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Autore: JulesBerry    16/02/2015    2 recensioni
Seguito di "I have finally realised I need your love".
[Prevista revisione - e anche piuttosto urgente, Santo Merlino - dei capitoli già pubblicati.]
- Dal capitolo 26 -
«Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Capitolo 21





 
Non esiste circostanza, né destino, né fato
che possa ostacolare la ferma risolutezza di un animo determinato


 
Take the time to make some sense of what you want to say
And cast your words away upon the waves
Sail them home with acquiesce on a ship of hope today
And as they land upon the shore tell them not to fear no more
Say it loud and sing it proud today



Non era passato neanche un mese dal loro matrimonio, eppure eccoli lì, Fred e Margaret, sotto un altro sole cocente, quello del primo di agosto, nei loro scomodi abiti da cerimonia. La giovane mamma non aveva neanche avuto il tempo di riprendere fiato che già era stata costretta a catapultarsi nuovamente su quei dannati tacchi alti, assassini per una donna che, tra le altre cose, doveva avere a che fare con un bambino di quasi tre mesi e con un altro un po’ più cresciuto che si era ritrovata ad avere come marito. Perché solo un bambino dispettoso, o in alternativa uno stronzetto di prima categoria – alle otto del mattino, il giorno delle nozze del proprio fratello – avrebbe potuto avere la brillante idea di nasconderle tutti i suoi vestiti eleganti solo per il piacere di vederla dare in escandescenze, con il risultato di averli fatti arrivare in ritardo di un’ora buona.
E adesso era lì, accanto a lei e con loro figlio in braccio, e la scrutava con quel sorrisino malizioso che, in altre circostanze, avrebbe fatto far festa agli ormoni, già instabili a causa della precedente gravidanza, della moglie, ma che in quel caso ebbe un effetto totalmente opposto.
«Continua a guardarmi così e ti tiro un ceffone che ti ricorderai per tutta la vita, è una promessa» sibilò lei a denti stretti, passeggiando per il giardino della Tana. O almeno provandoci, dato che l’aderenza di quell’abito le impediva parecchie cose – come muovere dignitosamente le gambe, ad esempio. Fred le cinse la vita con decisione ed accelerò il passo, gustandosi l’immagine di Margaret che, una volta tanto, stentava a stargli dietro.
«Sei assolutamente deliziosa, e devo dire che la mia è stata una mossa geniale» commentò lui, alludendo a ciò che aveva fatto quella mattina.
Perché sì, le aveva fatto sparire i vestiti, ma non tutti: aveva deciso di non nasconderne uno, di diversi centimetri più corto ed attillato di quello che la ragazza aveva pensato di indossare, molto più comodo e raffinato. Così, con addosso quel tubino rosso e arancio e quelle scarpe chilometriche, Meg non aveva la sensazione di essere al matrimonio di suo cognato, ma pronta a recarsi all’addio al nubilato di qualche amica particolarmente allegra.
«È stata una mossa perfida, Frederick. Non è affatto un vestito adatto all’occasione, e per di più non mi sento minimamente a mio agio» si lamentò la giovane, mettendo il broncio ed osservando gli altri invitati che ballavano. Lui le sistemò dietro l’orecchio una ciocca ribelle sfuggita all’acconciatura e le baciò la guancia.
«Potevi Appellare gli altri, non te lo avrei impedito.»
«Non fare il finto tonto, avresti continuato a farli Evanescere ogni volta che avessi tentato di provarli, come quella volta che… non posso continuare, c’è un minore in ascolto, ma sai benissimo a cosa mi riferisco!»
«Veramente no» le sussurrò all’orecchio, al tempo stesso cercando di impedire ad Alexander di tirargli i capelli. Margaret si guardò intorno e sbuffò.
«Più tardi ti rinfrescherò la memoria» disse, lasciandosi sfuggire un sorriso che, nonostante fosse stato represso sul nascere, non sfuggì al ragazzo, che la prese per mano e si incamminò con lei in direzione degli altri.


Il sole splendeva più luminoso che mai, ed il caldo di quella giornata era asfissiante; gli invitati ridevano e chiacchieravano con estrema serenità, e chiunque, com’era naturale che fosse, era rimasto ammaliato dalla bellezza della sposa, più radiosa che mai nel suo abito bianco. Era la felicità fatta persona, e non smetteva di dispensare sorrisi ad ognuno dei presenti, tanto che Meg per un attimo ebbe a pensare che la neo-cognata avesse sbattuto la testa da qualche parte.
La cerimonia era stata splendida e commovente, come avevano dimostrato le lacrime di Molly Weasley e Madame Delacour, che ovviamente non avevano cercato in alcun modo di trattenersi e darsi un contegno.
Quando Fred e Margaret raggiunsero George, questi, che stava prendendo da bere insieme ad Harry e Ron, a stento trattenne una risata.
«Tutto bene, Zuccherino?»
«Una meraviglia…» commentò sarcastica la cognata, cercando di coprire il copribile. «Oh, Harry, come ci si sente ad essere un finto Weasley per un giorno?» riprese, rivolgendosi al ragazzo, che aveva assunto le sembianze di un Babbano del villaggio dai capelli rossi.
«Abbastanza stretti, in effetti» rispose, alludendo alle dimensioni leggermente ridotte dell’abito da cerimonia. Meg gli diede una pacca sulla spalla ed annuì lentamente con il capo.
«A chi lo dici» disse, pestando il piede di Fred, che si affogò con ciò che stava bevendo.
«Non avevi… Non avevi ancora visto nostro figlio, vero?» chiese questi, cercando di riprendersi e con finta disinvoltura, ad Harry, che scosse la testa, osservando Alexander e sorridendo.
«L’ho visto di sfuggita l’altra sera, ma non per più di qualche secondo. Congratulazioni, è bellissimo!»
«Ed è identico a te, miseriaccia, si nota sempre di più!» commentò Ron, lanciando nel frattempo un’occhiataccia a Viktor Krum dall’altra parte del tendone.
«Se non lo avessi partorito personalmente e se non avessi sofferto le pene dell’inferno per farlo uscire fuori, sospetterei di non essere sua madre. Somiglia più a mio padre che a me!» si lamentò la neo signora Weasley, prendendo in braccio suo figlio, per poi rivolgersi nuovamente a Harry. «Ci è dispiaciuto che tu non fossi presente al nostro matrimonio, ci avrebbe fatto piacere averti con noi, ma a quanto pare non è stato possibile anticipare la missione.»
«Oh Meg, non preoccuparti, davvero. Mi sarebbe piaciuto, ma sarebbe stato troppo pericoloso affrettare le cose, per cui sta’ tranquilla» la rassicurò il ragazzo, tornando a guardarsi intorno in cerca di qualcuno.
Si congedò poco dopo, imitato da Ron, che a sua volta si diresse verso Hermione, poco distante nella pista da ballo, mentre Margaret andava a chiacchierare con Gloria e Desmond, che parevano euforici ed impazienti di comunicarle qualcosa.
Quando, una decina di minuti dopo, fu tornata da suo marito e dal fratello di quest’ultimo, intenti a discutere di Quidditch con degli amici di Bill, dava mostra di un’espressione a dir poco sconvolta.
«Ma che…» iniziò il primo, ma venne interrotto da un cenno della mano di lei.
«Non ho intenzione di parlarne adesso. Dopo. Merlino vendicatore, sto per vomitare» commentò, non dicendo però cosa le suscitasse tanto disgusto. I gemelli si guardarono, scrollando le spalle, poi George porse la mano a Margaret, facendo un mezzo inchino.
«Potrei avere l’onore di questo ballo, Zuccherino?» le chiese, ricevendo un’occhiata sbalordita in risposta.
«George Weasley che mi chiede di ballare? Potrei svenire per l’emozione! Chiedi a mio marito, non vorrei che si ingelosisse» rispose la ragazza, lanciando uno sguardo divertito a Fred, che lo ricambiò.
«Tienimela d’occhio, Lobo Solitario. È fin troppo sexy con quel vestito, forse ho esagerato» fece Fred, trattenendo le risate alla vista dell’espressione omicida di sua moglie, che veniva trascinata in pista da George.

