cosa lo riguardasse; Voldemort aveva ucciso ogni cosa che lui aveva seminato, come una tempesta impossibile da fermare. Ogni cosa che aveva costruito, lui era sempre stato pronto a distruggere – come se aspettasse. Come se lo scopo della sua vita fosse non ucciderlo, ma renderlo infelice.
“Harry, tesoro...tutto bene?”
La voce di sua moglie fu quasi un balsamo per le sue ferite: rovesciò lo sguardo alla sua destra e la vide sedersi a gambe incrociate sulla pietra, distrutta.
Aveva un taglio sulla guancia e un livido che si stava espandendo pian piano sotto l'occhio destro; il maglione panna era grigio per la polvere e chiazzato di rosso per il sangue, mentre riusciva a vedere le varie parti del corpo colpite da chissà cosa o chi.
“Sei ferita?”
La vide scuotere il capo e sorridergli in modo debole, ma dolce come suo solito.
Harry si chiese cosa stesse pensando in quel momento: al suo fianco aveva vissuto una vita fatta d'inferno e dolore e lui stesso avrebbe detto basta dopo l'ennesima batosta.
Lei, Lily, Albus, James... cosa erano stati costretti a subire solo perché lui si era arrogato il diritto di vivere una vita normale?
A lui non era concesso vivere una vita normale e lei non avrebbe mai dovuto sposarlo – per poi vivere in quelle condizioni. Per poi vivere infelice.
“No, non sono ferita e nemmeno i bambini.
Stiamo tutti bene” disse, guardando con occhio triste lo scempio che la circondava.
Tutto ciò che amava era lì, circondato dalle macerie.
Tutto ciò che amava era lì, un cumulo di morte, sangue e polvere.
“Perché mi hai sposato?” Harry la guardò in un modo così freddo che per un attimo, la rossa, temette di aver sbagliato qualcosa.
“Perché ti amo, che domande sono?” rispose prontamente Ginny, riavviandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Harry lo vide di uno strano colore viola e uno spasmo di rabbia e dolore lo colpì dritto al petto, quasi piegandolo in due.
“Ami il dolore o l'infelicità che ti sto dando da quando abbiamo diciassette anni?” sibilò incattivito, toccandosi con un lamento lo squarcio nello stomaco.
Ginny si avvicinò a carponi e con le dita tastò la ferita che lo attraversava: mentre apriva bocca per rispondergli, delle bende gli strinsero il busto e impedendo così altre perdite di sangue.
“Amo quando torni a casa la sera, distrutto dal lavoro, ma capace di ascoltare ogni mia singola sciocchezza o lamento.
Amo i tre ragazzi meravigliosi che mi hai dato e il fatto che assomiglino tremendamente a te; amo i tuoi occhi verdi e il modo in cui mi guardano, in cui mi capiscono.
Amo quel ragazzo dodicenne, che per la prima volta ha varcato la soglia di casa mia, così impaurito, ma attraversato dall'orgoglio e la fierezza. Amo il fatto che tu abbia rischiato la tua vita per me, salvandomi e salvando la mia famiglia.
Sei stato simile ad una corda, per noi, Harry; tu ci hai tenuto legati e insieme in un modo che io non potevo nemmeno immaginare. Tu hai reso la nostra famiglia completa – tu hai fatto in modo che potessimo essere chiamata famiglia.
Ci hai riscattato, aiutato, amato come fossimo sangue del tuo sangue e io e i miei fratelli, come i miei genitori, non abbiamo fatto altro che ricambiare ciò che tu ci hai dato dall'inizio.
Amo il tuo non arrenderti mai, il tuo perdonare chiunque – anche il più malvagio essere umano.
E sì, avrei potuto vivere una vita normale, ma che senso avrebbe avuto?
Che vita sarebbe stata senza te, Albus, Lily o James?” disse, determinata come sempre.
Ecco cosa amava Harry della sua piccola Ginny: il suo risollevarlo anche nei momenti più duri e distruttivi. La sua fiducia, la caparbia, l'essere la manica e il coltello. Lei poteva ucciderlo e curarlo. Renderlo felice e infelice con un solo battito di ciglia.
“Mi sento un uomo orribile” annaspò Harry, lasciando – senza alcuna vergogna – che alcune lacrime gli solcassero le guance.
Aveva paura. In quel momento, più che mai, aveva una paura tremenda.
