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Autore: WendyMoira    17/02/2015    6 recensioni
"C’erano poche cose che mi facevano più paura di mia madre incazzata. Ad esempio mia madre incazzata per aver perso un pomeriggio di lavoro a causa mia. O mia madre molto incazzata per aver perso un pomeriggio di lavoro perché io, Al e Scorpius ne avevamo combinata un’altra delle nostre. O mia madre molto più che incazzata per aver perso un pomeriggio di lavoro perché per “una delle nostre” questa volta si intendeva aver fatto saltare in aria l’aula di pozioni, con alunni e insegnante dentro. Ops."
IN REVISIONE
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Rose/Scorpius
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Scusatemi, sono davvero dispiaciuta per il ritardo.Ho dovuto revisionare alcuni capitoli perchè non mi piaceva come erano scritti e, come risultato, eccomi qua dopo troppo tempo :( spero non succeda più, mi impegnerò, giuro!
Intanto vi ringrazio tantissimo per le vostre splendide recensioni, non vedo l'ora di rispondere a tutte!
Godetevi il capitolo, siamo al punto clou ;) 
Un mega bacione
Wendy
ps: Il prossimo sarà interamente Herm/Draco <3 

 







8.
Una notte interessante



Il pavimento sotto il suo sedere era duro e umidiccio. No, non solo sotto il suo sedere... anche la schiena sembrava appoggiata a qualcosa di solido e bagnato.
Era sdraiato, dunque.
E giaceva sotto un soffitto alto e buio, che ondeggiava curiosamente. Strano, si sentiva un po’ scombussolato, sì, ma non era del tutto ubriaco. Eppure doveva esserlo, perché era risaputo che fosse prerogativa fondamentale dei soffitti quella di rimanere ben fermi dov'erano, a meno che l’architetto che li avesse eretti non fosse particolarmente incapace. Ma l’architetto di Hogwarts, lui ne era certo, non doveva essere mica stato il primo scemo di Londra.
Facendo leva sui gomiti lasciati scoperti dalle vesti strappate, il ragazzino si mise seduto a fatica e represse un gemito, mentre la testa decideva se esplodergli o meno. Sentiva delle fitte pazzesche e una potente nausea tempestargli le viscere, tuttavia riuscì a mantenersi in posizione eretta... circa. Il pavimento sembrava stranamente inclinato.
Si sistemò meglio gli occhiali sul naso e finalmente il mondo attorno a lui parve raddrizzarsi; anche se, dritto o no, il mondo in questione rimaneva uno spettacolo piuttosto deludente. Lugubre e desolato, con un pavimento piastrellato pieno di pozzanghere e una lunga fila di squallide toilette... un bagno, e nemmeno messo tanto bene. Anzi, se la memoria non errava si trattava proprio del bagno di Mirtilla Malcontenta.
Doveva andarsene subito. Doveva assolutamente evitare che quel fantasma impiccione lo vedesse lì malconcio e mezzo nudo, o in un attimo tutta Hogwarts sarebbe venuta a sapere che lui...
Un lampo di incertezza gli balenò in petto e gli impedì di finire la frase. No, non un lampo. Un fuoco d’artificio, un bomba molotov.
Lui chi?
La domanda rimbombò nel suo cervello per due minuti, ma non ottenne risposta. Buio totale.
Non sapeva chi era.
Panico.
Come diamine era possibile?
Si tirò su e corricchiando e ondeggiando un po' – come il mondo attorno a lui si ostinava a fare, d'altronde – raggiunse un lavandino, impedendosi all'ultimo secondo di tuffarcisi di testa. Si sfilò gli occhiali, girò la manopola del rubinetto con mani tremanti e ficcò il capo sotto il getto d'acqua gelida, poi, aggrappandosi bene al lavello, si scostò e fissò dritto dentro lo specchio.
Una macchia rosa e nera.
Gli occhiali!
Inforcò di nuovo le lenti e il suo sguardo incontrò quello verde giada e allucinato di un altro ragazzo.
Si rimirò con curiosità nello specchio.
Capelli neri e disordinati, occhi verdi, divisa da Grifondoro... un aspetto normale, che però non gli diceva niente.
Non si riconosceva. Solo, non seppe spiegarsi perché, trovava che l’oro e il rosso gli stessero davvero male. Magari era uno stilista di qualche tipo... ma questo non spiegava la zazzera selvaggia che si trovava in testa.
Stava cercando di dare una sistemata alla sua capigliatura imbarazzante quando la vide.
Emettendo un verso strozzato si scaraventò verso la superficie lucida, toccandola con la punta del naso e sollevandosi la frangetta. Non si era sbagliato, c'era davvero.
Sotto i suoi capelli spiccava una cicatrice. Era piccola e discreta, ma non c’erano dubbi: aveva la forma di una saetta.
