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Autore: Nymeria90    15/02/2015    1 recensioni
Tutti conosciamo la storia del comandante Shepard, ma della persona che era prima di diventare il paladino della galassia e dell’umanità sappiamo ben poco. La mia storia si propone di ricostruire le origini di Shepard prima che diventasse comandante, dalla nascita fino al suo arrivo sulla Normandy SR1.
“ La notte calò sul pianeta Akuze. Una notte senza stelle, illuminata solo dalla flebile luce di una piccola luna, lontana e stanca. Nel silenzio assoluto di un pianeta senza vita giacevano i corpi di chi, quella vita, aveva tentato di portarcela.
Cinquanta uomini e donne erano arrivati sul pianeta alla ricerca di gloria e conquista, di loro non rimanevano che i corpi spezzati sparsi per il deserto.
[...]. Erano morti tutti. Tranne uno.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non si era mai chiesto com’era l’inferno. Non aveva mai creduto alle stronzate che gli raccontavano a scuola. In realtà non aveva mai creduto a nulla che non fosse in grado di vedere. E quello cui stava assistendo ora … beh, mai avrebbe creduto di vedere una cosa del genere. Tutte le storie più orribili su mostri mangiatori di uomini ed esseri infernali sbucati dalle viscere della terra impallidivano a confronto di quello che stava accadendo davanti ai suoi occhi.
Dopo che il deserto di Akuze era letteralmente franato sotto i loro piedi un essere gigantesco, un enorme verme coperto di scaglie, era fuoriuscito dalle ventre del pianeta.
Gli uomini si erano fatti prendere dal panico mentre quella cosa si avventava su di loro, le fauci spalancate e il corpo vermiforme che apriva solchi profondi chilometri tutt’intorno a loro.
Quanti erano morti in quel primo attacchi? Shepard non ne aveva idea. Aveva visto soldati urlanti precipitare nelle voragini aperte dal corpo di quell’essere, uno era crollato al suolo colpito da un fiotto di veleno, l’armatura e la carne che si fondevano l’una nell’altra, disciolte dall’acido. Dopo lo shock iniziale alcuni temerari avevano iniziato a sparare contro il mostro, ma i proiettili rimbalzavano sulla sua pelle di roccia come sassi lanciati dalla fionda di un bambino.
- Riparatevi dietro quelle rocce!- urlò indicando ai suoi uomini un gruppo di massi poco lontani – Toglietevi dalla sua visuale!-
Sasha non si mosse, pietrificata dall’orrore. L’afferrò per un braccio mentre lei si voltava a guardarlo con gli sbarrati: persino lei che aveva visto il peggio non era pronta ad affrontare quella cosa.
- Via di qui!- sbraitò.
La vide sgranare gli occhi prima di gettarsi su di lui e buttarlo a terra; la coda dell’essere saettò a pochi centimetri dalle loro teste.
- Maledizione…- la sentì sussurrare mentre si rimetteva in piedi – Cosa crede di fare?-
Seguì il suo sguardo e scorse Dario, in piedi in mezzo a una nuvola di polvere, incurante del terreno che gli franava intorno, un lanciarazzi appoggiato sulla spalla, l’occhio premuto contro il mirino.
Era talmente concentrato sulla preda da non accorgersi delle crepe sempre più grandi che gli lambivano le scarpe.
Shepard scattò in piedi - Via, via, via! Per la puttana Dario: vieni via di lì!-
Lui non lo degnò nemmeno di uno sguardo, cocciuto come sempre - Ce l’ho nel mirino, capo! Dammi cinque secondi e il bastardo si beccherà un razzo nel culo!-
Dietro di lui qualcosa cominciò a sbucare dalla sabbia del deserto.
- Dario ce n’è un altro!- urlò, slanciandosi nella sua direzione - Questo è un ordine, cazzo, vieni via!-
Sentì Sasha afferrarlo per un braccio, impedendogli di frapporsi tra Dario e l’enorme bestia che emergeva alle sue spalle.
Dario non si voltò ad affrontare il mostro che incombeva su di lui, né fece un passo per scappare: i suoi occhi rimasero fissi sull’obiettivo - Fanculo …- disse, premendo il grilletto. il razzo s’involò verso il primo mostro, ma Dario non poté fare nulla per evitare che quello alle sue spalle si abbattesse su di lui. Il coraggioso italo australiano scomparve in una nuvola di polvere, trascinato negli abissi da una creatura partorita dal ventre di un pianeta che non voleva umani sul suo suolo.
- DARIO!- urlò Shepard, inutilmente.
Con un boato il razzo andò a segno e, mentre il mostro colpito emetteva strida di dolore senza tuttavia rinunciare alla lotta, Sasha lo trascinò verso le rocce tra cui avevano trovato riparo gli altri.