Tutte le persone che erano morte a causa sua, tutta la sofferenza che si stava riversando sulle sue spalle, ora era quasi insopportabile. Aveva paura di perdere ancora. Aveva paura di essere sprofondato in uno dei suoi incubi, dove di certo non era lui il vincitore.
“Non puoi essere un uomo orribile, Harry Potter, non è nella tua natura e non lo sarà mai; tu sei un puro di cuore e sei il salvatore del mondo magico - che ti piaccia o no, quindi...alza quel culo dal pavimento e cerchiamo di aiutare quelli che sono rimasti in vita” sbottò Ginny, alzandosi di scatto e chiudendo i pugni.
Ah, che bella la sua regina.
Ginny era una regina senza corona e avrebbe potuto diventare Ministro senza alcun problema: polso fermo, sicurezza e voglia di cambiare il mondo.
Ginny era una leonessa, ma non aveva chiesto potere sul territorio che la circondava: se l'era preso e basta, con la sua determinazione e il ruggito d'orgoglio che le faceva vibrare il petto ad ogni decisione che prendeva.
Una leader nata e lui non avrebbe potuto chiedere di meglio nella sua vita.
“Mi sento un tantino confuso”
Per poco ad Harry non venne un infarto quando, davanti agli occhi, gli si presentò la faccia di Diamond con i capelli neri e lunghi e lo sguardo grigio come l'acciaio diluito.
“Ma cosa cazzo...” sbraitò, con una mano sul petto e l'espressione di chi non ci capisce più nulla.
“Harry, ma cosa diavolo ci fai qui? Sei schiattato pure tu?” Sirius si grattò il capo con giusto qualche dubbio che gli trapanava il cervello e, strizzando gli occhi, si chiese perché avesse quel maledetto mal di testa.
Sirius? Sirius, sei tu?” mormorò il bambino sopravvissuto, spalancando gli occhi fino all'inverosimile e sentendo quasi il cuore scoppiargli nel petto.
Quello sguardo non poteva mentire. Harry lo conosceva bene: lo sognava oramai da anni e ora – ritrovarseli a pochi metri di distanza – fu quasi un colpo.
“Certo che sono io, chi vuoi che sia?” s'indignò Black, incrociando le braccia al petto come un bambino.
“Merlino santissimo... ci è riuscita!” mormorò Ginny, tappandosi la bocca con entrambe le mani e cercando di trattenere le lacrime.
La morte di Diamond – che per metà aveva sangue Black nelle vene – e il suo cuore, erano serviti per riportare l'anima di Sirius indietro... in un corpo che gli apparteneva solo per metà. In un corpo che era suo solo ed esclusivamente per discendenza.
“A fare cosa? Ma che succede?”
Ora davvero Sirius non ci capiva più niente: un attimo primo era lì, a gingillarsi con le sue dita insieme a tutte le anime cadute dietro il velo – aspettando che il paradiso aprisse le sue porte – e un attimo dopo si ritrovava a... a... a casa.
“Quanto mi sei mancato!” urlò Harry, buttandogli le braccia al collo.
Piangeva per il dolore alla ferita, per aver perso e... aver ritrovato un amico, un mentore, un padre.
“Anche tu mi sei mancato, Harry” sorrise Sirius, stringendolo forte a sé.
Non era cambiato nulla: erano ritornati ad anni prima, quando Harry era solo un adolescente e lui quel padrino sconsiderato – l'unico membro della famiglia che gli era rimasto.
E al diavolo come ci era finito lì, quale incantesimo oscuro avevano usato per strapparlo dal limbo d'aspettazione... era lì e tra le sue braccia c'era Harry. Finalmente. E quella volta non sarebbe stato così stupido da abbandonarlo nuovamente.
Era stato così egoista a mettere in primo piano la sua sete di vendetta, lasciando che il dolore e la rabbia per la perdita di James lo accecassero a tal punto da rompere l'unica promessa che si erano fatti prima che morisse: stare accanto ad Harry ed essere come un padre per lui. Stare accanto ad Harry e non fargli pesare l'essere solo, l'essere la causa della perdita dei suoi genitori.
“Giuro che non succederà più e, se me lo permetterai, sarò quel padre che per colpa mia non hai mai avuto” gli sussurrò Sirius all'orecchio, respirando il suo profumo a pieni polmoni.
