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Autore: TeenAngelita_92    12/02/2015    4 recensioni
"Fu l’ultima cosa che le disse, le ultime parole che la sua bocca tremante riuscì a pronunciare prima che il respiro diventasse tremendamente corto e che le sue labbra chiedessero disperatamente di lei.
E le accontentò, accontento le sue labbra e quel suo disperato bisogno di tornare a sentire che sapore aveva la sua bocca che da troppo tempo ormai non aveva più sfiorato, quasi temendo di averne dimenticato la sensazione."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Francisca Montenegro, Nuovo personaggio, Raimundo Ulloa
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Urgencia de ti.
 
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“Tanto ti disturba la mia presenza? Che al solo vedermi invece di restare e salutare, scappi?”
“Io non scappo da nessuno.”
“Cosi pare.”


Cosi iniziava, o almeno cosi sembrava iniziare, l’ennesimo dei loro litigi.
Ma no, forse non era uno dei tanti. L’incontro, quel loro incontro, quello che Bosco le aveva rammentato quella sera, non poteva essere una di quelle tante occasioni dove altro non usciva dalle loro labbra se non solo odio e rancore, incomprensioni ed errori. Dunque no, non lo era.
E tanto quanto Francisca, ormai costantemente assillata da quei poco lontani ricordi, anche Raimundo non era riuscito a zittire l’eco troppo forte ed insistente delle loro parole, delle cose che con rabbia e amarezza si erano detti,  lasciando che fosse l’orgoglio e la paura a parlare per loro, ferendosi a vicenda come avevano sempre fatto.
Erano passati giorni, settimane, addirittura mesi da quello strano quanto fatidico giorno nel quale aveva improvvisamente deciso di chiudere, serrare la porta che per tanto, forse troppo tempo, aveva lasciato aperta, quella dove tranquilla ma estremamente attenta giaceva la sua razionalità.
Aveva deciso di fare una “pazzia”, come tutti l’avrebbero sicuramente definita. Aveva deciso di andare da lei e saziare quel suo cosi grande bisogno di amore, di calore e di una semplice ma delicata e lenta carezza che solo le sue mani potevano dargli.
Pazzia? Si, forse lo era davvero, ma pazzo lo era lui, pazzo lo stava diventando a forza di pensare, ricordare, a forza di vederla di tanto in tanto, di sentir parlare di lei e di non poterla sfiorare, accarezzare o semplicemente abbracciare.
Pazzo lo rendeva quel maledetto e torturante pensiero di averla cosi vicino, eppure cosi lontano. Pazzo lo rendeva l’impossibilità di stringerla al suo corpo e poter ricominciare da capo, dimenticare tutto, completamente tutto.
E pazzo lo rendeva quella piccola goccia di vino che ormai da ore continuava a far volteggiare nel suo bicchiere vuoto.

“Mi piacerebbe sapere perché un giorno hai deciso presentarti alla Casona, con parole d’amore, di passione, con baci e… Dopo tutto questo, non hai fatto altro che evitarmi.”
“Non ti ho evitato in nessun modo, semplicemente ho continuato con la mia vita di sempre.”
“Menti!”


“Menti!” ricordò.
Francisca pronunciò quell’ultima parola con un tono di voce completamente differente dalle altre. Un tono di voce alto, duro, come quello di qualcuno che ha disperatamente bisogno di sapere la verità, di spiegare le sue ragioni, di urlare al mondo che dopotutto per una volta la colpa non è sua. Spiegare forse che stavolta non era lei chi aveva voluto far del male.
Raimundo poté ricordarlo alla perfezione quando l’eco dei suoi pensieri si concentrò in essa, facendo si che le minuscole lettere di cui si componeva, fossero ripetute più e più volte nella sua testa.

“Sei un codardo.”
“Ero confuso, come sempre mi succede quando sono con te!”
“Questo non ti giustifica per aver giocato con me in questo modo!
Come mettermi il miele sulle labbra e dopo sparire, come hai sempre fatto in tutta la tua vita.”