C.J. corse loro incontro per aiutarla a trattenerlo - Dario è andato, capo, è andato … - gli sibilò nell’orecchio - … non possiamo restare qui!-
Suo malgrado fu costretto a dargli ragione: Dario era morto, ora doveva pensare a salvare il resto della squadra.
Il mostro colpito da Dario sembrava essersi ritirato, ma sarebbe stato troppo sperare che fosse morto. In ogni caso ce n’era un altro con cui fare i conti.
I massi dietro i quali si erano rifugiati offrivano loro una relativa copertura; il mostro rimasto era distratto dagli uomini di Rahn che insistevano nel volerlo abbattere con pistole e fucili a pompa. Si guardò intorno, alla ricerca dei Mako: i due autoblindi erano l’unica cosa che potevano portarli via da lì.
Uno stava dando battaglia, l’altro invece si era portato assieme a un gruppo di superstiti davanti alla frana che bloccava la loro unica via d’uscita; forse quegli uomini credevano di poter aprirsi la strada tra le macerie a colpi di cannone.
- Che cosa facciamo, Shepard? Che cosa cazzo facciamo adesso?- non aveva mai visto Abigale così spaventa; lei che diceva sempre che dopo Jump Zero nulla avrebbe più potuto farle paura.
Ma solo un pazzo non avrebbe avuto paura quel giorno.
Shepard le posò una mano sulla spalla - Non perdere la calma Abigale, resta concentrata.- fece vagare lo sguardo su di loro: erano raccolti a semicerchio e lo guardavano come se lui solo avesse il potere di salvarli. Persino Sasha, lei che non perdeva mai occasione per far sentire la sua voce, lo fissava spaventata e sperduta. Si umettò le labbra, spingendo i pensieri più veloci della paura. Era il loro comandante e doveva trovare una soluzione. Si rivolse al pilota cinese - Jin, la radio funziona?-
- No, signore, quelle dannate colline bloccano le comunicazioni.-
Un boato sinistro riecheggiò nella valle mentre uno dei Mako apriva il fuoco contro i resti della frana. Fu una follia: non appena il Mako iniziò a sparare un’altra creatura uscì dalle viscere del pianeta. Trecento tonnellate di acciaio volarono nell’aria torrida di Akuze come un dado lanciato da uno scommettitore.
In gioco, quel giorno, c’era la vita di cinquanta uomini.
Il mezzo corazzato si diresse volteggiando nella loro direzione; Shepard si alzò in piedi, l’energia biotica finalmente libera di essere sprigionata.
- ATTENTI!- urlò qualcuno, forse Sasha, alle sue spalle.
Un secondo dopo, mentre il Mako si schiantava a pochi metri dai loro piedi, una cupola biotica si propagò dalle sue braccia tese, avvolgendoli completamente. Frammenti di roccia, terra e acciaio s’infransero contro la barriera bluastra.
- E quello cosa cazzo era?- bofonchiò C.J.
- Il blindato, l’hanno lanciato in aria come un giocattolo …- sentì Jin rispondere, col tono di chi non crede ai propri occhi.
Shepard abbassò le barriere, barcollando leggermente per lo sforzo; Sasha accorse al suo fianco – Stai bene?-
Sembrava preoccupata per lui e forse lo era davvero. In altre circostanze se ne sarebbe compiaciuto.
- Dobbiamo allontanarci da qui.- gracchiò, asciugandosi il sudore dalla fronte e girandosi a guardare gli altri – Dobbiamo … GIU!-
Afferrò Sasha, gettandola a terra mentre il secondo Mako andava a fare la fine dell’altro, mancando di poco il punto in cui si erano rifugiati. Ma questa volta non c’era nessuna barriera biotica a proteggerli.
Abigale ci provò, gettandosi davanti al gruppo, l’energia biotica che si sprigionava dalle sue dita: ma fu troppo poco, troppo tardi.
Il Mako colpì il terreno simile al pugno ferrato di un gigante; i serbatoi pieni di eezo non sopportarono il colpo e, questa volta, esplosero con un boato e una lingua di fuoco.
Shepard strinse Sasha a sé e insieme rotolarono nella sabbia, sfuggendo alla grandine di metallo che minacciava di seppellirli; tutt’intorno risuonavano le grida dei loro compagni.
Qualcosa lo colpì in tesa e, per un istante, il mondo divenne sfocato e confuso.
- Alex!- le mani di Sasha gli si strinsero sul viso; tra la nebbia che gli appannava la vista scorse i suoi occhi verdi spalancati. Si chiese se la paura che leggeva nel suo sguardo fosse davvero per lui  – Alex, maledizione!-
Assurdamente pensò che adorava il modo in cui diceva il suo nome.
