Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldmackerel    03/02/2015    9 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Yahoo! Non vedevo l'ora di postare questo capitolo, e dal momento che ho riso come una cretina tutto il tempo che mi ci è voluto per tradurlo, sono certa che vi piacerà. Detto questo, volevo ringraziarvi immensamente per il supporto che la fic sta avando, per il numero di preferiti/seguiti/da ricordare e per tutte le visualizzazioni/letture. Avevo un po' paura che questa storia piacesse ma a quanto pare mi sbagliavo. Grazie in maniera particolare a chi commenta! Domani alla prima ora libera rispondo a tutti i commenti ricevuti nell'ultima settimana. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: mmh... nulla da segnalare?


The 6th ward
CAPITOLO 6: Polmonite

4 mesi, 30 giorni

“Ehi, Eren,” disse Connie svogliatamente. “Tu hai un elenco di cose da fare prima di morire?”

Il clima stava iniziando a raffreddarsi, come ovvia conseguenza al fatto che ormai erano i primi di novembre, ma questo fatto non aveva impedito ai pazienti del reparto sei di spendere la maggior parte delle loro giornate fuori. Ora che erano tutti in grado di lasciare l’ospedale, sembrava che questa fosse diventata una delle cose che preferivano di più. A Levi sarebbe semplicemente piaciuto che questo cambiamento fosse avvenuto in estate. Il clima freddo gli andava bene e tutto, ma sedere fuori per ore nelle gelide sere invernali, stava iniziando a non piacergli più. Ma veniva pagato per controllare dei pazienti comatosi, e, per quanto chiunque avrebbe potuto pensare che questo volesse dire effettivamente fissare i loro corpi morti, Levi credeva che le loro anime mortali avessero un posto più alto tra le sue priorità. L’unica cosa che desiderava è che fossero affetti dal freddo tanto quanto lui.

Eren fece un verso vago.

“Sei una palla.” disse Connie, facendo il broncio.

“Siamo già morti,” puntualizzò Eren. “Quell’elenco si fa prima di morire, non dopo.”

“Sì, ma quindi non ne avevi uno nemmeno prima di morire?” insistette Connie.

“Amico, quale ventiduenne ha una lista di cose da fare prima di morire? E’ un po’ morboso.” rise Eren.

“Sì, ma sono certo che c’erano un sacco di cose che avresti voluto fare non riuscendoci.”

“Ovvio.” rispose Eren.

“Bertholdt aveva una lista,” disse Connie, gesticolando verso il ragazzo allampanato che stava cercando di farsi i fatti suoi, seduto dall’altra parte della panchina.

Bertholdt sembrava un po’ imbarazzato dal fatto di essere stato messo in ballo, e scosse la mano come se fosse una cosa di poca importanza. “Non proprio. Volevo solo lasciare il paese, ma ero sempre occupato ad insegnare. Ho avuto intere estati in cui avrei potuto viaggiare, ma ho sempre rimandato ad un altro anno. Ma va bene così.” aggiunse subito, nascondendo una nota di mestizia nella voce.

“Io volevo imparare a ballare.” offrì Reiner.

“Che stupidaggine,” lo prese in giro Connie. “Ballare non è difficile.”

“Già, infatti proprio tu balli benissimo.” borbottò Sasha.

“Io volevo finire la scuola di legge.” disse improvvisamente Annie. Tutti si girarono verso di lei, mentre la ragazza tornò semplicemente a fissare il punto indefinito nella direzione verso cui guardava sempre.

“Chissà perché l’idea di presentarmi ad una corte e trovare Annie sulla panca opposta alla mia è così terrificante.” scherzò Eren, guadagnandosi una risata da tutti e persino un sorrisino da Annie stessa.

“Io volevo un bambino.” disse Jean esitante.

“Sì, ma poi avrebbe finito per somigliarti.” rise Connie. Eren e lui batterono i pugni a mezz’aria mentre Jean sembrava stare considerando se uno dei due sarebbe potuto morire una seconda volta.

Poi, tutti guardarono Eren in aspettativa, ma Sasha interruppe il momento: “Io volevo aprire un ristorante tutto mio.”, disse con aria sognante.

“Avere un ristorante significa servire cibo, Sasha, non mangiarlo.” la riprese Connie.

