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Autore: Strega_Mogana    17/02/2015    1 recensioni
Severus Piton non è il Principe Azzurro.
Severus è un cattivo.
E per i cattivi non esiste un “per sempre felici e contenti”
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altro personaggio, Severus Piton
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Capitolo 21: Sei tu


Patricia osservò con preoccupazione la pozione che bolliva in un pentolino di rame. Ricordava molto bene il colore della pozione che Merlino le aveva fatto prendere, era di un bel verde, quasi trasparente. Il risultato che aveva ottenuto lei era un verde marcio, densa che a malapena si staccava dal cucchiaio.
Non era certa che facesse effetto, ma non poteva farne altra.
Era nella cambusa assieme al cuoco, aveva trovato gli ultimi ingredienti che le servivano tra i rifiuti della cucina e nella dispensa. Merlino parlava di ossa di animale, ma lei aveva solo trovato delle lische di pesce. Merlino aveva descritto anche un'erba aromatica, non era certa di aver trovato quella giusta, aveva aggiunto quello che più somigliava alla descrizione scritta.
Con una smorfia disgustata la mescolò mentre i vapori la facevano sudare e il cuoco le urlava di pelare altre patate.
Sapeva che la pozione doveva riposare almeno un'ora, chiuse il coperchio e mise la pentola dove il cuoco non l'avrebbe vista.
Aveva pensato ad un piano mentre pelava le patate nei giorni precedenti.
Viaggiavano da qualche giorno e il Capitano l'aveva affidata alle cure del cuoco in modo che non potesse fare pasticci sul ponte o sottocoperta.
Quella notte avevano trovato sul loro percorso una tempesta, la nave oscillava da ore, il vento frustava le vele così forte che aveva paura che potesse strapparle da un momento all’altro. La pioggia picchiava così forte che sul ponte sembrava di stare sotto una pioggia di sassi. I tuoni rimbombavano nel cielo scuro e i lampi illuminavano il mare nero.
Sapeva che si erano avvicinati molto all'Isola della Bella Addormentata, mancava una mezza giornata di navigazione.
Non poteva più aspettare o temporeggiare oltre.
Severus iniziava a peggiorare e le aveva detto che non era certo di voler scendere dalla nave, che la Jolly Roger poteva essere la sua nuova casa.
Avrebbe fatto bere la pozione a Severus, avrebbero rubato la bussola e nuotato fino a terra.
Non sapeva se la pozione avrebbe funzionato.
Non sapeva come rubare la bussola.
Non ricordava neppure se Severus sapeva nuotare. E con quella tempesta potevano morire.
Ma doveva rischiare o sarebbe impazzita anche lei su quella nave.
Dopo mezz’ora a sbucciare patate e tagliare cipolle, il grasso cuoco si era addormentato sullo sgabello davanti ai fuochi in attesa che lo stufato cuocesse nel modo giusto o, comunque, in modo commestibile.
Patricia ne approfittò per sgattaiolare all’amaca che usava come letto, aveva bisogno di una bottiglia vuota e ne aveva viste parecchie attorno alle cuccette degli altri marinai. Non osava rubarne una dalla cucina, il cuoco non era un intelligentone, ma poteva anche essere il tipo d’uomo con una memoria fotografica invidiabile. Non voleva correre rischi inutili.
Presa la bottiglia vuota, andò alla sua cuccetta solo per assicurarsi che le borse fossero ancora dove le aveva lasciate. Mentre verificava velocemente che tutto fosse in ordine notò nella sacca di Severus una piccola tasca esterna che non aveva notato prima, era quasi invisibile, dello stesso colore della borsa, con cuciture sottili che quasi sparivano tra la stoffa.
Velocemente l’aprì trovandosi mano un sacchetto di tessuto. Quando vi guardò dentro avrebbe voluto gridare dalla gioia.
- Non dirò mai più che la tua fissazione per le pozioni è noiosa, Sevvy.- mormorò mettendo il sacchetto in tasca.
Rientrando in cucina lanciò subito un’occhiata al cuoco che, fortunatamente, non si era mosso dalla sua posizione.
Prese un impolverato mortaio da una credenza sbilenca e aprì il sacchetto che aveva trovato nella tasca.