Mentiva? Era un codardo?
Si, forse era cosi. Si, forse non le aveva zittite, non le aveva zittite quelle sue terribili paure che l’avevano solamente illuso, quelle stesse paure che mesi prima gli avevano regalato pochi, meravigliosi istanti di pura pace tra le sue braccia, tra le sue delicate mani, tra le sue labbra di cui aveva tanto temuto essersi dimenticato il sapore. Quelle stesse paure che cosi come gli avevano fatto credere di avere ancora una speranza, gliel’avevano tolta, troppo velocemente e dolorosamente.
Si, non ci era riuscito, le aveva lasciate vincere nell’esatto momento in cui le sue mani avevano sfiorato il collo di lei. Le aveva lasciate vincere quando, piano, le sue dita si erano protese verso una delle sue spalle, stringendo il delicato tessuto del suo vestito. Le aveva lasciate vincere.
Un gemito. Un solo gemito trattenuto dalle labbra di entrambi fu tutto ciò che riuscì a trattenerlo dal continuare. Un gemito e capì che non si sarebbero mai più fermati. Un gemito e la famosa “porta” della sua razionalità si era riaperta, lasciandola agire completamente indisturbata.
Ciò che ne seguì fu solo un affannato e corto respiro, senza inizio ne fine.

“Questo non è vero. Prima che tu ti sposassi con Salvador, venni disperatamente a cercarti ma tu mi rifiutasti.”
“Ti rifiutai perché prima dovetti vedere come mi umiliavi e mi giuravi di non amarmi.”
“Ti mentii per il tuo bene!”
“O per il tuo!”


E come poteva, ora, non darle ragione? Come poteva contestare il fatto che l’avesse definito un codardo e bugiardo? Come poteva se l’aveva appena rifatto?
Si era aggrappato ancora una volta ad eventi troppo dolorosi e lontani per poter essere chiamati in causa, troppo lontani ormai anche per poterne legare le conseguenze del presente. Si era rifugiato ancora una volta negli errori passati, sfogliati e risfogliati ormai troppe volte.
Stava disperatamente cercando di scappare dalla vera realtà delle cose? Si, forse si.
Sapeva bene che tutto ciò che era successo anni addietro non doveva più assumere tanta importanza, cosi tanta da poterli ancora dividere nel presente, però l’aveva fatto, le aveva ricordato quando, per il suo bene, aveva giurato di non amarla, aveva sposato un’altra donna e… L’aveva lasciata cadere tra le braccia dell’uomo peggiore che avesse mai potuto incontrare.
Istintivamente, afferrò con forse troppa forza il bicchiere che istanti prima stava ancora facendo volteggiare e lo gettò con furia a terra, incurante di dove esso potesse cadere o cos’altro potesse rompere. L’assordante rumore del vetro che si rompeva e la vista di tutti quei minuscoli pezzi di materiale, attirarono completamente la sua attenzione.
Il suo respiro si fece irregolare, mentre la pelle delle nocche della sua mano, chiusa in uno stretto pugno, si fece estremamente bianca. No, non lo sopportava, non riusciva a sopportarlo.
E quei pezzi, li a terra, sparsi per la stanza, cosi inanimati eppure cosi significativi… Non mostravano altro che il suo vero stato d’animo, inutilizzabili resti di un qualcosa che un tempo era stato forte ed intatto, apparentemente impossibile da distruggere.

“Nessuno ti ha chiesto di avvicinarti a me di nuovo, nessuno ti ha chiesto di accendere ancora quest’illusione e tantomeno che… “

Ed il suo respiro continuò, sempre più corto e affannoso, mentre la sua voce fragile e flebile continuò  a risuonare ancora ed ancora nella sua testa.

“Nessuno ti ha chiesto di scappare dopo tutto, senza neanche chiedere scusa.
Continui ad essere un codardo. Resta pure qui con la tua solitudine e le tue paure.”

