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Autore: etienne86    07/02/2015    14 recensioni
A volte ci rubano qualcosa di importante e crediamo di aver perduto tutto. A volte i sogni si infrangono davanti alla realtà e sentiamo solo il fallimento. A volte un raggio di sole torna ad illuminare la nostra vita. Un tesoro, che qualcuno ha custodito per noi, tenacemente, negli anni. Da lontano.
Insomma, la solita storia molto ferma, molto intro, e per le mie corde, molto OOC.
Ringrazio fin d'ora Elisa per le sue fanart.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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29-Fantasmi 29- Fantasmi


Raggiunse il suo cuore come una folata di vento gelido in un tiepido pomeriggio di primavera.
Un profumo unico, particolare, familiare, le ricordò il suo nome, prima che potesse annunciarglielo, con tono quasi imbarazzato, Monsieur Florent.
Fersen...Hans Axel von Fersen...
"....un illustre ospite da Parigi, la attende nel salotto..."
Oscar si sentiva inebetita.
Era l'ultima persona che si sarebbe aspettata di incontrare lì, probabilmente l'ultima che avrebbe creduto di rivedere per tutta la vita. Si accorse dello sguardo di attesa che le rivolgeva Florent, non ricordava nemmeno se avesse pronunciato qualche parola in risposta al suo annuncio.
Si diresse con passo deciso e cuore in tumulto nel breve corridoio che conduceva al salotto, dove il nuovo arrivato l'attendeva.
"Volete incontrare ora il vostro ospite? Non preferite...cambiarvi, conte de Jarjayes?" chiese timidamente Florent, tenendo gli occhi puntati a terra.
Oscar cercò la sua immagine nel piccolo specchio che ornava una delle pareti e le parve che il suo volto, con i capelli spettinati ed umidi per la cavalcata nel bosco, le guance rosse e le labbra scarlatte, raccontasse senza pudore l'incontro dal quale si era da poco separata.
L'idea di Andrè, dei momenti appena trascorsi e di quel fantasma del suo passato giunto ora a Chablis la fecero trasalire ed esitare per un istante. Ma il desiderio di rivedere Fersen, dopo quella lunga assenza, sopravvissuto ad una guerra lontana, vinse la sua titubanza e la spinse a lunghi passi verso il suo ospite.
La porta era socchiusa: Fersen era seduto di fronte al camino, intravedeva la gamba fasciata nello stivale e la chioma lunga, selvaggia, così diversa dalle acconciature con le quali era solito presentarsi a Versailles, così simile a come lo aveva visto lei, lei sola, in Normandia.
Mentre apriva lentamente la porta, l'uomo si alzò e si voltò verso di lei. Il suo viso si illuminò in un sorriso radioso, stupendo, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. In pochi istanti anche lei fu travolta dalla medesima commozione.
La raggiunse senza parlare, le strinse una mano e se la portò alle labbra.
"Oscar, che Dio sia lodato! E' un tale piacere potervi rivedere!"
Voleva essere controllata, ospitale ed amichevole, e invece non riusciva nemmeno a salutarlo.
"Anche se non ci crederete, non è passato un solo giorno della mia vita senza che abbia pensato a voi!" continuò, alzando lo sguardo su di lei, senza liberare la sua mano.
Gli anni trascorsi non avevano minimamente intaccato il suo fascino, anzi. Il colorito della sua carnagione, le piccole rughe attorno agli occhi, i capelli lunghi e fluenti avevano eliminato ogni traccia di fanciullezza dal suo aspetto, evidenziandone ancor di più la virilità.
"Lasciate che vi guardi" le disse infine, arretrando di un passo.
Oscar sentì il suo sguardo scivolare lungo la sua figura, come una calda carezza.
"Siete ancora più bella di quanto ricordassi".
Avvertì il calore delle sue guance, subito arrossite e maledisse la sua debolezza di fronte a quel uomo ed al suo modo di trattarla troppo...da donna.
"Siete tornato, dunque" furono le uniche parole che riuscì a rivolgergli.
"Si, Oscar, sono tornato. In realtà ho raggiunto Parigi solo da poche settimane" replicò, volgendo lo sguardo alle fiamme del camino, la mente condotta lontano da un pensiero cupo, come un tormento. Tornò a rivolgersi a lei e nei suoi occhi sembrava completamente dissipata la gioia manifestata nel rivederla.
