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Autore: Nyktifaes    10/02/2015    3 recensioni
Dal primo capitolo:
[...]
“Saresti potuto restare in auto”, pensò Alice.
«No, voglio stare qui», mormorai.
Il piccolo casolare non era cambiato, in quegli anni. Le finestre del pian terreno lasciavano ancora intravedere la cucina malamente ridipinta di giallo e il bianco dei muri esterni era ancora candido, nonostante le intemperie. Un solo particolare fuori posto: i portelloni di una delle finestre del piano superiore erano sbarrati.
Strinsi i denti: Alice aveva appena suonato. Charlie, all’interno della casa, non era particolarmente contento di dover abbandonare la poltrona. [...]
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon, Successivo alla saga
Capitoli:
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«I hear you’re asking all around
If I am anywhere to be found
But I have grown too strong
To ever fall back in your arms

And I learned to live, half-alive
And now you want me one more time

Who do you think you are?
Runnin’ round leaving scars
Collecting your jar of hearts
And tearing love apart
You’re gonna catch a cold
From the ice inside your soul
So don’t come back for me
Who do you think you are?

Dear, it took so long just to feel alright
Remember how to put back the light in my eyes
I wish I had missed the first time that we kissed
Cause you broke all your promises
And now you’re back
You don’t get to get me back».

Christina Perri – Jar of Hearts 

 

 

