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Autore: zippo    30/11/2008    7 recensioni
Sono passati diversi mesi dalla morte di Dark Threat, Rebecca sta per diventare un angelo bianco e al suo fianco c’è Gabriel. Ma non sempre le cose sono così semplici come appaiono. In un angolo, in un respiro, in una lacrima…il Male è continuamente presente. E se lui non fosse morto? E se ritornasse? Il potere, dopotutto, è piacevole…e per corrompere l’animo innocente di una ragazza bastano poche finte promesse.
Il sequel di: Angelus Dominus - Il Bene -
Il secondo capitolo della saga: ALONE IN THE DARK. 
Genere: Romantico, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 2 - L’IDOLO D’ORO -

[Se fossi un ragazzo
penso che potrei capire
come ci si sente ad amare una ragazza.

Giuro che saprei essere un uomo migliore.
L’ascolterei, perchè so come fa male
quando perdi qualcuno che volevi,
perchè lui l’ha data per dovuta
e ogni cosa che aveva fatto è stata distrutta]

Beyonce - If I were a boy -



***



Quando Gabriel arrivò alla festa vi trovò moltissime persone, tante non le aveva neanche mai viste nel villaggio. Cercava con lo sguardo Rebecca tra la massa, non soffermandosi neppure ad ammirare lo scenario generale. Scostava e spingeva le persone che si trovava davanti, cercando di aprirsi un varco tra la folla. Non appena uscì dall’ingorgo (probabilmente era la pista da ballo) vide di fronte a lui una serie di tavole con cibo, bevande, sedie e sgabelli. Erano tutti in piedi che chiacchieravano, non li prestava attenzione finchè non si sentì strattonare da una parte.

Bastian gli sorrideva con una faccia da ebete, doveva aver alzato un po’ il gomito. Gabriel notò la strana bevanda che teneva in mano. “Pensavo non saresti venuto! Ti piace come ho creato lo scenario?”

Gabriel, con cipiglio seccato, si guardò attorno. Dietro di sé c’era la pista da ballo da dove era arrivato, era circolare ed enorme. Ragazze e ragazzi, donne e uomini, ballavano tra di loro sulle note di una melodia sdolcinata e lenta. Si tenevano vicini, gli uomini facevano volteggiare e girare su sé stesse le donne, cosicché i loro vestiti lunghi si potessero aprire come una tenda. Un arco di rose bianche sovrastava la pista e ai lati c’erano delle poltrone bianche dove delle giovani ragazze dall’aria stufa aspettavano che qualcuno le invitassero a ballare. Altre spettegolavano. Altre erano intente a darsi da fare con dei ragazzi. Ai lati della pista da ballo erano stati innalzati due grandi tendoni verdi e colorati dove la luce all’interno proiettava sfumature all’esterno. Dentro i capannoni c’erano dei divani, dei tavoli dove si poteva bere e giocare a carte.

Bastian l’aveva messo in guardia, dentro a quei tendoni le cameriere che lavoravano e i baristi che davano da bere erano alquanto alticci e pericolosi.

“Delle puttane e dei gigolò” disse Gabriel.

Bastian storse il naso.

Infondo alla pista da ballo, dove si trovava Gabriel, c’erano delle tavole rotonde a quattro posti ciascuna, si poteva mangiare, bere e rimorchiare. Il ragazzo osservò con interesse tutte le coppiette, si vedevano corpi avvinghiati in piedi, addosso ad un albero, sugli sgabelli. Là non c’era molta luce, perciò non si vedevano bene, s’imboscavano tra le piante. Con gli occhi serrati fissò ogni coppietta. Sperava certo di non trovare Rebecca lì in mezzo.

“È tutto molto bello Bastian, complimenti, falli anche ad Alan. Dov’è in questo momento tuo fratello?” domandò, accettando di buon grado un bicchiere offertogli dal capo-villaggio. “C’è alcool?” chiese, ma lui non gli rispose.

“Mio fratello sarà dentro ad un tendone con la bava a terra nel tentativo di rimorchiare una cameriera” sbottò con una scrollata di spalle.

Risero entrambi, poi Gabriel tornò serio. Bevve un lungo sorso della bevanda, era molto forte. “Hai visto Rebecca?” era la domanda che gli premeva di più.

“Non l’ho vista”

“Uhm”   

“Prova a vedere se è dentro ad uno dei tendoni”

Gabriel si rigirò tra le mani il bicchiere. “Sì, vado a vedere. A dopo” disse salutandolo.

Lasciò Bastian alle prese con i suoi alcolici e si avviò nel primo capannone. Entrò e subito un odore intenso di alcool e fumo lo colpì al naso, vagò con lo sguardo. C’erano per lo più uomini, ubriachi oltretutto, giovani soldati che flirtavano apertamente con le cameriere. Vide infondo alla stanza Delia e Kevin, appartati e intenti a parlare fra di loro. Decise di non andare a salutarli.