La mano di Sasha impattò con violenza contro la sua guancia e la sua mente si schiarì di colpo. Tossendo si mise seduto, bloccando la mano di Sasha pronta a colpire un’altra volta – Sto bene.- ragliò, tastandosi la nuca con la mano e ritirandola coperta di sangue – Solo un graffio. Tu?-
Sasha annuì, aiutandolo a rialzarsi – Sembra che l’esplosione li abbia fatti ritirare, per il momento.-
Shepard si rimise faticosamente in piedi, cercando con lo sguardo il resto della squadra: erano tutti malconci, ma vivi. Vide Nadine china su Tiger che mostrava una brutta ferita alla gamba – State bene?-
C.J. si tastò il  costato con un gemito – Sembrerebbe che tutto sia al suo posto. Per ora.- accanto a lui Habib e Jake fecero cenni di assenso mentre aiutavano Jin a rialzarsi.
Poi un urlo di agghiacciante dolore squarciò l’aria.
Mentre la polvere dell’esplosione si diradava scorsero Abigale distesa sulla schiena, le mani strette al ventre orribilmente squarciato.
Non avrebbe mai pensato che Abigale potesse piangere in quel modo, che potesse urlare di dolore e disperazione. Lei era quella che non aveva mai paura; la donna che gli aveva insegnato ad andare avanti, sempre: più testarda e forte di chiunque altro avesse mai incontrato. Cross si divertiva a dire che sotto la corazza non aveva carne, ma acciaio.
Shepard cadde in ginocchio accanto a lei, nella sabbia viscida di sangue; si tolse i guanti e li lanciò lontano. Prese una mano di Abigale nella sua mentre con l’altra tentava di arginare il sangue che sgorgava dalla voragine aperta nel suo ventre.  Le interiora esposte emanavano un odore nauseabondo e il sangue fluiva denso tra le sue dita: era scuro quasi quanto la pelle della donna.
Dopotutto Cross si sbagliava: c’era carne sotto l’armatura di Abigale. Debole, fragile carne.
Ma Cross si era sbagliato su molte cose. Su di lui, ad esempio.
Habib si inginocchiò al suo fianco, urlandogli di fare pressione sulla ferita, mentre cercava inutilmente di salvare qualcuno che non poteva essere salvato.
Lo sapevano tutti, lo sapeva anche Abigale. Gli occhi neri della biotica erano fissi nei suoi e chiedevano una sola cosa: pace. Si chiese quanti occhi agonizzanti avrebbe dovuto incrociare, quante mani irrigidite dal terrore avrebbe dovuto stringere, quanti amici avrebbe dovuto ascoltare morire prima che giungesse il suo turno.
Forse nessuno. Forse tutti.
Abigale si contorse sotto le sue dita, i denti digrignati, il viso fradicio di sudore.
Habib stava ancora cercando di fare qualcosa, una siringa di medigel in una mano e inutili bende nell’altra. Gli disse di continuare a premere sulla ferita, di darle ancora un po’ di tempo.
Shepard alzò gli occhi per un istante e incrociò quelli di Sasha, inginocchiata di fronte a lui. Bastò uno sguardo.
I suoi occhi tornarono da Abigale, si posarono su quel viso scuro che tante volte era stato capace di tranquillizzarlo nei momenti di paura. Abigale socchiuse le labbra in quello che, forse, era un sorriso – Portali …- sussurrò - …portali …via d-d-di qui.-
Shepard tolse la mano dalla ferita,la posò sul suo viso e continuò a guardarla finché la vita, lentamente, non scivolò via da lei. Rimase con lei fino alla fine, ma non disse niente, non fece alcuna promessa. Non poteva dirle ciò che voleva sentire. Non poteva mentire ad una donna morta.
Le chiuse gli occhi con due dita e si alzò.
- Forza.- disse – Ci hanno concesso un attimo di tregua: cerchiamo un modo per andarcene di qui.-
Ci sarebbe stato tempo per piangere i morti, ma, in quel momento, l’unica cosa importante era sopravvivere.
Sasha fu la prima a rialzarsi ed affiancarlo, il viso cosparso di lentiggini contratto in una smorfia di colpevole dolore. Sapeva bene a cosa stava pensando, lo aveva fatto anche lui, ma solo un uomo meschino avrebbe trasformato in parole quei pensieri.
Lui era molte cose, ma non meschino.