Un pugno. Un forte e veloce pugno si scagliò contro una delle tante mura che delineavano la stanza, e con esso un disperato grido. Un pugno, si, come per liberarsi da tutto, liberarsi da tutta la rabbia, da quel senso di vuoto, quella sensazione di impotenza, quegli opprimenti ricordi e quella maledetta voce che continuava a ripetergli di essere un codardo, un bugiardo. Da tutto.
E lo fece con cosi tanta violenza, con cosi tanta forza che neanche lui stesso sarebbe stato in grado di riconoscersi. La mano ormai completamente rossa, iniziò a sanguinare. Piccole ferite iniziarono ad espandersi sulla sua pelle e per quanto potessero bruciare, il dolore non avrebbe mai superato quello che stava già provando. Ed era ora che aveva disperatamente bisogno di lei.
Era ora che aveva bisogno di sentirla, di sentire il meraviglioso calore del suo corpo, il calmo e tranquillo tocco delle sue dita sul viso ed i suoi baci, quei suoi disperati baci che sapevano  cosi tanto di sofferenza  e disperazione ma al contempo stesso di amore, desiderio.
Aveva bisogno di lei… Ma lei non c’era, e no… Non ci sarebbe stata.
Inutile dire che per lui, quella sera, fu solo una delle tante passate a fissare la finestra della sua stanza, con lo sguardo perso nella pioggia che neanche per un solo attimo aveva smesso di cadere, ricoprendo l’intero paesaggio. Una di quelle tante passate a stringersi il viso, a sciacquarlo di tanto in tanto, come a voler sciacquare via anche tutto quell’insieme di troppo pensieri.
E lo stesso valse per lei, per Francisca. Potevano essere contante sulle dita di una sola mano le ore che i suoi occhi erano rimasti chiusi, costantemente ed in modo uniforme. Tuttavia non poteva affermare di aver dormito, perché nonostante quegli occhi chiusi, la sua mente era ancora aperta, ancora attiva ed intenzionata a tormentarla per il resto della notte, come se non fosse abbastanza quello che aveva sofferto per interi mesi.
Di conseguenza, come ormai da un po’ di tempo, forse troppo, succedeva, si svegliò molto presto quella mattina. Decise anche quel giorno di non cambiare assolutamente niente della sua apparentemente amata routine, dunque uscì dalla sua camera e scese giù per le scale, intenzionata a dirigersi verso il suo ufficio, luogo dove probabilmente avrebbe ancora passato la maggior parte del tempo.
“Buongiorno signora!” la fece sobbalzare la voce squillante ed arzilla di Fe, la cameriera. 
“Buongiorno.”
“Anche oggi sveglia di prima mattina?” chiese la giovane, lievemente stranita.
“Beh, non riesco a capire il senso della tua domanda, Fe. L’orologio è proprio li, poco lontano da te.” rispose con fare ironico, indicandoglielo “Ed indica che è molto presto, e come puoi tu stessa costatare io sono già sveglia. Dunque si, anche oggi sveglia di prima mattina. Saresti potuta arrivarci, non credi?” concluse.
“Certo, si.” rispose lei, abbassando lievemente lo sguardo. “Perdonatemi signora.” Continuò poi, vedendola non prestarle molta attenzione. “Ah, quasi dimenticavo. Volete che vi porti la colazione?” le chiese, facendo si che si fermasse poco prima di entrare nel suo studio.
“Bosco e sua moglie sono già svegli?”
“No signora, non ancora.”
“Bene…” si fermò, come per riflettere “Prepara la colazione per quando lo saranno, se ne avrò voglia mi unirò a loro.”
“Come desiderate.”
“Buongiorno Signora!” fu la voce di Bosco stavolta a fermarla ancora, mentre scendeva le scale per dirigersi verso di lei.
“Buongiorno a te, Bosco.” gli sorrise, notando sul viso del ragazzo un’espressione stranamente allegra. “Come mai di cosi buon umore questa mattina? E dovuto a qualcosa?” gli chiese.
“No signora, niente di particolare. Sono felice di vedervi sveglia cosi presto, avevo giusto intenzione di chiedervi se vi facesse piacere accompagnarmi a fare una passeggiata.” le propose, gentile.
“Una passeggiata?” chiese lei, lievemente incredula.
“Si, esatto.” confermò lui.
“Beh, mi farebbe tanto piacere accompagnarti figliolo, ma…” iniziò, cercando il più velocemente possibile una scusa plausibile per rifiutare quel suo gentile invito. “Ma ho molto da fare oggi, devo…”
“Per “molto da fare” intendete stare chiusa per un intera giornata nel vostro ufficio con gli occhi fissi nel vuoto?” la interruppe, lasciandola di sasso, completamente spiazzata davanti a quella sua affermazione.
Per quanto avesse voluto e potuto nasconderlo, sapeva che era questo ciò che anche quel giorno avrebbe fatto: chiudersi in quel suo ufficio diventato ormai un “rifugio” per lei, guardare un punto fisso nel più totale vuoto e ricordare di lui, delle sue carezze, del suo profumo e…
“Bosco, mi stai per caso spiando ultimamente? Visto questa tua cosi grande sicurezza nel sapere cosa faccio o non faccio nell’arco della mia giornata, il dubbio mi assale.” gli rispose, leggermente infastidita, bloccando sul nascere i suoi ormai quotidiani ed inarrestabili pensieri su di lui.
“Certo che no signora, perdonate la mia insistenza.” disse dispiaciuto “Semplicemente vorrei avere il piacere di fare una passeggiata con voi, nient’altro.” le sorrise. “Oggi è una splendida giornata, il sole splende, ed è praticamente un miracolo dopo tutta la pioggia di stanotte.”
“Bosco, non..” ricominciò, intenzionata ancora a rifiutare.
“Avanti, volete proibirmi la possibilità di iniziare al meglio questo giorno che già si prospetta lungo e stancante?” tentò di nuovo il ragazzo, sforzandosi di usare le parole più gentili e cortesi che ci fossero per convincerla.
“Quando vuoi sai come essere fastidioso, dico bene?” disse lei, apparentemente arresasi alla sua proposta.
“Direi piuttosto convincente, signora.” rise.
“Fe, portaci il cappotto per favore.” disse, riferendosi alla cameriera “Ancora mi chiedo come faccia la tua sposa a sopportati.” continuò, ed una volta aver indossato il suo cappotto, si diresse verso la porta.
“Ma non ci vuole poi molto a convincere lei, piuttosto siete voi a farmi disperare.” confessò il giovane.
“Signora, e la colazione?” la voce di Fe li fermò prima che potessero sfiorare la soglia della porta, o meglio, fu solo Bosco che riuscì a fermare.
“Servila ad Amalia quando si sarà svegliata.” ordinò lui “E dille che io e Donna Francisca siamo andati in paese per una passeggiata.” concluse ed anche lui uscì, seguendola per raggiungerla.
Non era davvero riuscita a capire il perché dello strano e allegro comportamento del giovane, che tanto aveva insistito affinché lo accompagnasse per una passeggiata, ma decise di accettare ugualmente, dopotutto non ci sarebbe stato assolutamente nulla di strano.
Solo dopo, quando senti le sue labbra pronunciare la piccola ed apparentemente insignificante parola “paese”, capì, o almeno credette di capire: e se l’avesse incontrato? E se i loro guardi si fossero incrociati di nuovo? E se avesse rivisto quel suoi occhi e avesse risentito la sua voce?
Se tra tutti i profumi presenti, gli sguardi puntanti su di lei e le milioni di voci che avrebbero iniziato a parlare, confluendo in un unico fastidioso suono di parole insensate e cattive, avesse sempre, costantemente ed insistentemente cercato solo e solamente lui?


