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Autore: cup of tea    17/02/2015    0 recensioni
La notte di Capodanno, quattro sconosciuti - Rachel Berry, Kurt Hummel, Quinn Fabray e Sam Evans - si ritrovano sul tetto di un palazzo, tutti con lo stesso proposito: buttarsi giù. Ognuno ha i suoi buoni motivi per farla finita, ma la sera si conclude con un nulla di fatto. Anzi, i quattro firmano di un patto che li obbliga a non togliersi la vita almeno fino a San Valentino. Nascerà tra loro un legame, più simile a una costrizione, almeno all'inizio, ma poi sempre più simile a una vera amicizia che li aiuterà ad affrontare le avversità.
(Warning: Samchel)
Liberamente tratto dal film "Non buttiamoci giù" ("A Long Way Down") di Pascal Chaumeil, a sua volta basato sul libro omonimo di Nick Hornby.
[Questa storia partecipa al Glee Big Bang Italia, organizzato da Flan e ALanna]
Dal testo:
"Che ci fa una promettente giovane attrice di Broadway, appena entrata nel pieno della sua fiorente carriera, sul tetto di un palazzo, la notte di Capodanno?
Be’, permettetemi di metterlo subito in chiaro, perché i giornalisti finiscono sempre per alterare la realtà: arriva un momento, nella propria vita, in cui non ce la si fa più."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Quinn Fabray, Rachel Berry, Sam Evans | Coppie: Blaine/Kurt, Puck/Quinn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA TAVOLA DI CUP OF TEA
 
Eccoci alla seconda parte di quattro di questa ff.
Lasciatemi dire che sono strafelice del “successo” che ha avuto la prima, e ringrazio ovviamente ilove_tay_13 per aver recensito e tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate. Un gigante, immenso, infinito GRAZIE.
Fatemi sapere che ne pensate di questo nuovo capitolo!
Cup of tea
 
 
PARTE SECONDA - People help the people
 
 

KURT
 
 
Fisso il monitor del computer.
Il mio curriculum è penoso.
Vent’anni e nessuna esperienza lavorativa, studi interrotti dopo aver preso il diploma, provini falliti.
Come sono sopravvissuto a New York così a lungo? Ah, già. Papà, nonostante tutti i problemi dell’officina, non mi fa mancare mai niente… è proprio un angelo. Accompagnatomi all’aeroporto, aveva detto: «Vedrai, New York è una città piena di possibilità. Se ce l’ha fatta Julia Roberts in quel film, ce la può fare anche Kurt Hummel».
E invece no.
Nessuno ha avuto, né avrà intenzione di assumermi.
Mi strofino la faccia con le mani.
È passato un mese e mezzo da quando sono qui e non ho ancora combinato nulla, a parte la faccenda del suicidio.
Ma da quando sono diventato così pessimista? Una volta dimostravo un amor proprio smisurato, ora invece mi calpesto da solo. Scuoto la testa come se stessi parlando con qualcuno. Devo ritrovare il Kurt Hummel che fa tutto di testa sua e persegue i suoi obiettivi a dispetto di ciò che dicono gli altri.
Perciò, obiettivo a lungo termine: entrare alla Nyada.
Obiettivo a breve termine: trovare un lavoro che mi permetta di mantenere gli studi.
Chissà, magari allo Spotlight Diner hanno bisogno di una mano. Mi è sempre piaciuto come locale: i camerieri sono giovani e vivaci, e improvvisano canzoni di punto in bianco. Potrei avere un’opportunità.
Stampo le poche pagine che ho scritto, mi preparo con il mio più bel completo, sistemo i capelli con tre litri di lacca, mi armo di tutto lo charme che possiedo ed esco. So che sono aperti anche se è il primo dell’anno, e questo mi fa sperare che abbiano un gran bisogno di un paio di braccia in più per affrontare i turisti in vacanza.
 
Prendo il tram e mi siedo di fianco a una dolce vecchina, quando sento vibrare il cellulare nella tasca del cappotto.
Sam?
«Pronto?» Rispondo, incerto.
«Kurt, sono Sam. Io e Rachel abbiamo bisogno di te e Quinn. Appena potete, raggiungeteci all’Hot Coffee, tra la Novantesima e Broadway. Riesci a passare a prenderla?»
«D’accordo… ehm… vado a prendere Quinn e vi raggiungiamo. Prima però devo passare da un’altra parte. Lasciatemi un’ora di margine.»
«D’accordo, ma fai in fretta.»
Mi mette giù prima che possa dire altro. Va bene tutto, ma questa cosa del patto non so più se sia stata una buona idea. Cosa ci sarà mai di così urgente? E soprattutto, che modi sono? Vado a prendere Quinn solo perché abita vicino allo Spotlight, altrimenti ognuno avrebbe fatto per sé, sia chiaro. Sono ancora lontano dal considerarli “amici”; il mio era solo un modo per salvarci tutti, non un’occasione per socializzare. Nella mia fantasia ci saremmo ritrovati solo a San Valentino a decidere il da farsi… le opere di bene le avevo circoscritte a ieri sera.
Sono troppo buono.
 