Jar of Hearts

«Perché l’hai detto?», chiesi, mentre Alice trafficava con il telefono. Guidavo costeggiando la campagna, secondo le istruzioni di mia sorella.
«Ecco, ci siamo: guarda là», disse.
Seguii la direzione del suo sguardo e potei vedere dal vivo il soggetto della sua ultima visione: una costruzione dai colori chiari si arrampicava su una delle tante colline attorno alla città. L’edificio, compatto e dalle dimensioni importanti,
doveva essere stato la villa di un qualche importante uomo del posto, un paio di secoli prima. Era in ottime condizioni, come se fosse stato appena ristrutturato. Per un momento l’idea che Alice avesse già progettato tutto mi balenò in testa.
Era una struttura piuttosto imponente, su due piani. Il tetto a due falde era sorretto sulla facciata frontale da due massicce colonne in stile ionico, lasciando sul pian terreno lo spazio per un porticato e per un lungo balcone sul piano superiore.
Diverse finestre – tutte chiuse, per il momento – si aprivano su due piani, e i muri esterni erano di un bianco incredibilmente pulito e luminoso. Ad Esme sarebbe piaciuta.
Percorsi un piccolo sentiero che, dalla strada di compagna, portava direttamente al cancello della villa. Lo costeggiai ed Alice non attese nemmeno che avessi spento il motore, per scendere.
«Non è stupenda? Piacerà a tutti, l’ho visto», canticchiò, entusiasta.
Mi chiusi lo sportello dietro e l’affiancai.
«Alice», sbuffai. «Dobbiamo parlare».
«Sì, sì», mi liquidò «dammi solo un paio di minuti: il proprietario mi deve richiamare tra quarantasette secondi e vedrai che nel giro di qualche ora la casa sarà legalmente nostra».
«Alice…», esclamai.
«Sei minuti, dai!».
Sparì oltre degli alberi, sul lato ovest della casa, infischiandosene altamente delle mie parole.
Scavalcai la recinzione e presi a studiare la casa, alla ricerca di un ingresso non sbarrato.
Dopo svariati tentativi inutili, capii che non ne avrei trovato nemmeno uno. Continuai a osservare il posto – il giardino, gli alberi secolari e la porta di una vecchia rimessa – impedendomi di riflettere.
Mi persi addirittura nell’analisi della particolarità della casa: si arrampicava su un’altura e, di sicuro, dal tetto di godeva di un’ottima visuale del circondario. Non avevo mai visto una casa coloniale non in piano.
«Eccomi, ho fatto».
Alice spuntò da dietro un angolo, soddisfatta per l’accordo appena concluso.
«Hai battuto i record mondiali di velocità di acquisto di immobile», mormorai.
«Beh, in realtà non ho ancora fatto il versamento. Però sì, dovrebbero inserirmi ne libro dei primati», rise.
«Sì, e vinceresti anche nella categoria “peggiori uscite nel momento sbaglio al momento sbagliato”. Te lo ripeto: perché l’hai detto?».
Ero nervoso e la sua gioiosa imperturbabilità mi irritava terribilmente.
Sbuffò. «Ne stai facendo un dramma. Ho semplicemente detto la verità».
«Non ce n’era bisogno, era sottintesa».
«Edward, non ho detto niente di scandaloso o di sbagliato. Ho semplicemente parlato di loro come figli di Bella e tuoi», rispose. «Perché lo sono, mi sembra piuttosto evidente».
«Hai visto cosa ha creato la tua uscita non scandalosa e non sbagliata?», la interruppi.
«Sarebbe successo lo stesso, fratello. Tuo figlio non può vederti e Bella… Beh, lei non era contenta».
«Di avermi lì, non era contenta di avermi lì».
«Sì, probabile».
Alzai di scatto la testa, ma Alice stava riflettendo. Proprio non si rendeva conto di quando avrebbe dovuto tenere le sue osservazioni per sé? Non c’era bisogno che mi aiutasse a sbattere la testa con la verità più volte di quanto non facessi da solo.
Incontrò il mio sguardo e lo sostenne, neutra.
«Non ho intenzione di mentirti, però non era solo questo. L’ho trovata piuttosto preoccupata. Per i suoi figli, suppongo».
Ci fu un momento di silenzio che forse avrei dovuto riempire, ma niente di ciò che avevo in mente si trasformò in parole.
«Sono una bella famiglia, vero?».
Alice sorrideva, intenerita dal ricordo di Bella che rideva delle battute di Renesmee ed EJ, e poi di Jacob che stringeva una spalla di EJ per rassicurarlo – o forse calmarlo – quando nessun altro guardava. Aggrottò le sopraciglia, pensierosa. Quel gesto le era sembrato molto paterno.
«No, Bella e Jacob non stanno insieme», risposi alla sua domanda muta. Ignorai le altre parole: non mi piaceva pensare più del dovuto a Bella come appartenente ad un insieme chiuso, di cui io non facevo parte. Né ero invitato ad entrare. «Perché pensi fosse preoccupata?».
«Suppongo sia preoccupata per la tua ricomparsa, o per quello che potrebbe causare nei figli. Sarebbe normale». Scrollò le spalle.
«Pensi che mi veda come un intralcio?».
Ci pensò su per un momento. «No», pronunciò lentamente «non come un intralcio. Più come una sorpresa inattesa e dai risvolti imprevedibili».
Aggrottai le sopraciglia. Aveva censurato la parte del “portatore di problematiche”. Tra quello e l’intralcio la differenza era sottile.
Volsi lo sguardo oltre la recinzione, verso la città.
“Ti stai comportando come un dodicenne insicuro”.
Mi voltai di scatto, lanciandole un’occhiata d’avvertimento. Non era vero.
“Sì, invece. E lo sai anche tu. Non pensi di aver qualcosa di più importante a cui pensare, oltre al possibile rifiuto di Bella?”.
Aggrottai le sopraciglia. «Bella è importante».
Alice scosse il capo, senza allontanare lo sguardo dal mio.
“Certo che lo è”, sillabò con il pensiero. “Ma non c’è solo Bella”.
Renesmee ed EJ. Certo che lo sapevo, ma non poteva pretendere che io riuscissi a non temere la reazione di Bella. Ero lì per lei, per riaverla con me.
«So che ci sono anche loro, e sto cercando di accettarlo».
Alice inarcò un sopraciglio e se possibile il suo sguardo si gelò.
«Non c’è proprio niente da accettare», sputò fuori l’ultima parola con ribrezzo. «Devi trovare un modo per rimediare ai tuoi errori».
Continuò a inchiodarmi con lo sguardo, senza parlare più.
“Ti stai comportando come un dodicenne insicuro ed egoista. Lo capisci, vero?».
Abbassai lo sguardo, improvvisamente consapevole della veridicità delle sue parole. Sapevo che non era corretto, ma non riuscivo a pensare a quei due ragazzi come qualcosa di vicino a me. Mi somigliavano, avevano parte del mio DNA, ma per il resto erano due estranei. E per il momento non ero in grado di trattarli come qualcosa di più.
Per questo decisi di spostare la conversazione su un altro livello, ben più impersonale.
«Hai visto che età dimostrano, avevamo ragione. Dovremmo… Penso che sarebbe il caso di parlarne. Insomma, non è normale che dopo sei anni ne dimostrino sedici».
Alice mi osservò per qualche frazione di secondo, poi scosse il capo e decise di assecondare il mio cambio di rotta.
«Concordo. Sono certa che Carlisle sarà incredibilmente interessato dalle loro particolarità». Aveva accuratamente evitato il termine “anomalie”.
Strinsi le labbra. «Quindi arriveranno anche gli altri?».
Alice inarcò di nuovo un sopraciglio. “Rivedrò Jasper tra trenta ore esatte”. Era sicura.
«Saranno piuttosto veloci», tergiversai.
Alice continuò a osservarmi, l’espressione torva solo leggermente calata. Si chiedeva perché non li volessi lì. Non era così. In realtà era sollevato all’idea della loro presenza: avevo bisogno del loro sostegno e, soprattutto, anelavo l’aiuto di Carlisle. Tuttavia, temevo il loro biasimo. Ero razionalmente consapevole che non avrebbero mai potuto disprezzarmi, ma non volevo scontrarmi con la loro delusione. Perché quello che avevo fatto, l’aver abbandonato una donna incinta dei miei figli, ero certo me l’avesse fatto guadagnare tutta.
«Meglio così», aggiunsi.
Poi mi voltai, e mi allontanai. Continuai a girovagare per la tenuta e i boschi vicini, fino a che non arrivò il vecchio proprietario con le chiavi e potemmo entrare nella villa.
 
