Mi
distruggerai ~
Gli occhi che ti salvarono
Mi
distruggerai, mi distruggerai
E maledico te perché di te non vivo
Mi distruggerai, mi distruggerai
Ti abbraccio in sogno tutto il giorno e sto, di notte, sveglio
Tu mi distruggerai, mi distruggerai
Mi distruggerai.
[Notre Dame de Paris – Mi distruggerai]
Profumo.
Invitante, fin troppo.
In secoli di vita non mi era mai capitato di essere tanto attratto dal
sangue
umano, eppure non c’era nient’altro al mondo che
volessi come volevo il collo
di quella ragazza.
Lei gesticolava e parlava, con quelle guance adorabilmente rosse,
mentre
cercava di spiegare come aveva fatto a rompersi una gamba, ma io
sentivo il suo
cuore battere, più veloce del normale, e quel profumo
invadermi le narici.
Le sorrisi, teso, e le sue guance si imporporarono ancora, mentre
lottavo
contro me stesso per non aggredirla.
Quel profumo, quel collo lievemente inclinato verso sinistra, quelle
gote rosse
mi chiamavano, mi dicevano di stringere a me quella ragazza, si
inebriarmi del
suo profumo, di posare le labbra sul suo collo e...
“Dottore, lei è la paziente di cui le avevo
parlato. Dice di essere caduta da
un albero”
Mi riscossi e fissai il mio sguardo su di lei, imponendomi di non
respirare. E
rimasi fossilizzato.
Non avevo mai visto degli occhi come i suoi.
Erano neri, ma un nero vivo, un
nero
che ardeva come un fuoco impossibile da dominare, un nero che mi
arrivò al
cuore. Quegli occhi la salvarono.
Se non avessi visto quegli occhi probabilmente mi sarei gettato su di
lei,
prima o poi, e avrei lentamente succhiato la sua vita, ma quegli
occhi...quegli
occhi cambiarono tutto.
Come potevo azzardarmi a sfiorarla, come potevo togliere la vita a
degli occhi
così stupendi?Come avrei potuto guardare nelle sue iridi
nere quando, saziata
la mia sete, avrei gettato a terra quel fragile cadavere?
Non avrei mai potuto, lo sapevo.
“Allora, signorina...posso sapere il suo nome?”
chiesi, con un sorriso sincero.
Il suo profumo tornò a colpirmi, il collo sembrava
così invitante...
Ma quegli occhi erano troppo belli per poter restare chiusi per sempre.
“Mi chiamo Esme” sussurrò lei, con una
voce debole. Le guance le diventarono
ancora rosse, con quel sorriso esitante sul volto. Tutto in lei emanava
fragilità, delicatezza: i suoi boccoli color caramello, che
le ricadevano
dolcemente lungo le spalle come una soffice nuvola, il suo corpo
minuto,
piccolo, magro, il suo sorriso esitante. E quegli occhi, anche quelli
– e le
fiamme che vi si agitavano dentro – erano fragili.
“Bellissimo nome” le dissi, esaminando la sua gamba
e le sorrisi ancora. “Io
sono il dottor Cullen. Ti curerò io” Sembrava
particolarmente entusiasta
all’idea. “Caduta da un albero?”
“Ehm..sì. Mia madre dice sempre che non dovrei
arrampicarmi, ma io non le do
ascolto. E’ così bello poter stare lì,
sul ramo più in alto e sentire il dolce
soffio del vento...” sospirò, poi
arrossì ancora, bella e fragile. Umana,
sussurrò il mostro dentro di me, con
un sangue invitante. “Scusi,
non volevo inondarla con le mie
chiacchiere”
“Figurati, Esme” assaporai il gusto del suo nome,
fragile e armonioso come lei.
“La tua voce è molto bella”
“Grazie, dottor Cullen”
Quelle guance rosse erano una tentazione.
Era
così bella e così invitante, sembrava quasi mi
invitasse
a morderla, ad affondare i miei denti nella sua pelle così
morbida e a
succhiarle via la vita.
Era così, bella e ingenua, certa che io non le avrei fatto
alcun male.
E non lo avrei fatto, almeno fino a che quegli occhi neri sarebbero
rimasti
aperti.
Mi
parlò più volte, Esme. Mi deliziava della sua
voce così
stranamente soave, così incredibilmente bella, e mi
raccontava di lei. Mi
raccontava della sua vita, dei suoi sogni, delle sue speranze.
Sognava una grande famiglia, la piccola Esme. Sognava tanti bambini
dagli occhi
neri come i suoi e con un felice sorriso stampato sulle labbra. E
sognava di
fare l’insegnate, la mia fragile umana. Sognava di poter
aiutare i bambini, di
aiutarli a scrivere il loro nome su un foglio, di vederli sorridere al
loro
primo, disastroso tentativo.
Sognava, Esme e non sapeva che ad un passo da lei c’era chi
poteva infrangere
quei sogni con un solo scatto.
Certe volte l’odore del suo sangue tornava a colpirmi forte
come quella prima
volta, mi spingeva a voltarmi verso quel collo, candido e morbido.
La desideravo, desideravo il suo sangue. Non credevo sarebbe mai potuto
accadere, dopo secoli di esperienze ci si abitua.
Mentivo.
Sapevo fin troppo bene che c’era un’attrazione che
non potevo controllare, una
voglia che non potevo sopprimere.
Lei, il suo sangue.