Scendo alla fermata più vicina alla tavola calda ed entro.
«Prego, vuole accomodarsi?» Mi accoglie una ragazza bionda in divisa rossa e con cartellino con il nome. “Dani”, leggo. Non mi sono neanche accorto che è ora di pranzo.
«No, grazie… sono qui solo perché vorrei lasciare il mio curriculum.»
Dani si gira e chiama quella che immagino sia il suo superiore. «Santana, hai tempo per un candidato?»
Arriva una ragazza dai tratti ispanici e con gli zigomi tondi che invita Dani a tornare ad occuparsi degli altri clienti, mentre lei sta per occuparsi di me. Fa un po’ paura, ma le lingue taglienti sono lacca per i miei capelli.
«Allora, tu sei?»
«Kurt Elizabeth Hummel.» Mi presento.
«Bene, Lady Hummel, seguimi sul retro.»
Cominciamo già con i soprannomi.
La diavolessa in minigonna mi fa strada dietro il bancone e poi attraverso un magazzino, fino a raggiungere il cortiletto interno del locale, il cui accesso è consentito solo ai dipendenti. Ci sediamo su due sedie poste a margine, di quelle che probabilmente vengono usate per la “pausa sigaretta” dei meno salutisti.
Giusto il tempo di consegnarle il curriculum e il mio inaspettato colloquio di lavoro comincia.
«Dunque, Porcellana, che fai nella vita?»
«Attualmente cerco lavoro.» Non mi viene in mente una risposta migliore.
«Naturalmente, o non saresti qui.» Intanto sfoglia il mio misero pacchetto di esperienze. «Hai già lavorato come cameriere?»
«No.»
«Studi?»
«Non al momento.»
«Perché vuoi lavorare allo Spotlight Diner?»
«L’idea è quella di riuscire a guadagnare almeno un minimo per garantirmi indipendenza economica. Lo Spotlight mi sembra un’ottima palestra e un posto vivace e dinamico dove possa imparare un mestiere.» Risposta studiata a memoria e valida per qualsiasi posto di lavoro per cui mi sono candidato.
Rimane in silenzio per qualche minuto, studiandomi a fondo.
«Bene,» dice poi. «Direi che può bastare. Come avrai notato, il lavoro è molto, soprattutto in questo periodo, e, se è vero che abbiamo bisogno di una mano con i clienti, è altrettanto vero che non possiamo perdere tempo per insegnare a qualcuno come si fa. Perciò, ti ringrazio per aver pensato a noi, ma non puoi entrare a far parte della squadra. So che capirai. Ora ti riaccompagno all’uscita, a meno che tu non voglia ordinare qualcosa.»
«Ma io…» Comincio, ma mi sta già spingendo all’interno.
Nel magazzino si sente provenire della musica, che scopro essere Dani che suona la chitarra su un piccolo palco. Non perdo quest’occasione: riconosco la canzone, mi libero di Satana – il nomignolo è voluto – e raggiungo la bionda intonando già le note. Prima non ho avuto neanche modo di mostrare le mie qualità. Ma le farò cambiare idea.
Dopo qualche minuto, qualche cliente si unisce al coro, altri si alzano e si avvicinano a noi. Dani e io ci armonizziamo bene e il suo gran sorriso è contagioso. Noto Santana osservarci da lontano, ma non mi importa cosa stia decidendo: mi sto divertendo come non mi capitava da tanto. Si unisce a noi un altro cameriere e alla fine il locale è pieno di persone che applaude e fischia. Finita la canzone, Dani mi abbraccia forte e mi sussurra: «Dovremmo farlo più spesso!», mentre l’altro ragazzo si complimenta per la mia voce. Già, a quanto pare sono ancora capace di cantare, e lo faccio anche piuttosto bene.
«Lady Hummel!» mi chiama la Vipera. O ho una possibilità concreta, o mi sbatte fuori dal locale per sempre.
«Cominci domani alle sette. Dani, sarai responsabile della sua formazione.»
Aspetto che se ne vada e poi comincio a esultare saltellando con questa bionda ragazza, con cui so già mi troverò benissimo.
 
Ora, mi dirigo da Quinn.

 
***
QUINN
 
«Di cosa hanno bisogno?» Chiedo sconcertata. Sono sull’uscio di casa, con uno di quelli di ieri sera che mi sta dicendo cose assurde.
«Che li raggiungiamo all’Hot Coffee. Non ho idea del perché.» Mi risponde… come si chiama? Ah, Kurt Hummel. Credo.
Sapevo che questo patto si sarebbe dimostrato una catena al collo. Siamo solo al primo di gennaio e già devo fare qualcosa per loro.
«Mi metto le scarpe e arrivo.»
«Gli anfibi o le ballerine?» Chiede appena faccio per rientrare in casa.
«Come scusa?» Lo fulmino.
«Niente, niente. Mi chiedevo solo a cosa dobbiamo il cambio di look.»
Indosso un abitino rosa pallido con collant neri e sono tornata bionda, e soprattutto pettinata.
«Di certo, non devo niente a voi.» Mi giro e vado alla scarpiera, senza invitarlo ad entrare.
«Se vuoi un consiglio, anche gli anfibi ci stanno bene. Ti donerebbe quell’aria rock chic che ieri sera mancava.» Urla, in modo che io senta perfettamente i suoi inutili commenti.
Prendo delle scarpe con il tacco e il cappotto di lana e gli passo davanti attraversando la porta di ingresso.
«Dove hai la macchina?»
«Sono venuto con il tram, e da qui all’Hot Coffee sono solo tre fermate.»
Alzo gli occhi al cielo: non ho voglia di prendere i mezzi pubblici, ma non voglio neanche farmi accompagnare dall’autista di papà. Temo che dovrò adattarmi.
«D’accordo, ma mi paghi tu il biglietto.»
«Cosa?! Non se ne parla!»
«Se ne parla, eccome! Hai appena deliberatamente fatto osservazioni sul mio aspetto fisico e con vago sarcasmo, aggiungerei! Kurt Hummel che etichetta le persone per l’apparenza, da te non me lo sarei mai aspettato!»
«D’accordo, va bene, va bene, va bene. Bontà celeste, quando inizi non la smetti mai?»
«Più o meno.» Sorrido per la vittoria e mi avvio alla fermata. «Comunque, potresti lavorare per una rivista di moda, sembri intendertene.» Gli suggerisco.
«Comunque, questo look ti dona di più. Viso d’angelo, con lo spirito di un ghepardo.» Risponde facendomi il verso, dopo un attimo di riflessione.
«Lo prenderò come un complimento.»
«Lo è.»
Forse, io e Hummel siamo più simili di quello che crediamo. Con l’unica differenza che lui non avrà il pancione fra qualche settimana.
 

 
***
RACHEL
 
Sono all’Hot Coffee che chiacchiero del più e del meno con Sam, quando dalla porta a vetri entrano Quinn e Kurt.
«Interrompiamo qualcosa?» Chiede Quinn con impertinenza. Vedo che è tornata al suo vecchio look, quello del volantino. Così avrà anche un’aria dolce e aristocratica, ma il caratteraccio non lo nasconde neanche così. Divento rossa come un peperone e tento di negare qualsiasi cosa stia insinuando, mentre Sam non ne sembra minimamente toccato. A volte mi chiedo se sia davvero così buono da non vedere la malizia in nessun altro o se, sotto sotto, sia un po’ tonto. In ogni caso, non posso fare a meno di trovarlo adorabile.
«Sedetevi» taglio corto.
 
Quando cerco di introdurre la ragione della convocazione, Kurt e Quinn sono intenti nella consultazione del menu e un pensiero angosciante si fa largo nella mia testa: Quinn ha un tumore allo stomaco! Che pessima scelta averla portata in una caffetteria! Sono una persona orribile! Sicuramente starà facendo la spunta di quello che non può mangiare… e si deprimerà e sarà tutta colpa mia.
«Quinn… hai, come dire… preso tutto quello che dovevi?» Chiedo.
Lei alza la testa dall’elenco e mi guarda confusa.
«Sì, insomma… le tue medicine.»
Sembra un po’ scendere dalle nuvole, ma poi intuisce cosa intendo. «Oh, sì, le medicine. Ma certo. Ora le prendo.»
Adolescenti. Bisogna sempre ricordare loro tutto.
«Anzi, lo farò in bagno… sapete, non mi piace farmi vedere. Kurt, puoi ordinare per me? Con permesso.»
Kurt annuisce e lei va verso la toilette delle signore.
Quando torna, sul tavolo ci sono il tè chai di Kurt e il suo tè verde deteinato.
 