Controllò nel secondo tendone e l’impressione che ebbe fu quella di ritrovarsi in un bordello. Era peggio dell’altro, due guardie ai lati dell’entrata si accertavano che non entrassero minorenni. Lo lasciarono passare, aveva compiuto da pochi giorni ventun’anni. Rebecca doveva essere per forza lì, non l’aveva vista né nella pista da ballo, né nello spazio all’aperto, né nel primo tendone. Aveva diciannove anni, l’avevano sicuramente fatta entrare.

Non appena Gabriel mosse un passo in avanti due ragazze bellissime gli si avvicinarono. Indossavano dei bustini attillati con delle calze a rete nere, si reggevano su dei tacchi altissimi e laccati di rosso. Si sfrusciarono su di lui che con un gesto seccato le allontanò.

Una di loro gli parlò. “Tu sei Gabriel, l’angelo”

Gabriel la fulminò con gli occhi. Lei sghignazzò, probabilmente alle donne piacevano i suoi modi tenebrosi. Dovevano trovarlo molto affascinante. “E allora?” domandò con voce glaciale.

Gli occhi di lei brillavano. “Niente, niente” il suo sguardo scese in basso e subito Gabriel si sentì infastidito.

Un ringhio silenzioso gli uscì dal petto. Le due ragazze indietreggiarono di fronte al suo sibilo, erano impaurite ma al tempo stesso sorridevano meravigliate e rapite. Sicuramente lo vedevano come una specie di super-eroe. Peccato per loro, non sapevano quanto si sbagliassero.

Gabriel si strofinò le mani un paio di volte e poi se le mise in tasca. Avanzava lungo il passaggio con sguardo tenebroso e intimidatorio. I suoi occhi erano puntati su una sagoma poco distante da lui. Tutta la gente che lo vedeva passare rimaneva a fissarlo con la bocca leggermente aperta, timorosi e invidiosi di tanta sicurezza. Era un tipo molto rispettato e tenuto a distanza.

Si fermò e serrò i pugni.

Rebecca alzò gli occhi su di lui.

Gabriel guardò prima lei e poi lo sconosciuto con cui era seduta insieme. Avevano sopra il tavolo sei bicchieri vuoti ed erano uno di fronte all’altra. L’aveva vista con il volto sorridente, buttava indietro la testa facendo scostare i capelli boccolosi. Probabilmente aveva riso per una battuta che il ragazzo le aveva fatto. Sembravano molto a loro agio, il ragazzo era abbastanza attraente e virile, sedeva con le gambe aperte e il corpo proteso verso di lei. Rebecca invece, pure mantenendo le distanze, accavallava di tanto in tanto le gambe, gesto che poteva essere facilmente frainteso.

Lei gli sorrise. “Ciao. Gabriel, ti presento il mio amico Charles” guardò Charles e poi di nuovo lui. “Charles, questo è Gabriel”

Il ragazzo gli tese amichevolmente la mano per stringergliela ma lui non si mosse.

Rebecca tossì e Charles abbassò la mano imbarazzato. “Charles mi ha tenuto compagnia finchè ti aspettavo. È stato molto gentile, ha anche pagato da bere” la buttò sul ridere accennando i sei bicchieri vuoti.

Gabriel non parlava. Charles era visibilmente a disagio e lanciava continue occhiate allarmate alla ragazza di fronte a lui. Balbettò qualcosa e poi se la svignò.

Rebecca si passò una mano sulla faccia e poi la posò sul mento. Fissava il tavolo. Quando guardò Gabriel vide che era rosso come un peperone. Si alzò di scatto come scottata.

“Io…”

“Vieni con me” ruggì prendendole il polso e trascinandola via.

Gabriel camminava velocissimo e con grandi passi, la ragazza faticava a stargli dietro, cercava di correre ma non ci riusciva con i tacchi che portava. Gabriel la portò fuori, percorsero lo spiazzo attorno alla pista da ballo, superarono la zona “rimorchi” fino a trovarsi a pochi passi dal bosco, non erano né troppo lontani dalle persone, né tantomeno troppo vicini affinché tutti li potessero sentire o prestare attenzione.

Gabriel si fermò e la strattonò fino a farla girare su sé stessa e quindi la sbattè contro un tronco. Rebecca soffocò un gemito quando il suo corpo rimbalzò con violenza contro l’albero, si appiattì addosso al tronco mentre guardava sconvolta il volto deformato del ragazzo.

Gabriel era paonazzo, respirava a malapena e si vedeva benissimo che si stava trattenendo dall’urlare.

“Avanti” lo esortò lei. “Sfogati”

Ebbe appena il tempo di finire la frase che un pugno colpì il tronco mancandole per un soffio l’orecchio. Chiuse gli occhi e subito gli riaprì. L’aria dovuta al movimento del suo braccio le aveva scompigliato i capelli, il tronco di fianco a lei si era aperto a formare un buco. Gabriel tolse la mano insanguinata e rotta, aveva delle schegge di legno conficcate nella pelle. Le nocche erano squarciate.

