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Autore: Sokew86    06/02/2015    2 recensioni
Beryl li portò via dalle loro famiglie e riempì la loro anima di bugie e odio. Questa è la storia di quattro ragazzi e di come furono maledetti per i loro esseri speciali.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shitennou/Generali
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio, Prima serie
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capitolo1

CAPITOLO I

 

Sergej stava sorseggiando il suo tè aromatizzato all'arancia mentre osservava Aaron parlare, a volte temeva che non si sarebbe mai fermato. Vide che una ciocca dei capelli biondi di Aaron era appoggiata al tavolinetto del largo balcone della camera del ragazzo.

Aaron aveva i capelli più lunghi che Sergej avesse mai visto su un uomo, gli arrivavano alla vita ed erano ricci ... Sergej non osava pensare alla loro lunghezza effettiva se fossero stati stirati con una piastra.

- Mi stai ascoltando?- chiese piccato Aaron e Sergej tentò di bleffare ma non gli riusciva molto bene.

Infatti, ricevé quel sorriso furbetto, quasi diabolico, che dava al viso di Aaron l’apparenza di un seduttore, non di un artista fragile e neanche di un angioletto, nonostante che fosse solo un quindicenne e i lineamenti del suo viso erano piuttosto delicati.

Sergej aveva diciassette anni ma sapeva d'avere uno sguardo più innocente rispetto all'amico che era assai più malizioso, impaziente e burrascoso di lui. Sergej, invece, era una persona paziente, severissimo con se stesso e molto calmo.

Aaron imbronciò il viso, riavendo per un attimo i suoi quindici anni, e sorseggiò la sua cioccolata calda.

- Mi manca la cioccolata belga- esclamò con disappunto come avrebbe fatto un bambino.

Sergej sorrise e rimase in silenzio, non aveva nessuna intenzione di dar corda a quell'argomento, Aaron non perdeva occasione di proclamare la supremazia del Belgio sul mondo e in generale dell'Europa.

-Hai sentito parlare di quei casi di sparizione?- domandò Sergej.

-Quelli dei ragazzi tra i quindici ai diciotto anni? Sì-

- Vorrei che fossi attento- disse Sergej assumendo un tono preoccupato- Erano tutti ragazzi dalla vita mondana come la tua-.

Aaron non rispose ma schioccò impaziente la lingua-Me l'ha detto anche mio padre, per chi mi avete preso? Ammetto di ficcarmi spesso nei guai, ma so anche uscirne-.

Sergej arrossì imbarazzato, si sentì invadente ... conosceva Aaron solo da un mese, eppure sentiva il bisogno di guidarlo e proteggerlo ma il più giovane non era di questa idea, considerando che non ascoltava neanche suo padre.

- Anche se... - iniziò Aaron spostando finalmente la ciocca di capelli invadente - Non oso immaginare come si sentano i loro genitori in questo momento-.

Sergej lo fissò in silenzio.

- Se mi accadesse qualcosa del genere, mio padre non si arrenderebbe fino alla sua morte - concluse bevendo distratto la sua cioccolata e domandò con uno sguardo profondo-Cosa farebbe tuo padre?-

Aaron sapeva che non erano argomenti da affrontare con un suo coetaneo ma Sergej era diverso ...  lo faceva sentire a suo agio ad affrontare argomenti di un certo spessore. Riusciva a fargli smettere di recitare la parte del superficiale ragazzo ricco.

- Mio padre non si darebbe pace finché non trovasse il mio assassino-

-Ma ho parlato di scomparire- obiettò Aaron.

- Le persone scomparse, se non sono ritrovate entro ventiquattro ore o danno segni di vita, come accade con i ragazzi scappati di casa, sono quasi sempre morte-.

Aaron fischiò ironico- Che cinismo-

- È praticamente dimostrato, quindi stai attento-, specificò Sergej nuovamente, senza volerlo, e Aaron alzò lo sguardo al cielo impazientito.

Sergej si morse le labbra e per evitare di parlare iniziò a far vagare il suo sguardo. La casa di Aaron era una villetta in stile europeo immerso in un giardino all'inglese pieno di fiori, che soltanto a guardarlo, provocava in Sergej un moto di nostalgia come se avesse visto un posto simile molto tempo fa.

Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, si sentì in pace ... una sensazione che Sergej era sempre alla ricerca e che invece gli sfuggiva sempre.

Aaron prese il suo cellulare e lo impostò sull’opzione radio.

Sergej aprì gli occhi e li puntò in quelli di Aaron.

- Ti dispiace se ascoltiamo questo programma? Dura solo mezz'oretta - domandò Aaron, con un tono stranamente colpevole. Partì la sigla e Sergej la riconobbe, non sapeva chi l’aveva composta ma era un genio, era trascinante e faceva pensare a un mondo misterioso e antico.

-Ascolti anche tu il programma di Keme?-.