«Dunque,» riprovo ad introdurre l’argomento, «la ragione per cui vi abbiamo fatto venire qui è che so come fare un po’ di soldi.» Un incipit perfetto. Sono entrata in scena e ora i loro occhi sono puntati su di me. Non conosco le ragioni per cui abbiano bisogno di denaro, ma ci avrei messo le mani sul fuoco che così avrei ottenuto la loro attenzione. E il mio piano può farci contenti tutti.
«Se siete d’accordo, vorrei usare la mia fama per attirare dei giornalisti. Racconteremo la nostra storia di aspiranti suicidi, inventeremo anche dei dettagli, se necessario, e la venderemo ai maggiori magazine e programmi televisivi. Parteciperemo a feste ed eventi. Non dovremo nemmeno dire per forza perché ci trovavamo in cima a un palazzo; non deve essere la verità, almeno non necessariamente. Tutti vogliono sapere che ha fatto Rachel Berry la notte di Capodanno: ebbene, lo stanno per scoprire.»
«Come mai questa scelta? Non odiavi i giornalisti?» Chiede Kurt.
Non faccio in tempo a rispondere, perché Sam interviene. Giustamente, deve raccontarlo lui, se se la sente.
«La mia famiglia è in banca rotta e Rachel si è offerta di aiutarmi.»
«E Rachel Berry è così altruista da farlo senza alcun secondo fine?» Si stupisce Kurt.
In effetti, a dirla tutta, non tutto quello che si sente dire in giro su di me è falso. Tra le tante caratteristiche che i giornali mi attribuiscono, c’è la piccola tendenza a non fare niente che non porti un vantaggio anche a me. E in questo caso potrebbe essere fare colpo su Sam. E’ così sbagliato?
«Prendere o lasciare, Kurt.»
«Questa cosa manderà in bestia i miei genitori.» Ci interrompe Quinn. Non ci avevo pensato. Lei, come me, è un personaggio pubblico, e come tale deve tenere alla sua immagine. Sono in ansia. «Ci sto!» Conclude con un gran sorriso. L’abbraccerei!
«Kurt?» Chiede Sam.
«E va bene. Entrare alla Nyada costa.»
Nyada?
«Vuoi entrare alla Nyada? Io ho studiato lì!»
«Lo so, Rachel Barbra Berry. Tengo Broadway.com monitorato da quando ho quindici anni. So tutto su di te. Ti concedono una media di uno spazio a settimana...»
Sono lusingata. Un fan!
«…ma scommetto che se dovessi farcela, otterrei molto più spazio di te.» Conclude con noncuranza. La cosa suona come se, invece di avere un fan, sia stata appena sfidata da un potenziale rivale. Rimango a bocca aperta, sdegnata.
«Come ci organizziamo?»
Mi riprendo. «Stasera, alle otto, da me.»
 

 
***
SAM
 
Il piano di Rachel è perfetto: siamo già a casa sua e abbiamo ordinato una pizza. Il suo appartamento è bellissimo ed enorme, ma è anche sempre circondato da giornalisti. Io non potrei mai vivere così. L’avevo invitata da me per portarla via da quei flash e tra poco ci metteremo tutti insieme davanti all’obbiettivo. La vita è strana.
Abbiamo concordato una linea guida, almeno per cominciare. Stasera approfittiamo di questi paparazzi, poi domani saremo ospiti di un talk show serale, perché Kurt non è disponibile di mattina per via del nuovo lavoro che ha trovato. Rachel dice che questo potrebbe toglierci molta visibilità, perché Good Morning America! è uno degli show più seguiti, ed è un peccato non parteciparvi. Vedremo di trovare una soluzione.
Mi fido del suo fiuto per queste cose. Sembra saper gestire la stampa, nonostante ciò che si dice di lei.
Vorrei sapere cos’è successo il giorno in cui ha aggredito il paparazzo, ma non so se si senta abbastanza in confidenza per dirmelo. Io non ho avuto alcun problema a raccontarle di me, ma abbiamo due caratteri completamente diversi e lei potrebbe non voler fare lo stesso con me. Mi dispiacerebbe se non si fidasse… vorrei veramente conoscerla meglio.
E la cosa curiosa è che non è nemmeno il mio tipo.
Sono stato con bionde, more, cheerleaders, perfino fiere ragazze nere.
Ma non mi è mai capitato di provare interesse per una piccola mina vagante. È un’esplosione di determinazione ed energia… stare in sua compagnia mi fa bene.
Do un morso alla fetta di pizza, mentre la guardo ridere a una battuta di Kurt.
 