Due fiori di papavero caddero nel mortaio con delicatezza. La strega prese il pestello e iniziò a pestarli cercando di non svegliare il cuoco. Le ci volle più tempo di quanto avesse previsto, Severus era stato abile a tritarle con solo un sasso, lei non usava un mortaio e un pestello dal quinto anno di Hogwarts, durante l'esame dei G.U.F.O. dove la sua pozione non solo era del colore sbagliato, ma era schizzata sulla mano della sua compagna di banco facendole uscire sulla pelle orribili bolle viola.
La polvere era più grossa rispetto a quella che aveva preparato Severus, sicuramente lui avrebbe avuto molto da ridire sul suo operato, ma al momento il professor Piton stava sull'albero maestro di vedetta cantando a squarcia gola con il vento che si portava via le sue note stonate.
Avrebbe potuto pestare ancora un po' la polvere, ma aveva sentito il cuoco agitarsi e non poteva farsi vedere. Mise la polvere nel sacchetto che prima aveva contenuto i fiori e rimise a posto il pestello senza curarsi di pulirlo: sapeva che quel marinaio non l'avrebbe mai più usato.
Velocemente riprese la pozione, non aveva riposato l'ora necessaria ma, ormai, nulla di quello che c'era scritto nella ricetta di Merlino era stato rispettato.
Aiutandosi con un mestolo che, di certo, non veniva pulito da qualche decennio riempì la bottiglia e mise la pentola nell'acquario mentre il cuoco si stiracchiava sullo sgabello.
- Hai pelato le patate, stupido mozzo?
Era un po' stufa di esser chiamata solo come mozzo, ma lasciò perdere la questione. Non doveva dare troppo nell'occhio.
Annuì fingendo di fare altro.
Il marinaio si alzò, emise un rumoroso peto e controllò lo stufato.
- La sbobba è pronta, mozzo. – urlò levando il grosso pentolone dal fuoco – Prima di dar da mangiare agli altri dobbiamo portare la cena al Capitano. Prepara il vassoio.
Patricia eseguì l’ordine così come le era stato spiegato, o meglio urlato, il giorno prima. Prese il vassoio più bello che avevano, posizionò piatti e posate puliti e lucidati e riempì la caraffa di vino. Il cuoco servì lo stufato nel piatto, posizionò qualche fetta di pane riscaldato sulla pietra vulcanica sotto i fuochi e la fissò con astio.
- Porta il tutto a Capitano Uncino. E vedi non rovesciare nulla questa volta!
Con il vassoio in mano, cercando di mantenere l’equilibrio nonostante i continui rollii della nave, Patricia arrivò fino alla cabina del Capitano. Bussò pestando la punta dello stivale sulla porta senza ricevere risposta.
Cautamente resse il vassoio con una mano mentre con l’altra apriva l’uscio ed entrava.
Era la prima volta che vedeva l’interno della cabina, solitamente il capitano prendeva la sua cena e la sbatteva fuori senza troppi complimenti, ora, invece, era deserta. Si sentivano gli scricchiolii del legno durante la tempesta, dalle finestre vedeva il mare infuriare e le saette attraversare il cielo scuro. Appoggiò il vassoio sulla scrivania e si guardò attorno per assicurarsi che non ci fosse effettivamente nessuno. Estrasse con velocità il sacchetto e mischiò nello stufato la polvere di papavero, nella speranza che, anche sbriciolato in modo così grossolano, facesse ugualmente effetto.
Velocemente appallottolò il sacchetto dentro la tasca dei pantaloni e si guardò attorno. L'attenzione fu catturata da una fiala riposta su una mensola alle spalle della scrivania. Era piccola, sottile, sembrava contenere un liquido dorato.
Si avvicinò con cautela, senza staccare gli occhi dall'oggetto, sembrava la pozione della fortuna con quel colore, eppure non sembrava del tutto liquida.
Allungò la mano per prenderla ed esaminarla meglio.
- Io non lo farei se fossi in te, mozzo. - disse un'improvvisa voce maschile facendola sussultare.
Si voltò verso la porta, Capitano Uncino la fissava con sospetto, dritto in piedi ad occupare l'unica sua via di fuga.
- Io... io...- balbettò – mi scusi, Capitano. Non accadrà più. Non avevo mai visto nulla di simile.