Aaron arrossì come risposta e iniziò a balbettare provocando in Sergej un moto di tenerezza per quello strano coetaneo.

- Non fraintendermi, non sono un fissato di leggende e racconti popolari. Mi piace come spiega il conduttore, ecco tutto, e poi il suo programma è tra pochi a essere in inglese senza appartenere alla BBC- concluse seccamente Aaron.

Sergej sorrise dolcemente e concordò che il conduttore sapeva quello che faceva.

- Amici ascoltatori sono Keme, in diretta dalla stazione  radiofonica di Tokiooutside. Oggi parleremo ancora del monomito dell'eroe, come ho già spiegato la puntata precedente, è il percorso di dodici passi che compie l'eroe in un romanzo, in un film … in qualsiasi tipo di racconto scritto, ricordatevi che, però, le sue radici affondano nel classico mito greco. L'altra volta abbiamo parlato dell'introduzione dell’eroe nel mondo ordinario, cioè il mondo normale del protagonista. Oggi parleremo del richiamo all'avventura: il mondo ordinario del protagonista è sconvolto da qualcosa, un’azione che l’eroe è costretto a subire, nei miti classici, ad esempio è l'arrivo del messaggero con le notizie di una guerra. Nel mito classico e moderno di Star Wars è il momento che Luke vede il messaggio della principessa Laika. Ma il richiamo dell'eroe può assumere altre forme come il sogno o può essere lo stesso eroe a sentire il bisogno di partire. Oggi parleremo del richiamo all'avventura nella vita di tutte le persone. Non siate scettici e pensate profondamente alla vostra vita, sarà capitato almeno una volta di ricevere una notizia inaspettata o d'aver seguito il bisogno interno di dover cambiare vita-.

- Oppure tuo padre che ti trascina dalla tua bella Bruxelles e in ti porta ai confini del mondo- sbottò irritato Aaron mentre Sergej precisò che era, appunto, un esempio dell'azione esterna che l'eroe non poteva controllare.

- Personalmente ho avvertito il bisogno di cambiare aria e dopo lunghe notti insonni, ho sognato questa bellissima nazione e ho capito che dovevo assolutamente venire in Giappone dal Canada. Coraggio ditemi del vostro richiamo all'avventura, le linee sono aperte al numero... -.

I due amici ascoltarono i commenti degli ascoltatori, tutti erano entusiasti di discutere del proprio richiamo all'avventura e Keme li spingeva a parlare, quel conduttore era bravo e spiritoso.

- Come sei finito in Giappone, Sergej?-

- Facile, a mia madre è stato offerto un lavoro da un teatro importante giapponese e ci siamo trasferiti qui. La mia famiglia segue sempre gli spostamenti di mia madre, l'abbiamo sempre fatto- spiegò pacatamente Sergej mentre lo guardava sempre più perplesso Aaron.

- Ma non ti sembra un abuso, essere trascinato dappertutto?-

Sergej esitò nel rispondere, cosa che non sfuggì agli occhi di gatto di Aaron, ma poi sorrise tranquillo.

-Normalmente no, ma da quando mia sorella è andata a vivere in America ammetto di sentirmi un po’ spaesato-

Aaron rimase in silenzio, intuendo che quella parola "spaesato" voleva dire tutt'altro.

Il ragazzo belga sapeva che Sergej, nonostante fosse più aperto di lui verso la società giapponese, aveva difficoltà a integrarsi ed era quasi un anno che si era trasferito lì.

Sergej era il figlio di un padre vedovo russo che si era risposato con una donna cinese con una figlia a carico, di tre anni più grande di Sergej.

Sergej amava profondamente la matrigna e sua sorella acquisita considerandole la sua effettiva famiglia. Aveva anche un fratellastro, il piccolo Shen che era nato dall'unione di suo padre con la seconda moglie.

Sergej era vissuto da sempre in questa famiglia allargata in posti cosmopoliti come Hong-Kong e Shangai.

Una situazione familiare del genere era così complessa da essere ostica, soprattutto per un popolo tradizionalista come quello Giapponese.

Sergej era dispiaciuto di non riuscirsi a integrarsi perché nonostante l'aspetto caucasico, il russo aveva un cuore asiatico: Aaron lo definiva un ragazzo molto zen.

- Immagino di sentirmi anch’io spaesato- ammise Aaron, mettendo particolare enfasi sull'ultima parola, utilizzando un tono un po’ duro però per l'intera frase.

Sergej lo guardò con dolcezza-Devi dare una possibilità a questo posto-.

Aaron lo guardò scettico ma non disse nulla.

- Vedila così, è il tuo richiamo all'avventura. La tua avventura sarà imparare ad amare il Giappone-.

Lo sguardo beffardo che ricevé Sergej lo convinse che Aaron non avrebbe mai ascoltato il suo consiglio, invece, poco tempo dopo, dové ricredersi.