Finita questa cena improvvisata, diamo inizio alle danze. La padrona di casa fa accomodare nel salotto i giornalisti che aspettano fuori da quando siamo arrivati.
«Allora, Rachel, dicci chi sono queste tre persone.» la invita poi a cominciare una donna con gli occhiali.
«Be’, signora, questi sono i miei nuovi amici. Lui è Sam, lui Kurt e lei Quinn.» Ci presenta, orgogliosa. E’ seduta in modo strano sul divano: tutta dritta e le gambe incrociate una dietro l’altra, le mani sulle ginocchia. La gonna è corta quanto basta. E’ professionale e… sexy. Mi do un pizzicotto.
«Salve!» salutano in coro Kurt e Quinn, e io mi unisco a loro con un secondo di ritardo.
«Ma lei è la figlia dell’aspirante sindaco Fabray!» la riconosce qualcuno.
«Quinn! Tuo padre sa che sei qui con degli sconosciuti?» Chiede un altro.
«A dir la verità no.» Risponde lei, completamente a suo agio. Non è la prima intervista che fa. Per un po’ tiene gli obiettivi e i microfoni puntati su di lei, e Rachel sembra disturbata che le abbia rubato la scena.
«Come vi siete conosciuti?»
Rachel riprende in mano la situazione. «Proprio la sera di Capodanno… è una storia buffa. Ci siamo ritrovati sulla cima di un palazzo e…»
«Che ci facevate lì?»
«Volevamo buttarci giù.» Li spiazza.
Il silenzio che segue queste poche parole è devastante, ma lo è ancora di più la valanga di domande che arriva dopo.
«Perché volevate buttarvi?»; «Fate parte di una setta?»; «Perché proprio a Capodanno?»; e la più bella di tutte: «Perché siete ancora vivi?»
E’ interessante come, di fronte alla confessione di un – anzi quattro – tentato suicidio, la domanda che preme di più sia quest’ultima. Non per sapere quale sia il motivo che ci ha fatto cambiare idea, perché in tal caso sarei anche felice di spiegarlo, ma per capire con disappunto perché non siamo morti – 4 morti fanno parlare di più di quattro suicidi falliti, e i giornalisti lo sanno. Rachel ci ha avvisato: quando muore qualcuno in circostanze misteriose le vendite sono assicurate. Noi dovremo impegnarci un po’ per ottenere lo stesso successo.
«Abbiamo visto Dio.» Rispondo senza pensarci. Non so nemmeno perché ho scelto questa risposta; non ho una fede così forte. «Sembrava uno di quei volti che stanno sulle scatole dei cereali. Continuava a dire: “Non buttaaaateeeevi”» faccio una delle mie imitazioni migliori. Rachel ride. Kurt aggiunge dettagli. Quinn ci guarda storto, ma è d’accordo con noi.
I giornalisti continuano a tempestarci di domande, alcune di gruppo, altre rivolte a uno di noi in particolare. Per un po’ va tutto bene.
Ma poi: «Quinn, perché volevi suicidarti? Tuo padre lo sa?»
Lei si irrigidisce e Rachel la prende per mano, prima di rispondere al posto suo. Per un attimo temo che violi la privacy di quella ragazza dicendo a tutti del cancro. Ma non lo fa, grazie al cielo.
«Questa informazione rimarrà riservata, se non le dispiace.» Cerca di mediare.
«Ma il pubblico vorrà sapere! E’ la figlia del sindaco!»
La situazione pare sfuggirci di mano, ma Rachel è abituata a cavarsela in situazioni come questa.
«Le ripeto, signore, che Quinn non è tenuta a rispondere, se non vuole. E’ minorenne e se continuerà a insistere perché parli, chiamerò la polizia.»
«Allora diteci di voi! Kurt, chi sei, cosa fai, perché volevi farla finita?»
«Vengo da Lima, Ohio. Sono…»
«Noioooooso. Raccontaci i particolari nascosti della tua storia. Un’infanzia difficile? Magari per via del tuo orientamento sessuale? O forse un genitore defunto, cosa ci dici?» Kurt rimane spiazzato. In effetti non c’è una cosa che questo giornalista non abbia azzeccato. So che sua madre è morta quando era bambino perché la sera di Capodanno, cercando Quinn, gli ho chiesto cosa lo avesse portato a New York; così, per fare conversazione. Mi ha risposto che era stato suo padre a insistere e che sua madre avrebbe voluto vederlo avere successo nella città delle mille possibilità. Per quanto riguarda il suo orientamento sessuale, direi che è abbastanza evidente, così come le difficoltà che può avere incontrato per questo motivo. E’ bloccato, ora. Lui non è abituato alle interviste, e tantomeno io. Comincio a essere stanco.
«Sam, e tu? La ragione è un amore tradito? O una ragazza ti ha respinto? Qualcuno ti ha visto con Rachel Berry: cosa c’è sotto?»
«Se non vi dispiace, dichiarerei chiusa l’intervista.» Annuncio. Non ho più voglia di rispondere. Rachel mi guarda come se fossi venuto meno al nostro piano, ma davvero, non ce la faccio più. Lei deve averlo capito, e mi aiuta ad invitarli all’uscita. I più sono restii, ma alla fine ci riusciamo.
 
Quinn non ha più detto una parola, e ora esplode contro di noi.
«Che ci è saltato in mente?! E’ stato un disastro! Cosa possiamo ricavare da questo?!»
«Quinn, calmati. Questa è solo la prima fase, quella per far conoscere la nostra vicenda. Da domani sarà tutto più facile, perché saremo pagati per comparire nei programmi tv e radio. Vedrai, il peggio è passato.» cerca di rassicurarla Rachel.
«E come credi che potrò parteciparvi, io? Come hai ben ricordato tu, sono minorenne! Non posso comparire in tv senza il consenso dei genitori! E non credo che me lo daranno, quando leggeranno gli articoli, domani!»
«Tranquilla, qualcosa inventeremo.» Dico io.
«Kurt, stai bene?» Chiede Rachel.
Lui fissa il vuoto. «Sono così prevedibile… sono… sono uno stereotipo!»
«Non è così.» Mi avvicino a lui e gli metto una mano sulla spalla. «I giornalisti hanno la tendenza a incasellare le persone, per via della sintesi e del poco spazio a disposizione. Noi sappiamo che non sei solo quello.»
«Devo inventarmi qualcosa, devo.» Non mi ha neanche sentito. Non mi piace la piega che ha preso la sua voce. Forse ha ragione Quinn: non è stata una buona idea. Eppure, mi sembrava un buon piano.
 
***
QUINN
 
 
Come previsto, la mattina parte male.
«QUINN FABRAY!»
Vado in salotto con calma, tanto so cosa mi aspetta.
Trovo mio padre in piedi con il giornale in mano e mia mamma seduta sul divano con un fazzoletto tra le dita. Ha già pianto.
«Che c’è papà?» Chiedo fingendo innocenza.
Lui è furibondo: è tutto rosso in faccia e deve fare più di un respiro profondo prima di parlare.
«Che c’è?! Tu mi stai davvero chiedendo che c’è?!»
Faccio spallucce.
Lui mi sbatte il giornale di fronte, e io indietreggio, improvvisamente spaventata.
«Cos’è questa storia del suicidio?! Non bastava che fossi incinta?! Vuoi proprio rovinarmi la carriera?!»
La mamma scoppia in un pianto rumoroso.
Io sono senza parole, ho le lacrime agli occhi. Mio padre crede che tutto quello che mi sta succedendo sia un modo per fargliela pagare per qualcosa, ma non riesce a capire che niente di tutto questo a che fare con lui, c’entra solo con me. Mi basterebbe un po’ di comprensione da parte loro, chiedo troppo?
«Tu, da questo momento, ti scordi di fare qualsiasi cosa senza il nostro consenso.» Ordina. «Da oggi, ti sveglierai al mattino, studierai a casa, parteciperai alla vita di questa famiglia e, soprattutto, troverai un modo per sistemare… quella cosa.» Indica il mio ventre. «Ma non hai pensato che quei giornalisti avrebbero potuto scoprire qualcosa?! Come pensi che avrebbe inciso sulla mia campagna elettorale?!»
Non ce la faccio a ribattere su niente. Voglio solo andarmene da questa stanza.
Mi volto e corro su per le scale, verso camera mia, distinguendo a mala pena il richiamo di mio padre a tornare in salotto perché con me non ha ancora finito.
Io, in compenso, ho finito con lui, eccome.
Mi chiudo a chiave in camera e mi butto sul letto a piangere contro il cuscino. Non riesco neanche a guardare la mia stanza, così perfetta e tappezzata delle mie divise da cheerleader. Le mensole sono zeppe di coppe e medaglie vinte alle provinciali, regionali e nazionali e l’idea che non potrò più essere il capitano della squadra mi distrugge. Era l’unica cosa che avevo, e ora non potrò neanche tornare a scuola. Accendo il cd di Dionne Warwick e I say a little prayer copre le urla dei miei genitori. Chiamo Rachel.
 
