Mi
è stata ispirata da Orazio col suo famoso “carpe
diem” che ho studiato in latino, ed anche da un doujin visto su
you tube (però lì la coppia
era differente da quella di cui leggerete qui). Avviso:
all’inizio potrebbe
essere un tantino strappalacrime ç_ç…
Auguro buona lettura a tutti voi nuovi lettori di questo sito! Spero
vi piaccia! Commentate!
(Canzone
consigliata per l’ascolto durante la lettura: “Out of
reach” di Gabrielle... o comunque qualcosa di malinconico)
PS:
NARUTO X HINATA ORA E SEMPRE!
Carpe diem (“Cogli l’attimo”)
In
quel luogo un po’ indistinto, ed anche un po’ riconoscibile come un angolo del
suo villaggio, con quel ponticello tra le case e gli alberi, ed in quel momento
senza un quando, ma ormai nel cuore della sua vita, lei aprì bocca e la sua
voce incredula era più flebile del fruscio delle foglie.
“Perché?”
chiese.
Lui
stette in silenzio, preferendo prendere tempo, lasciandola a sfogarsi ancora:
“Perché
ora mi dici queste cose?”
Erano
passati troppi anni perché potesse ancora sperare di sentirle. Talmente tanti
che non voleva più neanche sentirsele dire da lui.
Parole
di apprezzamento e di affetto diverse dalle altre, parole che ti innalzano a
qualcosa di veramente speciale.
Finalmente
lui si mosse mettendo una mano dietro la nuca, tirandosi un po’ i capelli:
“Perché sono vere, ed io sentivo di volerlo fare. Di doverlo fare.”
“No!
Non dovevi!” rispose alzando la voce.
Si
accigliò e sbuffò: “Ascoltami, per favore. Io ti ho sempre considerata e ti ho
sempre voluto bene, sin da quando eravamo ragazzini. Però tu già allora stravedevi
per me, dico bene?”
Diede
uno sbuffo spacciandolo per una risata di scherno: “Oh, e da quando lo sai?”
“Me
l’ha detto un amica comune...”
“Già,
ovvero la donna del tuo cuore, giusto?” disse ironica, incrociando le braccia.
La
sua faccia tradiva che aveva fatto centro in pieno; per nulla intimorito da
quei freddi occhi, strizzati da quella che sembrava rabbia e puntati su di lui,
continuò:
“Perché
credi me lo abbia detto? Ha notato anche lei che da un po’ di tempo nella mia
testa ci sei tu e non lei!”
La
donna si voltò. Non ci era voluto molto perché la dura maschera del suo viso
andasse in cocci, quindi meglio non darlo a vedere.
“E
credo anche che da un po’ di tempo tu non sia solo nella mia testa… ma anche
nel mio cuore.”
Restando
girata, a quelle parole si morse le labbra più forte che poteva, trovando quel
dolore stranamente lieve al confronto dell’altro che già sentiva.
“Perché?”
ripeté ancora con un filo di voce.
“Perché
mi sono accorto tardi di quanto tu potessi essere… così adatta a me! Così capace
di comprendermi, di tirarmi su di morale, così desiderosa di essere
riconosciuta dagli altri, proprio come me.”
Fece
una pausa: “Ti prego credimi: in questi ultimi mesi sei entrata nella mia vita
in un modo che non avrei mai potuto immaginare quando ero un ragazzino idiota.”
Forse
lo era ancora un ragazzino idiota, per essere andato a dirle quelle cose
proprio in quel momento. Proprio quel giorno, o meglio proprio quella sera: la
sera prima.
Deglutì.
Il niente che lasciò scivolare in gola era amaro eppure dolcissimo. Si decise a
girarsi:
“Ero
innamorata di te. Hai idea di quanto abbia sofferto per colpa tua?”
“Mi...
dispiace…”
Si,
era un ragazzino idiota se in una simile situazione non sapeva dire altro.
Eppure,
come solo lei riportò a mente quel periodo della sua vita, egli la vide
sorridere, radiosa, anche sotto quegli occhi mesti e rassegnati. Essere
riuscita finalmente a farsi amare da lui leniva il dolore, e al contempo lo
acuiva.
Ancora
una volta si chiese il perché. Perché solo ora?
“Tu
sei ancora innamorata di me, non è così?”