Dopo qualche secondo di silenzio, Meg tirò una guancia al suo migliore amico e fece un mezzo sorriso.
«Lobo Solitario, eh? Carino come soprannome! Lo dirò ad Abigail, così forse la smetterà di chiamarti “raggio di sole”.»
«L’hai sentita?» domandò lui, imbarazzato, guardando altrove. Meg alzò gli occhi al cielo, incredula.
«Ovvio che l’ho sentita, le ho raccontato tutto. Era preoccupatissima, in due giorni mi saranno arrivate almeno cinque lettere da parte sua in cui mi chiedeva delle tue condizioni, e come darle torto… ci hai fatti spaventare a morte» rispose, cercando i suoi occhi. Una volta che li ebbe trovati, lo inchiodò con lo sguardo. «George, perché non rispondi alle sue lettere?»
«Perché non ce la faccio» disse sinceramente il giovane, esitando qualche istante prima di proseguire. «Perché lei mi dice cose bellissime e straripanti di dolcezza, ed io mi sento un idiota, perché non so da dove iniziare: non so dirle quando mi manca e non so dirle quanto la amo, perché il mio amore per lei è inquantificabile. Vorrei essere bravo con le parole, ma non lo sono, ma al tempo stesso non voglio che lei soffra per questo o che pensi che non mi importa. Mi importa eccome, ed ogni giorno io sento ancora il suo profumo addosso. È snervante, perché vorrei che lei fosse qui per stringerla quando uno dei due ne ha bisogno, per giocare con i suoi capelli, per innamorarmi ogni secondo sempre di più dei suoi occhi grigi e del suo sorriso. Dannazione, Merlino solo sa quanto mi faccia impazzire quel sorriso. Io… Ehi, stai piangendo?»
«No, no… Mi è solo entrato il Platano Picchiatore nell’occhio, Georgie…» fece Meg, sarcastica, asciugandosi con una mano gli occhi e facendolo ridere. «Non farci caso, sono gli ormoni, sarà l’allattamento. Ma, seriamente, ti rendi conto di aver detto delle cose degne di una lettera d’amore? Non è vero che non sei bravo con le parole. La verità è che hai paura, Georgie. Hai paura di risultare ridicolo e di perdere credibilità come sbruffoncello, non è così? Sta di fatto che la renderesti la persona più gioiosa del mondo, a questo non ci pensi? Basterebbe una lettera, una soltanto, e già sarebbe tutto diverso e più facile. Per favore, tesoro, riflettici su e provaci, non costa nulla.»
«Maggie, io… io voglio che lei sia libera, indipendente. Non voglio che pensi che voglio tenerla legata, è una cosa che non fare mai, e forse è questo che mi frena dall’impulso insistente di sentirla. So che qualche parola da parte mia potrebbe solo renderla felice, ma ho paura che…» spiegò il ragazzo, interrompendosi. Ci pensò la cognata a finire per lui.
«Hai paura che, ricevendo un tuo messaggio, lei possa mandare tutto all’aria per tornare da te prima di terminare gli studi, non è così? Non lo farebbe mai.»
«Stevens, hai usato la Legilimanzia?» domandò George, fulminandola con lo sguardo. Lei rise e lo abbracciò.
«Direi che ho un’arma molto più potente: ti conosco da vent’anni» gli sussurrò all’orecchio, sentendosi stringere in risposta, perché lui sapeva che Margaret aveva ragione: sapeva di dover fare qualcosa, che non poteva ignorarla, ancor di più dal momento che si poteva dire che lui ed Abigail stessero insieme.
Il problema fondamentale stava nel semplice fatto che lui non voleva farle sentire ancor di più il peso di quella lontananza, di quel distacco, per evitare in tal modo che le cose potessero diventare ancora più difficili di quanto già non fossero. Lei era via da un mese, eppure a George quel relativamente breve lasso di tempo era parso un’infinità, destinato a rimanere tale in eterno. Aveva sconvolto le sue abitudini: era arrivata all’improvviso, quando meno se lo aspettava, e aveva messo le tende nella sua vita, donando ad essa quel briciolo di lucida follia che aveva perso di vista. E, pian piano, quelle tende si erano trasformate in palazzi, e la presenza di quella donna era divenuta una costante a cui era impossibile rinunciare.
Lui sapeva che sarebbe tornata, ne era certo, perché non poteva essere altrimenti; ma intanto non c’era, ed ogni giorno l’assenza di quella biondina dagli occhi grigi si faceva sentire. Si faceva sentire specialmente nelle piccole cose, nelle più sciocche, che così sciocche poi non lo erano mai state: quando si svegliava al mattino, e lei non c’era; quando cenavano, ed il suo posto a tavola era vuoto; quando in casa si scherzava, ma lui non poteva ascoltare la sua risata buffa risuonare nella sua testa. Piccoli, insignificanti istanti che lo facevano riflettere e arrivare alla conclusione che sì, lui la amava, e che sì, aveva bisogno di lei nella sua vita, ma che mai e poi mai le avrebbe impedito di realizzare i suoi sogni ed i suoi progetti.
Avrebbe concluso i corsi e solo ed unicamente allora, se avesse voluto ancora stare al suo fianco, sarebbe tornata. Lui l’avrebbe aspettata, gliel’aveva detto mille volte, e sarebbe sempre stato pronto a sostenerla, appoggiarla in ogni singola scelta, se lei glielo avesse chiesto, ed era certo che lei avrebbe fatto lo stesso.