«Pronto?»
«Rachel, puoi venire a prendermi, per favore? Sono a casa mia.» balbetto, e odio che lo stia facendo.
«Quinn, tutto bene? Cos’è successo?»
«Te lo spiego dopo, fai presto!» Mi arrabbio con lei.
Sento bussare alla porta, poco dopo la telefonata. Non ho intenzione di aprire.
«Tesoro?» E’ la voce di mamma. Alzo gli occhi al cielo perché non è stata neanche capace di difendermi e ora viene qui credendo che sia tutto a posto. Non lo è, affatto.
«Tesoro, aprimi. Ti prego.»
Non rispondo nemmeno.
«D’accordo. Dagli almeno un’occhiata, okay?» infila un volantino sotto la porta.
Aspetto che se ne sia andata, prima di raccoglierlo. È di una qualche organizzazione che si occupa di incontri per le adozioni. Lo appallottolo e lo lancio contro il muro.
Finalmente arriva Rachel e io scappo letteralmente di casa.
 
***
RACHEL
 
Da quando è qui, Quinn non ha ancora detto una parola. È una ragazza complicata e vorrei aiutarla, ma è difficile prendersi cura di qualcuno se non ti dice quale sia il problema.
«Non vuoi dirmi qual è il motivo per cui sei scappata di casa?»
È seduta sul divano, composta e con le braccia incrociate sul petto. La coda di cavallo tirata e ordinata mette in risalto i suoi tratti angelici ma perennemente arrabbiati. Alza le spalle e guarda fuori dalla finestra.
«Quinn, per favore.» la incoraggio. Purtroppo in risposta mi regala un’occhiata perforante.
«Vuoi proprio saperlo, Rachel?»
Il suo tono supponente mi disturba e mi spaventa un po’. Cerco di ignorarlo.
«Certo che lo voglio.»
Mi sorride ancora più acidamente.
«È tutta colpa tua.»
Mia?
«Se non fosse stato per la tua brillante idea di coinvolgere dei giornalisti, io sarei ancora a casa mia, potrei andare a scuola insieme ai miei compagni e sarebbe tutto come è sempre stato!»
A questo punto non ce la faccio più.
«Adesso smettila, Quinn! Davvero credi che sarebbe stato diverso? Che tutto sarebbe tornato alla normalità? Saresti tornata a scuola a fare la cheerleader e la reginetta del ballo? Hai tentato il suicidio, cose come questa ti segnano! Invece di cercare qualcuno a cui dare la colpa - me, i tuoi genitori, o chiunque altro – dovresti guardare dentro te stessa e capire quale sia il motivo per cui sei sempre arrabbiata con tutti.»
Mi accorgo di stare esagerando e abbasso un po’ il tiro.
«Ascolta, so che essere un’adolescente è difficile. E posso solo immaginare cosa possa significare avere un tumore. Ma io voglio che tu riesca a vedere in me un’amica, non qualcuno da combattere. Vorrei vederti mettere da parte un po’ di ostilità e renderti conto che io, Kurt e Sam siamo dalla tua parte.»
Quinn scoppia in un pianto silenzioso e non posso fare a meno di sedermi accanto a lei e abbracciarla. Singhiozza per qualche minuto e poi mi guarda con occhi che definirei colpevoli, e non so perché.
«Rachel, io… io non ho…»
Non faccio in tempo a sapere che cosa non abbia perché nel frattempo il suo cellulare squilla.
«Oh no, è mia madre! Le ho detto di lasciarmi in pace ma non vuole saperne!»
«Quinn, devi rispondere. È preoccupata per te.»
«Non ci penso neanche. Lei non… non se lo merita.»
Questa affermazione mi confonde. Non so cosa possa aver fatto sua madre per farla arrabbiare così, ma è giusto farle sapere che sua figlia sta bene. Chissà come sarà preoccupata per lei.
«Lascia che risponda io, per favore.»
 Si alza dal divano e mi passa il suo cellulare che continua a suonare con insistenza. Comincia a fare avanti e indietro per il soggiorno. Io passo il dito su “rispondi”.
«Pronto? Signora Fabray? Sì, no non sono Quinn. Mi chiamo Rachel Berry e volevo avvisarla che Quinn sta bene. Sì, sì, sono una dei quattro sucidi. Quinn è qui con me adesso. Non vuole parlarle, ma sono sicura che la richiamerà non appena se la sentirà. Sì, lo so che le sue condizioni sono di un certo tipo. No, signora Fabray, la prego non faccia così. Credo che per il momento sia giusto lasciarle i suoi spazi. Me ne prendo io la responsabilità. Certo che so che lei non sa neanche chi io sia, ma le prometto che per qualsiasi cosa la chiamerò. Non metterei mai Quinn in pericolo. La prego, si fidi di me. Si fidi di Quinn. È molto più matura di molte ragazze della sua età. D’accordo, la ringrazio. A presto.»
Quinn mi ha fissato per tutto il tempo della conversazione mordendosi le labbra.
«Allora?»
«Allora credo che tua madre mi odi. Ma ha acconsentito a darti un po’ di spazio.»
«Posso… stare qui?»
«Se non ti disturba vivere in una casa perennemente circondata da giornalisti.»
«Penso che potrei abituarmici. A questo punto penso che sarei sotto i riflettori anche senza abitare insieme a Rachel Berry.»
 