Sasha notò il suo sguardo e fece per dire qualcosa, ma Shepard la zittì – Non c’è tempo per fare il mea culpa. – le disse, più duramente di quanto intendesse fare – Mio è il comando, mia è la responsabilità.- guardò gli altri e alzò la voce, per farsi sentire da tutti – Io vi ho portato su questo pianeta e io ve ne tirerò fuori, ma ho bisogno del vostro aiuto: se vogliamo uscirne vivi dobbiamo rimanere uniti. Insieme possiamo affrontare qualsiasi cosa: anche la morte.- li fissò uno ad uno imprimendosi quei volti nella memoria; per ultima guardò Sasha: era suo il viso che voleva ricordare fino all’ultimo dei suoi giorni. Si mise di fronte a quei compagni di cento battaglie: non erano solo i suoi uomini, erano i suoi fratelli – Siete con me?-
Uno dopo l’altro gli si strinsero attorno; Sasha esitò più a lungo degli altri, abbassò il capo, quasi a chiedersi se fosse giusto rimanere con loro. Fu Nadine ad allungare la mano verso di lei – Sei con noi?- le chiese.
Gli occhi verdi di Sasha brillarono; fece un passo, poi un altro, infine fu insieme a loro – Fino alla fine.- non un’ombra attraversò il suo sguardo; le labbra morbide si piegarono in un sorriso triste e due piccole fossette comparvero agli angoli della sua bocca.
Quando il loro occhi s’incrociarono pensò che erano di nuovo insieme. Si chiese se sarebbe bastato.
La terra sotto i loro piedi tremò leggermente: la tregua era finita e, presto, avrebbe avuto la sua risposta.
 
La porta si era spalancata su un corridoio bianco e asettico, identico a quello di un ospedale se non fosse stato per la totale assenza di porte. Lo avevano attraversato col cuore in gola, consapevoli di essere tremendamente esposti, senza un posto dove nascondersi. Le suole degli scarponi emettevano un cupo rimbombo mentre i tre uomini camminavano senza giungere mai ad una fine. Pensarono di essersi addormentati: quello era solo uno strano sogno, inquietante ed incomprensibile. L’intero universo si era ridotto a quel corridoio bianco senza più un inizio né una fine.
Poi erano giunti ad una porta. Dietro la porta avevano trovato una scala e alla fine della scala si erano imbattuti in un’altra porta con un altro corridoio e un’altra scala e un'altra porta e così via in un ripetersi apparentemente infinito.
Non parlavano più, camminavano e basta, spaventati e confusi, chiedendosi quando sarebbero giunti alla fine di quel labirinto che si ripeteva sempre uguale a se stesso.
Infine, dietro l’ennesima porta, trovarono qualcosa di diverso. E si scoprirono a rimpiangere il corridoio.
Entrarono in una stanza, bianca come tutto il resto: pareti bianche su un pavimento bianco e, lungo le pareti, c’era una lunga fila di letti bianchi. Una dozzina o forse qualcuno di più. Sui letti giacevano delle cose. Cose che un tempo erano stati esseri umani.
Toombs e i suoi uomini attraversarono la stanza come fantasmi, rifiutandosi di credere a ciò che i loro occhi vedevano.
Ciò che era stato fatto a quei corpi andava al di là dell’umana immaginazione.
Alcuni avevano l’epidermide ricoperta di bolle verdastre, altri la carne talmente corrosa da lasciare lo scheletro esposto, altri ancora erano a tal punto gonfi da chiedersi come potesse la pelle tendersi tanto da non lacerarsi. Alcuni presentavano deformità abominevoli al posto degli occhi o delle mani o del cranio.
- Toombs …- sussurrò Rick con un filo di voce: si trovavano all’incirca a metà della stanza- … sono ancora vivi, Toombs.-
Aveva ragione: c’erano delle macchine a tenerli in vita. Quegli uomini erano cavie: preziose cavie che non potevano morire.
Dietro di lui sentì Martin vomitare sul pavimento.
Rick gli lanciò una rapida occhiata – Sono i tizi che stavamo cercando, non è così?-
Toombs continuò ad avanzare, desideroso di andarsene da quella stanza il prima possibile – È probabile.- sibilò tra i denti.
- Chi può aver fatto una cosa del genere?- balbettò Martin – Perché?-
Finalmente giunsero di fronte all’uscita, si fermarono davanti e, come avevano fatto tutte le altre volte, mandarono un drone in esplorazione, per scoprire cosa ci fosse dall’atra parte,
Toombs lasciò vagare lo sguardo su quella stanza degli orrori, ancora più abominevole nella sua candida immobilità – Potevano farlo e nessuno li ha fermati: ecco perché l’hanno fatto.- dietro la porta c’era una stanza apparentemente vuota, Toombs premette il pulsante che apriva l’uscio – Andiamo, non voglio rimanere qui un minuto più del necessario.-
Finalmente trovarono ciò che stavano cercando. La stanza dall’altra parte era piena di computer e terminali operativi; Martin non impiegò molto a individuare quello che controllava la parabola.
Si avvicinarono al terminale e, mentre Toombs e Rick gli guardavano le spalle, Martin iniziò ad armeggiare coi comandi.
Dopo pochi minuti si bloccò, imprecando a denti stretti.