 
Composi il numero e rimasi in attesa, ascoltando il lamento del telefono. Era sera ormai, ma ero certo che Carlisle non fosse ancora tornato dall’ospedale. Infatti, dopo sei squilli, la voce di Esme rispose dall’altro capo del telefono.
«Pronto, Alice?». Avevo usato il suo telefono per chiamare, dato che non ne avevo più uno mio da diversi anni.
«No, Esme, sono Edward», risposi.
Per pochi attimi, Esme rimase in silenzio. Poi sospirò e fui in grado di immaginare la sua espressione tenera e contrita, quando parlò.
«Edward, come stai?».
«Bene», risposi automaticamente. Avevo chiamato perché ne avevo bisogno, non solo per metterli a corrente delle novità. Mi concessi un po’ di verità. «Meglio, rispetto a prima».
«Meno male, caro. Sono sollevata».
Di nuovo silenzio. «L’avete trovata?».
«Sì».
Questa volta il silenzio durò più a lungo. Lei non parlava ed io non sapevo come fare. C’erano talmente tante cose da dire che non me ne venne in mente nemmeno una. Sapeva già che Bella era rimasta incinta di me, che era stata una gravidanza orribile, e ora che era viva. Avrei dovuto parlare di Renesmee ed EJ, avrei dovuto cominciare dal fatto che Bella era una vampira. Ma nemmeno io conoscevo le circostanze della trasformazione e, alla fine, tutto ciò che sapevo sui figli di Bella era che amavano i biscotti al cioccolato e alla cannella.
«Come sta?», domandò gentilmente.
«Bene».
Bloccato, ecco come mi sentivo. Proprio come le mille parole che volevo dire, ma che non trovavo.
«Edward», mi rimproverò: voleva che le dicessi di più.
«È una vampira».
«Cosa?», esclamò, sorpresa. «Come mai? Chi l’ha trasformata?».
«Non lo so, non ne abbiamo parlato», risposi semplicemente.
«L’hai incontrata?».
«Sì».
«Oh… tesoro. E com’è andata?», ecco di nuovo la dolcezza. Eppure, anche se non si mostrava arrabbiata, sapevo di averla delusa.
«C’era anche Alice, abbiamo conosciuto i suoi figli».
Ecco, bomba sganciata. Peccato che l’avessi sganciata su di me, dato che nemmeno tutto l’amore che Esme provava nei miei confronti mi avrebbe salvato dalla sua amarezza.
«E come sono? Stanno bene? Come ha fatto Bella ha crescerli da sola per così tanto tempo? Povera bambina...».
Evidentemente Esme aveva deciso che non mi sentissi abbastanza in colpa per conto mio e quindi di rigirare il coltello nella piaga. Bene, come se mi servisse altro oltre a gli occhi di Renesmee.
«Stanno bene, loro… Beh, non sono soli: Jacob Black, uno dei licantropi, è rimasto con lei per tutto questo tempo. Non so bene come siano andate le cose», tergiversai.
«Ne parleremo meglio quando verremo lì, va bene?», disse in un mormorio di rassicurazione.
Annuì, anche se non poteva vedermi. «Certo».
«Non vedo l’ora di conoscerli», sospirò e fui certo che sorridesse. «Ti somigliano, caro?».
«Sì».
La sentii sorridere ancora, mentre diceva che sarebbe andata ad avvertire Carlisle.
«Alice tra quante ore dice che-».
«Arriverete tra ventotto ore circa», risposi, prima che potesse terminare la domanda. «Ti mando un messaggio con tutte le informazioni sul posto».
«Va bene, allora a tra poco più di un giorno», disse. «Salutami tua sorella».
«Certo», risposi.
«A presto, caro».
«Ciao, Esme».
 