- Posso crederti. - rispose il capitano entrando nella cabina e togliendosi il cappello, appoggiandolo poi su una logora poltrona dello stesso colore della casacca con i ricami dorati - Polvere di fata. - spiegò - Praticamente introvabile in tutto il regno. Le fate sono quasi del tutto sparite. Poca gente crede ancora in loro.
- Polvere di fata? Quella che fa volare?
- Esatto. Quella che vedi nella boccetta, - continuò indicando la mensola con l'uncino – mi è costata una fortuna. Quindi evita di metterci sopra le tue mani sporche, mozzo.
Capitano Uncino finì di sistemarsi, slacciò la cintura che teneva in vita e la appoggiò sulla spalliera della stessa poltrona dove aveva appoggiato il capello. Si svuotò le tasche sulla scrivania appoggiando nell'ordine una pipa, un vecchio orologio da taschino e la bussola.
- Me ne vado subito, Capitano. - disse la strega decisa ad aspettare fuori dalla porta il momento giusto per agire.
- Aspetta, mozzo. - lo bloccò l'altro sedendosi a tavola e fissando il cibo – Questa sera voglio che mi intrattieni.
- Co... cosa?
Il marinaio si portò una cucchiaiata di stufato alla bocca.
- Canta, suona, fai un ballo o narrami una tua storia. - biascicò con la bocca piena sputazzando cibo sul tavolo – Fai qualcosa per divertire il tuo Capitano.
Patricia si guardò attorno, aveva visto un pianoforte appena entrata, sua madre era stata un'insegnate di piano, aveva provato a darle qualche lezione quando era piccola. Non ricordava molto, ma qualche canzone riusciva ancora a suonarla.
- Cos'ha messo il cuoco nello stufato questa sera?- domandò Uncino mangiando avidamente - Sembra più buono.
- Non lo so, Capitano.- rispose la donna sedendosi al piano – Il cuoco non condivide le sue ricette con me.
Osservando i tasti cercò di ricordarsi qualche lezione di sua madre. Iniziò a suonare una canzone allegra, una delle prime che insegnano ai principianti. Una filastrocca che suonava molto da bambini.
Il capitano non disse nulla, continuò a mangiare a testa china, prendendo anche il pane da inzuppare nel sugo della carne.
Senza smettere di fissare i tasti Patricia suonò un'altra melodia, sempre allegra, sempre per i bambini che imparano le basi del pianoforte.
Stava per finire la prima strofa quando udì un forte rumore. Smise di suonare e voltò vero Uncino.
La pozione l'aveva fatto addormentare di colpo facendolo finire con la faccia nel piatto.
Sapeva che non poteva perdere tempo in cose inutili. Velocemente prese la bussola e sollevò il coperchio.
La gemma rossa fissava il nord sulla rosa dei venti dipinta sulla base, cercò un punto per togliere il vetro di protezione, provò a scuoterla, a picchiarla sulla mano, ma il vetro era ben fissato.
- A mali estremi... - mormorò.
Prese uno dei cuscini disposti sul letto poco distante, mise la bussola per terra e ci posizionò sopra il cuscino. Con forza pestò il cuscino sentendo la bussola sotto il tacco, l'imbottitura aveva attutito il suono, ma il vetro era andato, comunque, in mille pezzi.
Soddisfatta Patricia scostò i vetri e prese la gemma che emanò un bagliore rosso tra le sue mani. Si affrettò a metterla nel sacchetto che portava al collo e a nascondere la bussola distrutta sotto il letto.
Prima di uscire dalla cabina prese la boccetta con la polvere di fata.
Poco ferma sulle gambe per via della tempesta andò in cucina e prese la bottiglia con la pozione, i marinai cenavano sotto coperta quando il tempo non era dei migliori, quelli che non avevano nulla da fare mangiavano nelle cuccette, gli altri finivano in fretta, poi tornavano al lavoro.
- Dov'é Seve... Spugna? - domandò agli altri guardandosi attorno.
- Ancora di vedetta. Non vuole muoversi da lì. Dovrai potargli da mangiare direttamente sull'albero maestro.
La strega masticò un’imprecazione colorita. Uscì sul ponte con il vento che le fischiava nelle orecchie; la pioggia l’aveva inzuppata dopo una decina di passi e la nave rollava così forte da farle venire immediatamente la nausea.