 

Sergej era alle sue lezioni pomeridiane quando sentì la sua intera gamba vibrare, silenziosamente e, senza farsi vedere dal professore che stava spiegando, prese il cellulare dalla sua tasca.

Era un messaggio di Aaron che chiedeva di chiamarlo, alzò la mano e aspettò che il professore lo notasse e chiese il permesso d'uscire che gli fu accordato.

Entrò in bagno e controllò che non ci fosse nessuno e telefonò Aaron.

- Dove sei Aaron?- domandò non poco preoccupato, i casi di sparizione gli avevano messo molta ansia e non sapeva neanche lui perché.

- Bella domanda, so solo che mi sono avventurato più in là di quello che dovevo con il treno e ovviamente le scritte sono solo in ideogrammi in questa dannata stazione! Aspetta che ti mando una foto-.

Sergej ricevé in attimo una foto di un'insegna della stazione e appena la lesse chiamò l'amico e parlò con un tono esasperato di voce.

-Sei dall'altra parte di Tokio! Mi spieghi cosa ci sei andato a fare laggiù?-.

-Te lo spiego quando arrivi-, ribatté prontamente Aaron.

Sergej inspirò profondamente e poi parlò con un tono autoritario che Aaron non aveva mai sentito dalla sua bocca.

- Aaron rimani dove sei, perfettamente immobile. Non fare nulla, chiaro?- comandò.

Sergej arrivò in sessanta minuti circa e trovò, esattamente come aveva richiesto, Aaron immobile: incredibilmente quel ragazzo poteva seriamente ascoltare qualcuno e Sergej si stupì d'essere quel qualcuno.

Aaron stava bene, aveva solo un’espressione annoiata e Sergej gli si parò davanti come una furia, facendolo sobbalzare leggermente quando iniziò a sgridarlo senza neanche averlo salutato.

- Si può sapere che intenzioni avevi qui? Hai capito che sono preoccupato per te? Se ti capitasse qualcosa, ne morirei!- esclamò con un'enfasi che non apparteneva a una persona riflessiva e calma come lui.

Aaron lo fissò in silenzio, con un'aria stranamente mortificata e parlò così sommessamente che Sergej rimase stupito.

-Mi dispiace, ma siamo sopravvissuti a situazioni ben peggiori. Lo sai?-

Entrambi rimassero in silenzio: cosa erano quelle frasi così nostalgiche ma prive di senso?

Sergej tirò via dal muro Aaron e gli disse che poiché ormai erano lì, era il momento di mostrargli il vivere giapponese.

-Ci sei mai stato qui?- domandò diffidente il belga mentre Sergej gli rivolgeva un ghigno.

-No, ma ciò che ho in mente è presente in tutte le parti del Giappone-.

Sergej portò Aaron a provare la cucina giapponese in una bancarella tipica per i lavoratori.

Era piccola e stretta, le persone erano ammassate davanti a un bancone, l'una vicina all'altra con i gomiti che si sfioravano. Quando accadeva Aaron stringeva le spalle a disagio, come tutti gli europei, era abituato a uno spazio personale più ampio rispetto a un asiatico e quindi quella vicinanza forzata, soprattutto, mentre mangiava lo infastidiva.

Infatti, si rivolse a Sergej seccato- Se questo è il tuo modo di punirmi, sappi che l'hai scelto benissimo-.

Sergej ridacchio-Rilassati, ti assicuro che per il cibo vale la pena- così dicendo si rivolse al cuoco e ordinò da mangiare.

Aaron sospirò, immaginò di doversi fidare e per la verità Aaron non si fidava di nessuno, neanche di se stesso: tutti lo credeva un ragazzo amichevole ma era in realtà introverso.

Il cuoco fu rapido e furono serviti due piatti di ramen in un brodo fumante, Aaron fissò le bacchette che gli erano state consegnate e tentò di domandare una forchetta al cuoco, ma fu fermato, fortunatamente, da Sergej.

-Non hanno posate qui, devi usare le bacchette-

-Illuminami. Come si mangiano gli spaghetti e, soprattutto, il brodo senza una comoda posata?- domandò afferrando cautamente le bacchette, Sergej lo imitò e si posizionò in modo che Aaron potesse vedere come le usava.

-Con le bacchette si mangia tutto ciò che si può afferrare e poi il brodo si beve-

Aaron fece un’espressione disgustata-È un’azione maleducatissima per il galateo!-.

-Per l'Occidente sì ma non qui. Dai, guarda come posiziono le bacchette e imitami- lo esortò a provare e Aaron pur rimanendo scettico in volto ci provò, Sergej gli mostrò il modo coretto di tenere le bacchette e poi come afferrare il cibo. Seppure con qualche difficoltà, Aaron riuscì a gustare la prima porzione di spaghetti di soia e incredibilmente non ebbe nulla da ridire.

