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Autore: Neverlethimgo    08/02/2015    3 recensioni
"Sono mortificato, permettimi di offrirti almeno un caffè," mormorò con tono sommesso, dal suo sguardo potei intendere che fosse realmente dispiaciuto, ma non volevo credergli.
"I miei vestiti non torneranno magicamente asciutti con del caffè, lo sai questo?"
A Harry Styles one shot.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa one shot è nata per caso,
dettata da una strana voglia di scrivere di Harry Styles
in un tipico giorno  di pioggia nella mia città preferita.
E, come ogni cosa che riguarda Harry, la dedico alla mia amica Federica
che, anche se inconsciamente, me l'ha fatto apprezzare almeno un po' :)





Bus Stop.



Avevo fretta di tornare a casa, dentro me ardeva il desiderio di chiudermi la porta d'ingresso alle spalle e non riaprirla più fino al lunedì successivo. Non avevo mai affrontato settimana peggiore di quella, ero arrivata al punto da detestare chiunque mi rivolgesse la parola, mi sentivo scontrosa e inappagata: una persona che mia madre stessa avrebbe definito irritante, ma non me ne importava.
Dedicai una rapida occhiata all'orologio, l'autobus era in ritardo di qualche minuto e ciò non fece altro che aumentare il mio disappunto. Indietreggiai di qualche passo sotto alla pensilina, scocciata dal fatto che alcune gocce di pioggia mi avessero inumidito ulteriormente i vestiti ed i capelli. 
Fissavo con aria assente le gocce tuffarsi nella pozzanghera adiacente al marciapiede, smorzavano il riflesso dei palazzi rendendolo sfocato ed indefinito. 
“Uno spettacolo rovinato,” pensai. Tuttavia, i miei pensieri sul disappunto della pioggia vennero interrotti da un episodio più che spiacevole. 
Un'auto rossa fiammante mi sfrecciò accanto, attraversando in pieno la pozza d'acqua, a quanto pare notevolmente profonda, e mi bagnò. Serrai gli occhi e strinsi entrambi i pugni, maledicendo il guidatore nel modo più crudele che potei. Lo immaginai continuare a percorrere il suo cammino noncurante di ciò che aveva appena fatto, ma mi sbagliai. Riaprii gli occhi ed il bagliore della luce rossa dei fari posteriori m'illuminò il viso, segnalandomi che si era appena fermato. Ridussi lo sguardo a due fessure, mentre la portiera del lato guidatore pian piano si apriva. Dall'abitacolo ne uscì un ragazzo dai capelli castani, leggermente ricci, la camicia azzurra che indossava iniziò lentamente a bagnarsi d'acqua, così come il resto del suo corpo. Distolsi lo sguardo ed ignorai i suoi movimenti, preoccupandomi soltanto dei miei jeans chiari mezzi bagnati. Sbuffai e sbattei un piede contro il suolo, maledicendomi per la pessima scelta dei vestiti.
«Sono mortificato.» Sollevai il capo, incrociando lo sguardo del ragazzo che aveva appena parlato, lo stesso che era appena sceso dalla macchina, lo stesso che mi aveva schizzato addosso l'acqua della pozzanghera. "Permettimi di offrirti almeno un caffè," mormorò con tono sommesso, dal suo sguardo potei intendere che fosse realmente dispiaciuto, ma non volevo credergli.
«I miei vestiti non torneranno magicamente asciutti con del caffè, lo sai questo?»
Abbozzò una risata, mentre io rimasi impassibile e, all'improvviso, divenne serio anche lui.
«Lo so bene, ma volevo in qualche modo sdebitarmi,» continuò poi.
«Ti comporti così con tutte le persone che inzaccheri ogniqualvolta che sfrecci con l'auto sopra alle pozzanghere accanto ai marciapiedi?» Ribattei con tono aspro. Non me la sentivo affatto di accettare il suo caffè e le sue scuse. Quella, per me, era stata una giornata da archiviare e non avevo intenzione di rimanere un solo secondo di più sotto l'acqua gelida londinese.
«A dir la verità, è la prima volta che succede un fatto del genere, ero distratto e non ho prestato attenzione alla pozzanghera. Per questo ti chiedo scusa.»
Dannazione!
Strinsi le labbra in una linea dura ed incrociai le braccia al petto, continuando a dedicargli uno sguardo colmo d'ira. Tuttavia non persi l'occasione di studiare i suoi lineamenti, notando come i suoi capelli, dapprima perfettamente asciutti, si erano inzuppati di acqua e di come il suo viso veniva costantemente rigato dalle gocce di pioggia. Lui era del tutto esposto alle intemperie, mentre io, se non altro, ero riparata sotto al tetto della pensilina.
«Non puoi lasciare l'auto in mezzo alla strada,» commentai, ignorando quanto mi aveva appena detto.
«Posso sempre spostarla se accetti di farti offrire un caffè da me, possibilmente all'interno di un bar, riparati dalla pioggia.»
Sospirai e, per chissà quale ragione, mi sentii in dovere di accettare l'invito. Forse a causa del sorriso che gli increspava le labbra, forse per quei suoi occhi verdi che, nonostante il mio costante odio verso il prossimo, riuscivano a farmi vedere il lato positivo di quel fastidioso episodio. 