“Ehi, guarda che io so cucinare!” protestò lei, guardandosi intorno per vedere se qualcuno le credeva, “Va bene, Connie,” lo accusò, pronunciando il suo nome come se fosse una parola molto offensiva. “Tu cosa volevi fare prima di morire, saputello?”

Connie ci pensò un momento prima di stendersi sul prato, con le mani dietro la testa. “Bene o male quello che desideravo davvero già l’ho fatto. Stavo facendo esattamente quello che volevo fare prima di tirare le cuoia. Avrei potuto fare di più, sicuro, ma quello era più o meno ciò che volevo.”

“Sei così stupido,” disse Sasha, aggrottando le sopracciglia. “Tutto quello che facevamo era andare alle feste, mangiare fast food e saltare i nostri turni come camerieri.”

Connie rise brevemente. “Infatti andava più che bene.” concluse, facendo un sorrisone alla ragazza.

“Sei un perdente.” rispose lei affettuosamente.

“Ehi, Eren. Ultima possibilità: cosa c’era sulla tua lista?” lo riprese Connie.

Eren guardò pensierosamente il cielo. “E’ strano perché ci sto pensando solo ora che sono morto. Quindi, ciò vuol dire che non è una vera lista di cose da fare prima di morire, no?”

“Che ne dici di una lista di cose da fare prima di finire di morire?” offrì Levi.

Eren gli fece un sorrisino. “Ok, penso di poterla mettere in questo modo. Be’, direi che… se ci penso proprio sul serio, l’unica cosa che credo di aver veramente desiderato di fare era andare ad ascoltare una sinfonia suonata dal vivo da un’orchestra. Qualsiasi sinfonia. Non sono mai stato ad un concerto.”

“Be’, io so esattamente cosa c’è sulla mia ora lista di cose da fare prima di finire di morire,” spiegò Connie orgogliosamente. “Voglio piantare un albero per il reparto sei in quello stupidissimo boschetto dei pazienti. Dare a tutti un assaggio di cosa vuol dire essere veramente ad un passo dalla tomba, capite cosa intendo?”

Ci fu una serie di cenni del capo e rumori in segno di assenso, e tutti si ritrovarono a discutere sparpagliati, in modo quasi sconclusionato, dei loro piani per l’albero e la placca di accompagnamento. Levi trattenne uno sbadiglio, sospirando interiormente al prospetto di un’altra settimana di straordinari al reparto. I turni erano facili per il reparto sei, e ci si aspettava che la sfortunata anima assegnata ad ogni rotazione, lavorasse molte più ore di quelli che erano impiegati in reparti più frequentati. La sfortuna di Levi era che il reparto sei era un po’ più rumoroso di quanto tutti avrebbero mai potuto immaginare. Dunque, decise di scusarsi da quella piccola assemblea e andarsi a fare una passeggiata nel parco lì vicino, visto che, comunque, era in pausa. Una passeggiata serale in quell’aria pungente era la sua unica occasione di stare sveglio per il resto del suo turno. Connie lo lasciò andare con un avvertimento sullo stare attento ai fantasmi, perché i non-morti erano notoriamente scortesi.





Il parco era a una quindicina di minuti di cammino dall’ospedale, con un bel po’ di panchine di legno, molti alberi dai colori brillanti e un laghetto che rifletteva il cielo perfettamente nei giorni tersi. L’appartamento di Levi era convenientemente dislocato in un piccolo edificio di mattoni rossi a non più di cinque minuti dal parco, in un tranquillo, vecchio quartiere, pieno di silenziose persone anziane. Sarebbe riuscito a girare tutto il lago e fare in modo di essere puntuale a tornare al reparto. Non che ci fosse qualcuno che veniva a controllare se lui c’erano o meno, ma doveva comunque registrare le informazioni sulle cartelle dei pazienti e assicurarsi che tutti gli inutili corpi delle persone del reparto sei stessero funzionando normalmente, per quello che la situazione permetteva.

Perso nell’abitudine di percorrere sempre la stessa familiare strada, pensando alle solite cose, reagì un po’ eccessivamente quando sentì qualcuno tirare leggermente il retro della sua camicia, girandosi per torcere il polso del suo assalitore.

Questi stava sorridendo con un’espressione di scusa, alzando le braccia in segno di resa. “Ah, non uccidermi, ti prego!” supplicò Eren con sarcasmo. “Ho ancora così tanto da vivere.”