Sergej continuò a sorridere contento, continuando a chiacchierare mentre Aaron migliorava l’uso delle bacchette diventando sempre più tranquillo e aperto ai cibi scelti dall'amico.

Ordinarono altro cibo e da bere, il cuoco non gli domandò quanti anni avessero nonostante che in Giappone l'assunzione di alcolici era vietata fino ai ventun anni, ma agli occhi di un asiatico i due ragazzi erano abbastanza grandi da sopportarlo.

-Allora mi dici che ci sei venuto a fare qui?- domandò Sergej, tutto a un tratto, prendendo in contropiede Aaron che stava bevendo la sua birra.

Guardò l'amico titubante e supplichevole -Prometti di non ridere?-.

Sergej lo fissò tranquillo, in un silenzio d'assenso che spinse Aaron a parlare.

-Ho sognato una scuola superiore in questa zona e sono venuta a cercarla-

Sergej fissò allibito l'amico, incapace di dire qualcosa, tra tutte le ragioni che aveva pensato, non ce ne era una che fosse lontanamente simile a quella di Aaron.

-Fammi capire bene, tu oggi hai saltato le tue lezioni per andare all'altra parte di Tokio a cercare una scuola?-

-Esattamente- confermò Aaron passandosi una mano nervoso tra i capelli mentre attendeva l'inevitabile, infatti, Sergej scoppiò in una fragorosa risata.

-Non sei bravo a mantenere le promesse, Sergej- commentò offeso Aaron.

L'altro ragazzo iniziò a tossire nel tentativo di frenare la sua risata e il suo viso chiaro arrossì.

-Devi ammettere che è paradossale saltare la scuola per cercarne una- commentò canzonatorio mentre Aaron lo guardava come volesse incenerirlo, ma poi lasciò correre e con un gesto seccato concordò con lui.

Sergej gli riempì il bicchiere in simbolo di pace e due tornarono a parlare del più e del meno, come se nulla fosse.

Dopo un po’ i due ragazzi pagarono e decisero di tornare a casa con l’autobus. Sergej chiese informazioni per le indicazioni e gli suggerirono di passare per una via alberata vicina, che tagliava la strada per la fermata degli autobus.

Era già scuro nonostante che non fosse così tardi, ma in Giappone, data la sua posizione, il sole calava prima e quando i due ragazzi passarono per la via alberata, ormai completamente buia, sentirono di essere stati imprudenti.

Aaron e Sergej notarono un gruppetto di quattro persone dal volto losco e decisero di tenere il profilo basso per evitare guai, ma furono notati lo stesso e il gruppetto li raggiunse. Sergej pregò mentalmente che Aaron non raccogliesse le loro provocazioni e si limitasse a eseguire gli ordini dei malviventi.

I quattro criminali, senza molti giri di parole, e in un inglese maccheronico, chiesero di consegnare i portafogli e i cellulari. 

Lo sguardo di Aaron diventò scuro e, per evitare che facesse qualcosa di stupido, Sergej intervenne iniziando a consegnare il cellulare. Uno dei tipacci con uno sguardo serio e arrogante gli tirò violentemente il cellulare dalla mano e quel contatto provocò un'improvvisa ira in Sergej. Istintivamente bloccò il polso del malvivente e con un gesto fulmineo di autodifesa lo rovesciò a terra.

Aaron non perse tempo e reagì colpendo con un calcio ben assestato tra le gambe di uno dei criminali.

-Lo sapevo che non volevi dargli nulla a questi stronzi- esclamò entusiasta il belga mentre Sergej con la mente confusa ma con il suo corpo che si muoveva con grazia, precisione e letalità continuò a difendersi dagli avversari.

Che cosa diamine stava facendo e perché gli riusciva? Suo padre per anni aveva tentato di insegnargli delle tecniche di autodifesa ma Sergej si autodefiniva un impiastro. Un improvviso lampo di dolore gli attraversò la testa e un’immagine sfocata di un uomo dai lunghi capelli castani occupò la sua mente facendogli mancare il respiro. Sergej cadde a terra in ginocchio e con la coda dell'occhio notò che Aaron eseguiva il suo stesso gesto e con una mano si teneva la testa.

Possibile che avevano provato lo stesso dolore in contemporanea? Possibile che avessero visto la stessa immagine? Sergej non ebbe tempo di pensare. Il loro improvviso cedimento aveva gonfiato l'ego di quei delinquenti che stavano approfittando della loro posizione per picchiarli.

Sergej urlò ad Aaron di provare a difendersi, mentre con gli occhi spaventati vedeva i piedi del gruppetto pronti a riempirli di calci.

Sergej aspettò il colpo, consono che quell’improvvisa abilità doveva essere stato un colpo di fortuna e sentì una botta senza percepirla.

Era incredulo quando comparì il volto di uno dei criminali davanti agli occhi e, alzando lo sguardo, vide uno splendido ragazzo in camicia bianca e pantaloni neri. Sergej si rialzò e vide che l'uomo fu in grado di sistemare gli altri tre teppisti da solo, con l'aiuto grossolano di Aaron che continuava a colpirli da dietro.