«D'accordo, ma sarà giusto per il tempo di bere un caffè ed asciugarci dalla pioggia, dopodiché non desidero altro che tornare a casa,» sentenziai decisa.
«Certo, come preferisci,» commentò tranquillo lui ed iniziò a camminare verso l'auto parcheggiata, e con le quattro frecce lampeggianti, a pochi metri da noi. Esitai qualche istante prima di seguirlo, infine mi decisi ed abbandonai la pensilina, venendo immediatamente travolta dalla pioggia. Entrambi affrettammo il passo fino a che lui non si posizionò accanto alla portiera del lato passeggero e l'aprì. Gli dedicai uno sguardo, che lui subito ricambiò con un cenno d'assenso del capo, facendomi intendere di salire a bordo. Non avevo mai avuto diffidenza degli sconosciuti, ma forse era solo perché essi ne avevano di me. Non ero esattamente il tipo di ragazza che irradia simpatia ed attira le persone a sé. 
Una volta salita a bordo attesi pazientemente che lui facesse lo stesso, prendendomi l'onere di studiare gli interni della macchina. Odorava ancora di nuovo e nulla era fuori posto. La radio era rimasta accesa e dalle casse scaturiva una melodia tranquilla, piacevole, di cui però fino a quel momento non ne conoscevo l'esistenza.
Sentii la portiera sbattere e mi voltai di scatto verso il l'aro guidatore, incontrando lo sguardo divertito del ragazzo. 
«Puoi stare tranquilla, non ho intenzione di rapirti. Sarò fedele a ciò che ho detto e ti offrirò semplicemente un caffè.»
«Non ho mai pensato che volessi rapirmi,» commentai. «Non saresti sano di mente se lo facessi,» aggiunsi poi, abbassando però il tono di voce. 
«E perché?» domandò ridacchiando.
«Non avevi detto che ti saresti limitato ad offrirmi un caffè?» ribattei acida e lo vidi accigliarsi. Annuì semplicemente e mise in moto l'auto, iniziando a percorrere il viale trafficato.
Ero consapevole di avere un atteggiamento inappropriato, scontroso e per nulla amichevole, ma non riuscivo a mascherare il mio stato d'animo: se qualcosa non era andato per il verso giusto, io non potevo far altro che ritornare il pessimo favore al resto dell'umanità. Ero la classica ragazza che le persone comuni ritenevano una stronza, ma ormai ci avevo fatto l'abitudine ed i loro commenti non mi toccavano più. 
Rimanemmo in macchina per quasi un quarto d'ora, il traffico delle cinque del pomeriggio, in una città come Londra per di più, era impraticabile ed era una tra le tante cose che non sopportavo. 
Il ragazzo parcheggiò la macchina accanto all'entrata di Starbuck's ed io sbuffai, non sopportavo affatto quel posto, era troppo affollato per i miei gusti ed il caffè era pessimo. Abbandonammo l'abitacolo e con riluttanza lo seguii, ma mi stupii del fatto che non si avvicinò per nulla all'entrata del locale che tanto detestavo. Piuttosto lo vidi attraversare, diretto ad un café dall'altro lato della strada. Inconsciamente sorrisi e la giornata mi sembrò quasi prendere una piega migliore.
Ci accomodammo ad un tavolo accanto alla vetrina, le gocce di pioggia scendevano rapide sulla superficie liscia del vetro e le seguii con lo sguardo fino a che una cameriera non interruppe i miei pensieri, chiedendo le ordinazioni. 
«Due caffè, per favore,» pronunciò lui, «bollenti.»
La cameriera prese nota di ciò e sparì dalla nostra vista. 
«Posso sapere almeno il tuo nome o dovrò rimanere in silenzio fino a che non avrò finito di bere il caffè?»
«Camille,» risposi semplicemente e lo vidi annuire. «Tu?»
«Harry.» Un sorriso gli increspò le labbra e non riuscii a distogliere lo sguardo dal suo. Mi persi a memorizzare ogni singola sfumatura di quel verde intenso che li caratterizzava. I suoi lineamenti erano così perfetti che dovetti quasi pentirmi di essermi comportata in maniera scontrosa con lui. Le maniche della camicia erano state arrotolate sino a metà braccio, lasciando scoperti i disegni permanenti sulla sua pelle. 
«Ti piacciono i tatuaggi?» mi domandò, costringendomi a scostare lo sguardo. 
«Non mi dispiacciono,» risposi semplicemente.
«Ne hai qualcuno?»
Scossi il capo e, nel frattempo, la stessa cameriera di poco fa ciò portò i due caffè. 
«Prima o poi ne farò uno, ma non ho ancora le idee chiare su cosa imprimere in modo permanente sulla pelle.»
«L'importante è che tu sappia che ti rimarrà per sempre, non farti disegnare cose a caso o per il gusto di averne uno.» Gli dedicai un'occhiata di sufficienza, ma non potei fare a meno di sorridere.
«Mi hai preso per una ragazzina ribelle che fa determinate cose solo per far arrabbiare i genitori?»
Lo vidi scuotere il capo. «Non penso che tu sia una ragazzina, magari ribelle e scontrosa sì.»