- Che succede?- domandò Toombs, preoccupato: erano lì dentro da ore e il fatto di non sapere cosa stesse accadendo fuori lo impensieriva quasi quanto l’apparente abbandono di quei luoghi. Dov’erano finite le persone che avevano torturato gli uomini nell’altra stanza? Perché non avevano ancora incontrato nessuno?
Le risposte a quelle domande erano l’una meno rassicuranti delle altre.
- Non c’è modo di disattivare la parabola senza far scattare l’allarme.- spiegò Martin.
- Non puoi bypassare discretamente il sistema?-
Martin scosse il capo – Non senza i codici, o un’IA.- fece un sorrisetto nervoso – Non è che ne avete una a portata di mano?-
Toombs scosse il capo e prese un respiro profondo, chiedendosi se quella sarebbe stata la loro tomba – Fai quello che devi fare, Martin.- estrasse la pistola – Dopo che avrai finito mi assicurerò che nessuno possa usare ancora questo terminale.-
Nessuno dei due protestò. Quando avevano accettato quella missione erano entrambi consapevoli che, forse, non ci sarebbe stato ritorno.
Quando Martin disattivò il segnale una sirena assordante cominciò a riecheggiare per la base; Toombs mise fuori uso il terminale prima di seguire gli altri lanciati verso l’uscita.
Ma, prima che giungessero vicini alla porta, dal soffitto coiminciarono a scendere spesse lastre di vetro che, in pochi minuti, li intrappolarono. Provarono a sfondarle coi pugni e i proiettili: nemmeno un graffiò scalfì quei vetri insuperabili.
Dal soffitto e dal pavimento cominciò a filtrare fumo: in pochi secondi cominciarono a tossire, piegandosi su se stessi, cercando invano di agganciare nuovamente i caschi. Ma le mani tremavano e gli occhi lacrimavano; le ginocchia cedettero sotto il loro peso e i tre uomini cominciarono a rantolare, i volti premuti contro il vetro.
Il primo a perdere i sensi fu Martin, seguito poco dopo da Rick, sconfitti da un nemico invisibile che non aveva avuto neppure il coraggio di affrontarli.
In un ultimo sprazzo di lucidità Toombs accese la radio: doveva avvertire Shepard, doveva dirgli di andare via.
La radio sfrigolò – Qui Toombs …- ansimò - …andate via … andate via …questo pianeta è una trappola …- non avrebbe saputo dire se quelle parole erano uscite davvero dalle sue labbra o se le avesse solo immaginate.
Mentre il mondo diveniva sempre più sfocato, scorse un movimento dietro il vetro; alzò debolmente lo sguardo e vide due persone, un uomo e una donna, che lo fissavano. Vestivano camici bianchi con un simbolo cucito sopra: un esagono nero e giallo.
- Chi siete?- esalò, mentre l’oscurità lo sopraffaceva.
Se gli risposero il caporale Toombs non li udì; il suo ultimo pensiero andò alla luce delle stelle: sarebbe passato molto tempo prima che potesse rivederle ancora.
 
Tre. I guardiani di Akuze erano tre, come le teste di Cerbero, il cane custode degli inferi.
Esplosero dal terreno simili alla lava eruttata dai vulcani, attirati dalle urla e dai proiettili che i pochi sopravvissuti al primo attacco ancora riversavano sui detriti della frana che impediva loro la ritirata.
Il capitano Rahn era vivo quel tanto che bastava per continuare a sbraitare i suoi insulsi ordini, a riprova che gli dèi avevano uno strano senso dell’umorismo
Quando i tre mostri si schiantarono sul gruppetto di uomini raccolto attorno alla frana, Shepard intravide una via d’uscita per lui e la sua squadra.
Quelle creature erano attratte dal rumore e scatenavano la loro furia su qualunque cosa osasse infastidirle: la carta della furtività era l’unica rimasta da giocare. Le urla e gli spari dei soldati dell’Alleanza morenti sarebbero serviti da ottimo diversivo, a quel punto la domanda era: per fare cosa?
Erano intrappolati in quell’arena desertica senza alcuna via d’uscita, le navette erano fuori portata, le radio inservibili e le loro armi inutili.
La risposta alle sue domande arrivò inaspettata, sottoforma del gracidio della sua radio.
Tra le scariche elettrostatiche riuscì a udire solo poche lettere – Q … Toom …an … ia …-
- Che cos’era?- domandò Tiger seduto accanto a lui, la gamba ferita rozzamente fasciata.
Shepard si asciugò il sudore dalla fronte: aveva riconosciuto la voce di Toombs, nient’altro. Poco importava il significato di quella chiamata: che quel posto fosse pericoloso l’avevano ormai capito. La cosa importante era che le radio funzionavano di nuovo, qualunque fosse il motivo che avesse interrotto il segnale.