La fissava con odio.

Lei deglutì. “Non osare, non osare guardarmi così!” esclamò. “Non ho fatto niente, è inutile che ti arrabbi con me, togliti subito dalla faccia quello sguardo perché sono l’ultima persona che dovresti avere il coraggio di odiare!”  

Mai avrebbe creduto che la gelosia potesse ridurlo in quello stato.

Gabriel si spinse con forza contro di lei, fece aderire completamente i loro corpi e con rabbia si precipitò sulle sue labbra. Con le mani le imprigionò i polsi al tronco, all’altezza del capo, la baciò con furia sulla bocca, respirava il suo stesso respiro caldo che sapeva di alcool. Insinuò la lingua e approfondì il bacio in un modo talmente profondo che la ragazza credette di morire soffocata. Gabriel le liberò i polsi e passò le mani sulla sua schiena, alzò il vestito per toccarle la pelle. Scese a baciarle il collo con avidità, Rebecca mise le mani sulla sua testa, tra i suoi capelli biondi fino a spettinarli, lo spingeva verso di lei, il volto alzato, gli occhi socchiusi, la bocca leggermente aperta. Fece uscire una gamba facendosi spazio come meglio poteva e andò a racchiudere i fianchi del ragazzo. Ripetè la stessa cosa con l’altra gamba e si ritrovò sollevata da terra, entrambe le gambe cingevano Gabriel. Una mano di Gabriel lasciò la sua schiena e andò a sollevarle il vestito scoprendole la coscia. Il tocco della sua mano fredda a contatto con la pelle calda di lei provocò in entrambi una reazione potentissima.

Si stavano spingendo troppo oltre.

“Gabriel…” lo chiamò con dei mugolii che mandarono il ragazzo in estasi. “Fermati”

“Io no di certo”

Rebecca si premette la testa del ragazzo nell’incavo del suo collo e sbirciò con la coda dell’occhio la pista da ballo. Qualcuno li stava osservando? Se così fosse stato sarebbe sprofondata dalla vergogna. Cercò di spingerlo via dal suo corpo ma lui era talmente pressato a lei, talmente appiccicato che fu un tentativo inutile.

“Ti prego” lo implorò con gli occhi chiusi, troppo eccitata per vedere nitidamente.

Sentì le mani del ragazzo fermarsi improvvisamente e il suo corpo bloccarsi diventando di pietra. Rebecca mise le gambe a terra e si tirò giù il vestito che era salito pericolosamente. Avevano entrambi il fiato corto e il volto infiammato. I capelli di Gabriel erano uno spettacolo: tutti spettinati, lo rendevano ancora più bello e dannato. Il primo bottone della sua camicia era aperto e la giacca dello smoking era finita (chissà come) per terra. Gabriel raccolse la giaccia blu e la indossò, aiutò la ragazza a risistemarsi i capelli e le passò una mano sulla guancia per controllare che il trucco non fosse colato. Le sue labbra erano gonfie e rosse, il rossetto se n’era andato. Fu soddisfatto nell’aver constatato che era stato il primo a toglierlelo.  

Era stato contento di aver fatto quella scenata, si era eccitato nello sbatterla contro il tronco, i suoi occhi imploranti lo avevano fatto impazzire. Ora però si sentiva uno schifo. Ma averla vista con un altro ragazzo lo aveva mandato in bestia, non ci aveva capito più nulla. E all’inizio gli era sembrato giusto punirla, farla soffrire, farle del male.

Inspirò profondamente e s’incamminò con lei al suo fianco verso la pista da ballo. Provò a guardarla di sfuggita, non sembrava arrabbiata.

Meglio.

Forse era delusa, offesa ma almeno non era incazzata. Infondo le era anche piaciuto quello che le aveva fatto. Dopo un attimo di smarrimento e orrore si era lasciata andare con passione e trasporto. Le cinse i fianchi con un braccio e si abbassò a baciarle la testa, inspirò il profumo dolce dei suoi capelli. Controllò che anche il suo vestito fosse apposto, non gli andava a genio l’idea che lei mostrasse troppo del suo corpo a tutte quelle persone.

La spinse verso la pista da ballo e racchiuse il suo corpo con il proprio, la fece ballare su una musica d’amore straziante e triste.

“Gabriel, io non ci ho fatto niente con quel ragazzo” gli disse. Lo colpì il modo sofferente e pentito con cui gliel’aveva detto.

Sembrava un cucciolo bastonato sull’orlo delle lacrime.

Gabriel smise di respirare. “Lo so, tesoro. Sono io che rovino sempre tutto”

Appoggiò la bocca sulla sua fronte e rimasero così finchè la musica non finì.