Continuò a ballare con sua cognata e a fare queste considerazioni per diversi minuti, fino a quando “qualcuno” non venne a reclamare Margaret, passandogli il testimone, alias Alexander.
«Spiacente, Lobo Solitario, ma anch’io ho il diritto di ballare con mia moglie» si giustificò Fred, cingendo la vita di Meg e sorridendo al fratello, che d’altra parte strinse il bambino e sollevò il viso, fingendo di essere offeso.
«Vieni, George Junior, lasciamo soli quei due cattivoni. Vedi come mi trattano? Ti sembra giusto? Nessuna considerazione per i drammi del tuo zietto preferito!» disse al nipote, appellandolo con il suo secondo nome, cosa che fece alzare gli occhi al cielo ai due genitori, divertiti e anche un pochino esasperati. Dopodiché, fece loro l’occhiolino e si allontanò in direzione del tavolo al quale era seduto Charlie, che non tardò neanch’egli a coccolare il piccolo Alexander, che scrutava tutti con un cipiglio incuriosito. Fred tornò a guardare Meg, che, così come lui fino a quel momento, fissava rapita ogni singolo movimento ed ogni singola espressione del suo bambino.
«Cresce in fretta, non trovi?» le domandò, al che lei posò lo sguardo su di lui ed annuì, sorridendo.
«A vista d’occhio, giorno dopo giorno, e diventa sempre più simile a te, nell’aspetto così come nelle espressioni. E sebbene questa cosa, in un certo modo, mi terrorizzi e mi faccia portare le mani ai capelli sin da adesso, se potessi non smetterei mai di contemplare il suo viso» ammise con semplicità, poggiando il capo sulla spalla del marito. Questi la guardò con dolcezza e le posò un lieve bacio sulla nuca.
«È il mio piccolo, grande capolavoro» considerò, ridacchiando e stringendo ancor di più a sé la ragazza.
Si chiese inevitabilmente come sarebbe stato suo figlio qualche anno dopo, se avrebbe continuato a somigliargli in maniera così evidente, o se avrebbe acquisito qualcosa delle sue movenze, dei suoi atteggiamenti, modi di fare, o di quelli di Margaret. Si chiese come sarebbe stato il suo carattere e se l’avrebbero cresciuto nel modo migliore e più adeguato per lui, e diede subito una risposta affermativa a quest’ultima domanda, dal momento che, sotto diversi aspetti, lui e sua moglie sapevano controbilanciarsi alla perfezione: erano entrambi espansivi, allegri e vivaci, ma Meg sapeva essere severa e dura all’occorrenza, mentre Fred credeva che si sarebbe trasformato con il tempo nell’esempio di un padre abbastanza permissivo e condiscendente e, perché no, anche un po’ complice, cosa che avrebbe fatto infuriare la sua “adorabile” consorte a dismisura, e questo lui lo sapeva già da allora.
D’altra parte, si augurava anche che suo figlio ereditasse il buon senso e l’opportuna, sebbene non sempre presente, serietà della mamma, dato che lui, in questo frangente, era consapevole di avere ben poco da offrire.
Passarono i minuti ed i balli, e mentre danzava con Margaret, Fred ogni tanto sghignazzava lasciandosi trasportare da questi pensieri, beccandosi più di un colpetto sulla testa da parte della giovane, che riusciva ad immaginare quali fossero le sue riflessioni.

Improvvisamente, però, una lince argentea attraversò il tendone ed atterrò sulla pista da ballo, tra gli invitati, che si guardarono attorno stupefatti e curiosi, mentre uno strano presentimento iniziò a diffondersi nell’aria.
«Il Ministero è caduto. Scrimgeour è morto. Stanno arrivando1» parlò la voce di Kingsley Shacklebolt per mezzo del Patronus, e dopodiché fu il caos.
La gente urlava, correva in preda al panico, si Smaterializzava e fuggiva, facendo comprendere che ogni forma di protezione alla casa era ormai crollata. Fred e Margaret si ritrovarono da un secondo all’altro nel bel mezzo della folla e si guardarono, sconvolti e spiazzati, cercando di mantenere quel briciolo di lucidità assolutamente necessario in situazioni di questo tipo, per quanto ovviamente ciò fosse possibile.
«E adesso che diavolo facciamo, Fred?» fece lei in tono agitato, mentre lui si guardava attorno, allarmato.
«Troviamo Alexander e George, la priorità è questa! Non separiamoci!» disse, cercando di scavalcare con la voce le urla degli altri invitati e prendendo Meg per mano, iniziando così a cercare suo fratello e loro figlio. Era sicuro di averli visti ad uno dei tavoli più vicini alla pista, ma adesso lì non c’erano più, e si interrogava ansiosamente su dove potessero trovarsi adesso. Concentrato com’era, non si accorse di una figura incappucciata che puntava la bacchetta contro di loro.
«Stupeficium!» fu più veloce la giovane mamma, sfoderando con prontezza la sua bacchetta e Schiantando la losca figura dal lato opposto della pista da ballo.
«Bel colpo, grazie!» commentò Fred, correndo tra la folla e schivando due incantesimi uno dopo l’altro.
«Salvarti la pelle sarà il mio nuovo hobby, non te l’ho ancora detto? Oh, fanculo!» sbottò alla fine lei, lanciando via i tacchi e dando spintoni a chiunque le intralciasse la via; amico o nemico che fosse, poco importava: doveva trovare suo figlio e portarlo al sicuro, e doveva farlo il prima possibile.
Sperò con tutto il cuore che fosse ancora con George, che questi non l’avesse lasciato solo o con qualcun altro neanche per un istante. Sapeva che il suo migliore amico non avrebbe mai potuto fare una cosa così stupida ed incosciente, ed il fatto che non riuscissero a trovare né l’uno né l’altro doveva, teoricamente, essere la conferma del fatto che fossero insieme, ma la mente della strega aveva iniziato a compiere uno dei suoi viaggi interminabili e ad immaginare le peggiori cose possibili. L’unica sua certezza, in quell’istante, era che sarebbe stata capace di uccidere con le sue stesse mani chiunque avesse osato anche soltanto pensare di torcere un solo e minuscolo capello al suo bambino.
Senza rendersene neanche conto, però, inciampò; Fred non riuscì a trattenerla in tempo, così si ritrovò stesa per terra, accorgendosi che ciò che l’aveva fatta cadere non era stato qualcosa, ma un qualcuno, ovvero un’altra figura incappucciata che adesso se la stava vedendo con Fred, che aveva una delle espressioni più incazzate che avesse mai assunto fino a quel momento in vita sua.
Lei recuperò la bacchetta e si rimise in piedi, fregandosene dello strappo al vestito e determinata a sistemare quel tizio per così poter riprendere la ricerca di Alexander, pregando affinché essa non rimanesse ancora a lungo infruttuosa. Stavolta, però, ci pensò il ragazzo a Schiantarlo, non lasciando nemmeno il tempo alla moglie di rialzarsi.
«E con questa siamo pari» commentò quest’ultima, prendendolo nuovamente per mano ed osservandosi disperatamente intorno, mentre il giovane sembrava sul punto di imprecare a causa di quella situazione snervante.
George ed Alexander sembravano essersi volatilizzati nel nulla, scomparsi, spariti, divenuti invisibili: non c’erano da nessuna parte. La coppia continuò a spintonare e a guardarsi in giro con occhi ansiosi e carichi di apprensione, fino a quando Fred non si sentì afferrare per la giacca. Si voltò di scatto, con la bacchetta levata e pronta per l’utilizzo, ma comprese che non era necessaria, abbassandola, una volta che ebbe messo a fuoco il volto preoccupato ed al tempo stesso furioso di sua madre.
«Che cosa ci fate ancora qui, voi due? Siete impazziti o cosa?» chiese loro, urlando quasi più forte di tutti gli altri. Meg si sollevò in punta di piedi per cercare meglio sopra le teste di coloro che erano rimasti, con risultati nulli.
«Non sappiamo dove siano finiti George ed Alex, mamma! Non possiamo andarcene senza il bambino!» rispose Fred, concitato, ma Molly, anziché manifestare apprensione, sfoggiò un’espressione incredula.
«Sono tornati a casa, ecco dove sono! Ho obbligato George a portare via vostro figlio, pensavo di avervelo detto!» spiegò la signora Weasley, al che i due neo-genitori spalancarono occhi e bocca, incapaci di credere alle loro orecchie. «Allora?! Cosa ci aspettate? Andate subito via di qui, sciocchi!» urlò di nuovo Molly, spingendoli, come se così facendo potesse farli Smaterializzare lei stessa.
«Non possiamo andarcene e lasciarvi così!» protestò Margaret, ma la suocera la fissò storta, sorpassandoli e dirigendosi verso gli altri. Così, Fred guardò velocemente sua moglie negli occhi, e quando questa annuì la prese per mano e si Smaterializzò con lei.