«Mi hai trovata nel bel mezzo di una settimana difficile e venir inzuppata dall'acqua di una pozzanghera non era esattamente ciò di cui avevo bisogno, tutto qui.» Appoggiai le labbra sull'orlo della tazzina e bevvi un abbondante sorso di caffè amaro. Era caldo al punto giusto e provai una sensazione di benessere quando sentii tutto il mio corpo scaldarsi. 
«Niente zucchero?» domandò Harry, guardandomi con aria divertita.
«Non metto più lo zucchero nel caffè da tempo, mi piace berlo così.»
«Abbiamo una cosa in comune,» commentò, bevendo anch'esso un sorso. 
L'interno di quel locale era tranquillo, ma a smorzare il tutto fu la suoneria del mio cellulare. Un breve squillo e poi il silenzio tornò a regnare sovrano. 
«Non rispondi?»
«Se è importante, chiunque fosse richiamerà.»
Harry sorrise di nuovo.
«Ecco un'altra cosa che abbiamo in comune.»
Terminai di bere il caffè ed appoggiai la tazzina sul piattino. 
«Stai tenendo il conto per caso? Attento perché potresti non trovare altre cose che ci accomunano,» ribattei, questa volta davvero divertita. 
«Dipende,» mormorò, lasciandomi perplessa.
«Dipende da cosa?»
«Se mi concederai l'opportunità di vederci ancora.»
Corrugai la fronte e congiunsi le mani, appoggiando entrambe le braccia sulla superficie del tavolo in legno. 
«Mi stai chiedendo di uscire?»
«Nonostante ti abbia chiesto solo di poterti offrire un caffè?» domandò retorico, senza però darmi l'opportunità di ribattere. «Ebbene sì, accetteresti?»
Mi lasciai sfuggire una risata. «Sei davvero sicuro di voler uscire con me?»
Harry si strinse nelle spalle, come se quella potesse essere la cosa più naturale del mondo. 
«Sai, potresti avere la sfortuna di trovarmi reduce da una settimana peggiore di questa. E non escludo che ce ne saranno davvero di peggiori,» lo schernii, nonostante ci fosse un fondo di verità.
«Correrò il rischio, di questo non preoccuparti, non ho paura.»
Abbozzai un sorriso, ma fu il sorriso più sincero che potessi rivolgergli. 
«Anche se, ad essere sincero, avrei paura ad uscire con te se dovesse piovere come oggi,» commentò, volgendo un'occhiata oltre la vetrina alla sua sinistra. Incrociai le braccia al petto e mi appoggiai allo schienale del divanetto in pelle. «Considera il fatto che Londra non vanta quasi mai di un sole splendente, per cui potresti dover rivedere alcune cose.»
«Sin da bambino ho avuto modo di apprendere che dopo la pioggia c'è sempre il sole, per cui, nel peggiore dei casi, ci ritroveremmo a prendere un altro caffè.»
Inclinai la testa di lato e gli rivolsi un breve cenno d'assenso. «Non fa una piega, potrei anche accettare allora.»
Harry si accigliò, quasi stupito dalle mie parole.
«Potresti? Credevo fossi d'accordo!» commentò ironico, ma riuscii facilmente a scorgere una punta di irritazione nel suo tono di voce, al che ridacchiai e scossi il capo.
«Dimentichi forse che sono la ragazza scontrosa a cui hai schizzato addosso l'acqua della pozzanghera.»
«Confido nel fatto che tu non sia scontrosa sette giorni su sette.» 
Abbozzai una risata e scossi il capo, giocherellando con il cucchiaino e con quel poco di caffè rimasto nella tazzina. Era divertente tenergli testa, soprattutto perché non aveva dato il benché minimo segno di cedimento e mi sembrava uno a posto, un ragazzo che sapeva il fatto suo.
«Se sei davvero così sicuro di volermi rivedere, questo è il mio numero.» Annotai sul tovagliolo di carta il mio numero di telefono e glielo porsi. Rimase visibilmente sorpreso del mio gesto, ma ciò mi rese felice. Non sembrava affatto aver timore del mio carattere scontroso, non avevo fatto altro che adottare un comportamento restio, eppure a lui sembrava non importare.
«Sappi solo che non tarderò a farmi vivo.»
Non diedi peso alle sue parole, probabilmente non avrei avuto sue notizie tanto presto, ma andava bene così.
Mi alzai dal divanetto e lui fece lo stesso.
«Grazie del caffè, Harry. È stato un piacere fare la tua conoscenza, sebbene avessi preferito rimanere asciutta.» Ammiccai e lo vidi tendere la mano verso di me. Non esitai a stringerla, accompagnando quel gesto con un sorriso.
«È stato un piacere anche per me, Camille.»
Mi diressi verso l'uscita, lasciando che la porta del locale si chiudesse alle mie spalle, e raggiunsi a passo deciso la fermata del bus. Questa volta dovetti attendere solo un paio di minuti, ma non mi pesò affatto, nemmeno la pioggia m'infastidì come solitamente accadeva. 
Presi posto accanto al finestrino ed estrassi il telefono dalla tasca dei jeans. Ricordavo di avere una chiamata persa, ma non fu quella che attirò la mia attenzione. Tra le notifiche c'era anche l'avviso di un nuovo messaggio, proveniente da un numero che non conoscevo.