La rivelazione lo colpì come un pugno. Occhi verdi, capelli neri, Grifondoro – e qui un altro brivido di disgusto lo colse inspiegabilmente –, cicatrice e occhiali tondi.
Lui era Harry Potter.
Ma certo.
E i mal di testa di Harry Potter significavano solo una cosa: che il Pelatone era tornato.
Per tutti i peli pubici di Morgana, Circe e Polifemo, per l’herpes inguinale di Merlino!
Doveva assolutamente trovare Ron ed Hermione!
Sfilò la bacchetta dalla manica e, ancora un po’ barcollando, sfrecciò verso la porta.
Qualcosa andò storto, o più probabilmente andò storto lui, solo che non se ne accorse. Mancò la soglia, si schiantò contro il muro e cadde all’indietro per il rinculo.
Il suo sedere dovette scontrarsi con il pavimento altre tre, analoghe volte, prima che il ragazzo decidesse semplicemente di strisciare fino alla porta e aggrapparsi alla maniglia. La porta si aprì e lui si trovò di nuovo sdraiato, ma stavolta con la metà superiore distesa nel corridoio.
Quando si rialzò, finalmente, fu abbastanza furbo da camminare rasente al muro, rinvigorito dai propositi di vendetta contro lo Zio Voldy, capace di cacciarlo in situazioni estremamente imbarazzanti come nessun altro.
A noi due, Tom.
Con un ringhio che sembrava più il belato di una capra fatta, Albus si lanciò in avanti, e presto il suo corpo scoordinato, imbottito di sostanze ignote anche a lui, venne inghiottito dal buio del castello.

 

***



Eravamo scapestrati. Eravamo impacciati, avventati, impulsivi, giovani, eravamo, chi più chi meno, un po’ scemi e sballati dagli ormoni. Ma, nella mia modesta opinione, non si poteva negare che la tribù di cugini Weasley-Potter fosse stata tirata su bene.
Ok, non eravamo Peppa Pig: Hugo non avrebbe mai rinunciato a seminare enormi ragni finti per casa di papà, né Al avrebbe smesso di versare casualmente camionate di pozione lassativa nella zuppa di James. Però, grazie anche a genitori che gradivano gli onori di eroi di guerra come gli americani gradiscono le verdure, non eravamo venuti su montati.
Nessuno di noi aveva mai preteso qualcosa dal mondo solo perché figlio di Harry Potter, o si era permesso di denigrare qualcun altro perché di cognome non faceva Weasley – io, in particolar modo, trovavo difficile vantarmi di uno stuolo di zii che avevo visto regolarmente dormire con la Burrobirra in equilibrio sulla pancia –, e nessuno di noi l’avrebbe mai fatto. Ma la cosa più bella di tutto era, a mio parere, che avessimo fatto nostri gli ideali per cui la nostra famiglia aveva combattuto, e aborrissimo quindi ogni tipo di crudeltà e pregiudizi, compresi quelli verso figli di criminali.
Il che, be', è tanta roba.
Davvero, per essere adolescenti non eravamo affatto male.
Quel giorno però, mentre sfrecciavo a rotta di collo per Hogwarts su un pericolante tacco 14, non riuscivo proprio fare a meno di pensare qualcosa di un pochino discriminatorio verso i purosangue, o comunque verso i Malfoy e l’idiozia che sembrava connaturata in loro. Perché uno, semplicemente, non può essere nato così idiota. Non al livello di quella famiglia di Eminem fuori di testa.
È la tinta. Dev’essere per forza la tinta, gli deve aver sputtanato i pochi neuroni rimasti. L’avevo detto che aveva la testa radioattiva, io.
«Quindi come facciamo?» mi gridò Lucy col fiatone.
Stavamo correndo da mezz’ora e perfino Roxy, che al posto dei polmoni aveva due mantici, iniziava ad accusare la fatica.
«Rovesciamogli il calderone, se riusciamo» risposi, mentre svoltavamo per l’ennesima volta. «Se no, temporeggiamo e aspettiamo l’aiuto che ci ha promesso Helena».
«Va ben... oh diamine, Glisseo!» gridò Lily, esasperata davanti a quella che sarà stata la sessantesima scalinata, e tutte e cinque ci trovammo a slittare con il sedere su un improvviso scivolo di pietra, giù fino ai sotterranei.
«Geniale!».
Strillò Roxy, e fu geniale, in effetti, ma arrivammo al pianerottolo con le natiche che sembravano fiammiferi. Non ci fermammo.
«Lì!».
In fondo al corridoio un bordo di luce gialla e tremula, il nostro piccolo miraggio, allagava i contorni della porta, e ci buttammo addosso al legno con foga. Troppa foga, perché crollammo all'interno dell'aula l'una sull'altra, come una goffa slavina di scarpe assurdamente alte e stoffe colorate.