Tutto finì in pochi attimi, i quattro uomini erano a terra e non si sarebbe rialzati presto. Lo sconosciuto domandò in inglese se stessero bene porgendo il cellulare sequestrato a Sergej, che finalmente osservò il suo viso: occhi grigio metallo e capelli bianchi.

Rispose che stava bene e aspettò che anche Aaron confermasse ma, invece, quest'ultimo fissava in assoluto silenzio, quasi in rispetto referenziale, lo sconosciuto.

Sergej rimase allibito da quel silenzio, mentre lo sconosciuto sorridendo disse- E' meglio che ci spostiamo da qui-.

I tre ragazzi camminarono fino all'uscita del viale alberato e per tutto il tempo Aaron non parlò, tanto che lo sconosciuto domandò.

- Il tuo amico non parla?-

Sergej quasi si strozzò con il suo respiro per quell’affermazione e ribatté.

-Sì che parla: questo silenzio è una novità-

Lo sconosciuto sorrise ancora, ma beffardamente questa volta-In effetti non mi sembra un tipo pacifico come te. Mi dispiace ragazzi per quest’aggressione, spero che non torniate a casa con una visione negativa del Giappone-.

Non ci fu nessun commento negativo da parte di Aaron e Sergej iniziò a preoccuparsi, che quel dolore alla testa gli avesse procurato uno shock?

-Ti ringrazio molto per il tuo aiuto. Potrei sapere come ti chiami?-

-Il mio vero nome è Geir, ma qui, in Giappone, mi faccio chiamare Saito-

-Ma è un cognome-, specificò Sergej.

Saito sorrise gentilmente, e si passò una mano tra i capelli con gesto scherzoso e non rispose, allora Sergej gli chiese cosa potessero fare per sdebitarsi ma lo sconosciuto rispose che non era necessario e di fare solo più attenzione.

Allora si salutarono e i due amici camminarono verso la stazione dell'autobus, Aaron era rimasto nel suo inusuale mutismo finché non fissò negli occhi Sergej e disse in un sussurro.

-Cavolo, per quel Saito potrei diventare gay-

Sergej scoppiò a ridere in una risata liberatoria e gli diede un colpetto scherzoso sulla spalla, contento di vedere che Aaron stava bene, eppure un sentimento negativo, il dubbio, si fece spazio nel cuore di Sergej: cosa era stata quella visione, l'aveva avuta anche Aaron?

Sergej decise di tacere per il momento, da quando aveva conosciuto Aaron il suo cuore si era calmato e si sentiva più sereno, ma dall'altra parte c'erano quelle strane sensazioni e quelle strane visioni.

Mentre Sergej rimaneva in silenzio, nei suoi pensieri, arrivò l'autobus e insieme all’amico salì, entrambi si sedettero e non parlarono, improvvisamente stanchi di quella strana giornata trascorsa.

Sergej non si accorse che Aaron si era addirittura addormentato, finché non sentì il leggero battere della sua fronte sul finestrino. Lo guardò con uno sguardo gentile, per la prima volta il suo amico così focoso ed entusiasta, così malizioso ... gli sembrò vulnerabile, come il suo fratellino minore.

Poco dopo gli senti mormorare una strana frase sconnessa in francese: Maestà ... Kunzite ... vicini.

Dopo quelle parole, Aaron si giro su se stesso sul sedile e diede le spalle a Sergej, lasciandolo solo con quelle parole sconnesse che lo colpirono profondamente.

Dove aveva sentito quella parola Kunzite e Maestà ... Che sogno stava facendo Aaron?

 

Dalla loro ultima avventura era passato del tempo, in cui Sergej e Aaron avevano continuato a rafforzare la loro amicizia. Fu così che Sergej fu invitato da Aaron a partecipare a una lussuosa festa all'ambasciata francese.

Sergej non era stato molto sicuro sul partecipare ma la sua famiglia aveva insistito di non sprecare l'occasione, però di stare attento, in città le misteriose sparizioni dei ragazzi erano ancora in corso.

Quando Sergej arrivò all'ambasciata, gli sembrò d'essere catapultato in un set di qualche vecchio colossal storico hollywoodiano e non potete non trattenere il fiato per lo splendore del palazzo, che a quanto pare era stato costruito dai francesi ai tempi dei loro primi viaggi in Giappone.

Consegnò il suo invito all'usciere che lo invitò a entrare con un sorriso, Sergej fu felice, quando entrò in sala, che nessuno lo stava fissando per il suo aspetto: in quella sera si respirava un clima di autentica internazionalità. Per qualche motivo sconosciuto Sergej, non si sentiva a disagio considerando che non era mai stato a una festa del genere e le persone presenti sembravano assurdamente ricche. Drizzò la sua schiena e assunse un atteggiamento sicuro e sorrise modestamente, qualche persona lo notò e lo paragonò silenziosamente a un cavaliere.