 
“Non mi hai dato nemmeno il tempo di offrirti un passaggio sino a casa, per cui mi sento in dovere di offrirti un caffè dopo cena :)”


Sorrisi leggendo quel messaggio e digitai immediatamente una risposta.
 
“Sì, effettivamente avrei preferito ritornare a casa in macchina piuttosto che dover salire a bordo di un mezzo pubblico. Sei stato veramente scortese ed offrirmi un caffè è il minimo che tu possa fare per sdebitarti ;)”

Riposi il telefono in tasca, ma poco dopo suonò nuovamente. 
 
“Con questo mi stai dicendo che, se ti invitassi a cena, potrei considerarmi perdonato?”


Mi preoccupai di salvare il suo contatto in rubrica e dopodiché risposi al messaggio.
 
“Potrei chiudere un occhio.”


Solo tre fermate più avanti sarei stata finalmente libera di scendere dal bus, ma la pioggia non aveva ancora cessato di bagnare le strade ed io ero sprovvista di ombrello.
“Quando avrei imparato che il tempo di Londra è imprevedibile?” Pensai tra me.
Attesi impazientemente che le porte si aprirono e scesi dal mezzo, trovandomi però costretta a non compiere un solo passo di più. Per poco non mi scontrai con la figura di un ragazzo ed il suo imponente ombrello. Sollevai lo sguardo, pronta a lamentarmi per essersi impiantato d'innanzi all'uscita, ma non potei proferire parola.
«Dovresti saperlo che è buona cosa portare sempre un ombrello con sé, soprattutto se si vive in una città come Londra.»
Sorrisi e mi riparai immediatamente sotto al suo ombrello.
«Mi verrebbe spontaneo chiederti che cosa ci fai qui, Harry.»
«Ti ho seguita, pensavo fosse evidente,» rispose con noncuranza.
«E perché mai l'avresti fatto?»
«Non mi hai detto dove abiti, come faccio a portarti fuori a cena se non so dove venirti a prendere?»
Mi offrì il suo braccio ed io, seppur riluttante, lo afferrai, stando ben attenta a ripararmi dalla pioggia incessante.
«Sei assolutamente fastidioso, avresti potuto chiedermi l'indirizzo.»
«E lasciarti vagare sola sotto la pioggia? Giammai!»
Mi strinsi nelle spalle e continuai a camminare. "Hai ragione, per oggi ho preso abbastanza acqua, hai fatto il tuo dovere."
«Non ho ragione solo su questo,» commentò, adottando però un tono serio, al che mi voltai verso di lui e lo guardai con aria interrogativa.
«Ero convinto del fatto che non fossi realmente scontrosa, almeno non senza un valido motivo, ed avevo ragione.»
Abbassai lo sguardo non appena sentii le guance scaldarsi leggermente. 
«O, forse, sarebbe meglio dire che smetto di essere scontrosa se ho un valido motivo per non esserlo.»
Questa volta fu lui a sorridere e sentii la stretta attorno al mio braccio farsi leggermente più forte.
«Allora spero di essere il motivo per la quale sorriderai.»
È così feci, gli sorrisi.




 
   
 
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