«Weasley!»
Atterrai a muso duro sulla pietra, proprio davanti a un paio di laccatissimi mocassini che si puntarono di scatto verso di me.
Alzai la testa: scarpe lucide in maniera maniacale, solita mantella nera da Vlad Tsepev di Valacchia, un paio di occhi grigi quasi fuori dalle orbite e orrendamente iniettati di sangue... Sleccata era, senz'altro, nelle condizioni perfette per un’allegra chiacchierata cuore a cuore.
«Prof, si fermi!» proclamai, nonostante la montagna di cugine che gravitava sui miei polmoni.
«Weasley» ripeté Malfoy nauseato, guardandoci come un turista italiano alle prese con un hotel di lusso senza bidet..
«Ehilà, prof» fece Lily, sbucando da sopra la mia spalla destra e sotto la coscia di Domi.
«...e Potter
Sì, la frase “E mo’ come me lo pulisco il culo?” rende perfettamente l'espressione che Sleccata aveva in quel momento.
«Proprio noi!».
Ribatté Roxy, che si alzò per prima.
Schizzammo in piedi, all'erta, ma rimanemmo... disorientate.
Normale.
Non so cosa ci aspettavamo, forse bare, teschi, canti gregoriani – io almeno qualche croce di legno – ma, di certo, non ci aspettavamo quello.
Calderoni di Amortentia accatastati in un angolo, piante scheletrite che ciondolavano dal soffitto, banchi vuoti nell’aula tetra e spoglia, odore di umido e aromi. Mi sentii quasi tradita. Era tutto come sempre – normale.
Eccezion fatta per un piccolo, minuscolo dettaglio.
Un sottile calice cristallino a guisa di giglio, poggiato sul banco appena dietro al prof. Era semplice e raffinato, ma ricolmo di un liquido così scuro che sembrava assorbire ogni luce, come un piccolo buco nero. Un freddo bestiale mi inondò le ossa davanti a quel ridotto, semplice oggettino.
Da quando la morte è così normale?
Percependo il nostro orrore Sleccata inspirò profondamente, poi indietreggiò di qualche passo, coprendo meglio il banco incriminato, e alzò la bacchetta verso di noi. Avevamo formato un ventaglio, dietro al quale si riparava Lucy nel tentativo di rovesciare il calice, e io, Domi, Roxi e Lily imitammo il movimento del braccio del prof come uno specchio deformante.
«Andatevene. Non voglio farvi del male».
«Non ne farà a nessuno, se ci ascolterà».
Un lampo sul volto di Malfoy mi annunciò che l'allusione era stata colta.
«Mi sembrava di averti detto di lasciar perdere, Weasley».
«Non mi importa cosa le sembra».
Ok ok, non sono un granché come oratrice. Ma, che diamine, provateci voi a risultare persuasivi mentre una specie di Alex de Large disperato vi sta puntando un arma letale addosso!
Perché Lucy non rovescia il calice?
«Prof, sappiamo che cosa vuole fare e siamo qui per impedirlo».
«Ma non mi dire» ironizzò lapidario Malfoy. «Ma, come ti ho già ripetuto pri...».
«No».
Sleccata assottigliò pericolosamente gli occhi e ... ringhiò, e le le mie viscere si contorsero come un tappeto di lana sotto la pioggia.
«No, io... io non mi muovo di qui finché... » deglutii « finché non sarò sicura che domattina il mio migliore amico avrà ancora un padre».
«Non mi sembrava che del tuo migliore amico te ne fregasse qualcosa, prima. Lucinda, il calice è protetto da una barriera magica. Non puoi rovesciarlo».
Dio, l’avrei volentieri preso a sberle.
«Mi sembra di star dimostrando il contrario, adesso».
«Pensala come ti pare» rispose veloce. «Ora, ragazzine, sto veramente perdendo la pazienza».
Veloce.
Quasi sbuffai, come una bambinetta incapricciata. Non credevo che Sleccata sarebbe stato così testardo nel suo scopo, così... coraggioso.
L'avevo sottovalutato, ma non ci detti peso. In fondo, allora davo ancora per scontato che saremmo riuscite a fermarlo.
«Professore com’è che non capisce? Scorpius ha bisogno di lei!» sbottai seccata.
Nei film sembra tutto così lento, ma non sapevo.
Si trattava di secondi.
«No» Sleccata mi piantò le pupille allucinate addosso e io vidi, per la prima e unica volta in vita mia, la vera disperazione.
Ogni supponenza, ogni tracotanza si annullò di colpo davanti a quelle pupille, che mi svuotarono di tutto... per rovesciarmi dentro la stessa disperazione che annichiliva loro, per contagiarmi come una patologia infettiva, come un virus pestilenziale.