Era una sensazione magnifica e lui si sentiva ringiovanito di trent'anni.
“Hm, ha funzionato”
Quella voce atona li costrinse a dividersi e Sirius si ritrovò davanti quella che, di primo acchito, crebbe una visione: sporca di polvere e sangue, simile ad una bambola di porcellana o una Dea vendicatrice, con gli occhioni da cerbiatta e le labbra carnose rosso vermiglio, Lily Luna Potter depositò il corpo di Scorpius Malfoy ai propri piedi – senza che l'uomo al suo fianco l'abbandonasse un secondo.
“Ti ho scelto un bell'involucro, nonnino... non credi?” sogghignò la rossa, causandogli quasi un infarto quando pronunciò nonnino.
“...Ti prego, dimmi che non mi hai appena chiamato in quel modo” ispirò a denti stretti – assottigliando lo sguardo d'acciaio e fissandola, pronto a poterla sbranare.
“Sì, ti ho chiamato nonnino. E direi che per l'età l'appellativo non è nemmeno così cattivo.
Sentiti almeno fortunato, poiché il corpo che ti è stato designato può avere si e no vent'anni appena” sorrise Lily, sfinita, ma sempre portatrice di quel pizzico di cattiveria che le aveva permesso di essere smistata nei Serpeverde.
Un alito di vento la fece rabbrividire e, scuotendo il capo, si guardò attorno.
C'era la desolazione attorno a lei, ma riusciva ancora a sentire quel respiro affannato proprio all'orecchio – come se qualcuno avesse corso e ora si fosse accostata al suo fianco. Fianco vuoto.
“L'ho nascosto”
La voce di Roxanne era lontana e debole, come se avesse aperto bocca a chilometri di distanza e Lily sobbalzò, girando su se stessa come una trottola impazzita.
“Rox, sei tu?” disse cauta, attirando l'attenzione dei presenti e zittendoli di botto.
“Ho dovuto nasconderlo. E mentre voi lottavate contro la vita, io aspettavo che lui si trasformasse; il mio Frank...hanno ucciso il mio piccolo e dolce Paciock”
Quella voce che sembrava provenire da lontano era distrutta e Lily poté immaginare sua cugina mettersi le mani sul viso e graffiarsi le guance – disperata.
“Ha aperto gli occhi e non era lui.
Ha aperto gli occhi e non era più lui” annaspò ancora, piegandosi su se stessa e lasciando che i capelli le coprissero il volto sfregiato.
E Lily la vide. Accucciata in un angolo – simile ad una Madonna in preghiera – Roxanne ciondolava il corpo con il sangue che le gocciolava dalla gola.
“Merlino!” urlò Ginny, correndo verso di lei in men che non si dica; prese delicatamente il suo viso tra le mani e, oltre un taglio che andava dalla tempia fino alle labbra, un morso sulla gola spiccava livido contro la carne morbida e tesa.
“Mi ha morso ed è andato via. Lui è scappato e io non so nemmeno dove sia andato, se sopravviverà... se ritornerà” singhiozzò Roxanne, aggrappandosi alle spalle di sua zia come una disperata.
Non vedeva più sua madre né suo padre e aveva paura, freddo e sonno. Tanto sonno. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e dormire per secoli, finché il ricordo di quella notte non sarebbe scomparso completamente dalla sua testa.
“Va tutto bene, piccola mia. Frank è forte, sopravviverà”
La voce di suo padre gli graffiò l'udito e Roxanne alzò di scatto gli occhi intrisi di lacrime: si era inginocchiato ai suoi piedi, come un suddito dinnanzi alla sua regina, e la guardava fiero come non lo era mai stato in vita sua.
“Papà...”
Le stava baciando il palmo della mano con delicatezza, accarezzandole la fronte con una dolcezza che poche volte Roxanne aveva provato sulla pelle.
“Sono fiero di te, piccola mia” disse sicuro, prendendola tra le braccia e nascondendola dal corpo senza vita di sua madre.
“Frank sopravviverà” ripeté suo fratello Fred, apparendo al suo fianco pallido come un lenzuolo e zoppicante.
Roxanne si accoccolò sul petto di suo padre, stringendo il suo maglione strappato tra le dita.
“Cosa che non si può dire degli altri” mormorò Lily, guardando Annie, Lorcan, Anthony, Asteria – un quarto dei ragazzi, la metà degli Auror...Ron, il dolce Ron, due demoni e altri orrori che preferì non guardare.