Non
volle rispondergli, allora lui le prese le spalle.
“Non
sono l’unico che è stato bene in questi ultimi momenti in cui siamo stati
vicini: anche tu eri felice come me ora che abbiamo avuto finalmente
l’occasione di stare vicini.”
Era
come irrigidita dal suo tocco, ed il suo sguardo sordo vagava un po’ qui e un
po’ là mentre le parlava. Ma era tutto vero: l’aveva vista sorridere tante di
quelle volte che aveva perso il conto. Non poteva mentire a sé stessa di quanta
felicità avesse riscoperto accanto a lui.
“Io
credo che tu mi ami ancora!” alzò la voce, per ricordarglielo, perché se lo
mettesse bene in testa, perché con quella sua supplica la convincesse.
“Ed
ora che me lo hai detto? Avanti, dimmelo… cosa vuoi che faccia ora?”
Si
aspettava di zittirlo, ma lui invece rispose subito, e così facendo le infilzò
involontariamente un pugnale nel petto.
“Voglio
che tu non lo faccia!”
Era
a bocca aperta.
“C-come
hai detto?” balbettò lei.
Cominciò
a scuoterle le spalle, e ad urlare, in realtà in modo parecchio agitato: “Mi
hai capito bene: non farlo! Ora che so che mi ami e che mi hai sempre amato,
ora che sai che posso amarti anch’io non devi farlo! Non puoi!”
In
realtà era spaventato.
Lei
girò il capo, non voleva guardarlo in faccia: “Non posso?” chiese con una
debole, falsa risata.
“No,
perché le cose sono cambiate adesso. Adesso… adesso possiamo essere felici,
come hai sempre desiderato!”
“Che
ne sai tu di cosa ho sempre desiderato? Tu non l’hai mai capito… ed io non te
l’ho mai fatto capire.” concluse lei, con una punta di rammarico.
“Ma
ora lo so! Ti prego, Hinata non farlo! Sposa me!”
Sussultò.
Cercò di farsi indietro, ma Naruto, che ancora le teneva le spalle, le impedì
che lo facesse.
“Ma…
ma… noi…”
“Direi
che siamo abbastanza grandi ed abbastanza innamorati tutti e due per farlo,
no?” continuò ad arrancare lui. Era solo apparenza la sicurezza nelle sue parole,
simili più a quelle di chi, scosso, cerca di convincere un suicida sul ciglio
del baratro che la vita continua, che il sorge sorgerà ancora, e che la
felicità è ancora a portata di mano.
Ma
Hinata aveva un peso, già incatenato stretto alla sua caviglia, a facilitarle
la caduta; e quel peso faceva paura a Naruto, perché temeva non sarebbe
riuscito a scioglierlo.
“Domani
non presentarti, manda tutto a monte, fai qualunque cosa… ma sposa me; ti
giuro, farò di tutto per renderti felice, per essere all’altezza dei tuoi
sogni, lo giuro!”
Ma
non lo stava neppure guardando.
Naruto
ansimava, non sapendo più che altro giurare, ma pronto comunque e farlo, e lei
continuava imperterrita, a far finta di nulla.
Ormai
esasperato, era pronto per continuare con un altro discorso: avrebbe trovato
altre parole.
“Hinata…”
Ma
quando la scosse per l’ennesima volta, emise un rantolo acuto.
Il
lamento della luna che suo malgrado vuole essere lasciata ad eclissarsi dalle
nuvole cupe della notte, dove il sole non potrà più farla brillare.
“NO!”
gridò liberandosi dalla sua stretta, e facendo fare anche a lui un passo
indietro.
“Mi
dispiace…” riuscì a dire tra le lacrime grondanti sul suo viso.
Sgranò
gli occhi azzurri, paralizzato dalla sua reazione. Ma ancora di più da quello
sforzo immane che faceva per sorridergli dolcemente nonostante tutto:
“Mi
dispiace Naruto…” mugolò scuotendo il capo “… è troppo tardi.”
“Anche
se posso ancora amarti tanto dopo tutto, quello che mi chiedi di fare non posso
proprio farlo… Perché gli voglio comunque troppo bene per fargli una cosa
simile… per abbandonarlo proprio ora. Lui è importante per me, molto… e non
voglio che soffra per colpa mia!”