Una mano invisibile mi serrò dolorosamente la gola, soffocandomi, torturandomi, facendomi bruciare le palpebre per la voglia di piangere.
«Prof!» boccheggiai.
«Scorpius ha bisogno anche di te. Per me non c’è più… modo, ormai. Però, Weasley, lui si fida di te. Non abbandonarlo, per favore».
«Non di me, Weasley».
Una frase già detta, una crosta già strappata.
Don! Don! Don!
I rintocchi della pendola di legno risuonarono nell'aula con la forza di una bomba. Era il trenta.
Secondi.
Il tempo...
Il professor Malfoy afferrò il calice.
...è...
«Accio calice! Confringo!».
Gli incantesimi di Lucy si dimostrarono inutili.
No, no!
«No!» urlai. «Reducto, deprimo!».
...veloce.
Il professor Malfoy non disse nulla, ma ci immobilizzò con un potente Incarceramus. Poi prese un respiro profondo, drizzò la schiena e si portò il calice alla bocca.
Il tempo è veloce, così come la morte è normale.
Quant'è vera, quest'equazione, e quanto è semplice; come bere un bicchiere d'acqua.
Come bere il veleno che avrebbe ucciso il padre del mio migliore amico.
Le palpebre calavano su quei globi grigi per l'ultima volta, mentre Malfoy portava la testa all'indietro e il liquido scivolava dalla superficie trasparente e larga verso le sue labbra, verso la fine della sua vita.
NO!
Non capivo, non concepivo di star vivendo davvero una scena simile. Eppure, in un angolo della mia testa, tutte le conseguenze che quel folle gesto avrebbe comportato mi sfilarono davanti una dopo l'altra, come le patinate sequenze di una pellicola in fast motion.
Una donna di nuovo in vita con la consapevolezza di aver ucciso suo marito. Scorpius che non era stato abbastanza nemmeno per dare una ragione di vita a suo padre. Un funerale che non avevo fatto in tempo a impedire, la cui bara sarebbe rimasta vuota... e infine l'ultima, più inetta conseguenza, che però rese la mia disperazione terrore viscerale, che mi atterrì più di ogni altro postulato mentale che avessi mai fatto in sedici anni di vita.
Era un'idiozia colossale, un'idiozia che nessun altro eccetto una Weasley senza filtro tra cervello e lingua avrebbe potuto pensare... un'idiozia che si rivelò una salvezza, che ci fornì quel millesimo di secondo necessario – anche se il tempo è veloce – affinché Hogwarts desse una mano a chi se la meritava.
Perché la urlai.
« NON LI VOGLIO VEDERE I THESTRAL, IO!!» gridai tra le lacrime.
Il professor Malfoy si voltò verso di me, vagamente divertito.
Un millesimo di secondo.
Bastò.
«Certo che tu...».
«Confringo!».
Crash!
E lei arrivò. La mia mano, il mio deus ex machina sofocleo.
«Draco Lucius Malfoy». Un turbinio di fiamme smeraldo esplose nel camino e una donna slanciata e severa, con i capelli crepitanti di elettricità, ne uscì a passo di marcia. «Che cosa cazzo pensi di fare, tu?! Stupeficium».
Tonf.
Il professor Malfoy cadde svenuto proprio davanti al mio sguardo annebbiato, steso a pelle di leopardo su ciò che rimaneva della pozione. Aveva ancora l'espressione terrorizzata di chi ha visto il proprio peggior nemico farglisi incontro a cavallo di un drago.
Beh, ci va vicino, questo paragone.
La donna si accostò al corpo inerme Sleccata a grandi falcate e, senza troppe cerimonie, si chinò e lo scosse violentemente per la collottola.
«Furetto, sei proprio un idiota. Levicorpus».
«TU!» gridai scandalizzata, e solo allora la donna si accorse di noi.
Hermione Granger sollevò appena le sopracciglia, al vederci, come se non avesse appena infranto barriere magiche di ogni tipo – da quella di Hogwarts a quella del calice – e schiantato e salvato il suo acerrimo nemico.
Ci va vicino, questo paragone. Manca solo il drago.
Poi si voltò di nuovo, posizionò un Draco Malfoy moribondo e rantolante in bilico su una sedia, fece sparire i resti di vetro e liquido e, con un rapido colpo di bacchetta, ci liberò, il tutto in circa tre quarti di secondo.
«P-perché... come...?».
Mamma si voltò piano verso di noi, assurdamente senza parole, e ci studiò con aria a metà tra il disarmato e il perplesso, come chi deve scegliere di che rosa pitturare un muro ma non sa nemmeno distinguere il fucsia dal salmone.