Riapparvero all’inizio del piccolo sentiero che conduceva al retro di Villa Orchidea, dato che la casa era stata protetta ed era impossibile Materializzarsi direttamente all’interno.
Senza proferire parola, percorsero la strada che li separava dalla spiaggia e, una volta arrivativi, si precipitarono all’ingresso secondario, spalancando la porta ed entrando in salone. Lì, vi trovarono George che, con in braccio un Alexander disperato e con Willow l’elfa domestica alle calcagna, faceva su e giù per la stanza, attendendo con ansia il loro arrivo. Una volta che furono entrati, il ragazzo alzò di scatto la testa e fece rilassare i muscoli facciali, sollevato.
«Santo Merlino, finalmente!»
«Oh, George!» disse Meg, con un immenso peso in meno e con un filo di voce, andando ad abbracciare lui ed il bambino. Da sopra la testa della cognata, George vide il gemello che lo fissava, riconoscente, prima di avvicinarsi ed unirsi anch’egli all’abbraccio.
«Ci avete fatti spaventare a morte, ma grazie per averlo portato al sicuro, Lobo Solitario» gli disse, prendendo poi suo figlio e dandogli un bacio sulla testolina, mentre questi ancora piangeva forte ed ininterrottamente.
«Non potevo farlo stare ancora lì. La mia intenzione era quella di lasciarlo a Willow e di ritornare alla Tana a prendervi, ma era troppo spaventato… piange e urla senza sosta da quando siamo arrivati, non… non me la sono sentita di andarmene sapendo che fosse in queste condizioni» spiegò George, che ancora teneva stretta Margaret, che affondava il viso contro la sua camicia e che al momento non sembrava intenzionata a lasciarlo. Ancora in quella posizione, annuì lentamente con il capo, dando quindi un segno di vita ai presenti.
«Hai fatto benissimo» bofonchiò, sospirando, percependo una fitta allo stomaco al pensiero di quello che aveva provato fino a pochi minuti prima non sapendo dove fosse finito suo figlio: quelle stesse terribili sensazioni che aveva provato la sera della missione, quando non aveva visto arrivare Fred con la sua Passaporta.
Sciolse l’abbraccio e andò a sprofondare sul divano, noncurante del ginocchio sanguinante e dolorante per via della caduta e infischiandosene del fatto che oramai il suo vestito semidistrutto lasciasse ben poco all’immaginazione. I ragazzi la imitarono subito dopo, Fred poggiando la testa sulla sua spalla e George slacciandosi la cravatta e le scarpe e lanciandole dall’altra parte della stanza, mentre Meg cercava di calmare Alexander, cullandolo.
«E adesso?» domandò George, volgendo lo sguardo oltre la finestra. Sembrava una sera come tutte le altre.
«E adesso aspettiamo» rispose la cognata, gettando indietro il capo e chiudendo gli occhi. Poteva percepire i familiari capelli di Fred solleticarle il collo, eppure ciò non riusciva a trasmetterle il sollievo che era solito derivarne: pensava piuttosto a ciò che era successo, a quella comunicazione sconvolgente e a quello che presumibilmente sarebbe stato il dopo.
Il Ministro era morto, probabilmente ucciso dai seguaci di Voldemort, se non da questi stesso, se mai avesse deciso di scomodarsi per Scrimgeour. Ed ora, com’era prevedibile, sarebbe stato lui a detenere il potere ed il controllo totale sul Mondo Magico, possibilmente, pensò la ragazza, delegando qualcun altro al suo posto, essendo troppo furbo per poter uscire così presto allo scoperto. Preferiva non farsi notare, lui, che rimaneva come avvolto e nascosto da una coltre di fumo invisibile fatta di terrore e angoscia.
Ciò che più avevano temuto pareva essersi avverato, e a stento avevano idea di come agire o comportarsi. Lei doveva andare a lavoro già la mattina successiva, e quasi aveva paura di ciò che avrebbe potuto trovare al suo arrivo al Ministero. Non sarebbe stato affatto lo stesso del giorno prima.
Pensò anche e inevitabilmente alle figure che avevano fatto irruzione durante il matrimonio di Bill e Fleur e agli altri che erano ancora lì prima che loro se ne andassero. Si chiese se stessero ancora cercando di proteggersi a vicenda o se fosse tutto finito, se li stessero interrogando o – e al solo pensiero rabbrividì – torturando per estorcere loro informazioni. Le sembrò di rivedere di fronte agli occhi il viso rigato dalle lacrime di Fleur, le espressioni terrorizzate degli invitati, gli sguardi sconvolti e spiazzati di Arthur e Molly Weasley, Lupin, Tonks, e dei suoi genitori, e solo allora le venne in mente un piccolo particolare che le fece saltare il cuore in gola a causa della crescente preoccupazione.
«Accidenti, mia madre» sussurrò, alzandosi dal divano e poggiando Alexander, ora più tranquillo, sul petto di Fred, che, così come il gemello, la fissò con tanto d’occhi mentre di dirigeva alla finestra.
«Tua madre cosa?»
«Ti ricordi… Vi ricordate quando, qualche ora fa, dopo aver parlato con lei e mio padre, sono tornata con una maschera di disgusto al posto della faccia?» iniziò, al che i due annuirono lentamente, invitandola a continuare. Lei trasse un profondo respiro ed assunse una strana espressione, prima di proseguire. «Ecco… oh cielo, mi sento male. Quei due deliranti impazziti sono incinti. Ecco, l’ho detto» disse tutto d’un fiato Meg, guardando i due ragazzi, le cui bocche erano spalancate e minacciavano di toccare il pavimento. La giovane cercò di resistere all’impulso di prenderli a pugni.