Proprio
ciò che Naruto aveva temuto sin dall’inizio. Che non riuscisse ad essere
abbastanza egoista da cambiare tutto all’ultimo istante. Perché era troppo
altruista per poter far soffrire qualcuno, a cui teneva molto, semplicemente
per poter essere felice.
Anche
a costo di essere infelice per il resto della vita, non sarebbe tornata
indietro arrivata a quel punto.
Era
troppo buona, troppo onesta e sciocca per farlo.
Il
biondo sentiva una morsa al cuore. Ma la soffrì più che volentieri: meritava
questo ed altro per aver sconvolto Hinata a quel modo, per essere arrivato
unicamente quando aveva smesso di aspettarlo.
E
mentre si dannava, lei nella mente e nel cuore paradossalmente lo ringraziava,
per essere riuscito a farla innamorare di nuovo, e per quella verità che gli
aveva detto, così dolce e così amara.
Lo
guardò negli occhi: “Grazie lo stesso… ma è troppo tardi.” ribadì decisa.
Lui
chinò il capo, in segno di resa.
Quel
sorriso così difficile da mantenere sparì, e rimasero solo le lacrime.
Naruto
sussultò quando rialzando gli occhi non vide né uno sguardo in cui fissare, né
un viso dolce ed affranto, né sorrisi, né lacrime. Perché stava andando via.
“Hinata!”
Doveva
correre? Non lasciare che la raggiungesse? Non poté concentrarsi a risolvere
quell’arduo dubbio comunque, visto che la raggiunse subito. E lei subito si
voltò.
Per
un attimo, anzi, ben più di uno, la luna ricomparve da dietro le nubi.
Almeno
per un istante, entrambi vollero che il sogno di lei, ed ora di entrambi, si
avverasse, e si baciarono.
Durante
il bacio, con gesto improvviso la donna gli si strinse, e per un po’ si sentì
veramente contenta, forte, felice, e con il cuore in pace.
Fu
ugualmente lei la prima a staccare le labbra. Dopodiché non gli rivolse un
altro sorriso, a malapena un piccolo sguardo.
E
mentre la guardava andare via, illuminata dai lampioni al lato della strada,
gli sembrava di vedere allontanarsi un triste fantasma del suo passato, che a
testa alta usciva dalla sua vita per sempre.
Incapace
di sopportare quello strazio, grugnì e sbatté forte i pugni contro la ringhiera
oltre il quale scorreva il fiume, chinandosi poi su di essa, sconfitto.
“Perdonami!”
disse. E poi, girandosi verso la figura che si rimpiccioliva ad ogni passo, lo
urlò di nuovo con tutte le sue forze:
“Perdonami, Hinata! Perdonami!”
“Oh,
Naruto…” Fermatasi un attimo, sospirò e lasciò scorrere libere altre lacrime
prima di riprendere a camminare, fino a sparire nelle ombre, oltre l’angolo di
una strada.
Il
giorno dopo era il giorno del suo matrimonio.
Nell’ampia
e sfarzosa dimora della sua illustre famiglia si sarebbe tenuta la cerimonia.
Splendidamente
vestita con l’abito tradizionale, con i lunghi e setosi capelli scuri ben
acconciati, profumata ed incantevole come una principessa o una dea, Hinata
fece il suo ingresso nella sala. Tutto era lì pronto in funzione di lei: gli
invitati, già inginocchiati in direzione dell’altarino dove il bonzo pregava e
compiva gli ultimi preparativi, e dove attendeva ovviamente lo sposo.
Il
velo del cappellino le scendeva davanti gli occhi, bianco e splendente alla
luce del sole mattiniero di quella bella giornata, e copriva il suo volto
spento e il suo sguardo vacuo, nascosto dietro il trucco che avrebbe dovuto
esaltare ed innalzare ancora di più il suo splendore pallido e timido.
Tutto
quel sole, quella luce, quella bellezza a cui controvoglia col suo aspetto
meraviglioso prendeva parte… non era mai stata così adatta eppure così fuori
luogo.
Con
il padre al fianco cominciò a camminare a piccoli passi sul rosso tappeto del
corridoio tra le due ali di invitati, verso di lui.
Colui
che per primo aveva chiesto la sua mano.