Alice gironzolava per la casa, canticchiando tra sé, senza una meta precisa. Sentivo i suoi passi cadenzati ai piani superiori: passava da una stanza all’altra e studiava ogni angolo e ogni parete, visualizzando gli  arredi che Esme avrebbe scelto. Di questo passo, la casa sarebbe stata ammobiliata nel giro di pochi giorni.
Distesi il collo all’indietro, fino a scontrarmi con il muro, e allungai le gambe sul pavimento.
Sentivo la testa incredibilmente leggera, svuotata di qualsiasi pensiero. Come un palloncino gonfiato a elio, mi perdevo nella moltitudine del nulla che sfociava nel tutto. Troppe preoccupazioni e questioni da affrontare si annullavano nello spazio indefinito.
Bella era una vampira, e non sapevo né come, né quando, né perché lo fosse diventata. Né avevo idea di chi l’avesse trasformata. E poi restavano i mille e più interrogativi sui gemelli: la crescita, le caratteristiche della loro razza, la loro unicità, i loro sentimenti. Avrebbero accettato l’arrivo della mia famiglia? Come avrebbero reagito alla mia presenza? Come avevano vissuto fino ad allora? Come mi sarei dovuto comportare con loro, con Bella? Mi avrebbe perdonato? Aveva davvero smesso di amarmi, come avevo sperato anni prima?
Il palloncino era repentinamente diventato una pesante zavorra che mi aveva scaraventato a terra. Impiegai qualche secondo a ricollegare del tutto il corpo e la mente. Al piano di sopra Alice si bloccò e un’immagine saettò tra i suoi pensieri. Un futuro si era rischiarato, distaccandosi dalla membrana oscurante: Bella stava venendo lì.
Non ebbi neppure bisogno di chiederle quanto tempo mancasse: era stata una decisione improvvisa ed entro pochi minuti si sarebbe avverata.
“Metti a nanna il dodicenne, ci siamo capiti?”, e con queste parole si eclissò, lontana dalla casa. Apprezzai il suo tentativo di lasciarci un minimo di privacy, ma sapevo che avrebbe visto tutto.
Per un momento mi preoccupai di non aver un posto in cui accoglierla: la casa era vuota e spoglia di qualsiasi arredo. Non avrei potuto invitarla a sedersi su un comodo divano, anche se lei non ne avevo più il bisogno.
Mi vergognai perché non avevo niente da offrirle.
Ma poi arrivò. La vidi attraverso il vetro di una delle finestre dell’ingresso – in cui mi ero precipitato – e seppi che anche lei mi aveva visto. Non attesi oltre ed aprii la porta. Era rigida, ad appena un metro dall’ingresso, in tensione.
«Bella, benvenuta», la salutai, facendomi da parte per permetterle di entrare.
«Edward», rispose, senza però muovere un passo. «Preferirei restare qui fuori, dobbiamo parlare».
Puntai i miei occhi nei suoi, ma lei non abbassò lo sguardo.
«Come desideri».
Socchiusi la porta alle mie spalle e le feci cenno di spostarci verso il giardino laterale della casa. Di nuovo, mi sentii in difetto: il giardino era spento e vuoto quanto l’interno.
«Così», iniziò con tono vago «questa è vostra?», chiese, alludendo con un’occhiata all’edificio.
Annuii. «Sì».
«Ed è una delle tante case che possedete da decenni o-».
Risposi prima che terminasse la frase: «L’abbiamo acquistata di recente», quindi tergiversai per un istante, «oggi».
In un primo momento sembrò quasi stupita, ma poi scosse il capo, lasciando ondeggiare i lunghi capelli. Sorrideva, ma non sembrava contenta.
«Oggi… Ma, in fondo, siete voi. Non ho motivo di stupirmi di niente».
Rimasi interdetto, senza sapere che senso dare a tale affermazione.
«Quindi resterete qui».
«Non sembra una domanda».
«Mi pare abbastanza ovvio, visto il modo in cui state agendo».
«Se per te non è un problema, resteremo qui», dissi. Scelsi poi di optare nuovamente per la verità, nella sua totalità. Anche se forse “scegliere” non è il verbo giusto, in quanto esprime una libertà decisionale che io, in quel momento, non possedevo. «Mi piacerebbe poterti stare vicino».
Strinse le labbra e lasciò immediatamente il mio sguardo.