- Me la pagherai, Severus. – mormorò arrivando a fatica alla base dall’albero maestro.
Si aggrappò alle corde e guardò in alto: Severus era solo un puntino indistinto in mezzo alla tempesta.
- Se muoio, giuro che vengo a perseguitarti come fantasma, Sevvy. Oh ti perseguiterò fino alla tua morte e anche oltre!
Facendosi coraggio ed imponendosi di non guadare mai giù, iniziò ad arrampicarsi sentendo la bottiglia incastrata nella cintura a diretto contatto con la schiena, il sacchetto con le gemme al collo, adagiato tra i seni e la fiala con la polvere di fata premuta sulla gamba dentro i pantaloni.
Si arrampicò piano, insultando l’amico, combattendo contro la sua paura più grande, fermandosi quando il vento la faceva ondeggiare troppo.
Arrivata alla vedetta si arrampicò sulla sponda di legno e si accasciò a terra. Piangeva silenziose lacrime di terrore che si mischiavano con la pioggia, tremava per il freddo e paura.
Severus si chinò su di lei.
- Ehi Bill stai bene?
- No, stupido. Non sto bene. E non mi chiamo Bill, mi chiamo Patricia!
Si alzò, il vento, a quell’altezza, era più forte che sul ponte in basso, il capello venne spazzato via e i suoi capelli neri si sciolsero nel vento.
Il mago sgranò gli occhi, sembrava inorridito.
- Una donna! – gridò puntando il dito contro di lei – Porta male una donna sulla nave!
- Sì, va bene.- borbottò lei prendendo la bottiglia che aveva dietro la schiena – Tieni, ti ho portato del rum. Bevi, Spugna.
- Ma…
- Non hai freddo? Questo ti aiuterà a scaldarti.
Severus la guardò storto, ma prese la bottiglia e buttò giù una lunga sorsata.
- Ma che schifo! – gridò disgustato – Questo deve essere andato a male.
Lo vide ondeggiare pericolosamente e reggersi all’albero maestro per non cadere di sotto.
- Cosa mi hai dato donna? – mormorò portandosi una mano alla gola.
- Credimi, - gli disse rovistando nella tasca per prendere la fiala con la polvere di fata – mi ringrazierai.
Severus quasi si accasciò a terra chiudendo gli occhi, Patricia fece una smorfia sperando non di averlo avvelenato.
Una piccola esplosione catturò la sua attenzione, abbassò lo sguardo trattenendo un urlo di terrore per la vertiginosa altezza ed intravide Capitano Uncino sul ponte, con il vento che gli spostava i capelli dal volto ancora sporco di cibo, la pistola, nell’unica mano a sua disposizione, fumava ancora. Sbraitava, ma non si capivano le parole.
- Ecco, - disse la donna – lo sapevo che la polvere non era tritata bene. – si voltò verso l’amico che si teneva la testa tra le mani – Andiamo Severus, riprenditi!
Il mago mormorò qualcosa di incomprensibile.
- Sevvy!
- Non… non chiamarmi… Sevvy…
Patricia sorrise.
- Stai tornando in te.
- La mia testa… io sono Spugna
- Oh maledizione!
Stappò la fiala e si versò tutta la polvere sul palmo della mano.
- Devi avere un pensiero felice. - gli disse avvicinandosi – Così voleremo all’isola. Hai capito?
Un altro colpo arrivò più vicino al ponte di vedetta. Patricia si sforzò di guardare giù e vide Uncino arrampicarsi sulle corde.
- Anche se non hai capito non c’è tempo.
Lanciò un po’ di polvere scintillante su di sé e il resto su Severus, con un urlo e una spinta si lanciò verso l’amico cogliendolo di sorpresa. Si sbilanciarono e caddero insieme oltre la balaustra di legno.
Precipitavano a grande velocità.
La strega sentì la polvere fare effetto, sentiva la loro caduta rallentare, ma il peso del mago era troppo per lei. Cadevano nonostante tutto nel mare freddo ed in tempesta.
- Severus un pensiero felice! – gridò la strega – Ti prego altrimenti cadremo in mare! Avrai pur dannato un pensiero felice!
Il Preside l’afferrò per le spalle e sollevò la testa fissandola.
- Sei tu.
   
 
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