Lei gli prese con premura infinita una mano e la tenne stretta tra le sue più piccole e affusolate. La guardò e la riguardò. Fece un sorriso. “È guarita”

In effetti la mano che aveva spaccato, colpendo il tronco, aveva fatto presto a rigenerarsi.

“Mi dispiace” mormorò a voce bassa il ragazzo.

“Ti va se andiamo a casa?”

Gabriel la scrutò allungo, poi fece una risata. “Sei folle”

Un sorrisetto malizioso comparve sul faccino angelico della ragazza che si strinse a lui per provocarlo. Sapeva che anche lui la voleva come lei voleva lui. Lo prese per mano e un po’ alla volta si avviarono verso casa.



***



Gabriel scivolò via dal corpo di Rebecca e rimase ansante in posizione supina con le mani lungo i fianchi. Fissava il soffitto con un’espressione sfinita e attirò a sé la ragazza che appoggiò la testa sul suo petto. Ricoprì entrambi con le coperte e la tenne abbracciata.

“Dormi?” le domandò ad un certo punto.

La sentì distendere un sorriso appagato. “Ci sto provando, sono distrutta” mugulò.

A Gabriel scappò una risata. “Pure io lo sono ma non riesco ad addormentarmi”

“Provaci in silenzio”

Gabriel storse la bocca. “Dormi?”

La ragazza sospirò pesantemente e ad un certo punto Gabriel credette che volesse conficcargli le unghie nel petto. “No, non sto dormendo. Finiscila”

Il ragazzo puntellò le dita sul materasso e cercò di trovare qualcosa di divertente da fare mentre aspettava che il sonno arrivasse. Canticchiò una canzone a bassa voce, dopo un po’ un pugno lo colpì in pieno stomaco. Rebecca si mosse accanto a lui.

“Guarda che divento cattiva, smettila di fare rumore” sibilò con rabbia.

“Ma se non dormi allora perché non parliamo?”

Rebecca imprecò. Stava prendendo in seria considerazione la possibilità di strangolarlo con un cuscino. “Vuoi che parliamo?!” esclamò esasperata. Si tirò a sedere tenendosi coperta con il lenzuolo e incrociò le gambe al petto. “Avanti, che devi dirmi di così importante?”

Il ragazzo si imbronciò. “Beh, se la metti così…io volevo solo dire qualcosa tanto per non annoiarmi. Non serve che tu ti metta seduta, torna qui” le disse, indicando lo spazio vuoto dove prima era rannicchiata.

Rebecca sbuffò e con un ghigno gli cadde sopra. “L’uomo di ghiaccio mi desidera?”

Lui le baciò la bocca e poi la punta del naso. “Forse non riesco a prendere sonno perché sono ancora troppo sveglio. Devi trovare il modo di farmi stancare ancora di più” le bisbigliò con occhi vispi e furbetti.

La guardava con quel suo sorriso da mascalzone mentre si mordeva il labbro inferiore.

Rebecca finse un’aria sconvolta. “Ancora?! Non ti bastano due volte in una notte sola?”

Gabriel fece finta di pensarci su. “Ehm…no. Facciamo tre? Solo per questa notte”

La ragazza si sporse su di lui e lo baciò mordendogli le labbra. “Solo per questa volta, guerriero”



***



Era notte fonda quando Rebecca si svegliò con il fiatone. Dovette mettersi seduta per riuscire a riprendere aria, si massaggiò la testa e si spettinò i capelli. Lasciò cadere pesantemente le braccia e guardò Gabriel che dormiva in posizione fetale di fianco a lei. Aveva tutto il corpo tremante e sudato. La finestra era spalancata e l’aria fredda inondava la camera. Il vento faceva vibrare i vetri e i rami degli alberi sbattevano contro i balconi. Subito ebbe freddo. Cercò di coprirsi, ora tremava. Vide il corpo del ragazzo muoversi e rintanarsi sotto le coperte.

Sentiva una strana agitazione addosso. L’incubo che l’aveva svegliata era stato orribile, ed era ancora parecchio scossa. Indossò la vestaglia bianca di seta, allacciò la cinghia e strinse. Mise un paio di ciabatte comode e uscì dalla camera silenziosamente. La casa era buia, Rebecca non aveva voglia di accendere le luci perciò la lasciò nella penombra. Solo la luna rischiarava le stanze e le permetteva di vedere dove metteva i piedi. Andò in cucina e prese un bicchiere d’acqua fresca, lo bevve in meno di cinque secondi. Era ancora sudata, aveva ancora sete. Bevve un’altra volta e con gusto. Si appoggiò al ripiano della cucina e mentre finiva di bere ciondolava i piedi.