“Ti rendi conto che ci sono modi meno ‘da fantasma’ per attirare l’attenzione di qualcuno, vero?” chiese Levi. In ogni caso era una domanda retorica, e, probabilmente, Eren non era nemmeno dispiaciuto. Il moccioso.

Difatti, il ragazzo gli sorrise a trentadue denti, e decisamente senza dispiacere. “Volevo solo unirmi a te. Non è possibile che tu stia andando lontano, perché so bene che hai ancora da fare all’ospedale.”

Levi sospirò, permettendo ad Eren di seguire i suoi passi. “Non ti interessa nemmeno che qualcuno potrebbe vedermi parlare da solo? Non hai nemmeno un po’ di timore che possa essere inviato al manicomio?” chiese Levi, con un finto tono di offesa nella voce.

“Ah, sono più che preoccupato della cosa, ma non di certo perché parli da solo in pubblico.”

“Mi hai fatto questa volta.” concesse Levi.

I due continuarono a camminare in un amichevole silenzio, cosa di cui Levi fu grato. Non era particolarmente abituato ad avere qualcuno con lui durante le sue passeggiate serali, e non era certo se si sentiva contento o meno della presenza di Eren, ma, fin quando il moccioso teneva la bocca chiusa, apparentemente la cosa non era un problema nella sua ricerca di tranquillità.

Le foglie secche erano al loro ultimo stadio prima di cadere, con i colori al massimo della loro brillantezza. Rossi, gialli e verdi e ogni altra tonalità immaginabile, spiccavano audacemente sulla desolazione del grigio chiaro del cielo che faceva da sfondo. In una giornata ventosa, ci sarebbe stato un sussurro insistente tra tutti gli alberi del parco, a creare un’inquietante conversazione tra ogni foglia, ramo e filo d’erba del prato, ma oggi, tutto era quieto e le foglie rimasero silenziose, riservate nel loro posto d’onore sulle grandi vecchie querce, sugli aceri e sui salici che circondavano il laghetto. Ogni tanto, Levi lanciava uno sguardo verso Eren, chiedendosi vagamente se il fatto di essere uscito fuori dai confini dell’ospedale avesse effetti negativi di sorta sul ragazzo. Tuttavia, Eren sembrava perfettamente a posto, oltre che stranamente taciturno. Levi pensò che non era poi la turbolenta scocciatura che lui aveva etichettato. Non sempre, perlomeno. Sicuramente qualche volta, però.

Levi si fermò sulla riva del lago. Giorni così calmi erano rari, e guardare la quasi perfetta immagine riflessa del cielo sulla superficie liscia dell’acqua, era decisamente troppo ipnotizzante per quella che era la breve pausa concessa a Levi. Spostò lo sguardo al lato, per fare il suo controllo periodico di Eren. Stavolta il giovane lo stava guardando, con le sopracciglia aggrottate. Aveva chiaramente qualcosa da dire.

“Ohi, sputa il rospo.” sospirò Levi. “Questa non è una dannata biblioteca.”

“Mi stavo solo chiedendo cosa potrebbe esserci sulla tua lista.” disse finalmente Eren, con un ridicolissimo sguardo sincero sul volto.

Levi strinse gli occhi, quasi mettendo alla prova Eren, per vedere se era veramente curioso. “Voglio essere il primo presidente sotto i centosessantacinque centimetri.” disse gravemente.

Eren, per un attimo, sembrò considerare di prendere seriamente la risposta di Levi, prima di notare il tono di disapprovazione sull’espressione di questi. “Dico sul serio, Levi.”

L’infermiere sospirò. “Non lo so. Non ci ho mai pensato seriamente.”

“Non ti abbiamo insegnato niente, allora?” Eren gli lanciò uno sguardo feroce, come se Levi fosse un bambino petulante con qualche pretesa assurda.

Levi lo prese come un affronto personale. “Tu non avevi una lista quando eri vivo,” lo accusò. “E poi cosa c’è di male nell’essere felici ora?”

“Ah, certo. Sprizzi gioia da tutti i pori.” Eren gesticolò vagamente. “E’ davvero questo che vuoi? Niente più?”