- Jin …- fece cenno al pilota di avvicinarsi - …cos’hai detto prima, a proposito delle colline?-
il giovane cinese prese una manciata di sabbia nera e gliela mostrò – Questa è ferrite.- spiegò – Blocca qualunque segnale radio, non importa quanto sia potente. Ma da là in cima …- indicò la sommità del declivio alle loro spalle – Là in cima potremmo riuscire a contattare l’Alleanza.-
Poco distante da loro il massacro proseguiva, ma ben presto non ci sarebbe stato più nessun soldato a distrarre quegli enormi mostri mangiatori di uomini.
- Ci serve una radio satellitare.- puntualizzò Jake – La base dell’Alleanza più vicina è lontana migliaia di chilometri.-
C.J. indicò il Mako sfracellato pochi metri davanti a loro – Ogni veicolo è dotato di due postazioni radio-satellitari mobili; dal momento che uno dei Mako è esploso possiamo solo sperare che le altre non si siano rotte nello schianto.-
Spari e urla si affievolivano sempre più: se volevano sopravvivere dovevano agire.
Shepard annuì, deciso – Non avremo seconde occasioni: io, Jin e Jake ci occuperemo delle radio, voialtri cercate un modo per salire.-
Sasha lo bloccò – Io vengo con voi.-
Cercare di farle cambiare idea sarebbe stata solo un’inutile perdita di tempo, perciò si limitò ad annuire.
- Non sparate.- ricordò loro – Non dobbiamo attirare l’attenzione.-
Seguiti dallo sguardo preoccupato dei loro compagni attraversarono di corsa lo spazio scoperto che li separava dal Mako, ignorando i rottami fumanti dell’altro veicolo sulla loro destra.
All’orizzonte si scorgevano solo due dei torreggianti vermoni che stavano sterminando il contingente dell’Alleanza, del terzo, quello ferito da Dario, non c’era traccia.
Shepard notò che un gruppo di superstiti cercava di scalare la parete di roccia nera, incalzati da vicino da uno dei due mostri: nei pochi secondi che occorsero loro per raggiungere il Mako metà di quegli uomini si era sfracellata al suolo e l’altra metà stava per andare incontro al medesimo destino.
L’armatura rossa del Capitano Rahn spiccava sulla pietra nera della parete.
Raggiunsero il veicolo senza incidenti, ma le portiere deformate dall’urto erano inamovibili; Shepard dovette far ricorso ai suoi poteri biotici per scardinarne una, in un’assordante stridio di lamiere.
- Muoviamoci!-
Sasha e Jake s’infilarono nell’abitacolo, scavalcando il corpo straziato del pilota, mentre lui e Jin rimanevano ad assistere al massacro degli uomini del Capitano Rahn.
Con la coda dell’occhio notò che Jin stava piangendo – Dovremmo aiutarli.- lo sentì sussurrare.
Shepard lanciò una breve occhiata in quella direzione, prima di riprendere a perlustrare i dintorni: l’assenza del terzo mostro lo impensieriva.
- La loro stupidità li ucciderà.- constatò, senza scomporsi – Ma forse salverà noi.-
- Li stiamo usando come esca?-esclamò Jin, scandalizzato.
Shepard si strinse nelle spalle – Si sono gettati in pasto a quelle bestie da soli. Non possiamo aiutarli, Jin.-
Non disse che se anche avesse intravisto la possibilità di salvarli non l’avrebbe fatto. In palio c’era ben più della sua vita: c’era la vita dei suoi uomini, i suoi amici … Sasha. Erano loro quelli che doveva salvare, nessun altro.
Sasha uscì dall’abitacolo con una delle radio, se aveva sentito il loro scambio di battute non lo diede a vedere. Gli occhi verdi si posarono per un istante sui pochi uomini che ancora cercavano di sopravvivere e passarono oltre.
 – Cosa diavolo sta facendo Jake?- le domandò.
Sasha fece una smorfia – Ha detto qualcosa a proposito dei cannoni. Credo stia provando a ravviarli.-
- Maledizione!- scivolò all’interno dell’abitacolo: Jake era seduto al posto di guida, il capo chino sul pannello di controllo, aveva la radio appoggiata accanto – Jake, prendi la radio e andiamo via: non abbiamo tempo per le stronzate!-
- Aspetta! Posso riavviare le armi, possiamo colpire uno dei mostri, distrarli abbastanza per dare a quegli uomini intrappolati il tempo di fuggire!-
Il Mako cominciò a ridare segni di vita, le luci si accesero e i cannoni iniziarono a portarsi in posizione – Sei impazzito, Jake? Se spari diventeremo noi l’obiettivo di quei mostri!-
L’ingegnere si voltò verso di lui, determinato come non l’aveva mai visto: non c’era più traccia del ragazzino acerbo e timoroso che aveva conosciuto.