"Sono stato incredibilmente sorpreso di non ritrovarvi al vostro posto...accanto alla Regina"
"Eravate al corrente delle mie condizioni di salute, prima della vostra partenza..." replicò Oscar, decisa. Uno strano, sordo dolore le stava stringendo la gola. Un tuffo nel passato, rapido, intenso. Socchiuse gli occhi e quasi le sembrò di sentire la furia delle onde e l'odore salmastro che giungeva fino alla sua camera, nella tenuta in Normandia.
Forse il conte se ne accorse, continuò cercando di riportare la sua attenzione nel presente.
"La mia era semplicemente una constatazione, Oscar, non un'accusa. La situazione a Versailles e nell'intera Parigi è davvero mutata, rispetto alla realtà che ricordavo e conoscevo. Voi siete certamente uno dei cambiamenti che non mi aspettavo e, credetemi, uno dei più pericolosi"
Oscar lo guardò con aria interrogativa.
"Ad essere sincero, vi guardo qui, in una sperduta tenuta di campagna, così lontano da...dal ruolo che vi si addice, da essere ancora incredulo!"
Tacque un istante, come attendesse delle spiegazioni o un commento. Ma Oscar si voltò, senza replicare.
"Mi perdonerete se mi sono permesso di parlare con vostro padre di questo"
Sorrise ironicamente, mentre nella sua mente si formava l'immagine del Generale a colloquio con Fersen. Rammentava perfettamente che nelle poche occasioni in cui il nobile svedese era entrato tra gli argomenti di conversazione, il padre si era mostrato subito insofferente: non lo aveva mai potuto sopportare.
"Ma- continuò Fersen- capite bene quanto mi senta...responsabile di tutto quello che vi è successo"
Mentre pronunciava queste parole le si era avvicinato e le aveva preso delicatamente un braccio, come per indurla a guardarlo e a confermare le sue supposizioni.
"Non avete assoldato voi i sicari che mi hanno quasi uccisa" rispose allora.
"Non prendetevi gioco di me, Oscar" la incalzò, facendosi ancora più vicino. Ormai non poteva evitare il suo sguardo.
"Vi ho ferita nel modo peggiore in cui un uomo può ferire una donna e non me lo perdonerò mai, perchè, nonostante tutto, vi ho sempre considerato il mio migliore amico"
Rimasero un istante a fissarsi, in silenzio, quando udirono il lieve colpo sulla porta che preannunciava l'ingresso di un domestico.
"Scusate se vi interrompo"
Andrè comparve alle loro spalle. Si rivolse a Fersen, piegato in un inchino accennato.
Da quanto tempo sei lì, Andrè? Il pensiero le attraversò la mente come un lampo, mentre lui si rivolgeva loro imperturbabile.
"Desideravo comunicare al vostro ospite che la sua camera è pronta e ho già provveduto a trasferirvi il suo bagaglio. Se vuole cambiarsi prima della cena che verrà servita alle sette nella sala da pranzo, posso accompagnarla..."
"Oh, si, certamente." rispose Fersen, come se ricordasse solo in quel momento le buone maniere.
Andrè attese che il nobile svedese gli passasse davanti, chiaramente senza dare segno di riconoscerlo, prima di alzare lo sguardo e puntarlo su di lei. Non gli piaceva Fersen, non gli era mai piaciuto. Si era sentito pervadere da una sorda gelosia dall'istante in cui, rientrato dalle scuderie, era stato travolto da un Florent in preda al panico.
"Un ospite inatteso...un nobile della corte di Versailles...come facciamo con le camere? Non possiamo alloggiarlo nell'ala della servitù!"
Senza scomporsi gli aveva ceduto la sua stanza, aveva ordinato a Muet di cambiare le lenzuola e liberare la toeletta dei suoi effetti personali.
"Mi farò ospitare da Sebastiane" aveva concluso, cercando di strappare un sorriso a Florent. Ma dietro a quella calma apparente montava dentro di lui una crescente inquietudine.
Dunque è tornato dalla guerra...va bene...ma perchè cercare Oscar al punto di inseguirla fin qui, a Chablis?
Non credeva ad una pura visita di cortesia. E l'aria disorientata che aveva colto sul viso di lei quando li aveva raggiunti in salotto confermava i suoi sospetti. Finse di non notarla.
