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Autore: EleEmerald    05/02/2015    1 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5: La donna incappucciata

Quando ero bambino e non riuscivo a prendere sonno per incubi o per delle paure, correvo nella camera dei miei genitori e, lentamente, mi infilavo sotto le coperte, dalla parte di mia madre. Lei mi stringeva e mi sussurrava all'orecchio che andava tutto bene, che non dovevo avere paura di nulla, che lei era lì. Lo faceva senza aprire gli occhi, sapeva sempre quello che doveva dirmi per calmarmi farmi e per assopirmi.
Quella notte avevo un'estremo bisogno di tutto questo, volevo che qualcuno mi scaldasse e mi dicesse che non dovevo aver paura di quel pugnale, di Elizabeth, di chiunque avesse ucciso quell'uomo. Perché era così, la mia fobia non erano mai stati i mostri, neanche da piccolo, io avevo paura di ciò che non sapevo, dei volti sconosciuti, degli assassini.
Così quando un sasso colpì la finestra mi ritrovai ad urlare.
Sentì un colpo nella camera di mia madre e poi la sua voce ancora impastata dal sonno. - Matt? Stai bene? Hai fatto un incubo? Devo venire lì? - chiese tranquilla.
Mia mamma era sempre così calma, mi aveva sentito urlare e non aveva pensato minimamente che mi poteva essere successo qualcosa, io, al contrario, ero paranoico.
- Era solo un incubo - dissi passandomi una mano tra i capelli. - Non preoccuparti.
Mi sistemai nel letto sperando che si fosse trattato del vento ma non appena chiusi gli occhi, lo sentii di nuovo. Tac.
Mi voltai verso la finestra, la fiebile luce del lampione rischiarava la parte di stanza vicino alla porta. Decisi di restare in attesa. Tac.
Con un balzo saltai fuori dalle coperte e aprii la finestra per capire cosa producesse quel rumore. Guardai dritto nella luce del lampione e fui costetto a sbattere diverse volte gli occhi per abituarmi alla luce del lampione. Non vidi nulla e mossi la finestra per rientrare nella camera al caldo. Tac. Un sasso volò a due centimetri dalla mia testa e colpì il vetro della finestra.
- Ehi! - urlai.
Una figura incappucciata si mosse.
- Chi è là? - chiesi spaventato.
In tutta risposta la figura si mosse fino ad arrivare alla luce del lampione sotto casa. Era sicuramente una donna. Il cappuccio che la copriva faceva parte di un lungo mantello nero, che sfilava la magra figura, un ciuffo di capelli biondi fuoriusciva leggermente. La donna alzò la testa e mi fissò. Riuscii solo a notare che aveva gli occhi molto chiari perché prima che capissi di chi si trattasse, scappò via.
Rimasi a guardare la strada sperando che tornasse. Mi aveva chiamato e poi era scappata via, perché?
Chiusi la finestra dopo uno sbuffo di vento, che mi gelò il sangue. Il mio orologio segnava le 4.04 del mattino.


 

Soltanto il mattino dopo mi accorsi del biglietto appoggiato alla mia finestra. Quando quella donna mi aveva tirato l'ultimo sasso lo aveva fatto per farlo entrare in casa, non ci era riuscita perché avevo girato il vetro della finestra e il sasso con il foglio era caduto sul mio davanzale.
Con una finta calma aprii il biglietto e le mie mani cominciarono a tremare. Il foglio riportava una semplice, terrorizzante, frase scritta in rosso.
Matthew Williams tu hai quello che è mio.
Caddi a terra con ancora il biglietto in mano e cercai di respirare. Respiri lunghi che ti obbligavano subito a buttare fuori l'aria perché non potevi tenerne così tanta nei polmoni, e che ti facevano sentire il bisogno di prenderne subito un altro, quelli che anche avendo i polmoni pieni ti sentivi senz'aria.
Una volta che mi fui calmato corsi alla cartella e tirai fuori il pugnale. Il sangue si era seccato e la neve si era sciolta. Non potevo portarlo a scuola così lo presi e lo infilai in un cassetto che potevo chiudere a chiave. Lo fissai per un attimo e poi infilai la chiave nei miei pantaloni.