Aprì la bocca un paio di volte, poi però il precario equilibrio in cui Malfoy si manteneva in posizione eretta si spezzò e l'uomo atterrò in picchiata sul banco, producendo un suono così agghiacciante che ci fece inspirare bruscamente l'aria tra i denti. Malfoy, dal canto suo, emise solo un rantolo più forte degli altri, poi il gemito si spense in un gorgoglio sospetto e l'uomo non dette ulteriori segni di vita.
Se non si era ucciso con la pozione, c'erano discrete possibilità che avesse avuto successo con quella botta.
«Rose».
Mi voltai verso mia mamma, fiduciosa, ma incontrai l'espressione al contempo rassegnata e pretestuosa di chi sa che sta per fare qualcosa di cui si pentirà amaramente.
«Scusa tanto, amore».
E mia madre ci buttò fuori dall'aula.

 

***



«Mamma, apri!!».
Una striscia marrone scuro, un altra color miele. Mirai e colpii.
Bam.
«Rose?».
«Mamma, apri questa porta, se non vuoi che tua figlia la butti giù e venga messa in punizione di nuovo!!».
Una spirale che era un misto tra più colori... castagna, cioccolato e nero corvino. Un altro pugno.
Sbonk.
«Rose!».
E poi, poco sopra la spirale, una sorta di ghirigoro quasi triangolare. Le tonalità qui erano più spente: vomitino, fieno e cacca.
Come quella in cui si sarebbe trovata mia madre se non mi avesse aperto. Subito.
Lucy mi afferrò prima che mi producessi in una spallata micidiale, che mi avrebbe privato di tutte le ossa destre del busto a vita.
«Mamma, vaffanculo!!».
«Rose!».
Spostai lentamente lo sguardo sbarrato verso Lucy, che ancora mi stringeva prudente.
«Sì, Lucy?».
Mia cugina osservò con circospezione il mio sorriso traballante, prima di ricominciare a parlare con più cautela di prima.
«Rose, tutto bene?».
«Magnificamente».
«Non è che se fai così toglierai l'incantesimo di tua madre... lo sai, vero?».
Ritornai tranquillamente a fissare la tavola di legno.
«Ma certo».
Mia madre, lì dentro. Da sola con Sleccata. Dopo avergli salvato la vita. Dopo essere entrata da un camino teoricamente assolutamente inaccessibile. Dopo essere stata – era l'unica spiegazione plausibile, a quel punto – avvertita da un fantasma con cui non avrebbe dovuto avere contatti. Un fantasma che, tra tutti – Zabini compresi, per l'amor di Godric –, aveva scelto lei come salvatrice di Sleccata.
C'erano solo tre parole, al momento, che frullavano nel vuoto pneumatico che avevo in testa, le parole meno nobili, intelligenti e british che potessero venirmi in mente.
Esatto. What the fuck?!
Figuratevi se avevo modo di ragionare su come entrare lì dentro, o a gioire della riuscita della nostra missione. Anche perché, visto come mia madre si era rivolta a Sleccata e la craniata che lui aveva preso sul banco, non era mica detto che il prof ne uscisse vivo.
Quindi, ripeto: what the fuck?
«Comunque, Thestral. Davvero?».
Mi districai dal suo abbraccio contenitivo.
«A questo punto perché no?».
Lucy annuì e «Thestral» ripeté, leggermente sorpresa.
Poveri cavalli, non fossero stati così brutti e spaventosi e forse quella sera Hogwarts avrebbe avuto un professore in meno.
«Rose, Lucy».
Ci voltammo.
«C'è un problema».
Rannicchiata sulle scale, Domi abbracciava tutta la sua persona di Regina delle Nevi con l'aria di essere prossima al pianto, Lily e Roxy che la accarezzavano confortanti. Questo era strano. Domi non piangeva mai.
Lanciai un ultimo sguardo ardente alla porta.
«Che cosa è successo?».
«Domi, va tutto bene?».
Ma Domi si fece più piccola, ripiegandosi tutta, e allora mi accorsi che, in realtà, Lily e Roxy non la stavano consolando. La stavano praticamente obbligando a sostenere quel discorso.
«Domi?».
Lily e Roxy si scambiarono un'occhiata di cui non colsi il significato.
«Insomma, che cosa c'è, ora? Ci volete dire che cosa ha combinato?».
Classico tatto alla Lucy.
Domi prese fiato.
«Ecco, io...»
«GINNY!!!».
Di colpo la terra mi mancò sotto i piedi, e io venni sollevata in aria da due braccia magre.
«Ginny, grazie a Dio ti ho trovata! Cazzo, quanto pesi!».
Questa voce...
«Al?».
Lily mi strappò dalle braccia di suo fratello di mala grazia, quasi lussandomi il braccio.
«Al, che cosa fai?».
Al le rivolse un sorriso adorabilmente infantile, oscillando un pochino sui piedi.