***
KURT
 
Lavorare allo Spotlight è divertente, ma fino a un certo punto. È passata qualche settimana da quando ho cominciato e l’entusiasmo ha già cominciato a scemare. Le giornate sono tutte uguali: accogli il cliente, prendi l’ordinazione, servi, vai alla cassa. Una routine alienante. Fortunatamente, tra una cosa e l’altra ci scappa una canzone e solo in quei momenti ritrovo l’orientamento. Dani è fantastica: mi ha insegnato molto e con lei rido e scherzo tutto il giorno; la parte migliore è quando Santana ci rimprovera e ci riempie con i suoi infiniti insulti. Con me ha trovato pane per i suoi denti, perché ormai le tengo testa con la bella lista di appellativi che ho maturato di recente.
Ma non mi sento affatto soddisfatto.
Guadagnare qualche soldino non mi fa schifo, proprio no, ma le mie vere aspirazioni sono ben altre. Mi ritrovo a fare per otto ore al giorno una cosa che non mi piace e che mi succhia un sacco di energie, e quando arrivo a casa devo subito uscire per partecipare a quei dannati talk show che ci trova Rachel. Con il fatto che ormai possiamo definirci famosi, anche lo Spotlight è diventato un covo di giornalisti e blogger. Tutti mi chiedono di me, e per un po’ la mia autostima ne ha giovato, ma ora sta diventando intollerabile. Ho paura di quello che possa aver sentito mio padre, di questa storia. Spero solo che sia troppo impegnato nell’officina per seguire dei programmi televisivi.
Comunque, la parte che mi irrita di più di tutta questa situazione, è che mi manca il tempo per fare le cose che amo. Non sto più seguendo Broadway.com, né riesco più a cucirmi gli abiti da solo. L’altro giorno sono finito da Gap per prendermi un maglione e c’era un commesso che cercava tristemente di nascondere la sua palese omosessualità. Non voglio finire come lui. E come se non bastasse non riesco nemmeno a prepararmi come si deve per il provino alla Nyada, ed è la parte che mi spaventa di più.
Sto buttando via il mio tempo?
Forse dovremmo solo un po’ allentare questa cosa delle interviste. Stare davanti ai flash mi piace, anche se la prima volta nel salotto di Rachel mi sono spaventato, ma quattro volte a settimana sta risultando sfiancante, soprattutto perché si tratta di apparire sempre sorridente e di fare battute divertenti, nonostante la fatica delle lunghe giornate e il fatto che il tema centrale dei nostri discorsi sia quello non proprio esilarante di togliersi la vita.  
Probabilmente ne parlerò con gli altri.
 
***
RACHEL
 
 
«No, ragazzi! Ora che cominciamo a vedere i frutti di quello che stiamo facendo!» Mi indigno. Non posso credere che vogliano mollare proprio adesso che le televisioni hanno cominciato ad offrirci cifre di una certa consistenza per apparire nei loro programmi.
«Rachel, Kurt ha ragione.» Interviene Sam. «Noi non siamo abituati a questi ritmi.»
«Ma dobbiamo tenere duro finché la nostra storia fa ancora notizia! Presto troveranno altro di cui parlare e non ci vorrà più nessuno! Avremo la pace che meritiamo, dobbiamo solo resistere ancora un po’!»
«Io sono d’accordo con Rachel. Adesso, la firma che faccio sembra proprio quella di mio padre.» Commenta Quinn. Il fatto che i suoi genitori non mi abbiano ancora denunciata mi fa pensare che le stiano lasciando lo spazio che ha chiesto. Ad ogni modo, Quinn non sa che tengo aggiornata sua madre su tutto quello che facciamo.
«Rachel, perché ci tieni tanto? Tu sei l’unica di noi a non aver problemi di soldi, eppure sei quella più restia a mollare. Non posso credere che sia solo smania di stare sotto i riflettori.» Mi provoca Kurt.
E io non posso credere che pensi che abbia un secondo fine. Cioè, è vero, ce l’ho, ma lui sta insinuando che nasconda qualcosa di brutto! Io… voglio solo fare bella figura con Sam.
«Il tuo scetticismo mi ferisce, Kurt.» Gioco la carta pessima del vittimismo. Ogni tanto lo faccio quando vengo messa alle strette, e di solito funziona.
«Rachel,» Sam mi prende delicatamente un braccio, per costringermi a lasciar perdere Kurt e a concentrarmi su di lui. Ha le mani calde. «Abbiamo tutti bisogno di una pausa.» Me lo dice lentamente, guardandomi fisso negli occhi. Devo cedere.
«D-D’accordo… m-ma stasera ci aspettano come ospiti a Before You Sleep… non possiamo disdire all’ultimo momento…» È un programma molto seguito e sarebbe davvero negativo per la nostra immagine.
«Prometti che sarà l’ultima volta? E per un po’, poi, basta?» Chiede Kurt.
«Promesso.»
«Allora va bene.»
 
Bernard Cohen, il conduttore e intervistatore, ci presenta e ci invita a sedere sul divanetto in pelle bianca davanti alle telecamere. Il jingle che ha accompagnato la nostra entrata si interrompe e il pubblico smette di applaudire. Come sempre in questi tipi di show, Bernard interagisce con il pubblico dalla sua poltroncina, fa qualche battuta che fa ridere tutti e poi si occupa di noi. Da un po’ di tempo non ci fanno più le solite domande – cos’è successo, eccetera. Ora ci chiedono dei nostri piani futuri, e ci fanno presente che fra una settimana sarà già febbraio e che il nostro patto sta per volgere al termine. Bernard ci chiede se la nostra amicizia sia solo per circostanza o sia autentica.
Ci riflettiamo qualche minuto e il primo a parlare è Sam. «Mi lasci dire una cosa, Bernard.» Si sistema tra i cuscini, dando l’impressione di avere una grande sicurezza. Sono colpita: è diventato disinvolto di fronte alle telecamere in pochissimo tempo. Continua: «Nella mia vita ho incontrato tante persone, ma a poche posso dire di essermi affezionato. Queste che sono sedute qui con me, sono tre persone meravigliose: a Kurt dobbiamo il fatto di essere ancora in vita,» vedo Kurt arrossire, «Rachel ci sta aiutando con i suoi modi strampalati,» lo trovo strano come complimento, ma arrossisco anch’io, «e Quinn ci sta insegnando la lezione più importante di tutte: guardare in faccia le avversità e non mollare neanche quando sembra che non ci sia speranza.» Quinn fissa il pavimento torturandosi le mani tra le pieghe della gonna. Le stringo tra le mie e le sento particolarmente fredde e sudate. Sarà una strana reazione al caldo dello studio.
Il pubblico è rimasto affascinato dal discorso di Sam, così come lo siamo noi. Lo guardo e gli sorrido con ammirazione. Forse è una buona idea mettere fine alla nostra fama con un discorso come quello. Mi sorride anche lui e copre le mie mani e quelle di Quinn con le sue. Poco dopo si aggiunge anche Kurt. Stiamo diventando una squadra – sgangherata, ma una squadra.
Quinn però mi preoccupa. Non ha parlato per tutta l’intervista e ora la sento con il respiro affannato, e il sudore le ha imperlato anche la fronte. «Quinn, ti senti bene?» le sussurro all’orecchio, mentre Kurt risponde a una domanda del pubblico. Scuote impercettibilmente la testa.
Oh mio dio, vado nel panico: Quinn sta male e interrompo Kurt e tutti gli altri.
«QUALCUNO CHIAMI UN DOTTORE!»
Quinn scivola dal divano e si accascia sul pavimento, inerte.
 