"La cena sarà piuttosto frugale, non era atteso un ospite per oggi, soprattutto non del rango del conte" continuò in tono pacato "Ho detto a Sebastiane di apparecchiare per voi due nella saletta piccola. Io mi occuperò del servizio a tavola"
Oscar restò in silenzio, quasi faticasse a comprendere il significato di quelle poche parole.
"Quindi non cenerai insieme a noi, Andrè?"
Non riuscì a trattenere una risposta densa di sarcasmo.
"Conosci qualcunaltro in questa umile dimora che sappia come servire due nobili del vostro lignaggio, avvezzi al galateo e ai cerimoniali della reggia di Versailles?"
"E' appena tornato da una guerra, Andrè! Credi davvero che noterà come gli viene versato il vino?"
"Nè la qualità del vino nè la cura con cui gli verrà presentato ti faranno sfigurare, puoi starne certa!" continuò facendo un passo verso di lei e fissandola intensamente. "Il punto non è questo, e nemmeno da dove ha fatto ritorno. Resta il fatto che io sono un servitore, Oscar, e il mio posto è in piedi, alle vostre spalle, non seduto tra voi! Ora perdonami, ma il tuo ospite mi attende."
Non le lasciò il tempo di replicare e uscì dalla stanza.
Mi parla come un padrone mentre mi ricorda di essere solo un servo...e se ne va senza attendere di essere congedato...come un domestico non potrebbe neanche fare! Ma forse è meglio che non si intrattenga con noi...
In realtà durante la cena la conversazione si tenne lontana dalle loro questioni personali.
Fersen raccontò della guerra oltreoceano, soffermandosi soprattutto a descrivere il Nuovo Mondo, così diverso, sotto ogni aspetto, da qualsiasi paese avesse già visitato. Una malattia protrattasi per diversi mesi gli aveva impedito di rientrare in Europa con i primi contingenti salpati dalle coste orientali e lo aveva costretto a prolungare il suo soggiorno in America.
Oscar era certa che il suo ospite intendesse ritirarsi presto, stanco del viaggio, ma quando Andrè propose ai signori di accomodarsi in salotto per gustare un brandy, prodotto rinomato di Chablis, Fersen accettò con entusiasmo.
Si ritrovarono in silenzio, uno di fronte all'altra, illuminati dalla calda luce del fuoco che ardeva nel camino, a riscaldare col palmo della mano il proprio calice, mentre l'aroma di acquavite si diffondeva nella stanza.
"Talvolta mi capita di pensare a come sarebbero andate le cose se...se a quel ballo, dodici anni fa, avessi incrociato il vostro sguardo prima di quello della regina. Se già allora avessi saputo che eravate una donna, nonostante la divisa..."
"Troppi se, conte di Fersen" tagliò corto Oscar.
"Non avete dunque rimpianti? Non posso crederlo!"
Si che ne ho, ma come posso spiegarlo a voi o a chiunque altro? Solo lord Weston è riuscito a comprenderli e, penso, prima di quanto abbia fatto io!
"Sapete, Oscar - continuò come parlando a se stesso - ho veramente capito la natura dei vostri sentimenti nei miei confronti solo quando sono tornato dal fronte"
La donna non distolse lo sguardo dal proprio bicchiere, per nascondere il disagio che il tenore di quella conversazione le stava procurando.
Aveva anelato per mesi alla possibilità di rivederlo, per chiarire cosa avesse significato per lui quella fuga in Normandia, con lei, se si fosse mai pentito di qualcosa, se avesse mai sentito davvero nostalgia di lei e adesso che finalmente questo gelo tra loro si scioglieva, sentiva solo fastidio, come un inutile rivangare in un miscuglio di ricordi dolorosi, messi da parte di fronte ad un presente più felice ed appagante.
"Ho calpestato i vostri sentimenti, vi ho indotto a fuggire dall'amore come dal più temibile dei nemici..." disse, quasi sussurrando.
"Non assumete quell'aria afflitta, Hans; per me è davvero tutto passato" cercò di concludere Oscar, appoggiando il calice sul vassoio davanti a lei.
Fu allora che Fersen le afferrò il polso con un movimento delicato ma repentino, obbligandola a guardarlo.