Spazio Autrice:
Eeeeed... Eccomi di ritorno! (tralasciamo il mio improvviso entusiasmo). Stavolta, come potete notare, lo spazio autrice l'ho messo alla fine (eheheheh). Eh niente, io l'unica, importantissima cosa che devo scrivere oggi è: GRAZIE INFINITE. Davvero, grazie infinite per le magnifiche recensioni e (soprattutto) per la vostra pazienza. Avrei tanto voluto pubblicare il secondo capitolo tipo ieri o ancora prima, ma la scuola e le sue *amatissime* interrogazioni (e verifiche) mi hanno tenuta un bel po' impegnata. Sono straaaafelice di sapere che solo il primo capitolo vi sia già piaciuto tanto, e spero lo stesso per i prossimi.
Da Raipaquista quale sono diventata già da qualche mese, come ben sapete, avevo bisogno di immaginarmi qualcosa dopo quel bacio, ma che dico bacio, BESAZO (come la stessa e meravigliosa Bouzas lo ha definito) perchè, sentite, detto sinceramente, io sono crollata a terra agonizzante dopo che Raimundo ha fatto quello che ha fatto. Su dai, non doveva, assolutamente. Bene, dopo il mio piccolo sfogo, vi lascio in pace.
Un "BESAZO" grande.
TeenAngelita_92
  
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