Arriviamo trafelati in ospedale e non vogliono dirci niente di Quinn, che invece è stata portata qui in ambulanza.
Sono furiosa! Perché nessuna infermiera si degna di dirci almeno se sta bene?! Dovrei chiamare sua madre, ma prima vorrei saperle dire qualcosa di più di: “sua figlia giace incosciente in un letto d’ospedale”!
Ma soprattutto sono tremendamente angosciata. La malattia di Quinn è peggiorata improvvisamente? Sono stata io a stressarla troppo con i ritmi delle interviste? È solo una bambina, non è giusto che le capiti qualcosa di brutto.  
Finalmente vedo un’infermiera con un viso gentile: è giovane, carina e probabilmente appena arrivata e facile da intimidire in stile Rachel Berry.
«Scusami!» La chiamo avvicinandomi a lei, seguita da Sam e Kurt.
«Sì?» Si gira verso di noi con la cartella clinica di qualcuno in mano. Puzza di disinfettante, come tutto, qui.
«Salve, mi chiamo Rachel Berry e-»
«Rachel Berry, oddio!» La ragazza mi interrompe, presa da un’eccitazione incontenibile. Vedo Kurt alzare gli occhi al cielo, ma lo ignoro: è bello sapere che c’è ancora qualcuno che mi apprezza per le mie doti artistiche e non per i gossip.
«Sì, sono proprio io… ascolta-» ma mi interrompe di nuovo.
«E voi siete Sam e Kurt! Ragazzi, la vostra storia è incredibile!»
Scherzavo. Questa segue solo i pettegolezzi, come tutti gli altri.
«Sì, emozionante. Ascolta,» prova Kurt con il suo sarcasmo, «la nostra amica non è stata bene, stasera. Non è che puoi dirci come sta adesso? Sai, per via del tumore. Siamo preoccupati.»
«Tumore?» Ci guarda confusa. Possibile che sia appena uscita dalla camera di Quinn e che non sia stata nemmeno avvisata del perché ha bisogno di cure? In che mani siamo…
«Sì, tumore allo stomaco.» Taglio corto io. Sto perdendo la pazienza.
«Tumore allo stomaco? No… nessun tumore, ragazzi. Quinn Fabray è all’ottava settimana di gravidanza!»
«Come, prego?» Sgrano gli occhi. No, ci dev’essere un errore… Quinn è malata, non in dolce attesa.
«Incinta, signorina Berry: Quinn Fabray è incinta.»
Non posso credere alle mie orecchie. Non ascolto altro. Me ne vado via.
Con amarezza mi rendo conto di quanto tutto questo abbia dannatamente senso.
Quinn è solo una bugiarda.
 
***
SAM
 
Trovo Rachel seduta sui seggiolini di plastica della fredda sala d’attesa e le offro un bicchiere di caffè d’asporto.
È sconvolta, arrabbiata e soprattutto stanca.
«Tutto bene?» le chiedo, sedendomi accanto a lei. Continua a fissare il vuoto, ma accetta il caffè con il quale si scalda un po’ le mani.
«No… mi sento uno schifo. Ho chiamato a casa sua, e vuoi sapere cosa mi hanno risposto? Sua madre credeva che io fossi al corrente della reale condizione di Quinn, mentre suo padre mi ha detto che se la notizia uscirà dall’ospedale io sarò la prima a cui rovinerà la vita, e poi penserà a voi.»
«È solo un povero idiota.»
Mi guarda con i suoi occhi scuri e profondi. «Perché Quinn ci ha mentito, Sam? Pensavo si fidasse di noi… di me.» Si stringe nella giacca e vorrei sapere come riscaldarla, sia fuori che dentro.
«Non lo so Rachel… l’importante è che stia bene.»
«Cos’hanno detto i dottori?»
«È tutto okay, solo un malessere passeggero. Anche il bambino sta bene. Ma deve riposarsi, perché dicono che può essere dovuto allo stress.»
«È tutta colpa mia.» I suoi occhi si riempiono di lacrime e non posso resistere dal metterle un braccio intorno alle spalle. Tra di noi, Rachel è quella che si è più affezionata a Quinn: l’ha salvata in quel pub, l’ha accolta in casa sua dopo che è scappata di casa… capisco come si senta tradita. La lascio sfogare, sento i suoi singhiozzi e le accarezzo le guance infreddolite.
Quando si calma, mi chiede: «Dov’è Kurt?»
«Si sta occupando di tutte le faccende burocratiche. Si sta assicurando che la notizia rimanga riservata e sta tenendo a bada i giornalisti che sono riusciti a entrare. Fortunatamente, per questo ci sono anche gli uomini della sicurezza.»
«Forse dovremmo andare ad aiutarlo.»
«Vado io, tu va’ da Quinn. Sei l’unica che non è ancora andata a vedere come sta.»
Tituba. Non riesce a perdonare Quinn per averci raccontato un mucchio di bugie.
«Rachel, ha chiesto di te. Forse vuole chiarirsi, dalle una possibilità.»
«Posso provarci, ma non garantisco.»
«So che puoi farcela.» Le do un bacio sulla fronte e vado da Kurt.
 
***
QUINN
 
Odio essere sdraiata in questo letto del cavolo.
Odio essermi sentita male davanti a tutti.
Odio il fatto che mi stia venendo da piangere.
Odio tutta questa situazione, questa pancia, questo bambino.
Odio tutti.
 
