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Autore: Leonhard    18/02/2015    3 recensioni
...e poi avrebbero sicuramente giocato a quel gioco stupido che si era inventato Tsuyoshi: "Pensieri, opere, parole, omissioni". Abbreviato, fa popo. un gioco veramente della popo. Ahahah...non aveva mai avuto uno spiccato senso dell'umorismo: neanche lui rideva...bah...
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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10.
 

Uscita dalla clinica guardò il cielo con occhi vagamente incuriositi, come se stesse guardando una cosa nuova, rara. Prese il telefono e lo scrutò per qualche secondo, cercando di pensare cosa volesse fare, chi volesse vedere. Lo rimise in tasca e si avviò nuovamente verso il set. Doveva cercare di non pensarci.

Nell’istante in cui Naozumi si volse verso di lei, sentì il bisogno di dissimulare. Sfoderò il suo solito sorriso smagliante, cercando di renderlo più vero possibile. Era difficile sorridere.

“Allora, che hanno detto? È tutto ok?” chiese il ragazzo. Lei gli indirizzò un cenno di assenso talmente esagerato da poter passare per sospetto; lui sospirò con un sorrisetto, probabilmente riconoscendo il lei la Sana che un tempo aveva amato. Chissà come avrebbe reagito al posto suo…

NO! Non doveva pensarci.

“Non ci voglio pensare” borbottò a denti stretti. Per tutta risposta sentì la vita dentro di lei scalciare, benché fosse troppo piccola per farlo.
 

Il teatro era un modo ottimo per non pensare alla realtà; rifugiarsi in un mondo fittizio fatto di tradimenti e di guerre e di Streghe, in un’efficace combinazione di futuro e passato la fecero piombare nel mondo del film, facendola innamorare nuovamente del teatro, dei personaggi e dell’opera stessa.

Ebbe modo di conoscere l’autore di Chains, un suo coetaneo europeo dai modi un po’ bruschi. Il carattere e l’atteggiamento le ricordarono Akito e, per un breve istante, al frutto del loro legame, prima di allontanare con rabbia quel pensiero. Si fece autografare un segnalibro, sghignazzando al pensiero della reazione che avrebbero avuto Tsuyoshi ed Aya quando gliel’avrebbe portato.

“Così tu sei Sana Kurata” disse, prendendo il foglietto per firmarlo. “Mi ricordo di te. Eri il fantasma ne La Villa nell’Acqua o sbaglio?”.

“No, non sbagli” disse lei.

“Beh, lascia che ti dica che eri un fantasma veramente inquietante” disse lui, disegnando la sua firma. Lei sorrise radiosa, allontanando il ricordo di Akito che le faceva far tardi al lavoro per farsi ripetere il benvenuto mimando Mako il fantasma per il solo gusto di farsi venire la pelle d’oca.

“Ho letto il tuo romanzo” disse lei, cercando di deviare il discorso. Lui la guardò scettico.

“Ovviamente, se reciti nel mio film…” osservò, con voce ferma e fredda. Lei fece un sorrisetto colpevole.

“La mia è una presenza fortuita” disse. “Mi ha proposto Naozumi di venire a recitare…”.

“Improvvisa nostalgia del set?” chiese il ragazzo, tendendole il segnalibro firmato. “O bisogno di scacciare certi pensieri?”. Sana sentiva che quel ragazzo la capiva; la capiva in modo acuto, preciso e pericoloso.

“Un po’ entrambi” rispose evasiva. Lui annuì.

“Sì, ti capisco” disse. “È per lo stesso motivo che io scrivo. Beh, io ho un film da discutere, ci vediamo sul set: sono sicuro che lavoreremo bene insieme”. Le tese la mano. La ragazza la prese e la scosse vigorosamente.

“Certamente. E continua a scrivere: i miei amici vanno pazzi per le tue opere!” disse. Lui sorrise e si volse verso il capotecnico, che stava sbracciando nella sua direzione con aria preoccupata. Sana abbassò lo sguardo sul segnalibro e rimase a studiare la firma affrettata ma elegante dello scrittore, continuando a pensare alla reazione dei suoi amici quasi disperatamente.

Le fu assegnata la parte. Anche se si sentiva arrugginita, si sorprese lei stessa dell’eccezionale capacità che aveva nel memorizzare le sue battute. Prese il pullman per casa sua continuando a leggere la sua parte, concentrandosi talmente da non accorgersi di essersi addormentata.
 

Tsuyoshi aveva gli occhi spalancati e boccheggiava davanti al ghirigoro nero del segnalibro che Sana stringeva tra le mani.

“Ebbene sì: è l’autografo originale. Me lo sono fatto fare oggi” disse, facendosi aria con la piccola strisciolina di carta.

“Devo uccidere qualcuno?” chiese l’amico, con la bava alla bocca e lo sguardo estatico fisso sulla mano della ragazza. “Ti serve qualche organo? Hai qualche affare da sbrigare dall’altra parte del mondo?”.