Lei
si chiedeva chi fosse, perché per quanto si sforzasse non riusciva a vederlo, a
focalizzarlo, se non come una sagoma scura.
Era
Kiba? O Shino? Qualcuno dei suoi vecchi compagni?
Neji?
O
qualche altro uomo, che aveva conosciuto e che le aveva dato tanto amore da
farle accettare di essere lì quel giorno?
Non
ricordava. Non vedeva. Invece, tra le tante facce, le tante teste lì
inginocchiate, altrettanto indistinte e sconosciute, aveva individuato subito
la sua: la quinta fila da dietro, il posto giusto sul corridoio che stava
percorrendo.
Così,
una volta arrivata lì, rapida riuscì a far cadere sulle sue gambe un
bigliettino, senza che nessuno notasse alcunché, passando poi oltre con finta
naturalezza.
Naruto
senza pensarci su due volte lo prese e lo aprì.
Non
una lettera, un semplice pezzetto di carta ripiegato con qualche parola che
Naruto immaginò scritta tra innumerevoli singhiozzi.
Non
era stato così. Aveva scritto quelle lettere senza una lacrima, con
l’impassibilità rassegnata di chi si sente sconfitto da un destino che si è
creato da solo.
Lesse.
Se esiste un'altra vita dopo
di questa
io ti prometto che non avrò
paura,
e che ti farò capire subito
quello che provo
tu però
promettimi che ti accorgerai
di me
e che verrai da me per primo
a chiedermi di sposarmi
Hinata
Si
chinò in avanti per nascondere il volto, e in un attimo lasciò uscire tutte le
lacrime non versate quella sera prima.
Era
colpa sua: perché era stato troppo cieco per accorgersi di lei, e perché
nonostante il ritardo aveva cercato comunque di ottenere un lieto fine che non
poteva più essere ormai.
Non
solo si era ridotto in quello stato pietoso, ma la cerimonia doveva ancora
iniziare: non era il caso di rimanere.
Si
asciugò gli occhi, si alzò, ed arrivò all’inizio del salone nell’istante in cui
lei giungeva a destinazione davanti l’altare.
Si
girò e lo vide: gli occhi arrossati, ma niente affatto tremante mentre la
fissava con uno sguardo serio, serio come deve essere chi accetta una promessa.
Con
un sospiro mosse il leggerissimo velo bianco, mentre congiungeva le mani
tremando e singhiozzando.
No,
era colpa sua: perché avrebbe dovuto fargli capire prima cosa provava per lui
anziché nascondersi sempre, invece con la sua codardia, aveva condannato
entrambi ad una vita infelice. Non se lo sarebbe mai perdonato.
E
del suo pianto sembrava che nessuno si curasse, lì in quella idillica atmosfera,
irreale, piena di luce, dove tutti erano riuniti per il lieto evento. Sguardi
indifferenti, come quello che aveva ora Naruto.
Riuscì
ad emettere un filo di voce: “No…”
Mosse
la testa, prima piano e poi con decisione: “No, no…
Era così che doveva finire dunque?
“No…
No, no, no!”
E
continuò a piangere, e a ripetere.
“No.”
Vedeva
ogni cosa offuscata. Che stava succedendo? Perché tutta quella luce era
sparita? Quando si asciugò gli occhi cominciò a capirci qualcosa.
Ansante
e smarrita si guardava freneticamente intorno, e poi guardò sé stessa, il suo
corpo, le sue mani.
Si
accertò così che il seno non le era cresciuto né si era allungata di qualche
centimetro con gli anni, né era il giorno del suo matrimonio.
Era la sua stanza, in una mattina come tante altre della sua giovinezza. Ce ne
voleva ancora un po’ di tempo prima di essere adulta e pronta al grande passo…
Toccò
il cuscino, ancora bagnato: davvero una brutta nottata quella.
Prese
qualche respiro profondo, cercando di rilassarsi.
Ma
scoprì non riuscirci fino in fondo.
Di
solito, una volta che si prende coscienza che il sogno era un sogno, ci si
sente sollevati, ma quella volta no; quel sogno era stato troppo realistico.
Non
perché l’aveva coinvolta al punto da inondare il cuscino, ma perché sentiva che
anche se era riuscita a sfuggirgli, esso era ancora lì, vivo, come un ombra sul
suo futuro, pronta a diventare la crudele realtà del suo sogno.