Gli lanciò la radio – Prendetela e tornate dagli altri. Io rimango qui, a fare il mio dovere di soldato.- un tonfo metallico annunciò che i cannoni erano di nuovo attivi.
Sasha si sporse all’interno – Dobbiamo andare!-
- Prendi le radio: tu e Jin raggiungete gli altri.-
- Shepard …-
- Questo è un ordine! Andate!-
La sentì imprecare a denti stretti, ma, per una volta nella vita, obbedì.
Shepard strinse la mano sulla spalla di Jake – Non puoi aiutare quegli uomini: puoi morire per loro, se vuoi, ma non li salverai.-
- Stai dicendo che dobbiamo abbandonarli, lasciarli macellare?-
Fuori sentì Sasha e Jin che discutevano, immaginò stessero affrontando la stessa discussione che era in corso all’interno del veicolo. Sperò che lei avesse il buon senso si andarsene senza di loro. Lo stesso buon senso che avrebbe dovuto avere anche lui.
- Sto dicendo che quei soldati sono una causa persa: o cerchi di salvarli e moriamo tutti o ce ne andiamo e sopravviviamo.-
Jake fece una smorfia – Allora vattene, Shepard: anch’io sono una causa persa.- il suo palmo calò sul pulsante e i due cannoni del Mako aprirono il fuoco.
Shepard imprecò, cercando di smuovere il ragazzo dalla sua postazione, ma Jake era inamovibile; fece appena in tempo a scorgere i colpi del Mako che andavano a segno e i due vermoni ritirarsi nelle viscere della terra, probabilmente diretti propri lì, dov’erano loro.
- Shepard!- c’era panico nella voce di Jin.
Voltò le spalle al suo ingegnere e strisciò fuori dal veicolo, Jin gli tese una mano, aiutandolo a rialzarsi – Dov’è Sasha?-
Jin indicò la direzione da cui erano venuti e scorse Sasha che attraversava di corsa il deserto con entrambe le radio appese alla cintura; gli sfuggì un sospiro di sollievo: fortunatamente c’era ancora qualcuno con un po’ di buon senso.
- Dobbiamo andare via di qui!- sbraitò, afferrando Jin per un gomito.
- E Jake?-
- Jake ha fatto la sua scelta.- cominciò a correre, trascinando il pilota con sé – Se restiamo siamo morti.-
Jin aprì la bocca per protestare ma, in quel momento, una delle creature emerse dalla terra dritto davanti a loro. Shepard vide le sue fauci spalancarsi e, in quell’attimo, pensò che era finito tutto; tentò di raccogliere le forze per erigere una barriera biotica, ma sapeva bene che sarebbe stato tutto inutile.
Quando l’essere sputò il suo veleno riuscì solo a pensare che stava andando incontro ad un morte orribile, in quel momento Jin gli si avventò contro. Shepard rovinò a terra e, invece di colpire lui, il veleno centrò Jin in pieno petto, trapassandolo da parte a parte.
Il giovane pilota fece appena in tempo a portarsi le mani tremanti verso il foro slabbrato e fumante che gli si era aperto nel corpo prima di cadere riverso nella sabbia, gli occhi vitrei piantati in quelli del suo comandante.
Stordito, Alex cercò di rialzarsi mentre il muso senza occhi del suo carnefice si voltava verso di lui, d’istinto estrasse la pistola, ben sapendo di non poterla usare per salvarsi; ma forse poteva usarla per evitare una morte atroce.
Il Mako sparò di nuovo, un boato che deflagrò nella valle. Il proiettile esplose lontano dal suo bersaglio, ma tanto bastò a distrarre la creatura: perso qualsiasi interesse verso Shepard il verme puntò al veicolo.
- Jake!- urlò Alex, mettendosi finalmente in piedi, la pistola stretta in pugno – Esci subito da lì!-
Scorse Jake affacciarsi dal portellone e saltare fuori un secondo prima che la stazza immensa della bestia si abbattesse sul veicolo, accartocciandolo.
Shepard corse in quella direzione, consapevole di non poter abbandonare Jake un’altra volta.
Dove prima c’era il Mako si era aperta una voragine in cui la sabbia si riversava a fiotti: Jake era riuscito ad aggrapparsi al bordo del cratere, ma le sue dita scivolavano inesorabilmente sul terreno instabile.
Shepard infilò la pistola nella fondina e si gettò a terra, il ventre aderente al terreno, le gambe divaricate per una presa migliore, gettò le braccia oltre il precipizio, giusto in tempo per afferrare la mano di Jake che mollava la presa.
- Ti tengo, amico, ti tengo: cerca di afferrarti anche con l’altro braccio!-
Si sentiva scivolare, centimetro dopo centimetro, nell’abisso che stava inghiottendo Jake.
