Chapter three ::
Descrizione
spazio-tempo. Fermo.
Pieno. Luminoso.
Una situazione che solo chi riceve un aiuto può capire.
Sakamaki,
legato all’altezza dei
gomiti e delle caviglie alla struttura portante
dell’edificio, ha la testa
reclinata all’ingiù. Ha smesso di tremare, non
sente più neanche la tensione
muscolare e la mente è pesantissima. Tiene gli occhi chiusi,
il fascio di luce ancora
ben fisso su di lui. Vorrebbe rinchiudersi nel suo dolore, vorrebbe
pensare
ancora per tentare di capire perché.
Ma ora questo intervento esterno ed inaspettato lo ha distratto.
Aspetta, concentrato, neppure lui sa cosa. Eppure qualcosa
c’è, lì davanti a
lui. Ad un tratto, un rumore secco, una caduta. E’ lui stesso
a cadere, se ne
accorge nel momento medesimo. Allora alza gli occhi, troppo frastornato
per
continuare ad imporsi ottusamente l’ignoranza: vede un
ragazzino meccanico, con
due occhi azzurrastri fissi, eppure, all’improvviso,
così terribilmente vivi,
che lo guardano. Ed è
l’espressione di quegli occhi che più di tutto
colpisce lo scienziato: è la
stessa di un cane che, accorgendosi che il padrone è ferito
e in difficoltà,
smette di guaire e si anima, si mette in moto per cercare di aiutare,
di fare
il possibile perché il padrone sia soccorso.
Sakamaki adesso guarda dal basso il suo androide, Rei Ruke, che, con il
cranio
aperto e con i cavi della schiena scoperti, non esita a utilizzare quel
poco
che gli rimane di energia per liberarlo dalle costrizioni ai gomiti e
alle
caviglie e si sente pervadere da una nuova forza.
Tutto confuso si lascia slegare completamente, poi si alza in piedi ed
osserva.
Intorno a loro si sono avvicinati tutti gli altri androidi, distrutti e
pericolosi, ma così teneramente umani.
L’uomo non si chiede come fanno ad essere ancora accesi, come
hanno sviluppato
all’improvviso questo senso di unione, come sono riusciti a
trovare una luce e
a liberarlo, perché l’hanno fatto… Non
si chiede nulla.
Sorride solo alla sua squadra, al suo lavoro di una vita, alla sua
stessa
ragione di vita: che non è Toudou, né
l’estinzione dei Second, né la sua
posizione sociale. Sorride alla sua più grande
soddisfazione, a ciò che è stato
usato e buttato via con lui. A quelle forme di vita meccaniche che
hanno
trovato la forza di alzarsi anche quando erano state spente, a quelle
forme di
vita che erano al suo servizio e che l’hanno salvato nel modo
più brutale
eppure dolce possibile.
Rei porge la torcia all’uomo, che l’afferra
continuando a sorridere: le undici
carcasse di ferro e fili elettrici si inchinano, Sakamaki li imita.
Non ha un piano, ma lo progetteranno insieme: il suo animo è
pervaso da una
nuova, strabiliante e pazzesca sicurezza.
“In qualche modo ce la faremo, usciremo di qui”
Punta il fascio di luce della torcia contro la parete bloccata da
diversi
apparecchi meccanici fracassati. Dietro quella montagna di ruderi
tecnologici
c’è la porta che porta al mondo fuori, alla luce,
all’aria aperta.
Angolo Autrice ::
Salve a tutti! Volevo
approfittare di questo spazio per ringraziare i miei lettori anonimi e
quelli che, qui tramite recensione o con interventi privati, hanno
apprezzato e commentato questo mio lavoro: grazie mille! E' una storia
"incompiuta", semplicemente perché immaginare a volte
è faticoso persino per chi scrive. E' stata una situazione
che ho immagiato e descritto in un momento di sfogo, tutto qui. A
chiunque abbia seguito ed apprezzato, il compito di proseguire come
meglio crede. Io farò lo stesso.
A presto :3