“Non ci resta altro che pregare”
Albus apparve piccolo e mingherlino come sempre, con la guancia sporca di sangue e ancora confuso per il lungo sonno a cui era stato costretto.
Guardava attorno a sé e sembrava così triste... così impietosito, come un Dio che osserva la sua opera migliore distruggersi da sola.
“La signora Zabini è morta e Dom... Dom non si sveglia” sussurrò – tirando su con il naso come un bambino che si è appena sbucciato un ginocchio.
“James sta piangendo, tanto e non sono riuscito a staccarlo da lei” continuò, mentre Lily sentiva il cuore stringersi in una morsa.
Il suo fratellone... così innamorato. Così perso. Lo immaginò distrutto accanto al corpo della bionda e tremò.
“Dalton è vivo?” Blaise alzò lo sguardo vuoto sul ragazzo e Albus annuì, asciugandosi una lacrima che era sfuggita dal suo controllo.
“Sì, è con Joe e cerca di... di svegliare sua madre” sibilò, stringendo le pupille fino a non vedere niente. Come a voler cancellare lo scempio che aveva trovato appena aperto gli occhi.
Quanto dolore. Quanto dolore...
“Hugo non ce l'ha fatta”
Rose apparve con Tom e sembrava morta. Capelli tagliati sotto il mento, labbra bruciate da quello che sembrava acido e occhi spenti – vuoti – avvolti da un ombra così triste che Lily quasi si sentì soffocare.
“E nemmeno papà” singhiozzò, appoggiandosi di peso contro Tom e sentendo il cuore quasi sopprimergli nel petto.
Mai, mai in vita sua avrebbe immaginato di poter provare un dolore simile e poter sopravvivere. Mai, mai in vita sua avrebbe potuto immaginare che un dolore simile esistesse – e fosse tutto lì, racchiuso nel suo corpo oramai debole e raggrinzito, privo di linfa vitale.
Voleva morire. Aveva voglia di morire.
Come si poteva voler morire a diciassette anni?
“Credo che per ora, il posto più sicuro per noi sia Hogwarts” la preside Mcgranitt li raggiunse con il suo bastone, piegata ancora una volta dagli eventi... ma non spezzata. Sembrava indistruttibile, come la scuola di cui era preside.
“Draco ed Hermione sono già lì, poiché la signorina Granger era davvero in pessime condizioni” borbottò, sfinita.
Ancora una volta avrebbe dovuto lei stessa fare la conta dei morti. Ancora una volta lei stessa avrebbe dovuto portare le salme dei defunti ai propri parenti – nei posti in cui erano destinati.
E Minerva Mcgranitt era stanca. Tanto stanca.
“Sono orgogliosa di voi e di come avete combattuto” disse, asciugandosi una lacrima birichina.
Li guardò ad uno ad uno – come di solito fa una madre apprensiva – e le rughe sul suo volto si distesero quando la sua bocca sorrise dolcemente.
“Sono orgogliosa di tutti voi e di come avete, ancora una volta, sacrificato tutto per il bene della comunità magica e non.
Non avrei potuto chiedere dei figli migliori”
Perché era vero. Tutti loro, iniziando da Sirius a quei piccoli marmocchi ora spaesati, erano come dei figli; li aveva visti crescere ad uno ad uno, dai loro nonni ai loro genitori e poteva davvero dire di essere come una madre per ognuno di loro.
“E mi dispiace che abbiate dovuto subire tutto questo. Mi dispiace davvero” sussurrò, sospirando pesantemente.
Lily accarezzò il volto di Scorpius ai suoi piedi e l'uomo al suo fianco – che si chiamava Marco – inclinò il capo verso di lei; era un Auror Italiano, aveva detto, e si era trasferito in Inghilterra da poco.
“Torniamo a casa?” domandò Lily, accogliendo assensi tra tutti i presenti.
Avrebbero dovuto raccogliere Auror feriti e in fin di vita, amici e conoscenti, familiari e amanti...e sarebbe stato un lavoro lungo, quindi Lily si armò di santa pazienza e sperò di mettere presto piede ad Hogwarts.
Almeno lì, solo per poco, avrebbe potuto fingere che non era successo nulla.
Avrebbe potuto fingere che non avevano perso miseramente.