Sergej non dovette faticare molto a trovare Aaron, si vennero incontro in pratica a metà strada.

Se era possibile, Aaron sembrava ancora più adulto del solito nel suo elegante smoking con dei bordi verdi sulle maniche.  Aveva lasciato i lunghi capelli sciolti dietro la schiena.

-Come sono felice che tu sia venuto- commentò con entusiasmo Aaron mettendosi di fianco all'amico- Non hai idea di quanto mi senta a disagio-, confessò.

Sergej rimase sinceramente stupito a quelle parole, Aaron sembrava un principe e non stonava per niente con l'ambiente.

-Strano che tu lo dica, personalmente non mi sento a disagio. Grazie per avermi invitato-

Aaron fece l'occhiolino e ghignò maliziosamente-Forse nella scorsa vita eri un bellissimo principe europeo, magari uno zarino!-.

Sergej alzò gli occhi al cielo -Noto che la mia spiegazione sulla rincarnazione non ti ha convinto-.

Aaron alzò le spallucce in segno di resa-Sai com’è, sono cattolico e la reincarnazione va contro il mio principio "vivi la tua vita come non ci fosse un domani"-.

Sergej lasciò cadere l'argomento, avrebbe avuto tempo per far cambiare idea ad Aaron.

Sapeva di dover far familiarizzare Aaron con quel concetto, in questo modo avrebbe potuto rivelargli delle sue strane visioni.

-Come mai ti senti a disagio?- domandò e Aaron si morse nervoso la bocca.

-Ci sono troppe mie ex- disse il belga mentre Sergej notò che c'erano molte ragazze alla festa e, in effetti, alcune di loro guardavano Aaron con tale disappunto che si sentì anche Sergej, sotto accusa.

-In realtà chiamarle ex è un'esagerazione. Non capisco perché tutto questo risentimento- commentò esasperato Aaron.

-Forse è questa tua nonchalance a infastidirle- commentò secco Sergej.

-Sono stato sempre chiaro che non ho nessuna voglia di legarmi. Come il solito, le donne sono tutte delle manipolatrici. Pensano che con i sotterfugi possano cambiarti e DOMARTI-.

Sergej rimase sbalordito, non aveva mai creduto a un pensiero così estremo, non gli erano mai piaciute l’estremizzazione e rimase colpito dalla rabbia di Aaron, era fredda e controllata, non meno pericolosa.

-Ad ogni modo godiamoci la serata, se vuoi ballare con qualcuna, fai pure. In questa serata ci saranno le ragazze più belle di Tokio. Non te l'ho mai chiesto ma quale la tua donna ideale?-.

La prima parola che venne in mente a Sergej fu una dea guerriera ma si limitò a dire che gli sarebbe piaciuto incontrare una ragazza dai capelli neri e lunghi.

Aaron fece un passo indietro e con le dita delle mani creò un riquadro, come se stesse fotografando Sergej, e ridacchiò- In effetti una ragazza bruna accanto a te ci starebbe molto bene, sareste artisticamente belli. Somigliereste al simbolo del Ying e Yang-

Sergej ci pensò su e concordò.

-Hai ragione-disse e poi indicando il cravattino che indossava blu, commentò-Se amasse il rosso, sarebbe perfetto-

Il tempo passò velocemente per Sergej, che aveva parlato senza problemi con persone illustre e ballato con alcune ragazze meravigliose. Aaron osservava contento la scena vicino a suo padre, un uomo dall'aspetto distinto di cui Aaron aveva ereditato solo i capelli biondi e ricci.

-Il tuo amico è in gamba, non ho mai visto qualcuno così abile a muoversi in un ambiente diplomatico, senza esserci nato- commentò il padre di Aaron mentre beveva un bicchiere di vino bianco, Sergej gli era piaciuto dal primo momento che gli era stato presentato dal figlio.

Aaron sorrise fiero, come se fosse stato lui a ricevere il complimento.

-Di che cosa si occupano i genitori?-

-Il padre ha una piccola compagnia di autobus e la moglie è direttrice d'orchestra- rispose Aaron.

-Suona Sergej?-

-Sì,tre strumenti, tra cui il piano-

-Il pianoforte… come te. Glie l’hai detto?- disse il padre voltandosi per studiare il volto del figlio.

-No, non è una cosa che amo vantarmi. Ho altri interessi-

-Lo so, ingegneria informatica-

-Disapprovi? Papà- domandò Aaron.

-Disapproverei di più se tu diventassi un gigolò professionista- concluse seccamente il padre, i suoi occhi, che avevano una luce saggia dentro, si chiusero per il disprezzo del pensiero.

Aaron abbassò lo sguardo e giocò con il bordo del suo bicchiere di vino.

