Capitolo 1 – Dead Angels
Do un’occhiata al mio disegno. E’ fatto con cura, è
presente ogni minimo particolare.
Ma è il soggetto del disegno ad inquietarmi: angeli
morti.
Da giorni non disegno altro.
Beh, da quando Susan, mia madre, mi ha riferito che dovrò lasciare gli amici, la
mia amata sorella, e la scuola per trasferirmi nel posto più piovoso d’America,
Forks.
Sinceramente la prospettiva
non mi attrae granchè, anzi.
Io adoro la mia città, New York City. E’ come
la descrivono nei film, è a dir poco stupenda.
Adoro ogni cosa di questo
posto. Ed odio la pioggia costante e i paesini
minuscoli e sperduti.
Mi mancherà la mia migliore
amica, mi mancherà mia sorella, che rimane qui a
finire gli studi.
Vorrei rimanere anche io con
lei. Come se non lo avessi chiesto a mia madre. Eppure
lei dice che ha trovato lavoro a Forks, e che dovrò
venire con lei. Solo a lei poteva capitare di trovar lavoro nella cittadina più
insignificante e piccola di tutti gli Stati Uniti.
Sto mettendo in valigia tutti i miei vestiti, e i piccoli regali che mi
sono stati fatti.
Le foto di me e mia sorella a
NY… La foto con le mie migliori amiche… E i regali che ci siamo scambiate a
Natale… tutto ciò mi fa venire un’immensa nostalgia.
Non dovrei deprimermi. Eppure lo faccio. Ho bisogno di sfogarmi,
fare le valigie mi fa stare ancora più male. Riprendo il carboncino e la
gomma, mi metto sulla scrivania, preparo il foglio e riprendo a disegnare. Angeli
morti. Chissà quando smetterò con questi soggetti macabri e
deprimenti.
“Daphne, sei pronta?”. Daphne. Il mio nome. Un nome che odio.
Non so come sia saltato in testa ai miei genitori di chiamarmi così.
“No, Susan, aspetta ancora
pochi minuti!”. Non ho mai chiamato mia madre “mamma”, solo “Susan”. Non so
neppure io il motivo.
Metto da parte il disegno e finisco di mettere in valigia le ultime cose.
Cellulare, iPod. Se non altro mi serviranno
durante il viaggio. E poi la mia macchina fotografica, anche
se dubito che ci sia qualcosa da fotografare. Infine, tutti i miei album
da disegno, i pastelli, la china, il carboncino, i vari tipi di matita, e poi
le tempere, in fondo: i disegni a tempera mi vengono
male, porto in giro quei colori solo perché forse, un giorno, potranno
servirmi.
Esco dalla stanza, con le
lacrime agli occhi al pensiero di lasciarmi dietro davvero tutto.
“Eccomi, Susan”. Cerco di
apparire felice ai suoi occhi: non voglio che sappia come mi sento in realtà,
non deve scorgere in me nessuna traccia del mio stato d’animo.
“Fantastico, hai fatto in
fretta, stavolta, rispetto ai tuoi standard”
Oh, sì, Daphne la
ritardataria… E’ sempre stato il mio soprannome.
Rispondo borbottando. “Forza,
sali in macchina, piccola! E’ ora!”mi incita mia
madre.
Ascolto le sue parole e salgo
in auto. Appena seduta sul sedile, metto l’iPod nelle
orecchie e, sapendo di essere stanca, spero di addormentarmi, durante il
viaggio. Dopo poco, infatti, sento che le palpebre mi si chiudono e lentamente
sprofondo nel sonno.
EDIT, 4/10/2011. Buongiorno a tutti. Be', che dire - in data odierna mi sto decidendo a dare un po' una rispolverata alle mie vecchie storie, segnalando come "OLD FIC" quelle che, per stile e tematiche, non mi rappresentano più. Questa è una di quelle, e, o lettore che giungi dal 2011 in poi, be', meglio che tu ne sia cosciente. Nonostante ciò, sono molto affezionata ad ogni singola storia e ad oggi, all'alba della centesima fanfiction, non riesco davvero a cancellarne nessuna. Neppure questa, sebbene non mi rispecchi più, minimamente; è legata a moltissimi ricordi, nonostante tutto. Per cui, o lettore che giungi dal 2011 in poi, buona lettura. Spero che tu possa ritrovare tutte le emozioni di quando la scrissi.