L’avevo messa alle strette: forse avrei dovuto tenere per me i miei veri sentimenti. Ma mi riusciva difficile, se non impossibile, nasconderle qualcosa. Né tanto meno lo volevo. Che buffo, sei anni prima ero abituato a filtrare e censurare ogni parola per paura di terrorizzarla, e ora non riuscivo a non rigettare ogni pensiero – razionale o meno.
«Non era mia intenzione metterti a disagio, ti chi-».
«Edward», m’interruppe. «Qualsiasi cosa volessi dire, o fare… Non è questo l’importante. I miei figli vengono prima di tutto».
«Ne sono consapevole, ma-».
M’interruppe di nuovo. «No. Non lo sai, invece. Esattamente come io non ho idea di cosa tu voglia davvero. Ti sarei grata se me lo dicessi, ora».
Rimasi stupito. Era una Bella totalmente diversa da quella del pomeriggio: molto più combattiva e determinata. Molto diversa dalla Bella dei miei ricordi: la calma aveva ceduto il passo al nervosismo.
«Perché sei venuto a cercarci?».
«Te l’ho già spiegato: volevo ritrovarti». Di nuovo, quella mezza verità sembrava volermi logorare. «Mi sei mancata terribilmente in questi anni».
Puntò il suo sguardo nel mio, e temetti di poter affogare nelle sue iridi profonde.
«Pensavo di non essere la persona adatta a te, o sbaglio? Amarmi non ha mai avuto senso per te».
Ed eccolo, finalmente, quel rancore che aveva agognato a casa sua. Fu paradossale: mi sentii sollevato nel constatare la sua rabbia nei miei confronti. Almeno significava che provava ancora qualcosa nei miei confronti. Decisamente meglio dell’indifferenza del pomeriggio.
«Cosa? No! Non ricordi ciò che ti ho sempre detto?».
«Ricordo bene le tue parole». E se seppi che alludeva all’ultimo giorno insieme.
«Frottole! Ho mentito, Bella, perché temevo per la tua vita! Allora ho scelto di sacrificare anche me, così che tu potessi avere un’esistenza umana. Ma, giorno dopo giorno, la vita senza te era sempre più insopportabile: così ho iniziato a cercarti».
Avevo messo a nudo la mia anima, il mio cuore ma – lo vedevo – lei non mi credeva.
«Anche se questo fosse vero…».
«Lo è, lo giuro. Non potrei mai smettere di amarti».
Vidi l’oro dei suoi occhi indurirsi, fino a somigliare al topazio splendente e impenetrabile. Non era così che doveva andare. Non così velocemente, con così tanta rabbia. Non era quello il modo in cui avrei voluto dichiararle i miei sentimenti.
«Dopo tutto quello che c’era stato tra noi, dopo tutte le volte che avevo giurato di amarti… Ero certo che mi avresti scoperto subito, che avrei dovuto mentire per ore prima di riuscire a insinuare il dubbio in te».
«Avevi anche giurato che mi saresti sempre stato accanto».
«Solo finché fosse stata la cosa migliore per te».
Sorrise, ostile. «Sei sempre stato molto bravo con le parole».
Continuai a guardarla, senza trovare qualcosa per replicare. Forse iniziavo a rimpiangere l’indifferenza.
«Ah, a proposito: come stanno le tue distrazioni?».
Impiegai una manciata di secondi per capire cosa intendesse. «Non c’è mai stata alcuna distrazione, Isabella. Nessuna donna potrebbe mai prendere il tuo posto. Sono stati anni d’inferno, quelli senza di te».
«Già, posso immaginare. Anche se io non ho avuto molto tempo per soffrirci: sai com’è, avevo ben due distrazioni di una certa rilevanza».
Chinai il capo sotto il suo sguardo accusatore, consapevole di non aver alcun diritto di replicare. Avevo sbagliato tutto, ogni singola decisione presa era stata un enorme errore.
«Come hai potuto pensare di avere il diritto di scegliere anche per me? Valevo davvero così poco per te?».
«No, certo che no».
«Ti ho creduto subito, invece. Perché ho sempre avuto grande stima di te, perché mi sono sempre sentita inferiore e immeritevole di starti accanto. Ma soprattutto credevo che, nonostante non mi amassi come ti amavo io, mi fossi guadagnata almeno il tuo rispetto». Fece una pausa e rilassò le spalle, distogliendo lo sguardo dal mio. «Evidentemente mi sbagliavo. Mi hai usata, e poi te ne sei andato».