«Ciao fantasmadimamma. Io non mi chiamo Al, io sono Harry, non ti ricordi? E lei è la mia Ginny» si voltò verso di me, raggiante, ma poi il suo sguardo cadde sulla mia scollatura e assunse un'espressione desolata. «Anche se non ricordavo fosse così piatta».
«Scusa?!».
Al mi afferrò le mani e se le portò al petto con fare drammatico.
«Ginny cara! No, non dire niente!».
Si avvicinò (dovette stare in punta di piedi per guardarmi negli occhi) e mi sussurrò fervidamente: «Ginny, so che mi ami. Che pensi a me da quando eri appena un'infante».
«Ma...».
«No! Non dire niente!». Mi spinse indietro con enfasi, facendomi rotolare, più confusa che mai, addosso a Lily.
«Il nostro amore è destinato a non durare – come la mia vita, del resto! Forze avverse –Voldemort – ce lo impediscono, hanno previsto altra sorte per me! Ma!» lanciò indietro la testa così forte che quasi perse lo scarso equilibrio. «Per quel che è valso, io ti ho amato con tutta la mia sventurata persona! Perciò, Ginny cara» e Al tese le braccia verso di me, contemplandomi come un cavalier servente contemplerebbe la propria regina «me lo dai, quest'ultimo limone?».
Un cavalier servente non troppo galante.
Il ciuffo era scompigliato, le spalle si sollevavano su e giù nell'affanno.
Lo fissai impietrita.
«Ginny cara? I-io dovrei andare a salvare il mondo, ecco non potresti...?»
«N-no! Cioè, ehm, i-io... Non credo di resistere a tutta questa emozione!» balbettai.
Al inspirò rumorosamente, poi, gli occhi verde giada di nuovo allagati, cominciò a battersi le mani sul cuore come un King Kong in miniatura.
«Hai ragione! Come ho potuto non pensarci? Sono così insensibile! Sono così deprecabile! Sono così sfigato!».
Questo zio Harry non deve saperlo.
«Wow. Un complesso di Edipo bello forte, eh» commentò Lucy.
Oh no, si sbagliava.
Sapevo cosa era successo.
«Hooper, comincia a scappare».
Questa volta Stewie non se lo fece ripetere: evaporò in un nanosecondo, seguito a ruota da un esemplare di Albus Severus Potter estremamente letale e incazzato nero.

«E, ehm, Harry, che cosa ci fai qua?».
Al riemerse improvvisamente dalla modalità autolesionistica stile Sirio-il-dragone-dello-Zodiaco e mi osservò stupefatto.
«Giusto, il Pelatone!» esclamò. «Devo avvisare Piton!»
«No!».
Ma si tuffò di testa contro la porta prima che potessimo fermarlo, rimbalzando violentemente di qualche metro indietro. Mio cugino atterrò di schiena, ebbe un paio di convulsioni, svenne, rinvenne e attaccò a borbottare qualcosa contro gli architetti di mille anni fa.
C'era solo una persona in grado di ridurre qualcuno così.
Stewie Hooper.
Domi, sospirando sollevata per l'interruzione, si affrettò a dare una ritoccatina veloce ai nostri costumi e a fare un restauro totale alla divisa di Al.
«Harry, ehm, Piton non è lì. È di qua, vieni con noi».
Lo iniziai a condurre su per le scale, seguita dalle altre che sghignazzavano come ossesse.
«E Ron ed Hermione?».
«Anche loro».
«E saranno vestiti anche loro come voi?».
Al ci fissò curiosamente e non so se fosse solo una mia impressione ma mi parve pure leggermente strabico, in quel momento. E per leggermente intendo al livello di Igor di Frankenstein Junior.
«Si» disse Lily, soffocando una risata. «Ci sarà anche fantasmadipapà».
«Oh bene».
In Sala Grande stavano ancora tutti ballando, e Lily corse a cercare “fantasmadipapà”, ovvero Stewie, perché riportasse Al ai tempi e alle identità giuste.
Intanto, Al-Harry si contorceva inquieto, continuando a bombardarci di domande su persone che non avevano più messo piede a Hogwarts da anni. Beh, eccetto mia madre, che l'aveva fatto proprio quella sera.
«Allora? Piton?».
«Arriva».
«E Ron e Hermione?».
«Stanno pomiciando in un angolo».
«Fateli smettere, tanto Hermione lo mollerà! Andatemeli a chiamare, è urgente».
E così per un quarto d'ora finché, improvvisamente, finalmente, meravigliosamente, la violenza fonica e verbale di Al-Harry si fermò, ma non grazie all'intervento di “fantasmadipapà”.
I suoi occhi raggiunsero una grandezza comica e la forma a cuoricino, un paio di candide alucce gli spuntarono ai piedi e il suo corpo si tese verso l'alto, in una posa simile a quella di un putto rinascimentale.
Aveva visto la Von Bloom.