-Sai bene che detesto molto il tuo comportamento. Tu non sei solo un bel visino-

I due tacquero, dopo un po' Aaron sorrise, forse un po’ rincuorato che al padre non piacesse quello che faceva, che avesse interesse per il suo bene.

Il padre lo fissò negli occhi e poi indicò Sergej con lo sguardo.

-Non fare come al solito-.

Aaron tacque e smise di sorridere.

-Non cacciarlo via improvvisamente-.

Aaron mise una mano sulla spalla del genitore e sorridendo triste disse -È la mia natura- e si allontanò per andare a chiacchierare con l'amico mentre suo padre lo osservava con occhi pieni d'amore e il cuore preoccupato.

-La serata è di tuo gradimento?-domandò Aaron ricevendo un sorriso sereno.

-Sì molto- rispose con sincerità il russo.

-Se ti annoi dimmelo che scappiamo. Sono bravissimo a scappare da queste cose-.

-Credo che sia tu quello sia ti annoi- scherzò Sergej.

-Mea culpa, se non passo il tempo a sconvolgere le persone mi annoio- Aaron alzò le mani al cielo in un gesto di finta esasperazione, ma poi con un tono di voce più duro specificò- Finché non mi faranno arrabbiare mi comporterò bene-

Sergej lo fissò per un lungo attimo, quelli erano gli unici momenti che temeva Aaron, sentiva in lui una strana e brutale forza animo che stonava tanto con il suo aspetto minuto, era la forza di un guerriero, feroce e spietato.

Sergej udì improvvisamente una voce femminile dall’accento britannico dietro di sé- Aaron, non credo che tu mi abbia ancora presentato il tuo amico-.

Aaron e Sergej si voltarono e quest’ultimo vide una bella donna trentacinquenne, che li osservava con degli occhi verdi feroci e ferini.

-Scusami madre, lui è Sergej un mio amico. Sergej ... mia madre- il tono di Aaron era diventato freddo.

La madre di Aaron provocò in Sergej, subito, diffidenza ma si presentò educatamente e notò quanto Aaron somigliasse a sua madre, di cui non aveva ereditato solamente i capelli rossi e le poche lentiggini sul viso.

-Piacere Sergej- disse la donna con un tono di voce distratto, per focalizzare immediatamente il suo sguardo sul figlio.

-Aaron, vorrei che tu suonassi la “Sonata al Chiaro di Luna" di Beethoven per la figlia di Lady V-

-Perché? C'è l'orchestra che in grado di farlo- ribatté, pronto a non cedere, Aaron.

-Non era un suggerimento- disse la donna in un tono gelido.

Sergej vide l'intero corpo di Aaron irrigidirsi e impallidire in una fredda e controllata rabbia.

La madre di Aaron finse di non accorgersene e li lasciò soli, Aaron si voltò verso Sergej e mentre raccoglieva i lunghi capelli in una treccia stretta, che chiuse con un elastico nascosto nella tasca interna della giacca, domandò perentorio.

-Quale è il tuo film preferito, Sergej?- spiazzato dalla domanda improvvisa e totalmente scollegata a quello che era appena successo Sergej, disse la prima cosa che gli venne in mente: Casablanca.

-Bene lo conosco- fu l'unico commentò di Aaron mentre si allontanava da Sergej per avvicinarsi all'orchestra.

Sergej non poteva sentire che cosa stesse dicendo ma capì che stava usando il suo fascino o meglio la sua faccia tosta per convincere i musicisti a lasciargli il posto. 

Aaron attirò l'attenzione su di sé e quando l'intera sala fu in silenzio sorrise, disse con il tono di voce più ammaliante che potesse avere -Salve a tutti, vorrei dedicare il pezzo che suonerò a una persona deliziosa-.

Sergej vide la madre di Aaron sorridere soddisfatta mentre il marito assunse un'espressione dubbiosa.

-Al mio amico Sergej- finì Aaron cambiando la sua espressione in una più cattiva e sfidando apertamente sua madre.

Sergej dall'altra parte, preso in contro piede, rimase interdetto mentre Aaron si sedeva violentemente sullo sgabello del pianoforte e iniziava a suonare la colonna sonora del film Casablanca.

Mise tutto il suo impegno e, quando finì, ci fu un applauso generale compiuto da tutti. La madre di Aaron non applaudì e quando il figlio le passò vicino, lo prese per il polso e gli parlò con un tono duro e marziale-Perché non fai mai quello che ti dico?-.

Un sorriso canzonatorio comparve sulle labbra del ragazzo- Perché non voglio, ovvio!-.

Poi mise una mano sulle spalle di Sergej e chiese se volesse andarsene, Sergej acconsentì.

Abbandonarono la festa senza tante difficoltà e, soprattutto, senza fare spettacolo: Aaron guidò Sergej attraverso le vie d'uscite secondarie come se conoscesse la piantina dell'edificio.