«Bella», non riuscii a parlare, mi si ruppe la voce. Senza nemmeno rendermene conto allungai un braccio verso di lei: era così vicina e in quel momento più che mai avevo bisogno di stringerla. Mi sarebbe bastato anche solo accarezzarle una guancia, anelavo un contatto. Tuttavia, quando incrociai il suo sguardo, lasciai ricadere il braccio lungo il fianco. «Bella, ho sbagliato. Ho sbagliato così tanto in così poco tempo… Per quanto io abbia agito pensando a te, non ho scusanti». Raddrizzai la schiena, non mi ero reso conto di essermi incurvato sotto il peso del suo sguardo. «Mi hai chiesto perché sono venuto qui, ecco perché: vorrei rimediare. Quando ho deciso di cercarti per supplicarti di riprendermi con te e tuo padre mi ha detto che ti credeva morta… Pensavo che sarei morto anch’io, di lì a poco».
«Hai parlato con mio padre?», mormorò. «Come sta?».
Avvertii un moto di calore mentre leggevo la preoccupazione sul suo volto. «Sta bene. Gli manchi, ma sta bene». Forse non avrei dovuto mascherare a tal punto la realtà, ma ero abbastanza certo che rivelarle il dolore che già da sé immaginava provasse Charlie, l’avrebbe fatta sentire in colpa per qualcosa che non aveva commesso.
Annuì, mentre sulla sua fronte si formavano tante piccole increspature. «Perché sei andato da lui? Hai appena detto che mi volevi lasciare vivere una vita umana, in pace. Perché sei tornato?».
«Perché sono un essere fondamentalmente egoista, e temo di avertelo dimostrato fin troppe volte. Non riuscivo più a vivere… No, a sopravvivere – dato che avevo smesso di vivere dal momento esatto in cui ti ho lasciata – senza di te. Quando sono arrivato allo stremo, ho deciso che avrei tentato. Sapevo che probabilmente ti eri rifatta una vita, ma… Non potevo non tentare. Mi sarei accontentato di qualsiasi cosa, anche solo di poterti vedere, ogni tanto».
Alzò di scatto il capo, fissandomi. «Io ho una nuova vita».
Annuii. «Lo so, e non c’è niente al mondo che desideri più che farne parte».
Inarcò un sopraciglio. «Farne parte? In quale ruolo?».
«Nei ruoli che tu… Che voi, vorrete darmi».
Le increspature sulla sua fronte si fecero più profonde. «Non è così facile. Non puoi arrivare da un momento all’altro e sconvolgere così la loro vita».
«Me ne rendo conto, e lo capisco. Ma se me ne voleste dare l’opportunità, vorrei tentare».
«Non riguarda ciò che vuoi tu, ma ciò che vogliono EJ e Renesmee. Te l’ho già detto, i miei figli vengono prima di tutto», sentenziò.
«Se loro lo vorranno e me ne daranno l’opportunità, io», mi bloccai, incapace di trovare una conclusione. Cosa sarei riuscito a fare? A essere loro amico? Un fratello, un padre? «Entrerò nelle loro vite».
«Non si diventa genitore così facilmente».
«Sarò qualsiasi cosa loro vogliano che io sia».
Per un lungo istante restammo in silenzio, occhi negli occhi. Poi lei distolse lo sguardo.
«È tardi, i bambini dormono. Non posso lasciarli ancora soli».
Fece un passo indietro, e poi un altro. Si voltò, ma prima che potesse indietreggiare ancora, la raggiunsi e le presi una mano. Stavo rischiando il tutto per tutto, temevo la sua reazione, ma non potei impedirmi di compiere quei gesti. Alzò di scatto il capo e potei vedere le sue pupille allargarsi per l’improvvisa vicinanza tra i nostri corpi. «E tu, nonostante tutto, vuoi che entri di nuovo nella tua vita?», soffiai. Il suo odore mi stordiva.
Per un istante eterno, restammo così, occhi negli occhi, mentre le mie parole si perdevano nella frescura della sera.
Poi allontanò la sua mano dalla mia, mettendo distanza tra i nostri corpi e i nostri sguardi.
«Non sono sicura di ricordare perché prima avessi così tanto bisogno di te», mormorò, i capelli le coprivano il volto.
Mi lasciò così, bloccato sul posto dalle sue parole.
Prima che potesse allontanarsi troppo, dissi le prime parole che mi passarono per la testa. Inconsciamente speravo di trovare qualcosa a cui aggrapparmi per trattenerla a me.
«Bella», la chiamai, «la mia famiglia sta arrivando».
Si fermò per un istante, già lontana diversi metri, e volse leggermente il capo, senza però permettermi l’accesso ai suoi occhi.
«Non correre troppo, per favore. Cadendo tu probabilmente non ti faresti male, ma i miei figli non sono immortali».