«C-chi... chi è quella divina creatura?».
La divina creatura in questione schiantò un'intera panca di studenti (maschi) fuori dal salone perché “Zolo perchè è Zan Valentino, non fuol dire che ci si debba festire tutte come una huren!”.
Il fatto che lei confondesse San Valentino con Halloween e maschi con femmine quasi non mi stupì.
«La nostra professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure».
«Meravigliosa...».
E questo è meglio non farlo sapere a zia Ginny.
«Ma, a-ehm, io amo solo te, Ginevra».
«Certo amore mio».
«Ehi».
Scorpius spuntò proprio in quel momento, sgomitando nella folla. Io e le altre trattenemmo il fiato quasi contemporaneamente, ma Scorp ci ignorò.
«Al, ti ho cercato ovunque! Dobbiamo andare, ci sono le sfide di...».
Ma Al-Harry si rialzò in tutta la sua misera altezza, lanciò un'occhiata alla Von Bloom come se sperasse che lei lo stesse guardando e ritornò a Scorpius con esaltata ferocia.
«Io non vado da nessuna parte con il figlio di un Mangiamorte, Malfoy. Ormai dovresti saperlo».
«Come scusa?».
L'interpellato impallidì di colpo, ferito, e indietreggiò tremando.
«So chi sei, Malfoy» rimarcò Al-Harry. «E non voglio avere niente a che fare con gente come te».
«Al...».
Scorpius diventò rosso, poi verde e poi di nuovo bianco, come un salvaschermo di Microsoft.
«V-voi siete pazzi» esalò infine. Poi corse via.
E noi rimanemmo lì, ancora agghiacciate, con Al-ho-appena-perso-cinque-anni-di-amicizia-Harry in mezzo che si pavoneggiava tutto fiero.
«Vado io».
Domi sospirò, svicolò e inseguì Scorpius, Lucy si massaggiò stancamente le tempie, io mi lasciai cadere sulla panca improvvisamente nauseata. Avevamo risolto una cosa ed ecco crearsi grane su grane, di nuovo.
«Ma almeno ci dici cos'è successo con Domi?» mormorai esasperata.
Roxy spostò il peso da un piede all'altro.
«È meglio parlarne in un momento più tranquillo, fidatevi».
«Hermione!».
Al si lanciò in avanti e afferrò una mummia dai capelli cespugliosi e scuri per un gomito, tirandola con forza verso di noi.
«Hermione eccoti!».
La tipa si voltò di scatto e trasecolai quando mi accorsi che era Stephanie MacMillan, redattrice del giornalino della scuola, nonché ex mittente segreta dei miliardi di bigliettini bollenti rivolti a Virginio Sardèl. Beh, segreta finché Lucy, ingaggiata da lui, non l'aveva amabilmente beccata e sputtanata, facendo per di più innamorare di sé Virginio.
«Potter, che cosa ti sei bevuto?»
Al indietreggiò appena, schifato.
«Whoa, ma non te li eri aggiustati i denti?».
Fuoco alle polveri.
Stephanie spalancò la bocca, oltraggiata – due denti effettivamente grandi biancheggiarono dentro di essa – e portò una mano a cercare freneticamente il block notes nella sua borsetta avvolta nella carta igienica.
«C-come osi! Q-questa me la paghi, tu, piccolo, insolente...».
«Cos'è che vuoi fare, MacMillan?».
Lucy si fece avanti con un ghigno, in tutta la sua inquietante aura di donna fantasma perfettamente calata nella parte, e affrontò di petto l'altra. Stephanie, dal canto suo, cambiò atteggiamento di colpo e da diva offesa diventò una vipera pronta a una guerra all'ultima fiala di cianuro.
«Weasley, che piacere vederti».
«Stai avendo una bella serata, Steph? Io e Virginio ci stiamo divertendo molto». Lucy sorrise come un gatto e l'altra assunse una colorazione verdognola.
«Immagino che Virg... Sardèl sia una piacevole compagnia, a differenza di altri».
«Oh, non sai quanto».
La MacMillan si irrigidì tutta e, sotto il costume, si colorò di chiazze rosse come la Pimpa, tanto che quasi mi sarebbe dispiaciuto per lei, se non avessimo avuto grattacapi a sufficienza a cui pensare.
«Tu lo usi solo per il suo corpo! Il vero amore non...».
Ah, e se non fosse stata un'ipocrita bacchettona puritana, ça va sans dir.
«Può anche darsi» mentì spudoratamente Lucy. «Ma non ti preoccupare che si fa usare molto volentieri».
E Stephanie, semplicemente, le diede uno schiaffo.
Uno schiaffo.
A Lucy Weasley.
Tutta la Sala trattenne di colpo il fiato e smise di ballare, o meglio si pietrificò, Lucy, nel silenzio generale che – eccezion fatta per la musica – era calato, si voltò con calma verso la Corvonero.