«Terra chiama Fred. Terra chiama George. Sono qui, mi vedete? O devo forse indossare un bikini ed iniziare a ballare la samba sul tavolo per ottenere la vostra attenzione?» sbottò lei, sbracciandosi, dopo due minuti di assenza cerebrale dei due, che improvvisamente si riscossero e si impostarono addosso due sorrisini furbi identici.
«Non sarebbe una cattiva idea» commentò George, che non tardò a ricevere una cuscinata in piena faccia da parte della migliore amica, che adesso fulminava Fred con lo sguardo.
«Tu, invece? Hai qualcosa da aggiungere?» soffiò nella sua direzione, esasperata. Fred deglutì e provò ad impedire ai suoi occhi di cadere sulla scollatura di sua moglie, riuscendoci – fortunatamente per la sua incolumità.
«E quindi… E quindi aspettano un bambino. Be’, è una bella notizia, no?» tentò lui, comprendendo il disagio di Margaret, che difatti scombinò l’acconciatura con la mano e fece un sorriso tirato.
«Sì, ma… pensare che loro due… Merlino, sono i miei genitori, non riuscirò mai più a guardarli in faccia!» ammise, diventando viola per l’imbarazzo, al che Fred non seppe se la trovava più tenera o buffa. Nel dubbio, rise, mentre il fratello non riusciva più a guardare la cognata senza immaginare delle ballerine di samba in bikini.
«È comprensibile, amore, non fartene una colpa. Certo, ne hanno perso di tempo, ed avere una cognata o un cognato più giovane di mio figlio sarà una cosa strana, ma è comunque una splendida notizia, lo credi anche tu. Per il resto, non ti do torto, anch’io rabbrividirei al pensiero di mia madre e mio padre che… Merlino onnipotente, sto per vomitare» fece Fred, sotterrandosi dentro il divano una volta che ebbe finito, mentre il gemello, sconvolto, aveva spalancato gli occhi a quell’ultima frase, sfoggiando un colorito verdognolo. Meg parve soddisfatta di quelle reazioni e tornò alla finestra del salone, prendendo la bacchetta.
«Che fai?» le chiese il marito, incuriosito.
«Mando un Patronus a mia madre, voglio vedere come sta e se è tornata a casa, quando ce ne siamo andati era ancora lì. Completamente pazza. Capisco che è un’Auror e che dunque deve fare il suo mestiere, ma come le salta in mente nelle sue condizioni?»
«Non lo fare, Maggie!» la fermò lui, ancora prima che la ragazza riuscisse ad evocare la sua aquila argentea. Fissò torva il giovane, che la guardò con fare sbalordito.
«Non possiamo rischiare: non sappiamo se sono al sicuro, se possono interagire con noi, non sappiamo niente. L’unica cosa che ci è concessa fare senza rischiare di mettere a repentaglio la salute di qualcuno, è aspettare che siano loro a darci notizie» le spiegò, avvicinandosi a lei e posandole le mani sui fianchi. Lei provò ad evitare il contatto visivo, non riuscendoci: i suoi occhi erano come calamite.
«Sono preoccupata per loro, tesoro, e non riesco a starmene con le mani in mano, lo sai.»
«Lo so, Pasticcino, e vorrei tanto rendermi utile anch’io, ma possiamo solo pazientare, nulla di più. È per il loro e per il nostro bene» le sussurrò, comprensivo, e nonostante tutto riuscì a strapparle un insolito sorriso.
«Mi fa impressione questo lato di te responsabile e assennato che talvolta salta fuori: nelle rare volte in cui succede, mi viene da pensare che tu in realtà non sia tu, ma un impostore che ha preso le tue sembianze. Sto parlando con il vero Fred Weasley?» scherzò quindi Meg, al che Fred le passò una mano tra i capelli e le baciò la fronte.
«L’unico e per di più l’originale» rispose allora il ragazzo, incitandola poi a prendere posto sul divano e accomodandosi immediatamente dopo accanto a lei, che tuttavia non riusciva davvero bene a mascherare la tensione.
Teneva costantemente gli occhi fissi oltre la finestra, domandandosi cosa stesse accadendo in quello stesso istante ad Ottery St. Catchpole e rabbrividendo al pensiero delle possibili risposte, riflettendo al contempo che ancora una volta – si disse – lei era lì, impotente al cospetto del corso degli eventi, che sembrava averci preso gusto nel strapparle il cuore dal petto e strizzarlo con tutta la forza possibile dieci, cento, mille volte, fino a quando non fosse stato strapazzato per bene. E ci stava riuscendo, eccome se ci stava riuscendo.
Ci era riuscito già poche sere prima, quando lei, impossibilitata a lasciare le mura di quella casa, aveva dovuto mettere alla prova in primo luogo se stessa, senza alcuna possibilità di scampo, perché l’unica alternativa sarebbe stata piegarsi alla paura ed alla sofferenza e di conseguenza soccombere. E adesso ci stava riuscendo ancora, le bisbigliava all’orecchio che lei non serviva a niente, che non aveva alcun potere e che non lo avrebbe mai avuto, né sulla sua vita né tantomeno su quella degli altri. Le schiacciava il petto e le ripeteva, ridendo sguaiatamente, che non avrebbe mai potuto far nulla per proteggere le persone che amava, perché qualsiasi cosa lei avesse fatto, non sarebbe mai stata sufficiente a sbaragliare le forze del destino, che in quel momento si ergeva come un’entità minacciosa di fronte ai suoi occhi.
Un’entità che continuava ad urlarle addosso che la vita era per sua natura ingiusta e che lei era solo un’inutile pedina di quell’immensa scacchiera.

«Basta» esclamò improvvisamente, aprendo gli occhi e rendendosi conto solo in quell’istante che le sue mani stavano stringendo la sua testa. Si alzò, non senza qualche difficoltà, e impugnò la bacchetta. Fece per dirigersi verso l’uscita secondaria, ma la voce di Fred la costrinse a fermarsi.
«Cosa? Ehi, si può sapere cosa vuoi fare?»
«Torno alla Tana, non ho intenzione di aspettare qui un solo secondo di più» rispose pacatamente, per poi voltarsi e riprendere a camminare, ma il giovane stavolta la prese per un braccio e la bloccò nuovamente, al che lei gli puntò gli occhi addosso e gli riservò uno sguardo carico di disappunto.
«Lasciami» gli disse in un sussurro, ma lui non si mosse.
«Tu non vai da nessuna parte» ribatté Fred, così la ragazza cercò di liberarsi strattonando il braccio, non riuscendoci.
«Lasciami, ti ho detto.»
«Ti sto impedendo di fare cazzate, dovresti ringraziarmi. Cosa vorresti dimostrare, Margaret? Quanto sei brava, coraggiosa e forte? Lo sappiamo già tutti, non c’è bisogno che ti metta in pericolo per questo» le bisbigliò lui all’orecchio, in modo tale che potesse sentirlo solo lei, che d’altra parte non tardò nel tentativo di scansarlo un’altra volta.
«Tu non capisci. Io non sono una pedina, Fred. Io ho potere sulla mia vita e sono io che decido. Non mi affido ad una forza immateriale nella quale non credo e non ho mai creduto, non voglio lasciarmi condizionare da un presunto destino già scritto, restando immobile quando invece dovrei agire ed imporre quella che è la mia volontà. Io posso fare qualcosa, tutti noi possiamo fare qualcosa. Siamo noi che scriviamo la storia, che diamo forma agli eventi, e non esiste nessuno che possa farlo al posto nostro. Io sto andando, e tu non riuscirai a fermarmi. Puoi solo decidere se lasciarmelo fare da sola o se venire con me. A te la scelta» fece lei, e poche volte come allora si era sentita sicura al mille per mille di star facendo la cosa giusta.
Tese la mano a Fred, attendendo una sua risposta, ma già immaginava quale sarebbe stata: glielo si leggeva in quegli occhi azzurri, che lei conosceva così bene, che anche lui la pensava all’incirca allo stesso modo. E infatti, non senza qualche esitazione, alla fine lui le sorrise.
«“Nella buona e nella cattiva sorte”, no? Andiamo a prenderli a calci in culo, Pasticcino» le disse, stringendole la mano che lei gli stava porgendo, ma prima che potessero fare un solo passo verso l’uscita, George richiamò la loro attenzione.
«Ragazzi, guardate lì» disse loro, indicando una forma argentea che pian piano si avvicinava fluttuando alla finestra, forma che scoprirono fosse quella di un leone, il Patronus di Gloria Wilson in Stevens, che difatti parlò con la sua voce una volta raggiunto il centro della stanza.
«Stiamo tutti bene. Non hanno trovato ciò che cercavano. Siamo tutti sorvegliati. Non rispondete, al momento potrebbe essere pericoloso. Non uscite di casa per nessun motivo. Aumentate le protezioni, nominate un Custode Segreto. Massima cautela. Vi vogliamo bene» riferì, e la voce della madre di Margaret, sebbene a primo impatto potesse sembrare abbastanza tranquilla, in realtà trasudava quel pizzico di agitazione e preoccupazione normalissimo in una circostanza come quella. Nonostante ciò, all’udire quel “stiamo tutti bene”, la ragazza si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e come lei, immediatamente dopo, i gemelli.
Sapevano che adesso ci sarebbero state ulteriori precauzioni da prendere, sapevano che non avrebbero avuto la stessa libertà persino di quella stessa mattina e sapevano che adesso l’Ordine avrebbe richiesto loro di svolgere molte più faccende di prima, ma paradossalmente non importava. Non in quell’istante. Stavano tutti bene, al momento non potevano chiedere di meglio. Un po’ ammaccati, spaventati, stanchi, con gli abiti semidistrutti, ma sani e momentaneamente al sicuro.
Margaret non riuscì a nascondere un mezzo sorriso e alzò gli occhi al cielo.
«Merlino sia lodato. Chi vuole del Whisky Incendiario?»
«Io» risposero all’unisono i gemelli, sprofondando con sentimento nel divano. Meg si scombinò i capelli con la mano e strizzò gli occhi, fermandosi sulla porta della cucina.
«Sì, dovrebbe essere l’incentivo più adatto a farmi ricordare come si formula un Incanto Fidelius. Ho bisogno di un po’ di sana motivazione!» disse, scrollando le spalle e scomparendo nell’altra stanza.
Fred e George si scambiarono uno sguardo divertito e, scuotendo la testa, rifletterono sul fatto che, a prescindere da ogni cosa, Margaret sarebbe sempre stata Margaret, con tutti i pregi e i difetti, le abitudini e i lati sorprendenti, le virtù e i vizi. Sarebbero successe e cambiate tante cose, ma lei sarebbe sempre stata la stessa ragazza che, quella sera di agosto di due anni prima, aveva fatto irruzione nella loro camera al numero dodici di Grimmauld Place dopo nove lunghi anni.
La stessa ragazza che, a rifletterci bene, forse non se n’era mai realmente andata.