Buttò il bicchiere vuoto nel lavabo e sbadigliò stiracchiandosi le braccia. Ci voleva proprio una bella rinfrescata, l’acqua fredda l’aveva calmata e tranquillizzata. Decise di tornare a letto. Ebbe giusto il tempo di fare un passo in avanti quando una visione s’intromise nella sua testa, prepotente e violenta. Spalancò la bocca e si tappò le orecchie.

“Basta…” sussurrò.

Il suo corpo divenne rigido, dritto e immobile.

Tutto era buio. Era come se ci fosse una nebbiolina scura che aleggiava intorno a lei. Non capiva dov’era finita, non c’era niente e nessuno, era completamente sola. Guardò a terra e vide che il pavimento sul quale poggiava i piedi era una condensazione di nebbia, di fumo che scorreva nella stessa direzione. Si guardò e con orrore vide che la sua vestaglia era sparita, indossava un’uniforme nera con il mantello scuro che le scendeva fino a terra. Portava degli stivali troppo sexy e minacciosi, con il tacco alto e in pelle. Alla fibbia era legata una spada con la lama rossa e le mani erano racchiuse da un paio di guanti neri che lasciavano scoperte le dita. Le unghie erano lunghe e affilate. Si toccò con mano tremante i denti e sentì due canini lunghi e taglienti.

Cercò di aprire gli occhi ma non ci riuscì. La testa le scoppiava, credeva di morire.

La visione continuò e lei si accasciò a terra, finendo distesa sul pavimento della cucina.

Il suo corpo era pietrificato dalla paura, si guardava a destra e a sinistra. Avrebbe tanto voluto piangere. Sentì dei passi e subito si voltò in quella direzione. Le mancò il fiato in gola quando riconobbe la sagoma incappucciata di Mortimer venirle incontro. Cominciò a scrollare il capo con frenesia, indietreggiò e un singulto disperato le uscì dalla bocca aperta e tremante. Lui si tolse il cappuccio e due occhi rossi la fissarono intensamente.

Perché non si svegliava? Non riusciva ad aprire gli occhi, voleva scappare da quell’incubo…sembrava tutto così vero.

Si sforzò di non piangere ma era pressoché impossibile. Cercò comunque di non dimostrarsi debole. Serrò i pugni e mandò giù il groppo che aveva in gola. Mortimer non smetteva un secondo di guardarla, sembrava soddisfatto, contento. Si tolse il mantello e Rebecca vide che indossava la sua stessa uniforme. Il mantello, a terra, s’infuocò tutto un tratto. Le ceneri che restarono vennero spazzate via dal vento. Lei fece lo stesso e anche il suo mantello bruciò. Una cosa capì in quel momento: Mortimer non aveva intenzione di farle del male. Lo vide sorridere.

Lo sentì parlare dentro la sua testa.

“Non ti vergogni ad avere ucciso tuo padre?”

La sorpresa di sentire la sua voce acida dentro i suoi pensieri la fece scuotere. Non sapeva che dire, eppure c’era molto da dire a riguardo.

“Non potevo lasciarti in vita” pensò e il suo pensiero andò a finire direttamente dentro la testa di Mortimer che annuì.

Era sempre stata addestrata da Gabriel a sconfiggere il Male. Il suo compito era stato quello di uccidere Dark Threat, non suo padre. Nella sua missione non era inclusa la postilla: “sterminare la propria famiglia”. Ora, mentre guardava il suo vero padre, pensò che in fin dei conti non era giusto avergli tolto la vita. Magari Mortimer, nello scoprire che era sua figlia, avrebbe potuto comportarsi diversamente, forse avrebbe saputo insegnargli ad essere un uomo migliore. Va bene uccidere un estraneo ma con che coraggio aveva lasciato morire suo padre? Suo padre! Rebecca non era un mostro e nonostante sapesse benissimo quanto Dark Threat fosse pericoloso e cattivo non riusciva più a vederlo come prima: con odio e rancore. Ora lo vedeva come suo padre, una parte di lei non poteva non provare dell’affetto per lui. Avrebbe voluto conoscerlo, salvarlo, aiutarlo, farlo rinascere come una persona buona. Ma forse era impossibile. Ma lei era ingenua e credulona, un schiava dell’amore e della famiglia. Si accorse troppo tardi che Mortimer nel frattempo le aveva letto tutti i suoi pensieri. Si avvicinò a sua figlia e le tese una mano.

“Puoi sempre riscattarti”

“Non tornerai mai in vita, io non lo permetterò” sibilò tra i denti.

“E se io e te nella vita restassimo insieme? Aidel, sei pur sempre mia figlia”

Rebecca vacillò e perse molte delle sue sicurezze. Diavolo, era suo padre quello che le parlava?! Per un attimo le venne in mente Jonathan, il bene che gli aveva voluto nonostante fosse stato per lei un padre adottivo.  

Stava soffrendo e questo lui l’aveva capito. Appariva tranquillo, affabile, protettivo. Possibile che lei l’avesse sempre visto così malvagio, spietato e insensibile? Da come la guardava le si scaldò il cuore.