Aro avrebbe definito Esme la “mia
cantante”, il suo sangue cantava per me. Il suo
sangue era mio, lei era mia. Mi
apparteneva. Mi apparteneva
quando mi parlava dei suoi sogni, quando sorrideva esitante, quando si
mordicchiava il labbro inferiore, quando piegava lievemente il capo e
scopriva
il collo bianco.
Era mia.
Era nata per me, per essere mia.
Non avevo pace, ero dilaniato, spezzato in due. Da un lato, avrei
voluto
assaporare il suo sangue e potarle via la vita, ma dall’altro
volevo darle quei
sogni, volevo che si avverassero, volevo che quegli occhi fossero
felici per sempre.
Esme era la mia ossessione.
Mi stava lentamente distruggendo, eppure non osavo prendere una
decisione.
E poi, finalmente decisi.
Le avrei dato una vita, le avrei permesso di realizzare quei sogni.
E io me ne sarei uscito dalla sua vita.
Partii
senza dirle nulla, così, in fretta.
Feci le valigie e partii, senza neanche pensarci. Non la vidi neanche
un’ultima
volta, certo che sarebbe stato più doloroso dire addio a
quel profumo. E a lei.
Esme Anne, la mia ossessione.
Non era più solo il sangue che desideravo, era lei.
Avevo imparato a conoscerla, a sentire la sua voce melodiosa, a
parlarle dei
miei studi da medico, della mia vita – ovviamente inventata
così, su due piedi.
Avevo imparato a volerle bene.
Mentre mi avviavo veloce in un'altra città mi chiesi se
fosse possibile non
volerle bene.
Il
tempo è un’invenzione degli umani, per quelli come
noi
non esiste.
Per lei, per gli umani, erano trascorsi dieci anni, per me il tempo non
esisteva. Ero congelato, fossilizzato nel per
sempre che metteva quasi paura.
Erano trascorsi dieci anni. Con me c’era Edward, lo avevo
creato io. Certe
volte mi pentivo di non averlo lasciato morire di spagnola. Vedevo il
suo
sguardo vuoto, il suo rifiuto di accettare la sua nuova natura, il suo
considerarsi un mostro...e mi chiedevo se anche io lo fossi.
Edward era capace di leggermi nella mente e mi rassicurava, dicendo che
non ce
l’aveva con me per il dono che gli avevo fatto.
Eppure mi sembrava che volesse tutto tranne che vivere ancora.
E
poi accadde quello in cui non credevo più. Esme
tornò.
Morta.
L’infermiera la portò direttamente in obitorio,
disse che non c’erano speranze,
che era morta.
Morta.
Quella parola mi sembrava strana, associata ad Esme, viva, allegra,
piena di
sogni e di speranze, con occhi che ardevano.
Morta.
La morte aveva sottratto al suo viso ogni colore ed era pallida,
semplicemente
pallida. Pallida come me.
Le labbra, che tanto mi avevano parlato e sorriso, erano di un viola
innaturale, bagnate, umide. I boccoli di caramello grondanti
d’acqua, piatti,
lisci, incollati al suo volto. E gli occhi.
Gli occhi neri erano chiusi.
Per sempre.
Eppure, sentivo il suo cuore.
Era debole, fragile; i suoi battiti erano sempre più tenui e
radi, eppure
c’era.
Non ci pensai due volte e mi chinai a morderla.
“E’ per il tuo bene, Esme” le dissi,
accarezzandole il volto bagnato, adulto,
devastato. Posai le mie labbra sulle sue per un secondo, sentendo
un’emozione
che in secoli di esistenza non avevo mai sentito. Poi le appoggiai sul
suo
collo.
Quel sangue era fin troppo buono, eppure seppi trattenermi.
Non so come feci, forse il sentimento che provavo nei suoi confronti
superava
il desiderio del suo sangue.
Fatto sta che la salvai. O la condannai, dipende da come si vede la
cosa.
E da allora siamo sempre rimasti insieme.
Non so come abbia fatto ad accettare la sua natura così
facilmente, senza
scomporsi, senza urlarmi contro, senza implorarmi di ucciderla davvero.
Non
sarei stato capace di ucciderla, ero egoista.
La volevo per me, nonostante il suo sangue fosse sparito.
Volevo Esme, volevo la ragazza felice e piena di sogni.
E lei mi raccontò tutta la sua triste storia, a partire
dalla mia improvvisa
partenza, fino a quando aveva deciso di buttarsi dalla scogliera, per
mettere
fine alla sua tormentata vita.
E mi è rimasta accanto, la mia piccola e fragile Esme.
Per sempre.
Ha una grande famiglia,ora, la mia Esme, e tanti figli dagli occhi neri
– ma
non belli come lo erano i suoi quando era viva.
Quegli occhi erano troppo belli, Esme. E, come tutte le cose belle,
erano
destinati a sparire presto.
Angolo
Autrice
Non
so davvero cosa sia. Non so se davvero il sangue di Esme
abbia attratto tanto Carlisle, anche se suppongo di no. Mi è
piaciuto immaginare.
E non so neanche di che colore abbia avuto Esme da giovane, ho voluto
di nuovo
immaginare.
Ho sempre amato questa coppia, ma non sapevo cosa scrivere, poi
ascoltando a
palla “Mi distruggerei” di Notre Dame de Paris mi
è venuta l’idea. Io amo quella
canzone.
Spero che questa stupidaggine vi piaccia *______*