Sento bussare alla porta e mi asciugo in fretta le guance, prima di rispondere: «Avanti!»
Fa capolino una chioma di capelli scuri e un naso inconfondibile.
«Rachel, vieni pure.»
«Sembri stare un po’ meglio…» mi dice, accomodandosi sulla sedia accanto al letto.
«Non c’è nulla che un po’ di riposo non possa guarire, giusto?» Cerco di ironizzare, ma non la prende bene e so che ha ragione.
«Già, a parte il cancro.»
Non so cosa rispondere e d’un tratto il lenzuolo bianco che mi copre diventa molto interessante.
«Quinn, quello che ci hai detto è molto grave! Aspettare un bambino non è una malattia!» Mi rimprovera, e ora quella che si arrabbia sono io. «Cosa vuoi saperne tu?»
«Che intendi dire?»
«Che ne vuoi sapere tu, dell’amore e degli sbagli che si possono fare in nome di esso? Non sei mai stata con nessuno, e ora non riesci neanche a farti notare da quello stupido di Sam! Si vede lontano chilometri che muori dalla voglia di dirgli che ti piace, ma non lo fai perché sei una codarda! E fai bene, perché scommetto che lui non ti vorrebbe neanche!»
Faccio sempre così: ferisco le persone perché mi sento ferita io, e me la prendo con quelle che non c’entrano niente, ma almeno soffrono come me, e io posso sentirmi meglio.
Rachel non mi guarda più. Ha abbassato lo sguardo e si è passata un dito su una guancia per asciugarsi una lacrima, credo. Non dice niente e mi sento disarmata: avrei preferito che mi sgridasse, che mi chiedesse come mi fossi permessa di dire cose del genere, che mi tirasse lo schiaffo che mi meriterei. Avevo voglia di un bello scontro per sfogare la mia rabbia. E invece rialza lo sguardo su di me, con un sorriso triste, e quello che mi racconta dopo non riesco a commentarlo nemmeno.
«Sono stata fidanzata per alcuni anni, Quinn. Lui si chiamava Finn.» Percepisco i suoi occhi farsi strada tra i ricordi e lasciare la stanza dove ci troviamo. «Era bello, alto, con occhi sinceri. Attento ai più deboli e un leader naturale. Mi sosteneva sempre e credeva nelle mie capacità, e non mi ha mai chiesto niente, se non di proteggerlo dalle luci della mia ribalta. Non voleva essere trascinato sotto i riflettori, voleva solo amarmi ed essere amato come in una coppia qualunque, e questo mi ha sempre aiutato a mantenere i piedi per terra. Era una persona eccezionale, e io mi sono sempre chiesta cosa avesse trovato in me e quanto fossi fortunata ad averlo al mio fianco. Era la mia persona. Avremmo dovuto sposarci entro la fine di quest’anno, ma poi…» A questo punto so dove deve arrivare e mi allungo verso di lei per stringerle una mano. La sua voce si rompe. «Ora non c’è più. È successo all’inizio di dicembre.»
Non mi serve sapere altro.
I giornali in quel periodo raccontavano che Rachel aveva aggredito un paparazzo. L’hanno dipinta come una ragazzina capricciosa e aggressiva, ma lei stava solo proteggendo la memoria del suo vero amore e stava lottando contro un dolore che doveva vivere da sola. Ora capisco perché volesse buttarsi giù dal tetto dell’hotel, a Capodanno. Capisco perché avesse risposto “lutto” al mio giochino in macchina. E capisco di avere esagerato con quello che le ho rinfacciato adesso, ma purtroppo sono fatta così: non sono capace di essere un’amica per nessuno. E lei, invece, è la persona più straordinaria che conosca.
«Rachel, non volevo…»
«Tranquilla, non è niente di grave.»
Per rassicurarmi, mi stringe un po’ la mano che le sto ancora tenendo, ma non riesco a smettere di sentirmi in colpa.
«Ti aiuterò a conquistare Sam,» dico scioccamente.
Rachel sorride e le scappa anche una debole risatina. Non è molto, ma sono soddisfatta. Mi allungo per abbracciarla e io stessa mi meraviglio della naturalezza con cui lo faccio; in genere non abbraccio nessuno, anzi, tendo a mantenere le distanze, ma devo ammettere che basta poco per sentirsi e far sentire meglio.
Poco dopo qualcun altro bussa alla porta della mia camera e tutti mi sarei aspettata di vedere, tranne che lei: mia madre.
«Vi lascio sole.» Si congeda Rachel.
«Grazie,» le dice mia madre, e ho come l’impressione che non si riferisca solo al fatto di averci dato la privacy di cui abbiamo bisogno.
«Mamma, che ci fai qui?»
«Appena Rachel mi ha avvertito del tuo malore mi sono precipitata in ospedale.» Si siede accanto a me e riconosco il profumo di rose che la contraddistingue. Per un momento lo associo al profumo di famiglia e di casa, ma subito dopo mi accorgo che per me adesso ha molto più significato la fragranza del deodorante per auto nella macchina di Sam, o l’odore della lacca di Kurt e perfino il profumo dei caffè delle mattine con Rachel.
«Quando starai meglio, torna a casa con me, Quinn.» Mi prega. «Ho lasciato tuo padre. L’ho cacciato, in realtà. L’ho beccato con una ragazzina asiatica poco più grande di te e le conseguenze non potevano che essere queste.» Mi rovescia addosso queste parole come se, al contrario di come appaiono a me, non fossero una doccia fredda. È come se per lei una verità del genere fosse sempre stata prevedibile, mentre io sono sotto shock. Papà con un’adolescente? E tutte quelle prediche sull’importanza dell’immagine, della rettitudine, della sacralità della famiglia e tutto il resto? Ora capisco che la sola cosa di cui si preoccupava veramente era l’apparenza. Si può avere una figlia incinta a sedici anni, una moglie che non si ama, un’amante uscita da chissà dove, purché al pubblico la prima appaia come la presidentessa del Club della Castità, la seconda faccia del suo meglio per lasciarsi esporre come un trofeo e la terza rimanga nascosta nell’armadio. Il resto viene da sé. Sono disgustata.
«Quinn, so di avere sbagliato, ma voglio ricominciare, voglio farmi una nuova vita solo con te, lontano da interviste e campagne elettorali. Possiamo ristrutturare la camera degli ospiti e farci una nursery per il bambino, se decidi di tenerlo. Io ti sarò vicina qualsiasi decisione prenderai.»
Questo mi conforta. Non ho ancora deciso se tenerlo o darlo in adozione, ma sapere che mia mamma mi appoggerà in ogni caso è un sollievo. Per una volta mi sento una figlia fortunata e amata, e posso lasciarmi andare. Scoppio a piangere perché sento i pezzi della mia vita ricominciare piano piano a combaciare, e il peso che mi opprimeva lasciarmi liberi cuore e spalle. La rabbia che covavo dentro da troppo tempo mi lascia respirare per la prima volta. A dirla tutta, mi sento come se stessi nascendo di nuovo, tra le braccia protettive di mia madre e i singhiozzi che mi ricordano che sono viva, che una nuova vita sta per cominciare ed è piena di possibilità.
Adesso mi sento pronta anche per dirlo a Noah.

 
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LA TAVOLA DI CUP OF TEA – parte 2
Ho una pagina facebook, che trovate all’indirizzo:
https://www.facebook.com/CupOfTeaEfp?ref=hl Venite a darci un’occhiata, se vi va!
   
 
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