“Scusa,” disse Levi bruscamente. “Per caso ti sei guardato intorno?” disse, per poi afferrare Eren per le spalle, facendolo ruotare su se stesso in modo che fosse di fronte un antico salice piangente, dai lunghi rami curvi che carezzavano la superficie dell’acqua, le foglie giallastre riflesse nella pozza come se si stesse specchiando. “Guarda quell’albero enorme. Hai mai visto un dannato albero più maestoso di questo?”

Eren gli lanciò uno sguardo scettico da oltre le sue spalle, prima che Levi lo facesse girare di nuovo a guardare l’albero. “Sono serio. Guarda quell’albero. Ogni cosa nell’universo è venuta fuori stranamente perfetta, e per gli ultimi due secoli quell’albero è stato qui a testimoniarlo. Quell’albero ha probabilmente avuto un milione di cause per smettere di esistere prima che noi nascessimo, ma guarda un po’! Per qualche strano motivo è ancora qui, e noi possiamo guardarlo.”

“E’ solo un albero, Levi.”

“E’ dannatamente maestoso.” mormorò furiosamente Levi nell’orecchio di Eren. Il ragazzo lo guardò leggermente allarmato. “Tu sei riuscito a rimanere vivo per ventidue anni. Quell’albero è stato qui probabilmente dieci volte tanto e non se ne andrà via tanto presto.”

Levi finalmente permise ad Eren di rigirarsi verso di lui, e provò una fitta di sensi di colpa allo sguardo malinconico che aveva preso forma sul volto di Eren. “Ehi, ragazzo,” disse dolcemente. “Vuoi sapere cosa c’è sulla mia lista di cose da fare prima di morire?”

Il giovane alzò le sopracciglia con fare interrogativo. “Voglio vivere tanto quanto quell’albero. Sono tremendamente spaventato dal fatto che l’universo non è così protettivo nei miei confronti come lo è per questo dannato albero. Vorrei solo esistere.”

Eren, addirittura, ebbe l’audacia di ridere a quella frase. “Sei così strano.” riuscì a dichiarare tra una risata e l’altra.

“Ohi, ho appena ammesso di aver paura di morire e tu ci ridi su?”

Eren si asciugò le lacrime, calmando le risate. “Tu sembri l’ultima persona sulla faccia della terra che ha paura di morire. Sei un cazzo di robot.”

Levi roteò gli occhi. “Odio parlare con te. Mi fai parlare troppo.”

“L’albero è molto bello,” si scusò Eren. “E’ solo che è un po’ noioso. Vivi un po’, Levi. Ti piace così tanto quell’albero? Arrampicati sopra. Intagliaci il tuo nome. Non lo so, il pacifismo è sopravvalutato. Questo stagno ti piace così tanto? Nuotaci dentro, lanciaci una pietra. Vivere per sempre non ha senso se non c’è nessuna prova che ci sei stato.”

“Tu sei solo un dannato moccioso,” borbottò Levi, fissandolo male. C’era un familiare atteggiamento di sfida negli occhi di Eren, che, però, lo faceva sentire a disagio. “Torniamo indietro.” provò a suggerire, anche se era chiaro che Eren stava tramando qualcosa. Il ragazzo gli lanciò un ultimo sorrisetto ribelle, prima di dirigersi verso il laghetto, tuffandosi entusiasticamente nell’acqua calma, e rovinando istantaneamente l’effetto specchio. “Torna qui.” sussurrò Levi con ansia, seguendo Eren fino alla riva dello stagno, e cercando di trattenere il panico nella sua voce.

Eren tornò a galla, i capelli disordinatamente attaccati alla testa, le ciocche della frangia a coprirgli la fronte, ma non abbastanza da nascondere il sorriso soddisfatto che aveva disegnato in volto. Si fece uscire un po’ d’acqua da un orecchio. “Levi, sono morto e ho fatto di più io nel tuo posto preferito che tu.”

“Congratu-fottute-lazioni.” disse Levi, in piedi sulla riva del laghetto. “Ora esci da lì, che io devo tornare a finire il mio turno, e tu… be’, tu devi tornare a fare il moccioso insopportabile.” Eren fece spallucce, e si trascinò fuori dall’acqua, facendosi strada verso Levi e la terra ferma. Contro ogni buonsenso, Levi allungò una mano verso Eren per aiutarlo a ritornare a terra. Ovviamente, realizzò che era stata una pessima idea approssimativamente mezzo secondo prima che Eren afferrasse la sua mano tirandolo in acqua, e facendolo immergere dalla testa ai piedi.