I suoi occhi erano persi totalmente dentro quelli del padre, appariva ipnotizzata e vacua. Tese con una calma innaturale la mano verso di lui e gliela strinse. Un dolore allucinante la colpì in tutto il corpo, potè sentire il sangue esplodere dentro le vene e il cuore cominciare a battere all’impazzata. Le sembrava di andare a fuoco. Staccò la mano da Mortimer e lui scomparve con quel suo sorrisetto soddisfatto. Guardò il proprio corpo e non vedeva niente di strano, eppure si sentiva le fiamme di un fuoco ardente e scottante invaderla completamente.

Rebecca sbarrò due occhi gialli verso il soffitto.

Quando la sensazione di ardere svanì Rebecca era in piedi. Il cuore non batteva, la sua pelle era fredda. Si sentiva l’aria nei polmoni pesante, come se qualcuno fosse dentro di lei. Come se stesse ospitando un’anima dentro il suo corpo.

Cacciò un urlo e con le mani si tenne la testa in fiamme.

Con una luce nuova negli occhi osservò diversamente da prima il luogo buio in cui si trovava. Strano ma non aveva più paura, si sentiva a suo agio lì nelle tenebre. Sfilò la spada dalla cinghia e vide il proprio riflesso sulla lama. Era più bella di quanto ricordava, gli occhi erano di un rosso acceso e la pelle era più bianca del solito. Si portò una mano sul petto e cercò di sentire il battito del cuore. Ghignò compiaciuta. Non c’erano battiti.

Riaprì gli occhi e il ritorno alla realtà fu brusco e spiacevole. Era afflosciata a terra e delle braccia muscolose stavano tentando di rialzarla. Sentì la voce preoccupata di Gabriel che le stava dicendo qualcosa. Si dibatté come una matta, urlò delle parole incomprensibili finchè non sentì il corpo del ragazzo allentare la presa. Si divincolò un’altra volta e Gabriel la lasciò andare. Si alzò da sola velocemente con le mani di Gabriel a pochi centimetri dalla sua pelle, pronte a prenderla nel caso avesse avuto un cedimento.

Gabriel non l’aveva mai vista tanto sconvolta. Il suo volto era bianco come un lenzuolo, aveva delle occhiaie nere e pesanti che le cerchiavano gli occhi mentre le iridi erano nere e infossate. Tremava ed era scossa da brividi, il sudore scorreva lungo tutto il suo corpo facendoglielo risplendere. Aveva il fiatone, non riusciva bene a respirare.

Il ragazzo provò incerto ad avvicinarsi. “Che ti è successo?” mormorò, il suo cuore gli martellava nel petto.

“Niente” disse col fiato corto.

“Non prendermi in giro, dimmi che ti è successo, non ti ho mai vista così!”

E ora che scuse poteva inventargli?

Una voce parlò nella sua coscienza e lei ripetè quelle parole. “Ho avuto una visione”

Gabriel parve calmarsi. “Cos’hai visto?”

Una guerra, disse la voce.  

“Una guerra” ripetè lei.

“Stavi combattendo? Contro chi eri?”

Era una guerra tra villaggi, il nostro e un villaggio di nome Numbia. Ci hanno attaccati loro, di notte, dicevano che gli avevamo tolto tutto, le case, le proprietà, il cibo…tutto.

“Era una guerra tra villaggi, il nostro e un villaggio di nome Numbia. Ci hanno attaccati loro, di notte, dicevano che gli avevamo tolto tutto, le case, le proprietà, il cibo…tutto” la voce parlava, lei ripeteva fidandosi cecamente.

“Era solo un brutto sogno” disse con gentilezza accennando un sorriso. “Ti posso assicurare che abbiamo un rapporto pacifico con quel villaggio. Non significa nulla, stai tranquilla” si avvicinò e le accarezzò una guancia.

“Ma tu mi hai detto che non devo sottovalutare le mie visioni” disse Rebecca, non la voce.

La voce rimase zitta, sembrava che se ne fosse andata. O forse si era soltanto assopita.

“Le tue visioni non azzeccano sempre, Rebecca. Non dovresti credere cecamente a tutto quello che ti passa per la testa”

La ragazza arricciò il naso. Si fece abbracciare da Gabriel e gli baciò il petto nudo.

“Mi fai sempre morire di paura” le sussurrò il ragazzo all’orecchio.

Lei rise e lo guardò negli occhi. “Io muoio sempre di paura. Sarebbe tutto molto più semplice se non fossi così speciale”

“Se tu non fossi così speciale non mi sarei mai innamorato di te” le disse seriamente.