Come
poteva continuare come nulla fosse dopo ciò? Avrebbe corso un rischio simile?
Si
lanciò letteralmente giù dal letto, e con gesti rapidissimi, quasi automatici,
si mise in ordine e si vestì. Corse giù per le scale, ed oltrepassò la cucina
con il suo invitante profumo della colazione.
“No!”
urlò decisa, lasciando perplessi i domestici che la videro letteralmente
fuggire via dal portone della casa.
“Non
voglio!”
Corse
e chiese in giro, finché non ebbe saputo dove dirigersi, ma doveva sbrigarsi.
Quella
mattina, saltò anche l’incontro con la maestra e i suoi compagni per
raggiungere con quanta forza aveva nelle gambe la grande porta di legno del
villaggio.
Yamato
si girò e scrutò uno per uno i suoi compagni di squadra: “Allora, pronti?”
“Prontissimi!”
rispose il biondo.
Sakura
sospirò: “Come fai a mantenere un simile entusiasmo ad una tale ora del
mattino?”
Sai
si limitò a grattarsi il capo senza commentare. Poi un rumore attirò la sua
attenzione:
“Quella
chi è?” chiese.
“Hinata?”
“Accidenti,
sembra abbia fretta; non sarà successo qualcosa di grave?” si chiese la rosa.
“Aspettate!”
gridò, confermando che il “bersaglio” erano proprio loro, o meglio, uno di
loro.
La
Hyuga si fermò davanti a Naruto. A malapena stava in piedi per lo sforzo, e
china appoggiata sulle ginocchia respirava a fatica.
“Hinata,
calmati, riprendi fiato.”
“Na…
Na… ru… to…” spizzicò tra un affanno e l’altro…
Il
biondo, perplesso, chiese: “Tutto a posto?”
“Si…
è solo che… che…”
Si
rimise di nuovo dritta, ma non finì la frase.
Afferrò
la felpa nera ed arancione del ragazzo, lo tirò a sé ed incollò le sue labbra
con le sue.
!!!
Sakura:
“EEEEEHH?!?!?!?!?”
Sai
inclinò la testa confuso e guardò Yamato con aria interrogativa, come se ci
avesse capito qualcosa lui!
Hinata
tolse la presa e riprese a respirare velocemente, mentre il biondo, con occhi
vacui provava inutilmente a balbettare qualcosa.
A
quella domanda non posta, Hinata rispose con un abbraccio.
“Ehm…
Che… cosa…”
Sprofondò
la guancia e il sorriso nel suo petto, pensando di essere veramente nei guai:
vai a trovare qualcosa da dirgli per spiegargli il perché di quei suoi insani
comportamenti ora!
Ma
col senno di poi, non si pentì mai di quella decisione.
Non
bisogna lasciare aspettare l’amore: egli è capriccioso, và e viene, e bisogna
saperlo cogliere al volo. Se non si ha questo coraggio si è destinati al
rimpianto.
Quindi
mai avere paura, mai mettere a tacere le urla del proprio cuore. Mai.
Stringendolo,
sussurrò, con voce beata: “Si!”
Che
bella! Commovente e triste all’inizio, dolce e positiva nel finale! Lo so che
non tutte le storie possono finire bene, si veda il sogno di Hinata
innanzitutto, ma a me piace pensare che dopo il dolore, il destino e la
pioggia, torna sempre la gioia, la fortuna e il sereno: io lo so ^__^
Accidenti
se è stato difficile trovare un titolo per questa one-shot! Devo dire che la
mia scelta non mi soddisfa al cento per cento, voi che ne pensate?
Vi
ho commosso nella prima parte? Spero proprio di si! Avevate perso le speranze,
eh? Però cari lettori prima o poi scriverò una storia completamente negativa e
allora vedrete! Per il momento sono contento che questa si sia risolta al meglio,
e voglio sperare che voi lettori ne abbiate tratto un importante insegnamento.
In
amore, ma anche in ogni altro aspetto della vita, mai lasciarsi sfuggire
l’occasione, mai rimandare ma affrontare le cose belle e le cose brutte della
vita per non avere rimpianti.
Commentate!
Alla prossima! ^___^
PS: NARUTO X
HINATA ORA E SEMPRE!
FINE