 

 

 

Sono in ritardo, mi spiace çç
Ho passato il weekend a studiare, ogni minuto, e non ho avuto tempo di postare il capitolo, né di chiedere a Joan di betare.
Ma ora sono qui e, dato che il capitolo è anche un po’ più lunghetto del solito, mi perdonate? ** Non sono riuscita nemmeno a rispondere alle recensioni (la settimana di relax era uno scherzo, in realtà hanno ricominciato subito ad ammazzarci).
Bene, passiamo al capitolo: siamo arrivati non solo all’incontro, ma anche ad un primo momento tutto per Edward e Bella. Cosa ne dite? Com’è evidente, Bella è davvero diventata una donna, un’adulta consapevole delle sue responsabilità e capace di mettere davanti a sé la sua famiglia. E Edward? Non prendetevela troppo con lui, mi raccomando, perché hanno seguito due processi di crescita – o di non crescita – differenti e ora si scontrano con due realtà ben diverse dalla loro ultima realtà condivisa, vecchia di anni.
Eee stanno arrivando i Cullen, già. Chissà come interagiranno con EJ e Nessie, e come loro reagiranno alla loro presenza. Per non parlare di tutte le questioni aperte riguardanti la vita e la natura dei gemelli e di Bella.
Tutto questo nei prossimi capitoli. ^^ Quando arriveranno? Non ne ho idea.
So che quest’ultima frase non è particolarmente incoraggiante ahahah Ho terminato i capitoli pronti e ora devo scrivere i nuovi e, essendo nel bel mezzo dell’anno scolastico, non so dire ogni quanto sarò in grado di aggiornare. Forse ogni due settimane, forse una volta al mese, forse più spesso. Per questo vi chiedo di non darmi per dispersa – o di abbandonare la storia –  troppo velocemente.
Lentamente risponderò anche a tutte le recensioni arretrate ^^
Grazie a Joan per avermi sostenuta anche in questo parto plurigemellare che io continuo a trovare orribile uwu
Grazie mille a tutti coloro che leggono e, soprattutto, a voi che commentate! **
A presto!
Vero

Ps. Come già annunciato, l’intera storia sarà narrata dal punto di vista di Edward, quindi l’unico pov Bella che mi sento di darvi sono delle canzoni. Alcune di queste hanno ispirato la storia in sé, quindi vi consiglio di ascoltarle – anche perché sono molto belle. Rappresentano alla perfezione le sensazioni e i pensieri di Bella che, altrimenti, vi sarebbero preclusi. Quella di oggi è, come avrete capito, Jar of Hearts, di Christina Perri.
   
 
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