“Ti amo”

Rebecca accostò le sue labbra contro quelle del ragazzo. Si baciarono allungo, si fecero trasportare dalle emozioni, dall’amore. Finirono distesi per terra, due corpi avvinghiati e pronti a concedersi. Rebecca premette con forza la testa del ragazzo sulla sua bocca, stava cercando di non dare ascolto alla voce che le stava parlando. Era appena udibile, ma lei la sentiva forte e chiara.

Liberati dall’amore.

Ecco cosa diceva.  



***



Atreius attendeva impaziente accanto ad una colonna, il suo grande letto giaceva in un angolo, era stato spostato per permettere alla congrega di maghi di riunirsi nel centro esatto della stanza. Gli serviva spazio e Atreius gliel’aveva dato. Nonostante il suo aspetto non lasciasse trapelare nulla il suo corpo fremeva per l’attesa. Fissava uno ad uno i maghi incappucciati seduti sul pavimento con le gambe incrociate. Sembrava stessero facendo yoga. Passarono diversi minuti e durante il rito alcuni maghi morirono, Atreius gli vide crollare a terra privi di vita, con gli occhi sbarrati e vuoti. Erano rimasti i tre maghi maestri e altri due maghi.

Si stava facendo tardi, ormai era quasi l’alba.

Finalmente uno dei tre maghi maestri aprì gli occhi e si rilassò. Un sorriso vittorioso comparve sui loro volti. Il ragazzo si avvicinò.

“Allora? Ce l’avete fatta?”

Sapeva già la risposta, la vedeva stampata a caratteri cubitali sulle loro fronti, ma voleva sentirselo dire.

“Sì, mio signore. Come avevate chiesto lo spirito è entrato ospite nel corpo dell’angelo”

“Quanto dovremo aspettare affinché lei lo liberi?” chiese Atreius.

“Tutto dipende da quanto è corruttibile il suo animo, mio signore”

“È sua figlia” ghignò il ragazzo, consapevole di quanto peso avessero le sue parole.

I maghi ammutolirono. “Allora accadrà anche prima delle nostre aspettative”

“Quando?” ruggì.

“Entro l’anno, una data precisa non sappiamo dirgliela”



***



Quella mattina allenarsi era più difficile del solito, Rebecca non ci stava proprio con la testa. Non ci era stata a colazione, lungo il tragitto e neppure ora, mentre Gabriel la guardava torvo.

“Stai bene?” le chiese.

Lei fece un gesto come a voler scacciare una mosca fastidiosa e si mise in posizione di attacco. “Sì. Forza, cominciamo”

Il ragazzo appariva titubante e tentennò sul posto. Fece per procedere e avanzare quando si bloccò. Allargò le braccia e la guardò come se fosse stupida. “Rebecca, sono io che ti assalgo. Perché ti metti in posizione di attacco?”

“Giusto” rispose mordendosi la lingua. “Che idiota, scusa” cambiò posizione e si mise sulla difensiva.

Gabriel appariva perplesso. “Vuoi attaccare tu per prima? Non c’è problema, se vuoi…”

“Perché dovrei?”

“Sembravi pronta a saltarmi addosso, basta che lo dici”

“No, no! Lascia perdere, fatti avanti, andiamo”

Gabriel cominciò con una camminata blanda, man mano che procedeva verso di lei aumentava il passo fin quando non si ritrovò a correre velocissimo. Quando le fu vicino fece un balzo e andò a colpirla sulla spalla, Rebecca scivolò piano verso terra spinta dal colpo e subito parò un altro colpo che le stava colpendo lo stomaco.

Si diede il via ad un corpo a corpo, erano entrambi agili, precisi, i loro movimenti erano talmente rapidi che un occhio umano non sarebbe stato in grado di capire nitidamente quello che stavano facendo. Il ragazzo si smaterializzò davanti ai suoi per comparirle dietro, lei lo colpì con una sfera magica e lo catapultò infondo al campo. Gabriel non fece in tempo ad alzarsi che lei lo assalì bloccandolo a terra, le prese i fianchi con le mani e alzò il bacino in modo da farla volare sopra la propria testa. Rebecca cadde e rotolò sul terreno, con uno scatto di addominali il ragazzo si alzò mentre lei frenò la caduta distendendo una gamba e girando su sé stessa. Gabriel l’attaccò con una serie di calci rotanti e lei si protesse con le braccia, fece una ruota in aria per scappargli. Toccò terra e subito dovette usare lo scudo per evitare che delle lance di metallo le si conficcassero nel torace.

Lasciò cadere lo scudo.

Improvvisamente si sentì inquieta, arrabbiata, frustrata. Quel giochetto dello “scappa e scansa” le stava diventando pesante.

Avvertì qualcosa smuoversi dentro di lei.

La voce parlò e lei senza pensarci obbedì, forse perché era proprio quello che avrebbe potuto calmarla.