E poi, con un ringhio, le si buttò addosso.
«Lucy, no!».
Le separammo appena possibile, ma non abbastanza in fretta perché Lucy non stendesse Stephanie con un gancio ben assestato.
«Lucy, che cosa fai! Sei impazzita!».
Per tutta risposta lei si raddrizzò e inspirò, pronta a ribattere, ma poi aggrottò le sopracciglia, guardandoci perplessa.
«Dov'è Al?»
Mi scrutai attorno freneticamente: Al trotterellava sulle scale, scodinzolando dietro quella che, a giudicare dai tacchi e dall'andatura da anaconda ubriaca, doveva essere la Von Bloom.
Tirai giù tutti gli angeli del Paradiso e di tutti gli altri Regni divini con una frase, scavalcai il corpo inerme di Stephanie e mi gettai di nuovo all'inseguimento.
“Se non mi ammazzo questa sera non mi ammazzo più”, pensai mentre mi lanciavo verso il corridoio del primo piano.
Sentii una porta sbattere quando ero ancora sui gradini, così fui costretta ad aprire una a una tutte quelle che c'erano.
Vuota, vuota, vuota, Domi e Fogg che pomiciano, v...
Aspetta un attimo, che?
Rimasi un attimo impalata davanti alla porta numero cinque, poi corsi indietro di uno. Non mi ero sbagliata, effettivamente dentro trovai, sdraiati su un banco e teneramente abbracciati, il mio prof di Volo e mia cugina. Fogg aveva i capelli blu, ma non c'erano dubbi, era lui. L'Idiota per eccellenza.
I piccioncini parlavano fitto fitto, e si accorsero di me solo quando tesi il braccio come la scimmia cattiva di Chris Griffin e urlai “VOI!!” a gola spiegata.
Non era possibile, non era semplicemente possibile che una serata del genere stesse capitando a me! Avevo appena salvato un pinguino platinato, per l'amor di Merlino!
I due si staccarono come se si fossero scottati e mi guardarono angustiati... o meglio, mia cugina lo fece, Fogg mi salutò entusiasticamente con la mano, continuando a occhieggiare Domi di tanto in tanto con aria adorante.
«Rose, posso spiegare...».
Chiusi la porta, feci qualche passo ma poi mi accasciai sconfitta. Era troppo.
«No, non credo ci sia niente da...».
«Deutschland, Deutschland über aaaaaaaalles, über alles in der Weeeeeeeelt».
La porta si spalancò ed entrarono rovinando Al e la Von Bloom, abbracciati l'uno all altro.
«Wenn es stets zum Schutz und Trutze, bur... ber...brüderlich zusammeeeeeeeeeeeenhält» cantò la Von Bloom lanciando in aria il pugno.
«Zusammenaaaa» fece eco Al.
«Von der Maas bis an die Memel, von der Etsch bis an den Belt» prese fiato per la nota finale «Deutschland, Deutschland über alles, über alles in der Weeeeeeeeeeeeeeeeelt».
La prof terminò con un singhiozzo ubriaco e Al applaudì freneticamente.
«Brava! Brava! Bella e brava!» e si lanciò in avanti per baciarla, ma la Von Bloom scelse quel momento per appoggiarsi alla parete e lui la mancò, spiaccicandosi sul pavimento come una mosca.
«Professoressa Von Bloom, anche lei qui?».
L'Idiota la salutò energicamente, tentando di rialzarsi dal banco dove Domi lo artigliava, Al mi vide e iniziò a tartagliare qualcosa su amori che vanno colti al balzo come le pluffe prima dell'intervento di zii Pelati, la Von Bloom... beh, la Von Bloom mi vide, disse “Wizley” a mo' di saluto e, schiena aderente al muro, si lasciò scivolare anche lei a terra, dove si addormentò profondamente.
E per me era troppo.
Mi voltai di scatto e schiantai prima Al e poi Fogg, sollevando un urletto orripilato da parte di Domi. Fogg rotolò giù, io sollevai Al con un Levicorpus e poi puntai la bacchetta contro mia cugina.
«Tu ora prendi Fogg e lo porti svenuto ai suoi appartamenti, ci siamo capite?» ordinai. «La Von Bloom lasciala lì. Ci vediamo dopo in Dormitorio».
Uscii dall'aula senza aspettare risposta, trascinandomi dietro Al come un buffo palloncino di stoffa nera e carne.
Sulle scale incontrai le mie cugine e Stewie, mollai Albus all'altro Serpeverde, mandai Lucy, Lily e Roxy ad aiutare (e controllare) Domi e poi arrancai nel Dormitorio, dove mi gettai a letto truccata di tutto punto e in mutande.
Mi addormentai appena sfiorai il materasso.

 

  
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