Levi emerse, anche lui con i capelli fastidiosamente attaccati in testa, e si girò su sé stesso per trovarsi la faccia di Eren ad una ventina di centimetri di distanza dalla propria, sempre con il solito sorriso stupido. L’uomo lo guardò male per un secondo, prima di mettergli una mano sulla fronte e spingerlo di nuovo sott’acqua. Senza guardarsi indietro, ritornò sulla riva, con le scarpe piene d’acqua e i vestiti pesanti. Eren lo raggiunse un minuto dopo, altrettanto grondante ma decisamente più soddisfatto della cosa.

“Vedi? Ora stai vivendo.”

“No,” rispose Levi. “Sto morendo, e di freddo. Potresti avermi fatto venire la polmonite.”

Non sembrava che ad Eren la cosa interessasse. “Cristo, vivi un po’, Levi. Smettila di sopravvivere. Non esistere solo perché qualche strana, fortunata formula cosmica l’ha voluto.”

“Ah, sì. Stare qui a morire di freddo nella mia divisa da infermiere inzuppata di acqua è sicuramente dovuto ad una fortunatissima formula cosmica.” Levi tentò di strizzare la camicia, ma c’era più acqua che cotone a quel punto. La stoffa bagnata non stava facendo nient’altro che rendere le cose peggiori, dunque si tolse la camicia della divisa e rimase lì impalato, mezzo nudo e sull’orlo dell’ipotermia, a litigare con un ragazzo morto in un luogo pubblico.

Eren alzò le sopracciglia. “Non intendevo vivere così tanto, Levi. Tieniti qualcosa per la camera da letto.”

“Odio qualsiasi cosa che ti riguardi al momento.” disse Levi, stringendo i denti per non farli battere.





I due si trascinarono a casa dell’infermiere, nelle loro scarpe strabordanti d’acqua, in modo che Levi potesse cambiarsi in una divisa asciutta e lanciare un asciugamano sulla testa di Eren. Poi, l’uomo prese una giacca e trascinò di forza Eren fuori con lui, per tornare in ospedale. Diversamente dalla camminata dal parco a casa sua, Eren parlò incessantemente per tutta la via del ritorno, mentre Levi faceva finta di non sentire, ma la cosa non sembrò affatto preoccuparlo.

Quanto tornarono, i pazienti del reparto sei erano tutti riuniti nella stanza di Reiner ad ascoltare un’altra delle sue storie ridicole. Avendo fatto parte di una squadra di football di serie B, prima che un incidente lo rendesse un morto cerebrale, Reiner aveva un sacco di belle storie sui suoi viaggi e su tutta la gente strana che gli era capitato di incontrare.

Il fatto che Levi fosse tornato con una divisa diversa da quella che indossava prima, fu motivo di grande divertimento per tutti, specialmente considerando che Eren era ancora leggermente bagnato. Tutti li presero in giro, e Connie mise la ciliegina sulla torta, dicendo: “La polizia di quartiere vorrebbe ricordarvi che la necrofilia è ancora illegale!”





Dopo essere molestato per circa un’ora, Levi riuscì finalmente a terminare di raccogliere le loro funzioni vitali e finire il resto delle sue incombenze. Eren gli augurò la buonanotte prima che se ne andasse, dicendogli affettuosamente: “Comunque quello era proprio un bel tatuaggio!”, e facendogli prendere in considerazione l’idea di strangolarlo. Ma il giovane si era già dileguato, avendo ben pensato di non mettere ulteriormente alla prova la pazienza di Levi, per l’ennesima volta in uno stesso giorno.





Sulla via di casa, l’uomo si fermò al parco, avvicinandosi cautamente al grande salice. Era sempre lo stesso albero, ma Levi rimase lì impalato per un bel po’, con le mani nascoste nel caldo delle tasche della sua giacca, a pensarci su. Dopo quella che era sembrata un’eternità, tirò fuori un coltellino dall’interno della giacca e incise una ‘L’ su una delle radici dell’albero. Era piccola e nitida, proprio come Levi stesso. Annuì con soddisfazione, sentendosi stranamente orgoglioso di quel suo traguardo. Lo faceva sentire un po’ felice, infatti. Era strano. Si posò dorso della mano sulla fronte: sì, decisamente polmonite.

   
 
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