Aprì le braccia dal basso verso l’alto e una folata di aria gelida li invase. Il cielo diventò grigio e sembrò sera. Dallo sforzo per l’incantesimo che stava compiendo i suoi capelli erano sparati in aria e volteggiavano nella spirale di vento. Gabriel la fissava inorridito e indietreggiò.

Il corpo di Rebecca era circondato da una strana aurea rossa che scintillava, quando scaricò la forza una sfera potente e iridescente le partì dal centro del petto e schizzò verso il ragazzo.

Gabriel ebbe appena la forza per creare uno scudo, troppo debole paragonato a quella magia, che la sfera lo centrò in pieno e lo scagliò indietro con prepotente forza. Gabriel si accasciò al terreno e rimase fermo, tentò di alzarsi, alzò la testa, ebbe un sospiro e si afflosciò.

Rebecca gli vedeva solo la schiena immobile, come tutto il resto del corpo, e fu pervasa da un brivido di terrore. Tornò in sé. Si portò a rallentatore una mano sulla bocca per non gridare.

Che aveva fatto? Che magia aveva usato?

Il sangue le si congelò nelle vene e corse verso Gabriel che ancora non dava cenno di alzarsi. Si lasciò cadere vicino al suo corpo e lo girò supino per controllare le ferite, respirava e per fortuna non aveva né tagli né ematomi. Sembrava solamente sconvolto, stralunato, catatonico. Fissava il cielo scuro ed era bianco come un lenzuolo. Rebecca si buttò sul suo petto e lo strinse forte a sé.

“Oddio, cos’ho fatto…mi dispiace!”

Gabriel doveva aver trovato improvvisamente la forza per reagire perché si mise seduto, era comunque molto debole e affaticato. La guardò come se la vedesse per la prima volta. “Cosa ti salta per la testa, dannazione?” domandò con voce sconcertata.

“Io non pensavo che…non so come mi sia venuto…” cominciò a piangere dal nervosismo.

Gli occhi del ragazzo si fecero duri e glaciali. “Ti rendi conto di quello che hai fatto?”

“No!” esclamò la ragazza esasperata.

Non aveva idea di cos’aveva evocato, non sapeva come spiegare l’origine di quell’incantesimo così potente e distruttivo, era solo conscia del fatto che le era venuto spontaneo e praticamente automatico. Avrebbe tanto voluto che lui le desse qualche spiegazione.

“Vuoi sapere cos’hai evocato?” ringhiò.

Lei annuì, incapace di sostenere il suo sguardo. Aveva avuto una paura folle di avergli fatto del male.

Gabriel serrò la mascella. “Mi hai scagliato contro una potente magia oscura, come potevo, anche solo lontanamente, prevederlo? Non ti ho mai insegnato niente di tutto ciò, non ha nulla a che fare con la magia buona, Rebecca! È male! Devo dedurre che hai per caso un altro maestro oltre al sottoscritto?” c’era cattiveria nella sua voce.

“No! Non ho nessun altro maestro! Non so da dove mi sia venuto quest’incantesimo, io non l’avevo mai fatto prima!” lo implorò con occhi colmi di lacrime. “Oddio, ho avuto così paura…stai bene?” domandò, e lo abbracciò.

“Sai cos’era?”

“No…” sussurrò affondando la testa nella sua spalla.

Sentirlo vivo vicino a lei la faceva sentire bene. Per un attimo aveva creduto di averlo ucciso. Non sarebbe stata più in grado di vivere altrimenti.

“Era un concentrato di energia solare, una sfera di luce con la stessa distruttività del sole stesso. Una palla infuocata radioattiva, potente e molto difficile da richiamare”

“Richiamare?”

“Rebecca, quella sfera l’hai rubata al sole”

“Oh”

“Saprai bene quanto forte è l’energia del nostro sole, tu me ne hai scagliato addosso una parte”

“Non so che dire” biascicò.

“Ha scalfito addirittura il mio scudo. È magia nera, solo gli angeli del male se ne servono, loro usano spesso magie che hanno a che fare con il loro elemento naturale: il fuoco. È una tattica ignobile e degna di cattiveria, per questo non viene insegnata agli angeli buoni”

Rebecca si coprì gli occhi con le mani.

Che diavolo le stava succedendo?

Sentì la voce dentro di lei esultare.  

Gabriel la scansò e si mise in piedi con difficoltà, barcollò un attimo e schiaffeggiò la mano che lei gli aveva teso per aiutarlo. Era deluso, peggio che vederlo arrabbiato.

“Gabriel…” Rebecca mormorò il suo nome ma lui ormai se n’era andato.

Il cielo ritornò azzurro.



***



Eccoci qua...spero vivamente che anche questo capitolo vi sia piaciuto!!!!
Leggo con interesse i vostri commenti e vi ringrazio
moltissimo!!!!

Fatemi sapere che ne pensate, commenti e recensioni sono sempre gradite!!!!

Il prossimo capitolo: "UN OSCURO PRESAGIO"

 











 
  
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