 

Dovevo avere una faccia da funerale quando caricai in macchina Iris perché lei mi chiese più volte se stavo bene.
Parcheggiata la macchina Iris scappò a prendere i suoi libri nell'armadietto e io mi ritrovai solo nel posteggio della scuola.
Mi incamminai verso l'ingresso e trovai Elizabeth ad aspettarmi.
- Ciao! - esclamò.
- Elizabeth - la salutai.
- Che materie hai questa mattina?
- Ho chimica, educazione fisica, un'ora buca e.. - Mi fermò.
- Alla terza ora? Anch'io ho l'ora buca! Manca il professore. Hannah non c'è ancora. Se vuoi possiamo...
- Allora ti aspetto in biblioteca. - Sorrisi.


 

La biblioteca era il luogo più tranquillo della scuola. Era una grande stanza con troppi scaffali pieni di libri, tavoli con gente tranquilla e, cosa migliore, quelli come Charles non ci mettevamo piede. Elizabeth si fece trovare già lì, seduta ad un tavolo vuoto oltre a lei.
- Finalmente - disse.
- Scusa, mi sono fermato a prendere del cibo alle macchinette. - Mi lasciai cadere sulla sedia e le passai un pacchetto di patatine.
- Grazie. - Le prese.
- Cosa stai studiando? - chiesi.
- Nulla. Stavo leggendo. - Infilò il segnalibro e chiuse il libro.
Ne lessi il titolo: Cercando Alaska.
- Ti piace leggere? - chiesi.
Alzò le spalle ma non ne compresi il motivo.
Rimanemmo zitti per un po' finché lei si mise a ridere timidamente mentre cercava di aprire il pacchetto di patatine.
- Cosa c'è? - chiesi ridendo anch'io.
- È solo che non sono abituata a stare da sola con un ragazzo e sono parecchio imbarazzata.
- Non ti farò nulla - dissi facendole l'occhiolino.
- Non credevo neanche che ti avrei chiamato e che oggi avrei avuto il coraggio di chiederti se stavi con me a farmi compagnia. Non sono il tipo di ragazza che fa queste cose. - Finì per arrossire quando mi fermai a guardarla.
- Allora lo diventerai perché ho intenzione di essere tuo amico per molto tempo.
Si spostò una ciocca di capelli dal viso e prese una patatina. - Sei il primo amico maschio che ho.
- Oh sono anche il miglior amico maschio che avrai in assoluto - controbattei ridendo.
- Ne sono sicura, Matthew.
- Ti ho già detto di chiamarmi Matt.
Scosse la testa. - Odio i diminutivi.
- Thomas ti chiama Lil però - dissi.
- Thomas è un idiota.
- Perché non Beth? - domandai.
- Il motivo per cui non mi piace è una storia troppo lunga.


 