Due ore dopo, una truppa atterrò ai piedi della prestigiosa scuola di magia e stregoneria di Hogwarts; chi in barella, chi zoppicante e chi con gli occhi gonfi di lacrime, si riunirono tutti nella Sala Grande.
I tavoli si spostarono, diventando letti e presto la Sala si riempì di infermieri da ogni dove; furono serviti di té caldo e coperte, fazzoletti e premure ed Harry Potter presto si ritrovò faccia e faccia con il suo vecchio mentore.
“Harry, ragazzo mio...” sospirò Silente, fissandolo triste attraverso gli occhialetti a mezzaluna.
“Guarda, guarda cosa sei ancora costretto a subire” bisbigliò, ringraziando con uno sguardo l'elfo che si era premurato di spostarlo dall'ufficio della preside alla Sala Grande.
“Signore...” gli occhi di Harry erano inumiditi e Silente sospirò ancora, scuotendo il capo.
Harry Potter era ancora un bambino, era quella la verità. Quel bambino che era stato costretto a subire un destino che non aveva mai voluto, che lo perseguitava da quando era nato; Harry aveva agognato i genitori da piccolo, una vita senza pericoli da adolescente e la tranquillità con i suoi figli da adulto...cose che mai, mai aveva avuto.
Ed era triste. Era triste pensare che non desiderava altro che cose perfettamente normali... che non si sarebbero dovuto nemmeno desiderare.
“Il mio piccolo prescelto” continuò ancora il vecchio preside.
Non aveva saputo fare nulla per lui... nulla che avesse potuto alleviare il suo dolore o qualcosa che avrebbe impedito gli strascichi di quella guerra.
Non avevano fermato Lord Voldemort e oramai anche lui cominciava a pensare che fosse impossibile.
Eppure... eppure lui sapeva. Sapeva che non era così.
“Abbi fede, ragazzo mio” mormorò, mentre Piton guardava impietosito, ancora una volta, lo scempio che li circondava.
“Presto, molto presto, i tasselli andranno a suo posto e anche se Tom è tornato, qualcuno di molto inaspettato riuscirà a mettere fine a tutto questo” disse serio, con il solito enigma sulla punta della lingua e quegli occhi azzurri che sapevano tutto – tutto ciò che c'era da sapere. Tutto ciò che era impossibile sapere...tranne per lui.
“Io sono il prescelto e sarebbe mio compito eliminarlo” disse Harry, togliendosi gli occhiali dalla montatura rotonda e stropicciandosi gli occhi.
“No, caro. Era compito tuo tempo fa, quando la sua anima era legata alla tua, ma ora che lui è tornato... ora che lui ha sangue di demone nelle vene, il compito passa a qualcun altro”
Harry alzò lo sguardo di scatto, spalancandolo fino all'inverosimile: in poche parole, Silente, gli stava dicendo che quella guerra sarebbe continuata... e anche se lui avrebbe per sempre portato la bandiera – quella della speranza – non era più compito suo trovarsi faccia a faccia con il serpente dagli occhi rossi.
Non stava a lui ucciderlo.
“Ci vorrà tempo prima che lui riprenda potere... abbastanza tempo da poter permettere a lei di potersi rialzare.
Ci sarà una donna, Harry. Una donna che ora non sa cosa racchiude la sua anima: non è tua figlia, ma qualcuno con il vostro sangue nelle vene.
Lei ora ha tutto ben nascosto, non sa cosa le aspetta... non sa cosa c'è oltre la magia. Per questo motivo la cercano.
Per questo motivo l'inferno la vuole come regina, ma non riescono a visualizzarla. Ancora non riescono a capire come il suo potere non brilli tanto da poter capire dov'è.
Ci sarà una donna, Harry. E questa donna sarà la salvezza assoluta.
Questa donna metterà fine a tutto... sacrificando ogni cosa.
Sacrificando anche la sua anima” disse Silente, ammaliando tutti con le sue parole.
Era una profezia, quella.
Una profezia in piena regola, ma che non sarebbe mai, mai uscita da lì.
Ginny si strinse a suo marito e Lily alzò lo sguardo sul vecchio preside, tremante; lei aveva capito. Lei sapeva chi era quella donna, di chi Silente stava parlando con quella strana luce nello sguardo.
Quella era la seconda profezia a cui assisteva. Ed entrambe riguardavano una sola ed unica persona.