 

***
 

And then dance if you wanna dance
Please brother take a chance
You know they’re gonna go
Which way they wanna go


Quasi tutte le bolle di sapone erano scomparse, ma Abigail, nonostante ci provasse, non riusciva ad abbandonare l’acqua, ormai tiepida, che riempiva fino all’orlo la vasca da bagno. Non le importava se quel tiepido, in effetti, fosse a tratti più vicino al freddo che al caldo: era troppo intenzionata a sguazzare ancora per un po’ nell’arte del dolce far niente per farci realmente caso.
Piuttosto, immergeva la testa nell’acqua ad intervalli regolari, riemergendo dopo qualche secondo per trarre dei profondi respiri, poggiando il capo sul bordo della vasca. 
Aveva bisogno di rilassarsi, in particolar modo dopo quello che le era stato raccontato degli eventi di due giorni prima, quella stessa mattina, da una lettera di sua cugina Margaret e da una di sua madre, che era tornata da poco a Roma e che dunque poteva riferirle quasi ogni cosa senza correre troppi rischi. Aveva risposto subito a quest’ultima, invitandola a fornirle ulteriori indicazioni, mentre il gufo della prima, Lele, ancora attendeva impaziente, svolazzando per la camera, che lei gli consegnasse il foglio di pergamena che doveva recapitare alla sua padrona.
La ragazza non sapeva effettivamente le ragioni per le quali esitasse a sigillare quella lettera, ma una parte di lei sentiva che non era del tutto completa. Aveva ancora bisogno di elaborare, ed aveva bisogno di tempo. Tutte quelle notizie l’avevano turbata nel profondo e le avevano lasciato un peso dentro del quale necessitava liberarsi il prima possibile.
Regina le aveva detto che, la stessa notte del primo di agosto, i Mangiamorte avevano fatto irruzione in tutte le case legate all’Ordine nel tentativo di estorcere informazioni, non trovando però ciò che stavano cercando. Margaret era riuscita a proteggere la casa con l’Incanto Fidelius giusto in tempo, rendendola irrintracciabile, non consapevole però di ciò che stava accadendo allo stesso tempo nel resto del Paese.
Abigail non riusciva ancora a capacitarsi pienamente di ciò che era accaduto, e più ci provava, più le veniva voglia di fare i bagagli, di tornare nel Devonshire e di prendere a calci chiunque avesse tentato di impedirglielo. Si sentiva una stupida ad essere ancora lì, lontana dalle persone che amava, dopo gli ultimi avvenimenti, ma in quell’istante si sentiva ancora più stupida a restare immersa in quell’acqua ormai gelida con il rischio di prendersi un malanno.

Uscì allora dalla vasca ed infilò l’accappatoio, e ancora con i capelli bagnati si diresse in camera ed indossò il tailleur blu che Savannah le aveva imposto per quel pomeriggio.
“È necessario che tu faccia subito una buona impressione, e con lei l’unico modo affinché ciò avvenga è indossare roba elegante e firmata e trasudare eleganza, charme e garbo da ogni singolo poro, credimi” le aveva detto la sua compagna di stanza tre sere prima, per poi andare a cena fuori con l’ennesimo tipo e lasciarla lì, sola, a ripassare l’immenso manuale di Antidoti e Pozioni Curative per l’esame del giorno successivo.
Si guardò allo specchio e si disse che non era poi così male, nonostante fosse terribilmente scomodo.
«È per una buona causa, Gail. Solo poche ore, ce la puoi fare. D’altronde, hai sopportato di peggio» si disse, sovrappensiero, per poi asciugarsi i capelli e truccarsi quel che bastava a nascondere le occhiaie, figlie della notte insonne che aveva trascorso a rigirarsi nel letto, più e più volte, nel tentativo di mettere a tacere i presentimenti che già, dentro di sé, aveva iniziato ad avvertire.
«Ehi, cosa vedono i miei occhi! Li stenderai tutti, Inglesina» le disse Savannah, sorridente, entrando in camera, anche lei con un completo elegante addosso. Abigail scrollò le spalle e spalancò le braccia, non tanto convinta.
«In questo momento vorrei solo dormire, non mi reggo in piedi» commentò, beccandosi un’occhiataccia da parte dell’amica.
«Smettila, sembra una cosa stupida ma è una faccenda importante» la rimproverò, seria, ma il suo sguardo fu rapito da Lele, che adesso era ancora più furioso e svolazzava a pochi centimetri dalla testa di Abigail. «Per quanto mi riguarda, può anche essere il gufo della Regina Elisabetta, ma quel tailleur mi è costato quattromila sterline, e se osa sporcarlo giuro che lo uccido con le mie stesse mani» continuò, fissando minacciosamente il volatile, che d’un tratto sembrò meno tentato di infastidirla.
Abigail, esasperata, si sedette alla scrivania e aggiunse qualche parola alla lettera, poi la consegnò al gufo che, senza indugio, spiccò il volo oltre la finestra e si avviò.