Quel pomeriggio ricominciava il corso di nuoto, prima di andarci però, mi assicurai che il pugnale fosse ancora nel cassetto. Quando lo vidi mi tornò l'agitazione che era svanita solo in compagnia di Elizabeth e, quando suonò il campanello, mi affrettai a chiuderlo lì dentro di nuovo.
Al corso fu tutto tranquillo, c'eravamo tutti: io, Chuck, Margareth, Luke, un ragazzo biondo con gli occhi azzurri e un tatuaggio sul braccio che raffigurava i semi delle carte da poker, Jason, il suo gemello, anche lui biondo e con gli stessi occhi ma molto diverso di viso e di carattere, il nuoto era l'unica cosa che li accomunava, e Mary, capelli neri corti e occhi verdi. Mark, il mio istruttore, ci accolse come al solito: - 'Giorno. In acqua, forza, ci vediamo tra venti vasche di riscaldamento.
Mark fu più duro del solito e quando l'allenamento finì mi lasciai trascinare sott'acqua dalla stanchezza.
- Andiamo Matt, ti devo raccontare una cosa - disse Chuck una volta che riemersi in superficie.
Mi prese per mano e mi tirò fuori dalla piscina con tutta la sua forza, poi aspettò di parlare finché non entrò nelle doccie. Luke e Jason facevano sempre tutto in fretta e non appena aprii il getto della mia doccia loro andarono a cambiarsi.
- Che succede? - domandai una volta che l'acqua calda cominciò a bagnare il mio corpo.
- Ieri notte ho fatto un sogno...ho bisogno di raccontarlo a qualcuno - rispose Chuck nella doccia di fianco alla mia. - Sono in una stanza buia. Chiusa. E ad un certo punto sento una voce a cui corro in contro, ritrovandomi in un labrinto. La sento ancora e continuo a rincorrerla finché non riesco ad afferrare qualcuno ma quando si gira e io cerco di vedergli il volto, scompare e mi ritrovo solo.
- È strano - dissi soltanto.
- Già - mormorò lui.
- Sai chi era? - chiesi. - Conosci la voce?
- Si. La conosco. Ed è proprio questo che mi preoccupa perché io non la rincorrerei mai con tanta ansia.
- Chi era? - domandai di nuovo curioso.
Lui non rispose, si limitò ad uscire dalla doccia e ad avviarsi verso gli spogliatoi. Abbassando lo sguardo mi accorsi di un segno nero che sporgeva dal suo costume, era come una punta che si allargava.
- Chuck - dissi fermandolo. - Hai fatto un tatuaggio?
Lui fissò quel segno e annuì con la testa. - Anche se si vede praticamente tutto, non voglio dirti cos'è la figura intera - disse con un ghigno per poi congedarsi.
Chiusi gli occhi e mi lasciai bagnare dal calore della doccia. Mi sentivo così tranquillo, così stanco che avrei potuto addormentarmi all'istante. Pensavo a cosa potesse raffigurare il tatuaggio di Chuck e perché se lo fosse fatto in un punto così nascosto.
Quando aprii gli occhi per poco non urlai. La donna della notte precedente era lì, incappucciata. Cominciai ad indietreggiare ma lei era ferma a fissarmi.
- Come ha fatto ad entrare?
- Matthew Williams hai due giorni per rimettere quello che mi appartiene dove l'hai trovato - disse la donna con una voce quasi disumana.
Impallidì e rimasi muto finché non se ne andò.
- Chuck - urlai.
Al suono del suo nome il mio amico corse alle docce. Non aveva più addosso solo il costume, era vestito.
- Che vuoi? Di là mi hanno fissato tutti! - disse lamentandosi.
- Hai visto una donna qui dentro?
- Eh? Ero a cambiarmi ma comunque se ci fosse stata una donna Luke l'avrebbe cacciata o come minimo avrei sentito che le diceva qualcosa. - Mi guardò come se fossi pazzo. E forse lo ero davvero. Ero pazzo. Era l'unica alternativa.


 

Una volta che mi fui cambiato raggiunsi Chuck all'entrata della piscina dove mi stava aspettando e lo trovai a parlare con Luke. Mi risultò un po' strano perché quei due non andavano molto d'accordo, decisi quindi di avvicinarmi.
Per poco non caddi per la scarpa che mi ero dimenticato di allacciare e inavvertitamente sentì la corversazione tra i due che non si erano accorti della mia presenza, appoggiato com'ero al cespuglio vicino.

- ...Non preoccuparti - disse Chuck.
- Credevo sul serio di essermelo sognato poi oggi ho visto il tatuaggio - lo incalzò Luke, cercando di continuare una conversazione che sembrava chiusa per Chuck.
- Davvero, non preoccuparti, eravamo ubriachi.
- Cosa cavolo ci faceva aperto un tatuatore alle quattro di notte? - chiese Luke a nessuno in particolare.
Ormai la stringa era allacciata ma ero troppo curioso di sapere a cosa si riferissero quei due.
- Chi l'ha pagato, poi? - domandò di nuovo.
- Tu - mormorò Chuck.
- Che coglione - imprecò.
- Se vuoi ti do i soldi.
- Oh non me ne frega niente dei soldi, consideralo un regalo di Natale, compleanno e tutti i tuoi compleanni futuri. Mi dispiace solo che non potrò più andare da quel tatuatore.
Mi irrigidì. Che cavolo avevano combinato quei due?
- A me dispiace che penserà qualcosa che non è vero - disse Chuck probabilmente alzando le spalle.
- Vado, amico - disse Luke, e sentii i suoi passi allontanarsi.
Aspettai ancora un po' per assicurarmi che non pensasse che avevo ascoltato tutto e poi mi feci vedere da Chuck, il quale aveva una strana espressione sul viso.