“Pensieri opere parole omissioni, caro mio” fu la risposta. Il cervello del ragazzo probabilmente aveva smesso di seguire un filo logico.

“Parole…opere…il romanzo…si…” borbottò, in stato confusionale. Sana deglutì, prima di parlare.

“Ho bisogno di parlare” disse.

“Ed io di un asciugamano…” ribatté lui. La ragazza sentì l’irritazione salirle.

“Tsuyoshi, sono incinta!” disse. Lo sguardo del ragazzo rimase fermo sul segnalibro per qualche secondo, poi si spostò su di lei. Era effettivamente la prima volta che la guardava in faccia da quando era entrata. Lo sguardo si fece sconvolto, probabilmente incapace di credere a ciò che aveva appena sentito uscire dalla bocca dell’amica.

“Cosa vuol dire?” mormorò.

“Vuol dire che aspetto un bambino” disse Sana. Il ragazzo scosse la testa, dimentico del segnalibro.

“Perché?” chiese.

“Come sarebbe perché?”.

“No, Cioé…come mai?”.

“Tsuyoshi…hai capito quello che ho detto?”.

“Sì…cioè…Akito lo sa?”. Sana scosse la testa.

“Che ti fa pensare che è di Akito?” chiese. L’amico sospirò e la guardò con rimprovero.

“Pensi che non l’abbiamo capito?” chiese. “Lo sappiamo che siete tornati insieme”.

“Noi non stiamo insieme” disse lei. Lo smarrimento tornò a manifestarsi negli occhi dell’amico.

“Aspetta…non è di Akito?” chiese. Lei sospirò ancora.

“No, è suo” ammise. Ormai ne aveva parlato e non serviva a nulla pentirsene. Il ragazzo scosse la testa.

“Ti sei cacciata in un bel casino…” commentò. Lei non seppe come rispondere; probabilmente avrebbe dovuto non dire nulla e continuare a godersi l’espressione famelica di Tsuyoshi al cospetto del segnalibro autografato. Ma aveva bisogno di parlare, probabilmente di prendere coscienza lei stessa che dentro il suo ventre si stava formando una vita.

Si passò istintivamente una mano sulla pancia; se la sentiva normale, forse un po’ rigida ma nulla che facesse pensare ad una gravidanza. Era una cosa che riportava la firma sua e di Akito, una cosa LORO; da quanto tempo non aveva una cosa che fosse LORO?

Sospirò: in quel momento non riuscì a decidere se quella fosse una cosa stupenda o terribile.

Leggermente delusa da come era andata quello sfogo, allungò il segnalibro all’amico, che lo prese senza più quell’aria estatica di pochi minuti prima. Guardò il piccolo pezzo di carta per qualche minuto, poi lo appoggiò al tavolino con un sospiro.

“Che vuoi fare, Sana?” chiese. Lei sapeva cosa voleva dire quella domanda, ma non era con lui che ne avrebbe parlato.

“Devo dirlo ad Akito” mormorò. “Hai ragione…”.
 

Quella sera programmarono una cena insieme. A casa di lei, doveva parlargli di loro due; avrebbe dovuto ricordarle che non c’era nessun noi tra loro, ma qualcosa nella voce lo costrinse a rispondere con uno stentoreo “Ok”. Arrivò a casa sua solo per trovarla addormentata sul tavolo, apparecchiato per due con una sottile candela a dividere i due bicchieri. Lì per lì temette un malore, poi guardò il volto disteso e, sorridendo tra sé e sé, la chiamò.

“Oh, ciao Akito” salutò, sorridendo e passandosi una mano sugli occhi, liberandoli dal torpore del sonno. Gli sembrarono leggermente rossi e gonfi, ma attribuì la colpa al sonno.

“Ciao…” salutò, togliendosi il giaccone. “Che si mangia?”. Aveva ordinato il sushi d’asporto, talmente tanto che fu tentato dal chiedere chi altro avesse invitato; quel menù voleva dire che doveva farsi perdonare qualcosa ma, come tutte le altre volte, aspettò la fine del pasto per porsi domande. Quella volta, tuttavia, fu anticipato.

“Akito, ho scoperto di essere incinta” disse. Il pezzo di sushi divenne improvvisamente pesante. Fu il tintinnio del piatto che lo avvertì che la sua mano non reggeva più le bacchette e che il boccone molto probabilmente si era sfatto per tutto il piatto. Lo stomaco gli si chiuse ed il corpo fu invaso da un formicolio tutt’altro che piacevole, mentre i loro occhi si guardavano, entrambi con la medesima espressione.

“Sana…” mormorò lui. La voce era pacata, quasi fredda, ma i suoi occhi non mentivano. “Dobbiamo avvertire tua madre…”.

“Ho voluto parlarne prima con te” disse la ragazza, mentre il suo volto aveva nuovamente smesso di comunicare al resto del mondo i suoi pensieri.
   
 
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