Le due giovani lasciarono la stanza e si diressero verso l’uscita di quel complesso di alloggi, dove ad aspettarle c’era una limousine bianca ed un autista che, in loro attesa, teneva aperta una delle portiere dell’auto.
«Quasi dimenticavo. Tieni questi, non guastano mai» disse Savannah, indossando un paio di occhiali da sole e porgendone un altro ad Abigail, che non tardò ad imitarla.
Si incamminarono verso la limousine, mentre l’autista faceva loro segno di salire. Abigail si accomodò sul sedile, e non si stupì di trovare all’interno dell’auto una donna.
Una donna bellissima, probabilmente della stessa età di Regina, dai lunghi capelli biondi e lisci. Indossava un elegante abito bianco come la limousine, aderente e lungo fino al ginocchio, ed un cappello largo, bianco anch’esso, che non nascondeva l’incredibile bellezza di quel volto, sul quale era poggiato, come nel caso delle due ragazze, un paio di occhiali da sole. La donna sorrise e porse la mano morbida e curatissima ad Abigail, che la strinse e sorrise di rimando.
«Signorina Thompson, che piacere. Mi hanno parlato molto di lei, più di quanto crede. Sa, tengo molto a sapere quanto più possibile sulle persone con cui intrattengo… come chiamarle, trattative? Non mi pare il termine più adatto, ma in fin dei conti è di questo che si tratta, o no? Mio marito e mio figlio ritengono che sia un’imperdonabile smania di controllo, ma so che la mia splendida Savannah la pensa come me. Non è così, tesoro mio? Comunque, mia cara Abigail, so che è una strega molto intelligente, quindi sono certa che sarà un immenso piacere avere a che fare con lei. Ma non è questo il momento di parlare di queste cose, assolutamente no. Sono stata così maleducata da non presentarmi, mia cara, anche se credo che mia figlia le abbia già detto tutto di me, sebbene a volte tenda ad enfatizzare anche lei i miei lati negativi e a non accennare minimamente ai miei pregi e alle mie virtù. Il mio nome è Elsa Pedersen, e sarei davvero felice se potessi offrirle qualcosa. Sarà un viaggio breve, ma è il caso di affrontarlo con lo spirito giusto» fece la madre di Savannah, porgendo alla sua ospite un bicchiere di Idromele con lo stesso sorriso disarmante di pochi istanti prima.

 

***

 

Belfast, 03.08.1997


Cara, Carissima Maggie

Sono senza parole, cosa davvero strana ed inquietante per una logorroica cronica come me. Come state? Non riesco ancora a credere che possa essere accaduta una cosa simile così improvvisamente, e per di più durante il matrimonio di tuo cognato… povera Fleur, un giorno che avrebbe dovuto ricordare come uno dei più belli della sua vita e che invece si è trasformato in un incubo. Le scriverò il prima possibile per chiederle come sta e, be’, anche per congratularmi: in fin dei conti, si è pur sempre sposata.
Scriverò anche a tua madre, dato che ho saputo della lieta notizia, e per un attimo sono rimasta spiazzata nel notare che tu non me ne hai fatto accenno, ma ti perdono. Attribuisco questa tua dimenticanza allo shock.

Tornando al discorso che stavo facendo all’inizio, come puoi ben immaginare sono soprattutto questi i momenti in cui mi mangio le mani perché non sono con voi, ma a chilometri di distanza. Perché non mi mancate soltanto quando ogni cosa è al suo posto e stiamo tutti bene, no… mi mancate ancor di più quando casca giù il cielo e non si capisce più un cazzo, quanto il tuo “purè di patate” (mi fa troppa impressione chiamarlo “marito”, sarà che siamo troppo giovani per queste convenzioni sociali) tarda a tornare in quella circostanza e tu ti senti morire, quando quell’idiota di George si fa asportare un orecchio, o quando tu non trovi tuo figlio e lo cerchi disperatamente tra la folla, ma poi tiri un sospiro di sollievo una volta visti i suoi occhioni azzurri terrorizzati che non attendevano altri che te.
Ecco, Meg. Io avrei voluto essere lì. Avrei dovuto essere lì. Avrei dovuto essere lì accanto a te per abbracciarti forte e dirti che Fred sarebbe tornato presto, per obbligarti a non abbandonare le speranze, per asciugarti quelle stupide lacrime sul viso e per aiutarti a rimetterti in piedi e tornare te stessa. Perché sì, ce l’hai fatta anche da sola, ma in due sarebbe stato tutto infinitamente più semplice.
Avrei dovuto essere lì per trascinare quell’imbranato sul divano e curargli le ferite, per fasciargli quella stupida testa e stringergli forte la mano fino al suo risveglio, e forse, una volta visto il suo sorriso, i sensi li avrei persi io. Avrei dovuto essere lì per prendermi cura di lui il giorno dopo, e quello dopo ancora, fino a quando non si fosse ripreso, e avrei dovuto stringergli il braccio il giorno del matrimonio di suo fratello (in compenso, quello stesso giorno, ho passato un altro esame con il massimo dei voti, in fondo non mi posso lamentare) e ballare con lui sulle note di quella canzone che ci ha visti ballare insieme la primissima volta, nella cucina-sala da pranzo dell’appartamento al piano superiore del negozio, proprio il giorno del suo compleanno.
E avrei dovuto essere lì per correrti incontro mentre cercavi tuo figlio e dirti che George l’aveva portato a casa e che stava bene, che saremmo stati tutti bene, che tutto sarebbe andato per il meglio. E invece eccomi qui, a perdermi alcuni dei momenti peggiori, ma non ne sono felice. Non lo sono affatto.
La certezza di non poter fare nulla per voi mi devasta, ma la consapevolezza che potrebbe succedervi qualsiasi cosa in qualunque istante mi uccide. È snervante. Giuro, farò di tutto per finire il prima possibile questi corsi. Non esiste che io me ne vada senza averli prima terminati, ma voglio tornare a casa. C’è una guerra, e dobbiamo combatterla insieme.

Fammi un favore: di’ a George che lo amo, ma digli anche e soprattutto che è una testa di cazzo. Ho perso mio padre quando ero ancora una bambina, ho mandato a puttane una storia di merda che andava avanti non si sa come da due anni, sono stata presa in giro troppe volte ed il mio cuore non ne può più di essere lanciato contro il muro e sotto i piedi un giorno sì e l’altro pure. Direi che per adesso ho sofferto abbastanza, quindi che faccia pace con il cervello e mi dica chiaramente come stanno le cose, perché sono stanca di gettare parole al vento. Io lo amo davvero tanto, credimi… ma non posso continuare a farmi del male così inutilmente. Sono disposta ad aspettarlo, ma deve darmi una buona ragione per farlo.

Detto questo, è giunto il momento di concludere questa lettera fin troppo lunga. Aspetto una tua risposta, come sempre. Nel frattempo, dai un bacio enorme al piccolo Alex da parte mia: sicuramente, quel suo faccino paffuto da prendere a morsi è una delle ragioni per cui non vedo l’ora di tornare. Salutami Fred, ovviamente.
Ti voglio bene, Maggie, e mi manchi.