 

La conversazione tra lui e Luke mi fece capire di quale forma fosse il tatuaggio che aveva inciso sulla pelle, così, poco prima che arrivassimo a casa sua, glielo chiesi.- È una picca, vero?
- Cosa? - chiese preso alla sprovvista. - Il tatuaggio?
- Si - dissi, svoltando l'angolo.
- Come hai fatto a capirlo?
- Se ne vedeva buona parte e ho immaginato il resto. - In realtà non era totalmente vero, una parte si, ma Luke aveva tutti e quattro i semi tatuati sul braccio ed era molto probabile che il tatuaggio a cui si riferiva era qualcosa di simile, quella che poi corrispondeva di più alla forma a punta era la picca.
- Quando lo hai fatto?
- A capodanno.
- Ce lo avevi già quando siamo usciti? - chiesi.
- L'ho fatto dopo.
- Alle quattro di notte? - domandai, arrivando a parare proprio dove volevo.
- No...io. - Si fermò un attimo a pensare. - Il giorno dopo. Mi sono confuso prima.

Sapevo che mentiva, il momento a cui si riferiva era solo il giorno prima ed era quindi impossibile dimenticarsene, decisi comunque di non dire nulla.


 

Appoggiai le chiavi di casa e salutai mia madre sulla soglia. Era assorta a leggere il giornale e mi salutò con un lieve cenno del capo.
Mi diressi in camera mia e presi il pugnale. Non potevo più tenerlo con me, non potevo rischiare ma non potevo neanche rimetterlo dov'era. Quella donna era sicuramente l'assassina dell'uomo trovato morto e se le avessi ridato il pugnale...
Ma se non l'avessi fatto, cosa mi sarebbe successo?
Mi toccai la gola. Forse era meglio portarlo alla polizia.
Non appena mi alzai in piedi la porta della mia stanza si aprì e io mi affrettai a nascondere l'arma.
- Matt, hai sentito del morto? - chiese mia madre.
- Si, me ne ha parlato Iris. Tu lo avevo già visto?
- Si - mormorò mia mamma. - Volevo andare alla polizia a dirlo. Non conoscevo il suo nome ma nel periodo in cui ti aspettavo lo vedevo spesso in giro. Ora che ci penso con una donna.
- Nessuno in città sembra conoscerlo a parte te.
- Oh mentono, era sempre in centro con quella donna. Lo vedevano tutti, io però lo conoscevo solo così. - Sospirò - Pover uomo. Che riposi in pace.
- Non posso credere che ci sia un assassino in città.
- Non me ne parlare Matt, o mi verrà tanta paura da non farti più uscire di casa - disse e si allontanò, per poi bloccarsi alla porta avendo dimenticato di dirmi qualcosa. - Ha chiamato una ragazza al telefono che chiedeva di te.
- Iris? - domandai.
- Ti avrei detto semplicemente Iris. - Alzò un sopracciglio.
Sbuffai. - Ti ha detto chi era?
- Una certa Elizabeth.
- Come fa ad avere il mio numero? - sbottai. Probabilmente quella ragazza era un genio di internet perché in pochi giorni aveva trovato sia il mio numero fisso che mobile.
Presi in mano il mio telefono e trovai una chiamata persa.
- Ha detto che puoi richiamarla questa sera - disse, lasciando un foglio con un semplice numero di cellulare che corrispondeva a quello che mi aveva chiamato la notte di capodanno.
Mi stesi sul letto, deciso a chiamarla più tardi, pensando a quel pugnale, a quella donna e anche a quello che Elizabeth c'entrava con tutto questo.
A poco a poco, nel silenzio della mia stanza, stremato per l'allenamento a cui non ero più abituato a causa delle vacanze, Morfeo mi richiamò tra la sue braccia.



Angolino dell'autrice: SCUSATE! Scusate l'enorme ritardo...ho avuto una settimana molto incasinata: una verifica dietro l'altra, mille interrogazioni, il mio compleanno e problemi famigliari. *Lancia del cioccolato per corrompere i lettori* Abbiate pietà. Per farmi perdonare ho scritto un capitolo un po' più lungo...o almeno credo, mi sembrava lungo mentre lo rileggevo. Volevo chiedervi come al solito di lasciare un recensione, anche minuscola, giusto per farmi sapere se vi piace la storia. Ci vediamo al prossimo capitolo (Che non arriverà con lo stesso mostruoso ritardo di questa settimana, o dovrei dire due?).
  
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