Il ragazzo cercò di sollevare l’altro braccio, ma i suoi tentativi non fecero altro che accelerare la lenta caduta di entrambi: Shepard puntellò i piedi nella sabbia, ma già la testa e le spalle sporgevano oltre il bordo.
- Resisti!- Jake lo fissava coi grandi occhi sgranati. Ora che l’adrenalina era evaporata e non rimaneva che la paura della morte era tornato ad essere un ragazzo. Erano entrambi dei ragazzi: troppo giovani per morire in quel modo, lontani milioni di chilometri dal cielo di casa loro.
Il peso di Jake gli gravava interamente sulle braccia, cominciò a tirarle verso l’alto; sentì la dolorosa pressione del sangue che gli fluiva alla testa, unita al lacerante bruciore dei suoi muscoli e alla consapevolezza di star scivolando, poco a poco, verso la morte.
- Cadremo tutti e due!- singhiozzò Jake – Devi lasciarmi andare, Shepard.-
Non rispose, non aveva fiato da sprecare, si limitò a scuotere il capo rimanendo aggrappato a Jake, come se i ruoli si fossero invertiti e fosse stato lui quello a penzoloni nel vuoto.
Sarebbero caduti ma non l’avrebbe lasciato andare.
Improvvisamente sentì qualcosa premere sulle sue gambe, fermando quella rovina che sembrava ormai inevitabile – Sono qui, Alex!-
Era tornata indietro, dopotutto.
 - Sasha …- esalò – Non …-
- Le radio sono al sicuro.- lo interruppe lei – Ora pensa a tirare su Jake, ti tengo io.-
Il corpo di nuovo fermo, Shepard riprese ad issare Jake, lentamente, centimetro dopo centimetro. Malgrado il duro allenamento cui si sottoponeva tutti i giorni, cominciò a sentire i muscoli della braccia bruciare come se l’intera corazza avesse preso fuoco. Sembrava quasi che il sangue nelle vene fosse stato sostituito da acido puro. Alex ebbe l’impressione che tendini e muscoli si stessero staccando dalle sue ossa; era convinto che di lì a poco non sarebbe rimasto che il suo scheletro e poi anche quello sarebbe andato in frantumi, precipitando verso il basso assieme al corpo urlante di Jake.
Eppure, nonostante tutto, Jake continuava a risalire e lui stringeva i denti imponendosi di resistere: era l’unica cosa che doveva fare. Gli occhi gli bruciavano per il sudore che gli colava dalla fronte. Li chiuse e li riaprì, mentre iniziavano a lacrimare: non vedeva più niente.
- Forza …- gemette - …ci sei quasi, Jake.- sentì l’altra mano del ragazzo stringersi intorno al suo polso.
Jake era quasi in salvo quando la terra riprese a tremare. Attraverso gli occhi appannati Shepard scorse una sagoma sfocata muoversi negli abissi sotto di loro.
Il terreno intorno al suo corpo iniziò a cedere.
- Alex!- urlò Sasha – Sta per crollare tutto!-
Jake si contorse, staccando la mano dal suo braccio per aggrapparsi al bordo che si sgretolava tra le sue dita e sotto il corpo di Shepard: dal basso un boato sordo annunciò l’arrivo della morte.
- È finita, Shepard!- singhiozzò Jake – È finita. Devi lasciarmi andare.- aprì la mano e Alex sentì il suo braccio scivolargli tra le dita.
- No: io non ti lascio!-
- Moriremo tutti e tre se non lo farai.- piangeva, le lacrime che lasciavano segni più chiari sulle guance sporche di terra – È stata una mia scelta, comandante. Lasciami andare: sono una causa persa, ricordi?-
Sentì le mani di Sasha aggrapparsi alle sue caviglie – Non riesco più a tenervi!-
Jake aveva ragione. Se ci fosse stata solo la sua vita in gioco probabilmente sarebbe rimasto con lui fino alla fine: ma c’era Sasha lì con loro. Non poteva salvare Jake: qualunque cosa facesse lui era spacciato. Per Sasha invece c’era ancora speranza. Ma la verità era che se i ruoli fossero stati invertiti, se ci fosse stata Sasha al posto di Jake, nulla gli avrebbe impedito di stare con lei fino alla fine, nemmeno la sopravvivenza dei suoi amici. Lo sapeva lui e lo sapeva Jake, ma non c’era niente che potesse o volesse fare per eliminare quella debolezza: la sua unica debolezza. Dopotutto era umano anche lui.
Sasha era l’unica cosa al mondo che non poteva sacrificare in nome di un bene superiore.
- Mi dispiace.- sussurrò. Aprì la mano e Jake cadde urlando nell’abisso, dritto tra le immonde fauci del nemico più terribile che avessero mai incontrato.
 
  
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