Quando uscirono Aaron domandò a Sergej se potesse stare da lui quella sera, era chiaramente infuriato e il russo quasi sospettò che avrebbe potuto essere pericoloso per se stesso e gli altri e quindi acconsentì ma una condizione.

-Avverti almeno tuo padre, non vorrai farlo preoccupare-

Aaron schioccò la lingua impaziente e, per la prima volta, Sergej trovò davvero irritante quel gesto.

-Senti non so che problemi hai con tua madre, ma tuo padre è una brava persona e non si merita quest’atteggiamento da stronzo da te- disse Sergej così aspramente che Aaron assunse un'espressione imbarazzata. Eppure Sergej lo continuò a guardare severamente, per nulla colpito.

Aveva conosciuto il padre di Aaron un po' di tempo fa e non riusciva a capire perché l'amico lo maltrattasse, poiché quando glie l'aveva chiesto, Aaron aveva confessato di non saperlo.

Aaron abbassò la testa sconfitto e telefonò al padre, fu una conversazione breve in francese stranamente tranquilla.

Riposò il telefonino in tasca e fissò in silenzio Sergej che lo guardò con sorrisetto quasi irritante che quasi l'urto, finché il russo propose di fare una passeggiata per rilassare i nervi.

Aaron non parlava e Sergej approfittò del momento per mandare un messaggio al padre per avvertire dell'ospite.

Ci fu un lungo silenzio, però Sergej non se ne preoccupò, anche se non era sicuro che Aaron non fosse arrabbiato con lui.

-Lei lo tradisce - disse Aaron, tutto a un tratto, con un tono abbattuto e Sergej si fermò per fissarlo, il suo amico sorrideva triste e i suoi occhi erano tinti di delusione

-Per questo la odio- concluse abbassando il capo sconfitto, Sergej percepì ancora una volta quel forte affetto, che non riusciva ancora a spiegarsi poiché era nato in così poco tempo, e si avvicinò ad Aaron, lo afferrò per il braccio e gli disse dolcemente -Andiamo, ti offro qualcosa-.

Era notte, l'unico locale che trovarono aperto fu un McDonald dalle pareti arance e i tavoli bianchi. Erano gli unici presenti, ad eccezione di un anziano signore che mangiava un panino con un bastardino giallo particolarmente brutto, ma dagli incredibili occhi castani-rossiccio, il quale si trovava ai suoi piedi.

I due ragazzi presero qualcosa da bere e decisero di rimanere lì dieci minuti per stare un po' tranquilli, Sergej si era messo a raccontare qualche vecchia storia che gli era capitata a Hong-kong quando entrò un uomo dalla felpa scura con il cappuccio calato fino sugli occhi.

Il vecchio non lo notò invece il cane sembrò puntare il suo sguardo prima sul misterioso individuo e poi sui ragazzi, che avevano alzato la guardia.

L'uomo al bancone era diventato più vigile e guardava con sospetto ogni movimento dell'individuo che si era avvicinato.

-Desidera?- domandò il membro del personale con tono neutrale e l’individuo rispose con voce tuonante e togliendosi il cappuccio che era una rapina.

- D'energia - concluse ridendo mentre i due ragazzi e il vecchio erano rimasti impietriti, quell'uomo non aveva nulla d'umano, era completamente calvo, delle orecchie a punta facevano capolino ai lati della tesa e la sua pelle dalla normale colorazione diventò  verde bile.

Il mostro fece dei gesti con delle mani e l'intero ristorante fu avvolto da una luce nera e delle strane sfere avvolsero la testa dell’uomo a bancone e del vecchio facendoli svenire, o peggio.

I due ragazzi rimassero atterriti dalla paura quando videro altre due sfere andare verso la loro direzione ma, quando ormai pensavano che fosse finita, sentirono una strana energia, seguita da una luce accecante, che colpì il mostro in pieno.

Quando i ragazzi riaprirono gli occhi, videro due pietre, una dal colore grigio pallido e una verde e rosa che volteggiavano lentamente sopra di loro, continuando a illuminare i loro volti.

Lentamente la ruota del destino stava girando e non poteva essere più fermata.

 

Nota dell’autrice:

Se avete voglia di controllare i miei video sugli shitennou. Ecco i link

https://www.youtube.com/watch?v=uShJxjtSTE8

https://www.youtube.com/watch?v=eNMw33WzHSo

https://www.youtube.com/watch?v=MBwl2MpFXXA

Altre note:

Sul carattere di Sergej mi sto basando su due cose.

Sull’analisi di questa ragazza:

http://darkspellmaster.tumblr.com/page/2

e ho tratto ispirazione in alcuni punti ( con il suo consenso), dalle storie di questa bravissima fan writer

https://www.fanfiction.net/u/4393212/yeah-well-hey

 

GRAZIE A CHI MI SEGUE/LEGGE/COMMENTA E A CHI FINISCE PER CASO QUI! ^^

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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