You are my person

 
Gail

Ps. Ho addosso una giacca ed una gonna blu, una borsa ed un paio di scarpe dal valore complessivo di cinquemila sterline, sto per salire su una fottuta limousine e stasera sono a cena in una delle mega ville della famiglia della mia super ricca compagna di stanza. Questa sarà una storia molto interessante da raccontare al mio ritorno (top secret al momento).


George tenne stretta tra le mani quella lettera per qualche secondo, accarezzando con l’indice il punto in cui Abigail si era firmata. L’aveva letta così tante volte da saperla ormai a memoria, ed ogni singola parola era un pugno allo stomaco che faceva sentire in maniera terribile la sua presenza.
Posò nuovamente il foglio di pergamena sulla scrivania di Margaret, esattamente come lo aveva trovato, e si allontanò dallo studio della sua migliore amica lentamente e silenziosamente, proprio come vi era entrato.  
       

 
All we know is that we don’t know
How it’s gonna be, please brother let it be
Life on the other hand, won’t make you understand
We’re all part of the Masterplan


1: Da "Harry Potter e i Doni della Morte"; 


- Angolo dell’autrice

*Partono i Queen in sottofondo con “We are the Champions”*
Sono viva. Proprio così, sono sopravvissuta alla mia prima sessione d’esami all’Università. Questi sono momenti che non si dimenticano facilmente. Anyway…
Ma ciao, bellezze! *w* Come già anticipato, ecco qui il nuovo capitolo proprio a metà febbraio. Lo so, è un po’ lunghetto – giusto dieci pagine Word, che saranno mai – ma adesso che Abigail è a Belfast e devo dare ovviamente risalto anche a lei, le cose si allungano un pochino. Spero non sia risultato troppo pesante!
A proposito di Abbie… cosa starà combinando? Perché è su una limousine? Chi diavolo è Elsa Pedersen? Nei capitoli successivi arriveranno le risposte che tutti (?) attendiamo.
Quanto alla prima parte del capitolo, non sono tanto convinta di alcune parti – ma d’altronde non sono mai convinta di niente – quindi aspetto un vostro parere, se vorrete darmelo. ♥️
Comunque, come avrete notato, ho finalmente inserito un benedetto banner (non appena mi sarà possibile, darò una sistemata ai capitoli precedenti e lo inserirò anche in quelli). Ho perso qualche ora di sonno per realizzarlo, ma adesso anch’io ne ho uno e mi sento jkafnkjsklzkjn *O* e come vi avevo già detto, Margaret è “interpretata” da Phoebe Tonkin – attrice del cast di The Originals, per la precisione – mentre Abigail da Ashley Benson – che invece interpreta la fantastica Hanna Marin in Pretty Little Liars. Nella mia testa, loro due sono le perfette Meg e Gail, non c’è niente da fare. :’)
Ne approfitto anche per dire che ho completamente revisionato/riscritto la prima long, I have finally realised I need your love, e anche lì ho inserito un banner (diverso, naturalmente. Sì, ne ho fatti due, mi sono sentita un’artista per cinque minuti gloriosi). Rileggendola, mi era venuta voglia di cavarmi via gli occhi, non ho potuto resistere. Dovevo fare qualcosa, quindi ho apportato una serie di modifiche a mio avviso necessarie, anche se la differenza di stile tra quella storia e questo sequel si nota e si continuerà a notare sempre, anche se dovessi apportare cento revisioni – cosa che non farò mai perché non ho tempo e perché credo che più di così le mie povere sinapsi non possano reggere.
Ho anche pubblicato una OneShot, che partecipa ad un contest, ma è un mezzo spoiler su alcuni dei nostri personaggi. Liberissimi di leggerla adesso, ovviamente, ma a vostro rischio e pericolo. Cioè, nulla di eclatante, ma pur sempre uno spoiler – e io li odio, mi chiedo quindi perché l’abbia fatto.

Tornando a questo capitolo, il titolo è di Ella Wheeler Wilcox, mentre la canzone – che percorre tutto il testo – è The Masterplan, immenso capolavoro degli Oasis – che vi consiglio appassionatamente di ascoltare. Sì, da quest’estate ho ripreso in mano l’intera discografia degli Oasis dopo diverso tempo, e devo dire che mi sono proprio bloccata di nuovo con loro – forse adesso più di prima – quindi in questi capitoli li avremo con noi abbastanza spesso.
D’altronde, il primo amore non si scorda mai, e se già all’età di tre anni, nel 1998, mi incollavo allo schermo del televisore con tanto di occhi a cuoricino ogni singola volta che passavano il video di una loro canzone qualsiasi (i miei genitori hanno recuperato un filmato/reperto storico in cui canto All around the world. A tre anni. Era tutto un “vacci nonna tu uen de wol comfolli dan?” – che tradotto dal bambinese in inglese sarebbe “what you gonna do when the walls come falling down?” – e altra roba inintelligibile, ma era pur sempre la mia epica versione di All around the world), allora è vero e puro amore.
È un amore talmente insano che mi ha condotta alla follia di iniziare a scrivere una fanfiction su di loro, e so già che la mia salute mentale ne risentirà parecchio. Quindi, vi mando i saluti di due mie nuove creature, Janis Lloyd e sua figlia Bliss (proprio come Bliss, canzone dei Muse, altro mio grande primo amore), che non vedono l’ora di fare un salto su EFP. Non so tra di voi quanti Madferit ci siano, ma nel caso in cui foste interessati: #comingsoon #staytuned  
Adesso smetto di fracassarvi i bolidi e vi saluto. ♥️

Ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares,  Orma_, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, Strix, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, Feather_, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, KariWhite, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

A presto, spero. Cioè, non so quando tornerò a pubblicare, contate comunque non prima di un mese.
Se vorrete lasciarmi qualche recensione, sappiate che sono sempre bene accette e vengono accolte con tanto amore *partono i Beatles con All You Need Is Love*.

Un abbraccio stritola-ossa,

Jules 
♥️


- Dal prossimo capitolo:

Una volta assicuratasi che non vi fosse anima viva nei paraggi, s’incamminò spedita per il corridoio, tenendo la mano destra ben salda sulla bacchetta, nel caso in cui ve ne fosse stato di bisogno. Stava per raggiungere l’ascensore quando, alle sue spalle, una voce, seguita da dei passi lenti, la costrinse a fermarsi.
«Stevens. Dove credi di andare?» le disse Yaxley in tono pacato, forse fin troppo, al che Meg percepì la propria pelle accapponarsi per il disgusto. Si girò lentamente e scrollò le spalle con disinvoltura, come se nulla fosse stato.
«Oh, Yaxley. Il mio sesto senso mi diceva che l’avrei incontrata. Dovevo solo chiedere a Walker se…»
«Dovresti sapere che l’ufficio di Frank Walker è nella direzione opposta, a meno che tu non abbia perso la memoria, ma farò finta di niente. Sai, sono appena tornato al Ministero, e mi sono reso conto di aver voglia di fare una bella chiacchierata proprio con te. Ti dispiace?» la interruppe l’uomo, e Meg poté notare, con un guizzo dello sguardo, che anche lui stava portando la mano destra alla bacchetta.
   
 
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