"Si dice che per dimenticare un dolore bisogna perdonare chi ce l'ha procurato...mi avete quindi dimenticato, Oscar?"
Lo guardò, allibita.  
"Ve lo chiedo perchè...perchè è mia intenzione portarvi via con me, a Parigi! E' per questo che sono qui, a Chablis"

Si svegliò all'alba.
Un velo di nebbia cerulea avvolgeva le colline che circondavano la domaine.
Sentiva uno strano freddo, la mancanza del calore di Andrè. Come ogni mattina, ma quel giorno più degli altri.
Sapeva che era arrivato il momento di uscire dal sogno di un rapporto celato al mondo, che si nutriva di sguardi silenziosi, di fughe nel bosco, di cavalcate tra le colline, di abbracci e sospiri tenuti al segreto dalle quattro mura di legno del padiglione di caccia. Di un rapporto che non aveva spazio nella loro società, che alla luce del sole era considerato inconcepibile.
Si alzò e si avvicinò alla finestra.
Lo vide nel cortile, davanti all'ingresso delle scuderie. Aveva i capelli sciolti, corti, come usava al sopraggiungere delle stagioni più calde.
Stava strigliando il cavallo di Fersen. Con movimenti lenti e conosciuti bagnava la spazzola di setola in un secchio ai suoi piedi e la strofinava ritmicamente sul pelo dell'animale. Un'attività umile, che il giovane compiva ormai a occhi chusi, ma con una pacatezza ed una cura che la fecero sorridere.
Pensò che Andrè sapeva sempre cosa fare, qualsiasi cosa accadesse attorno a lui. Sentì che voleva stare con lui.
Si infilò gli stivali e coperta del solo mantello scese in punta dei piedi le scale e lo raggiunse.
Andrè la vide solo quando il cavallo mostrò segni di nervosismo per quella figura che si avvicinava velocemente a loro.
Non si aspettava di incontrarla. Non sapeva cosa chiederle, non era certo di voler ascoltare le sue possibili risposte.
"Sto sistemando il cavallo di Fersen, nel caso vogliate uscire a fare una cavalcata nei..."
Oscar lo zittì appoggiando un dito sulle sue labbra. Con l'altra mano gli sfilò la spazzola che cadde nel secchio con un rumore sordo.
Lo condusse nella scuderia e prima che potesse farle alcuna domanda chiuse le sue labbra con un bacio.
Si strinse a lui ed immediatamente sentì il freddo scivolare via, sostituito dal calore del suo corpo e dal fuoco che sentiva pervaderla. Gettò il mantello su un covone di fieno, in un angolo riparato, si spogliò degli stivali e dei pantaloni e con indosso la sola camicia tornò ad abbracciarlo.  
"Oscar...Oscar..."e non capiva se la supplicava di fermarsi o continuare.
Per tutta la notte si era tormentato, pensando al futuro che lo attendeva, alla decisione che lei avrebbe dovuto prendere, senza indugiare oltre.
Ma quando la toccava e la sua pelle gli parlava del suo desiderio per lui, smetteva di pensare. La seguì sul quel giaciglio improvvisato e la assecondò in ogni gesto, in ogni istante. Oscar lo amò con una foga che sembrava velata di disperazione, lui la strinse come fosse l'ultima volta.
Quando infine, steso su di lei, fece scivolare il volto tra i suoi capelli, sopra la sua spalla, l'immagine che lo aveva assillato per l'intera notte tornò a torturarlo. I loro volti così vicini, la mano di Fersen stretta al polso di lei e quelle parole, pronunciate a bassa voce ma con tono deciso, l'intenzione di ricondurla a Parigi, di portarla via con lui. Voleva essere forte, ma una lacrima  riucì a sfuggirgli, perdendosi tra i riccioli biondi e il fieno.
Alzò il capo per guardarla e, con stupore, si accorse che anche lei piangeva.
Appoggiò la fronte alla sua e sospirò.
"Ti amo, Oscar. Non desidero altro che poter stare con te. Verrò con te... dovunque tu mi chieda di seguirti."
Lo disse col cuore, ma quello stesso cuore si spaccò sotto il peso di quella promessa.
Oscar gli accarezzò il viso, dolcemente.
"Anche io ti amo, Andrè"
Per questo non ti chiederò mai di lasciare il tuo mondo, qui, a Chablis.
 
 
  
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