“Ci aspettano momenti bui... molto bui” sussurrò, accarezzando il volto di Scorpius disteso su una barella al suo fianco.
Il ragazzo, con il busto e il petto completamente fasciato, la fissò con gli occhi grigi leggermente appannati dal dolore.
“E lontani da Hogwarts, saremo anche più vulnerabili” disse, passandosi una mano tra i capelli rossi e sospirando pesantemente.
“Dominique è in coma” la voce di James sembrava quella di un'automa e Albus sembrò prevenire quello che stava per succedere, perché si accucciò in un angolino e si tappò le orecchie.
E James urlò. Urlò così forte che i vetri si ruppero e i personaggi raffigurati nei quadri fuggirono dalle proprie cornici.
James urlò e la sua voce superò i decibel consentiti per un essere umano.
Urlò e si graffiò la gola, ma non si fermò... anzi: con una forza che spaventò i presenti cominciò a distruggere tutto ciò che si trovava sul suo cammino.
Bicchieri, piatti, sedie, tavoli... e il muro. Con i pugni chiusi cominciò a colpire il muro dinnanzi a sé.
Una volta, e il volto di Dominique mentre veniva torturata gli saltava in mente con una violenza inaudita.
Due volte, e continuava a pensare a come non era riuscito a fare nulla. A come un incantesimo come il cruciatus l'aveva piegato in due, impedendogli di difendere l'amore della sua vita.
Tre volte, e quasi sentì le nocche scricchiolare sotto i colpi.
Quattro volte, e James capì. Capì che se lei non si sarebbe svegliata, la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.
Cinque volte, e la mano si ruppe definitivamente, ma non si fermò.
Lei era in coma e forse non avrebbe mai più aperto gli occhi. Forse sarebbe stata sempre lì, stesa su un letto dalle lenzuola bianche – con lo sguardo chiuso e la mente chissà dove.
Dominique... la sua bellissima e dolcissima Dominique.
Come avrebbe fatto? Cosa avrebbe fatto senza di lei?
“Mi dispiace”
Le braccia esili di sua madre gli circondarono la vita e James si fermò, affannando con il petto.
Aveva un odore particolare, sua madre. Quell'odore che senti una volta nella vita e che cerchi sempre, in ogni persona o luogo, ma non trovi mai.
Odorava di biscotti sfornati di prima mattina e le coccole fatte a letto; odorava di latte e miele e i baci della buonanotte.
Sua madre odorava di bene e casa e James si permise – l'unica e sola volta – di accasciarsi contro di lei e piangere.
E pianse. Oh, se pianse.
Pianse perché era un uomo, ma si sentiva un bambino impotente.
Pianse perché era un Auror, ma non era riuscito a proteggere l'unica persona per cui avrebbe sacrificato la sua vita.
“Era lì e non ho potuto fare nulla... ero lì e non sono riuscito a salvarla!” urlò, singhiozzando.
“Non hai potuto far nulla, tesoro.
Non è colpa tua. Lo sai.
Non è colpa tua” bisbigliò Ginny, mentre James abbassava il capo – sconfitto.
Era di spalle, ma lei riusciva ugualmente a sentire le lacrime rigargli il volto: vedere suo figlio ridotto in quello stato la distruggeva.
Come aveva fatto ad essere così cieca?
James, il suo James era innamorato. Lui, così sbruffone, strafottente, sciupafemmine... si era innamorato di due occhioni azzurri e dei capelli biondi.
Il suo bambino si era innamorato di sua cugina e per tutto quel tempo... lei non se n'era accorta.
Era stata cieca e stupida, chiudendo gli occhi dinnanzi all'evidenzia.
“C'è a chi aspetta cose peggiori” mormorò George, fissando sua sorella con sguardo spento.
Sì... Frank era introvabile, Lysander paralizzato dalla vita in giù e Rose aveva perso un padre e sua madre era stata quasi fatta a pezzi. Hugo era morto, come la maggior parte dei ragazzi che avevano partecipato alla battaglia.
Lucy... Lucy se ne stava seduta in un angolino, con le gambe incrociate e lo sguardo perso.
Sembrava inanimata, simile a quelle bambole che a sua madre piaceva collezionare fin da bambina.
E no... lei non lo sapeva cosa stava per succedere.
Lei non sapeva che il suo destino stava, finalmente, per compiersi.

 
   
 
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